Tribunale Militare di Torino, ufficio del G.U.P., sentenza del 15
maggio 2000, sulla responsabilità di Goering e Geiger per la fucilazione
il 7 dicembre 1944 davanti all’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi
del Comune di Ventimiglia
TRIBUNALE MILITARE DI TORINO
UFFICIO DEL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice dott. Alessandro BENIGNI
alla udienza preliminare del 15/05/2000 ha pronunziato e pubblicato
mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
1) Hans GEIGER, nato il 12/06/1915 a Francoforte (D) e residente a
BAD SODEN (D), Dachbergstr.30-32, già Maggiore dell’Esercito Tedesco,
assente;
Difeso ed assistito dall’Avvocato d’ufficio, Lucia FRANZESE, foro di
Torino, presente.
2) Heinrich GOERING, nato il 17/07/1923 a Betzdorf (D) e residente
in Ludwigshafen (D), Wasgaristr. 38, già Tenente dell’Esercito Tedesco,
assente;
Difeso e assistito dall’Avvocato di Fiducia GIORDANENGO, foro di Torino,
presente.
IMPUTATI
dei reati di:
“VIOLENZA CON OMICIDIO CONTRO PRIVATI ITALIANI” (artt. 13 e 185 comma 1
e 2 C.PM.P., artt. 575 e 577 nn.3 e 4, 61 n.4 C.P.) per aver cagionato,
senza necessità o comunque senza giusto motivo, agendo con crudeltà
ed efferatezza verso le persone e con premeditazione, rispettivamente quali
Maggiore e Tenente delle Forze Armate tedesche, nemiche dello Stato Italiano,
la morte di:
1) PASTORINO Giovanni,
2) PITTALUGA Rinaldi,
3) LORENZI Alberto,
4) LORENZI Battistina,
5) TROVATO Salvatore,
6) TROVATO Giovanna,
7) PLANCK Antonio,
8) PALLANCA Vincenzo,
9) PALLANCA Sergio,
10) PALLANCA Rosalba,
11) CHIODINI Maria,
12) CHIODINI Angela
nel piazzale antistante l’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del
Comune di Ventimiglia (IM), ordinandone la fucilazione, avvenuta dalle
ore 08.30 del 7.12.1944, durante lo stato di guerra fra l’Italia e la Germania.
MOTIVAZIONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI
Il P.M. ha esercitato l’azione penale nei confronti di GEIGER Hans e
GOERING Heinrich, per il reato militare di cui in epigrafe, con richiesta
di rinvio a giudizio emessa in data 10/4/1999 (fogl. 516 fasc. P.M.). Con
decreto del 20/10/1999, confermato in data 12/1/2000, il Presidente del
Tribunale Militare di Torino conferma le funzioni di G.U.P. al Dott. Alessandro
Benigni, unico magistrato non incompatibile con il procedimento. All’udienza
preliminare del 9/2/2000 il G.U.P., ai sensi dell’art.421 bis c.p.p., indicava
al P.M. di approfondire i Temi di indagine descritti nella relativa ordinanza
(fogl. 120 fasc. G.U.P.). All’udienza preliminare del 15/5/2000 le parti
proponevano le seguenti conclusioni:
P.M.: rinvio a giudizio di entrambi gli imputati;
Difesa Goering: sentenza di proscioglimento ai sensi del combinato
disposto degli artt. 192/195/425 c.p.p.;
Difesa Geiger: si associa alle conclusioni della difesa Goering.
Il G.U.P. ha emesso sentenza di non luogo a procedere ex art.428 c.p.p.
per le ragioni che ora si espongono.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il fatto: la strage di Grimaldi, le prime testimonianze e la riapertura
delle indagini nel 1997
Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi,
accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni,
irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo
averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque
donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di
imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia
e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici
rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite
fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità
della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di
dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca
salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari,
e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio.
Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità.
Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente
tedesco, in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe
Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia, all’epoca
sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro,
titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele,
di avere ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani
dai soldati tedeschi) per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger,
tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione
di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare,
ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione
di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na
Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944
un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era
scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di
avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine
del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering»
(copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco
sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere
chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145).
Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca
una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al
Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva
le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva
personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero
in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente
riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato
da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto
ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile
in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000
(e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una
indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio
caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita
di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi».
Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva
un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte
utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie
e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni
incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944
iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini
di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni
ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato
ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto
e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”».
Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno
dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Olengo «”io
ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittoluga”»
(altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa
della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria,
fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in
moventi «di lucro e saccheggio».
Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise
di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò
all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946).
E’ facile immaginare l’importanza delle acquisizioni degli atti processuali
al presente fascicolo al fine di rinvenire eventuali riscontri diretti
o indiretti alla dichiarazione della De Re o all’esposto del Dott. Pallanca.
Il P.M. ha chiesto copia degli atti sia presso il Tribunale di Sanremo
(fogl. 143) sia presso quello di Imperia (fogl. 314). Tale richiesta è
stata reiterata dal P.M. su espressa richiesta del G.U.P. ex art. 421 bis
c.p.p. ma con esito negativo in quanto sia la cancelleria del Tribunale
di Sanremo, sia quella del Tribunale di Imperia attestano di non avere
alcuna notizia in merito (verb. ind. prel. 15/5/2000).
Il fascicolo rimane a giacere per circa cinquanta anni per le note
vicende legate a fattori di politica internazionale e accuratamente descritte
nella delibera del C.M.M. del 23/3/1999. Si tratta, purtroppo, di una delle
tante pagine tristi della Magistratura italiana che più di una volta
si è fatta coinvolgere da interessi e priorità ben diverse
dalla Amministrazione della Giustizia e dalla applicazione del diritto.
Il fascicolo giunge alla Procura Militare di Torino dove dopo varie
vicende, viene affidato al Dott. Paolo Scafi che procede alla iscrizione
in data 29/1/1997.
2. La valutazione che il G.U.P. deve compiere nella udienza preliminare
ai sensi dell’art. 425 c.p.p.
La prima questione che questo Giudice deve esaminare, ed è preliminare
ad ogni successiva valutazione, riguarda la possibilità per il Giudice
dell’udienza preliminare di emettere una sentenza di non luogo a procedere
anche quando un principio di prova della responsabilità penale sembra
esistere, ma non in misura tale da potere supportare una pronuncia di condanna
in sede dibattimentale. Su questo specifico punto la Procura ha vivamente
sostenuto come il metodo di giudizio nella udienza preliminare debba essere
diverso da quello che il giudice deve assumere al termine del dibattimento.
Le difese invece hanno sostenuto che la L. 479/1999 (c.d. Legge Carotti),
introducendo il III comma dell’Art. 425 c.p.p., abbia voluto imporre al
Giudice di disporre il rinvio a giudizio solo quando vi siano gli elementi
sufficienti per una condanna dibattimentale.
La risoluzione di questo problema presuppone una necessaria analisi
della natura e della funzione dell’udienza preliminare. Dottrina e giurisprudenza
inizialmente hanno ritenuto, unitariamente, come lo scopo di tale udienza
consistesse nella precisione di un «controllo giurisdizionale volto
a delibare il fondamento dell’accusa» (così espressamente,
la Relazione al progetto preliminare pag. 228). La decisione del G.U.P.
non avrebbe natura sostanziale, ma solo processuale, dovendo analizzare
non la responsabilità dell’imputato, ma solo l’accertamento del
corretto esercizio della azione penale. Tale affermazione trovava un suo
fondamento postumo nella lettera dell’Art. 425 c.p.p., che imponeva al
G.U.P. di emettere sentenza solo quando «risulta evidente che il
fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso».
Ora, prevedere che il G.U.P. prosciolga solo quando è evidente
che il fatto non sussiste, oppure che l’imputato non lo ha commesso, equivale
a dire che il G.U.P. deve prosciogliere solo quando il P.M. aveva evidentemente
(oppure, se vogliamo utilizzare un sinonimo, macroscopicamente) sbagliato
nel chiedere il rinvio a giudizio. Dal momento che quest’ultimo fenomeno,
per la fortuna dei cittadini e della Giustizia in generale, non avviene
così sovente, si aveva una percentuale elevatissima di rinvii a
giudizio in quanto, se anche solo nel fascicolo del P.M. era presente un
solo indizio, non era più evidente la prova dell’estraneità
dell’imputato. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza N. 82/1992
aveva sancito l’intrinseca razionalità del sistema affermando che
«diverse sono infatti la struttura e la funzione dell’udienza preliminare
rispetto a quelle che caratterizzano la fase del dibattimento… Ciò
spiega la ragione per la quale il Legislatore delegante ha ritenuto di
limitare ai soli casi di “evidenza” le ipotesi in cui il giudice può
apprezzare l’infondatezza dell’imputazione e pronunciare sentenza di non
luogo a procedere con le formule in fatto, così precludendo una
sorta di giudizio anticipato che minerebbe non poco quella mancata autonomia
del dibattimento che lo stesso sistema accusatorio antologicamente postula».
