Tribunale Militare di Torino, sent. 504 del 23 giugno 1999, sull’articolo
49 c. p. e sul reato impossibile
TRIBUNALE MILITARE DI TORINO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Militare, composto dai Signori:
1. Dott. Stanislao SAELI Presidente
2. Dott. Alessandro BENIGNI Giudice
3. Ten. Col. Vincenzo MOLINARO Giudice militare
con l’intervento del P.M. in persona del dott.
e con l’assistenza del
ha pronunciato in pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale a carico di:
P...............................;
IMPUTATO
del reato di:
“RICETTAZIONE” (art. 237 c.p.m.p.) perché, militare effettivo
presso il Btg. ............), poco dopo le ore 21.00 del 21/05/93, al fine
di procurare a se un profitto, riceveva dal commilitone Q................
una brioche, da questi precedentemente sottratta all’Amministrazione Militare.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
P..............è stato rinviato a giudizio per il reato di cui
in epigrafe.
All'udienza dibattimentale del 26.5.1999, il Tribunale, dopo la lettura
del capo di imputazione, si ritirava in Camera di Consiglio decidendo di
assolvere l'imputato ai sensi del combinato disposto dagli artt. 49 c.p.
/ 129 c.p.p. per le ragioni che ora si espongono.
L'imputazione ha come oggetto la ricezione di una brioche precedentemente
sottratta all'Amministrazione Militare, e (presumibilmente) mangiata dal
P.........medesimo. Il Tribunale ha ritenuto che, a prescindere dall'esito
della istruttoria dibattimentale, l'acquisizione di una semplice brioche
dall'irrisorio valore economico, non costituiva un evento tale da ledere
concretamente il bene giuridico tutelato dall'art. 237 c.p.m.p.. Ciò
alla luce di una interpretazione valorizzatrice della disposizione dell'art.
49 c.p.. Tale norma, come è noto, qualifica come reato impossibile
quell'azione che è inidonea a procurare un evento dannoso. E' altresì
noto come vi sia stata una differente lettura di tale norma da parte della
dottrina e della giurisprudenza tradizionali, che a lungo l'hanno considerata
come un "doppione" dell'art. 56 c.p., in quanto descriverebbe una ipotesi
di tentativo inidoneo, rispetto alla impostazione fornita dai Maestri della
Scuola Torinese, i quali hanno sganciato l'ipotesi del reato impossibile
per inidoneità dell'azione dal campo del tentativo, costruendolo
come una disposizione cardine dell'ordinamento costituente espressione
del principio della concreta offensività dell'illecito penale (c.d.
concezione realistica del reato).
Questa interpretazione è rimasta a lungo minoritaria in giurisprudenza
sulla base della seguente obiezione: la pretesa di considerare reato solo
il fatto che, oltre ad essere tipico fosse anche offensivo, comporterebbe
un'infrazione del principio di legalità in quanto porterebbe ad
attingere l'offesa da criteri di valutazione extralegislativi aprendosi
la strada, in tal modo, alla possibilità di soggettivismi giurisprudenziali.
Il Tribunale ritiene che questa obiezione possa essere superata con
una rigorosa lettura dell'art. 49 c.p. che ricomprenda effettivamente i
soli fatti che non presentino alcun problema interpretativo in ordine alla
loro irrilevanza pratica. Non è un caso che la stessa dottrina che
ha impostato l'interpretazione innovativa di tale istituto descriva, come
suoi esempi pratici, ipotesi, come il furto dell'acino d'uva, il falso
grossolano o la calunnia paradossale che non sono in alcun modo in grado
di ledere concretamente (e non ipoteticamente) il bene protetto dalla norma.
Sotto questo profilo non sfugge al giudicante che questa ricostruzione,
dopo essere stata acquisita dalla Corte di Cassazione in alcune sentenze
che si sono dovute pronunciare sul c.d. falso irrilevante (Cass. 2.10.1973;
15.7.1977; 12.11.1979; 4.10.1980), è stata avvalorata anche dalla
Corte Costituzionale 62/1986 (in Giur. Cost. 1986, I, 416) la quale ha
espressamente affermato che l'art. 49 è norma che giova all'interprete
"al fine di determinare in concreto la soglia del penalmente rilevante".