Questo fenomeno ha costituito l’inizio di una serie interminabile di facili
polemiche sfocianti nel referendum, appena effettuatosi, sulla separazione
delle carriere, fondata sul fatto che il G.U.P. «mandava sempre a
giudizio» perché «appiattito sulle posizioni del P.M.»
al punto che il Parlamento ha dovuto intervenire nel corso della discussione
con la L. 105/1993 per abolire il requisito dell’evidenza della prova.
La soppressione della parola «evidente» compiuta con il dichiarato
intento di ampliare l’ambito delle valutazioni del giudice ha comportato,
come accade sempre in Italia per ogni questione giuridica, alla formazione
di due divergenti orientamenti interpretativi. Secondo una prima impostazione
che ha trovato maggiore fortuna in dottrina (Dawan “Elementi probatori
insufficienti: sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone
il giudizio?” in Dir. pen. e processo 1997, 177 ss e, più recentemente
Anca Voce «”Udienza preliminare”» in Dig. Disc. pen., Torino,
vol. XV, 1999, 74ss) e nella giurisprudenza di merito (App. Torino 15/11/1995
in Riv. It. Dir. Proc. pen. 1997, 288; App. Napoli 8/3/1998 in Arch. Nuova
proc. pen. 1995, 466) che non in quella di legittimità (sul punto
si rinvengono principalmente Cass. 13/3/1998 in Arch. Proc. pen. 1998,
627 e Cass. 18/11/1998 in Guida al Diritto 1999, 14, 83) l’abolizione del
termine «evidente» comportava la necessità, da
parte del G.U.P. di procedere ad un giudizio di merito pieno. Secondo l’orientamento
presente in dottrina (soprattutto E.Fortuna/ S.Dragone/ E.Fassone/
R.Giustozzi/ A.Pignatelli “Manuale pratico del Nuovo processo penale” Padova
1995, 594-595 e A.Nappi “Guida al codice di procedura penale” Milano, 1996,
303) e dominante nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 19/6/1996
in Dir. pen. e processo 1997,174; Cass. 22/1/1997 in Arch. nuova proc.
pen 1997, 507, Cass. 27/11/1995 in Arch. nuova proc. pen. 1996, 98
Cass. 5/2/1999) e soprattutto in quella costituzionale (Corte Cost. ord.
97/97; ord 367/97; ord 91/98 in Cass. pen. 1999,14) la L. 105/1993 non
aveva comportato un cambiamento della natura della sentenza di non luogo
a procedere che era rimasta processuale: di conseguenza il giudice poteva
emettere sentenza solo in caso di presenza della prova positiva della innocenza
dell’imputato o di mancanza della prova a carico; nell’ipotesi invece di
insufficienza o contraddittorietà della prova il Giudice non potendo
entrare nel merito della imputazione, doveva sottoporre la fattispecie
concreta al vaglio dibattimentale.
In questa situazione si inserisce la nuova formulazione dell’Art. 425
c.p.p., come modificato dalla L. 479/1999, che prevede come «il giudice
pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti
risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere
l’accusa in giudizio».
In sede di prima lettura di questa disposizione una Autorevole dottrina
(mi riferisco a R.Bricchetti in AA.VV. “Il nuovo processo penale davanti
al Giudice unico” Milano 2000, 142-144) ho ritenuto che la modifica dell’art.
425 c.p.p. non comporta il proscioglimento dell’imputato qualora gli elementi
acquisiti risultino insufficienti e contraddittori. Il P.M. aderendo a
questa tesi ha infatti affermato che «il metodo della udienza preliminare
è diverso da quello del dibattimento».
Questo giudice ritiene, invece, che una corretta lettura dell’art.
425 c.p.p. comporti una diversa soluzione per le seguenti tre considerazioni:
a) l’evoluzione storica della disposizione citata;
b) il criterio generale costituito dall’art. 2 n.11 Legge Delega N.81/1987
;
c) il confronto e la conseguente discrasia tra l’art. 425 c.p.p. e
l’art.125 disp. att..
a) L’evoluzione della norma, dalla sua originaria formulazione a quella
attuale, descritta nelle precedenti righe appare, in un giudizio complessivo,
estremamente palese nel delineare una volontà legislativa tesa via
via ad ampliare la competenza e i poteri del G.U.P. consentendogli la possibilità
di compiere quel prezioso “filtro” che costituisce presupposto indispensabile
per la scrematura dei fascicoli da inviare al dibattimento e la tenuta
del sistema accusatorio che, come è noto a tutti, e come fu detto
sin dall’entrata in vigore del codice Vassalli, richiede un numero di processi
celebrati con le garanzie del pubblico dibattimento in misura non superiore
al complessivo 10%.
In questa prospettiva non appare razionale ritenere che il Legislatore
sia intervenuto modificando completamente la struttura della norma introducendo
una fattispecie completamente inedita, il proscioglimento per insufficienza
e contraddittorietà della causa, per lasciare intatto il quadro
dei poteri del Giudice. Se il legislatore ha modificato la norma, evidentemente
aveva la volontà di modificare la situazione preesistente e, sembra
di capire a questo giudice, nel senso di inserire un filtro più
spesso tra le indagini e il dibattimento che comprenda anche le ipotesi
in cui il G.U.P. soggettivamente sia certo che non potranno formarsi nel
corso del dibattimento le prove sufficienti per una decisione di condanna.
b) L’art. 2 N.11 L.81/1987 prevede espressamente che «si ha mancanza
di prova anche quando essa è insufficiente o contraddittoria».
Nella disposizione non vi è alcuna formulazione che possa fare ritenere
come essa sia applicabile al solo dibattimento, dato che anche la pronuncia
di non luogo a procedere può essere equiparata ad una sentenza di
proscioglimento. Si è descritto come invece la giurisprudenza abbia
nettamente distinto le due ipotesi ritenendo necessario il rinvio a giudizio
nell’ipotesi di prove insufficienti o contraddittorie.
A questo punto non restava altra via per il Legislatore, che riaffermare
espressamente la equivalenza intercorrente tra i concetti di “prova mancante”
e “prova insufficiente”, situazione che sembra essere avvenuta con la modifica
dell’art. 425 c.p.p..
Terzo dato, ma non ultimo in ordine di importanza, da prendere in considerazione
è quello costituito dalla contraddittoria discrasia creatasi in
passato, e che permarrebbe, in futuro, ove si accedesse alla soluzione
della natura “confermativa” della attuale formulazione dell’art. 425 c.p.p.,
tra gli artt. 425 c.p.p. e 125 disp. att.
Come è noto, l’art. 125 disp. att. prevede che il P.M. debba
richiedere l’archiviazione quando
«gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei
a sostenere l’accusa in giudizio». Il G.I.P. provvede con decreto
motivato.
La disciplina codicistica pertanto conteneva l’illogico paradosso per
cui il G.I.P. poteva chiudere il procedimento con un provvedimento archiviativo
ma, in presenza degli stessi elementi di prova, e cioè prova insufficiente
per sostenere con successo l’accusa in dibattimento, era costretto a rinviare
a giudizio l’imputato. Esaminando i lavori preparatori alle disposizioni
di attuazione si rileva come il C.S.M., in sede di parere consultivo si
era accorto dell’incongruenza del sistema criticandolo espressamente: «ne
consegue che il giudice dovrebbe addirittura archiviare in presenza di
una situazione probatoria più pesante di quella che nell’udienza
preliminare giustifica il rinvio a giudizio dell’imputato: infatti, in
sede di udienza preliminare, il giudice può non rinviare a giudizio
l’imputato non già se ritiene che gli elementi a suo carico non
sono sufficienti ai fini della condanna in sede dibattimentale ma solo
se l’innocenza dell’imputato appare “evidente”». Il Governo, nelle
sue osservazioni, aveva replicato, in maniera non chiarissima, affermando
comunque la necessità di «scoraggiare la prassi del rinvio
a giudizio nonostante l’insufficienza degli elementi a carico riscontrata
nella applicazione del codice abrogato: una prassi palesemente in contrasto
con i caratteri del sistema accusatorio, fra i quali va sicuramente compresa
la “deflazione dibattimentale”».
Gli spiriti più avveduti già all’epoca si erano resi
conto della necessità di collegare idealmente la regola di giudizio
caratterizzante l’epilogo dell’archiviazione con quella di cui all’art.
425 c.p.p.. Ma poiché la giurisprudenza di legittimità è
andata in senso opposto affermando che «soltanto il giudice del dibattimento…
può prosciogliere l’imputato per carenza, insufficienza o contraddittorietà
delle prove» il Legislatore sembra essere appositamente intervenuto,
con l’indicazione del terzo comma, per sancire espressamente la possibilità,
anche per il G.U.P., di prosciogliere l’imputato in presenza di prova insufficiente
o contraddittoria.
Sulla base delle considerazioni sin qui esposte questo Giudice ritiene
di dovere verificare attentamente se gli elementi contenuti nel fascicolo
del P.M. siano tali da poter ritenere, con un giudizio prognostico, ma
probabile, o almeno possibile, condanna in sede dibattimentale.
3. Credibilità della testimonianza De Re
Come è stato evidenziato nel capitolo della sentenza riguardante
la descrizione dei fatti, il presente procedimento ruota intorno alla testimonianza
di De Re Antonietta la quale ha detto di avere appreso dal soldato Karl,
il giorno successivo alla strage, che essa era stata compiuta per ordine
diretto degli imputati.
L’Avv. Giordanengo, sul punto, invoca l’applicazione dell’Art. 195
c.p.p. che al settimo comma prevede come «non può essere utilizzata
la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare
la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame».
Il difensore richiama all’attenzione del giudice le sommarie informazioni
rese dal giornalista Maurizio Vezzano che ha dichiarato come, nel corso
di una conversazione telefonica la De Re avesse ammesso di avere ricevuto
le confidenze di alcuni soldati tedeschi (e quindi non di uno solo) i quali
le descrissero l’esecuzione avvenuta in Grimaldi da un compagnia di disciplina
composta da soldati macchiatisi di reati. La donna era rimasta in contatto
con alcuni di questi militari di cui non voleva assolutamente fornire i
nominativi perché sapeva che essi volevano dimenticare quell’episodio
(fogl. 159). Il giornalista aveva poi pubblicato tale rivelazione in un
articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” del 30/9/1998 (fogl. 157).
Inoltre in data 8/11/1999 (fogl. 168 fasc. G.U.P.) la De Re dichiarava
che Goering era a capo della compagnia disciplinare e faceva parte delle
SS «poiché sul colletto si vedevano le due SS», ed escludeva
che egli potesse comandare la sesta compagnia dell’esercito tedesco. Queste
ultime dichiarazioni peraltro contrastano con le risultanze della consulenza
tecnica del Prof. Carlo Gentile, disposte su iniziativa della Procura,
la quale ha argomentatamente escluso che Goering facesse parte delle SS
e, anzi, aveva assunto il comando della VI Compagnia del Grenadier Regiment
253 della XXXIV Infanterie Division il 1/7/1944. Da queste discordanze,
e soprattutto dal fatto che la De Re non abbia voluto in alcun modo contribuire
alla identificazione degli altri soldati tedeschi con cui avrebbe parlato
nel lontano 1945, il difensore di Goering ritiene di poter evincere l’inattendibilità
del teste “de relato” ex Art. 195 c.p.p. in quanto non sarebbe intrinsecamente
attendibile.
Correttamente, però, l’Avv. Giordanengo riconosce come l’art.
195 c.p.p., nella prevalente applicazione giurisprudenziale richiede una
semplice indicazione in astratto del teste riferito (pag. 18 verb. ud.
15/5/2000), il problema, al riguardo, inerisce alla attendibilità
intrinseca della potenziale teste.
Su questo profilo occorre valutare il lunghissimo tempo trascorso (55
anni!!) che depone sicuramente a favore della possibilità di avere
ricordi nebulosi, confusi, contraddittori. Se le uniche dichiarazioni della
De Re fossero quelle rese negli anni novanta, non ci sarebbe dubbio nel
concordare con la difesa sulla inesistenza concreta di ogni elemento indiziante.
Occorre però considerare come, in data 10/7/1945, in epoca assai
prossima ai fatti, fosse stata molto più circostanziata sull’episodio,
sicuramente perché assai più vivido era nella sua mente il
ricordo di quel tragico episodio: appare quindi probabile che contraddizioni
e lacune riscontrate nell’ultima audizione siano dovute a questo fattore.
Come ha affermato giustamente il P.M., con cui si concorda sul punto, se
costituisce prassi normale degli esami dibattimentali sentire testi che,
magari a distanza di tre anni, affermano di ricordarsi “X”, ma se hanno
dichiarato “Y” nelle indagini preliminari, evidentemente è vero
“Y” e non “X”, non si può pretendere da una signora di 76 anni che
abbia gli stessi ricordi e le stesse impressioni di 55 anni prima.
La dichiarazione della De Re, ai sensi dell’Art. 192 c.p.p., è
quindi attendibile anche se, proprio a causa delle discordanze che sussistono
effettivamente, può assumere solo la natura di indizio, richiedente
quindi dei riscontri precisi e concordanti, e non di autonomo e sufficiente
elemento di prova.
4. L’assenza di univoci riscontri oggettivi nel fascicolo processuale
e nella Relazione del Prof. C.Gentile.
Questo giudice ha pervicacemente cercato dei riscontri documentali,
o testimoniali, che potessero supportare le dichiarazioni della De Re.
A tal fine il 9/2/2000 ha emesso un’ordinanza ex Art. 421 bis c.p.p. con
cui invitava l’Ufficio inquirente a insistere in indagini che peraltro,
erano già state intraprese.
Le ulteriori indagini compiute dalla Procura non hanno dato esiti positivi.
Il P.M., a suo tempo aveva disposto una consulenza tecnica sulla documentazione
presente negli archivi tedeschi, affidata al Prof. C.Gentile la cui indubbia
competenza era risultata preziosa, se non forse indispensabile, nei processi
Saevecke e Engel celebrati avanti al Tribunale Militare di Torino, e che
si erano conclusi con due condanne all’ergastolo.
La Relazione, estremamente circostanziata e precisa, depositata in
Cancelleria il 4/1/2000 ha aumentato i dubbi di questo giudice e dimostrato
quanto segue:
a) il Tenente Goering era comandante della VI Compagnia all’epoca dei
fatti (pag. 17 C.T.P.);
b) la VI Compagnia non si trovava in zona prossima a Grimaldi in data
7/12/1944 (pag. 19 C.T.P.);
c) non vi è nessuna prova diretta, nella documentazione esaminata
dal Prof. Gentile che attesti la presenza degli uomini del Tenente Goering
(pag. 19 C.T.P.);
d) nessun dato oggettivo lega la VI Compagnia alla strage (pag. 20
C.T.P.);
e) il Magg. Geiger era a capo del II Battaglione del Grenadier
Regiment 253, unica unità tedesca nella zona di Ventimiglia del
settembre 1944 alla primavera del 1945 (pag. 5-12 C.T.P.);
f) nella notte del 17/9/1944 il Battaglione Geiger aveva impartito
un primo ordine di sgombero della popolazione di Grimaldi (pag. 12-13 C.T.P.);
g) non si può escludere che una qualsiasi azione militare repressiva
eseguita in questo ambito possa essere avvenuta all’insaputa del Comandante
(pag. 18 C.T.P.).
Il P.M. ha sottolineato le dichiarazioni rese dalla Signora Stela Luisa
Lorenzi (fogl. 623 fasc. P.M.) la quale in data 4/8/1999 ha ricordato
come nell’autunno del 1944, mentre lasciava insieme ai parenti e a prossimi
congiunti il proprio ristorante, vide arrivare il Capitano Geiger il quale
aveva sfondato un cancelletto in legno con un calcio dicendo «quanti
banditi essere qua».
L’Avv. Giordanengo, invece, ha ricordato le dichiarazioni di Francesco
MARCENARO che si trovava quella tragica notte nei pressi dell’Hotel
Vittoria e aveva sentito gli spari dell’eccidio. Il Marcenaro ha consegnato
alla Polizia Giudiziaria la Relazione sull’accaduto redatta dal Comandante
Jonseph MANZONI responsabile della “Missione Alleata” per la zona di confine
Italia – Francia il quale attribuisce la responsabilità della strage
a una pattuglia tedesca delle SS inviata da due repubblichini. Questo dato
escluderebbe la responsabilità degli imputati, nessuno dei quali
apparteneva alle SS.
5. Conclusioni. Proscioglimento in quanto le prove raccolte sono tra
loro insufficienti e contraddittorie e quindi non idonee ad ottenere una
sentenza di condanna in sede dibattimentale.
L’insieme di queste circostanze, alla luce di tutte le considerazioni
sopra esposte, non appare in grado di rinforzare, confermandola, la deposizione
della De Re.
Viale e Moro essendo morti, non possono confermare se abbiano reso
effettivamente le dichiarazioni attribuitegli, e in quali termini.
Il Sig. Alberto Pallanca, per le sue gravi condizioni di salute, non
è più in grado di riferire eventuali particolari o circostanze
aggiuntive a quelle già indicate nella sua analitica denuncia.
Si deve ricordare anche che, astrattamente, nessun dato legislativo
espresso impedirebbe di utilizzare l’esposto di Pallanca come fonte di
una testimonianza de “relato” di secondo grado utilizzando il combinato
disposto degli artt. 195-191 c.p.p. e attribuendo quindi valenza probatoria
alle dichiarazioni di Viale e Moro. Occorre però considerare che,
a fronte di queste astratte possibilità, restano troppi elementi
negativi.
In primo luogo la Relazione Gentile sembrerebbe smentire la presenza
perlomeno di Goering nei luoghi del delitto, e quindi l’intrinseca attendibilità
del racconto di Viale e Moro.
In secondo luogo la De Re parla di un ufficiale delle SS, identificandolo
in Goering, e questa affermazione sembra trovare conferma nella deposizione
di Marcenaro. Ma Goering non è mai entrato nelle SS: pertanto anche
la dichiarazione della De Re, pur credibile, lascia adito al dubbio che
abbia in buona fede confuso Goering con un altro ufficiale tedesco.
Infine il fatto che Geiger fosse nella zona di Grimaldi, come affermato
dalla Signora Lorenzi, in sé non prova nulla, soprattutto se si
considera che ancora oggi le indagini della Procura non hanno chiarito
il movente dell’eccidio, come bene ha messo in luce il Prof. Gentile: una
punizione per non aver ottemperato alle disposizioni di sgombero tedesche?
Un’azione militare contro collaboratori delle formazioni partigiane? O
un omicidio per uccidere i testimoni di un saccheggio ispirato dalla cupidigia
di Egidio Eugeni? E in quest’ultima ipotesi come si potrebbe istituire
una correlazione probatoria con il Comandante Geiger e con il Maggiore
Geiger?
Bisogna alfine riconoscere che i vari elementi indiziari non risultano,
ad avviso di questo giudice, avere la precisione e la concordanza richieste
dall’art. 192 c.p.p..
Certo una seria e approfondita indagine alla fine del conflitto, con
tutti i testimoni in vita e freschi di quei tragici ricordi, avrebbe condotto
a ben diversi risultati. Ma le esigenze della guerra fredda combattuta
tra i due «blocchi contrapposti» non lo ha consentito, come
ha denunciato la eccellente e meritoria relazione del C.M.M.
Pertanto, le ragioni del diritto impongono una sentenza di non
luogo a procedere per insufficienza degli elementi raccolti dal P.M. a
costituire le prove necessarie per ottenere una condanna in sede di dibattimento.
P.Q.M.
visti gli artt. 424, 425 e 426 c.p.p.
DICHIARA
Non luogo a procedere nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich,
in ordine al reato ascrittogli di violenza con omicidio contro privati
nemici perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti
a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto.
Deposito in 30 giorni.
Così deciso in Torino il 15/05/2000.
IL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE
Dott.
Alessandro BENIGNI
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