Percorrendo questo sentiero interpretativo, il Tribunale ritiene che il
possesso di una semplice brioche, dall'irrilevante valore economico, non
sia un grado di concretare la fattispecie dell'art. 237 c.p.m.p., sotto
il profilo della offensività della condotta tenuta dall'imputato.
Ragione per cui il fatto non sussiste come illecito penale.
Il Tribunale ha ritenuto di emettere una sentenza di proscioglimento
ai sensi dell'art. 129 c.p.p. per evidenti ragioni di economia di giudizio,
dal momento che gli elementi rivelatori della insussistenza del fatto emergono
dalla semplice lettura del capo d'imputazione, e l'istruttoria dibattimentale
nulla poteva aggiungere alla constatazione che il Collegio ha fatto della
insussistenza penale dei fatti descritti (in questo senso, espressamente
Cass. 21.5.1991 in Cass. pen. 1992, 2774; Cass. 26.9.1991). Né si
può sostenere l'inapplicabilità dell'art. 129 c.p.p. alla
fase predibattimentale in quanto osterebbe l'art. 469 c.p.p. che richiede
il preventivo consenso delle parti. Secondo questa tesi, peraltro sostenuta
anche in giurisprudenza (Cass. 212/93; 41/94; 5588/95), l'art. 469 consente
la sola pronuncia di non doversi procedere per improcedibilità dell'azione
o per estinzione del processo, mentre il proscioglimento nel merito può
avvenire solo in seguito a un giudizio che abbia garantito un pieno contraddittorio.
Questa impostazione, pur avvalorata da varie massime giurisprudenziali,
fornisce, però, una lettura molto restrittiva dell'inciso iniziale
"Salvo quanto previsto dall'art. 129, comma 2", il quale prevede che "quando
...dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste, o che l'imputato
non lo ha commesso ... lo dichiara d’ufficio con sentenza". Il combinato
disposto dalle due norme induce a interpretare l'art. 129, comma 2 c.p.p.
come clausola di riserva rispetto all'art. 469 c.p.p.. In altre parole,
il Collegio non potrebbe mai emettere sentenza predibattimentale, se non
nei casi previsti dall'art. 469 c.p.p., ad eccezione dell’ipotesi prevista
dall’art. 129 a favore dell'imputato quando risulta evidente il proscioglimento
dell'imputato e insussistente ogni suo possibile addebito, sarebbe antieconomico
ed iniquo aspettare la conclusione del dibattimento, che potrebbe protrarsi
anche per più udienze dilatate nel tempo, solo per confermare una
decisione già presa dall'organo competente. In dottrina è
stato sostenuto chiaramente come l'art. 129 c.p.p. muova da evidenti ragioni
di economia processuale che tendono ad evitare il ricorso al dibattimento
tutte le volte che questo non sia necessario apparendo antieconomico ed
inutile per l'accertamento del fatto, salvaguardando, comunque, il diritto
dell'imputato ad essere completamente scagionato dall'accusa. Un orientamento
minoritario ha accolto in giurisprudenza questa impostazione, ritenendo
applicabile l'art. 129 c.p.p. in ogni fase processuale purchè emerga
dagli atti in maniera incontrovertibile l'insussistenza del fatto sicchè
la sua valutazione da parte del giudice deve essere "assimilabile più
ad una constatazione che ad un apprezzamento" (Cass. 21.5.1991 in Cass.
pen. 1992, 2774).
Il Tribunale aderisce a questo secondo orientamento, anche se minoritario
in giurisprudenza, in quanto lo ritiene maggiormente corrispondente alle
legittime esigenze dell'imputato di vedersi prosciolto nel merito quanto
prima e di non dover pagare con il forte disagio di una parte della propria
esistenza, in lunghi tempi processuali derivanti dalla note carenze di
organico e di attrezzature di cui da tempo la Magistratura Militare soffre,
senza alcuna attenzione da parte degli organi competenti.
Poichè, come si è esposto sopra, il Tribunale ritiene
palesemente inidonea la condotta tenuta dall'imputato a ledere il bene
giuridico protetto dall'art. 237 c.p.m.p., si è ritenuto doveroso
procedere a un proscioglimento anticipato ex art. 129 c.p.p..
P.Q.M.
Il Tribunale, letto l'art. 129 c.p.p.,
ASSOLVE
P................ dall'imputazione ascrittagli perchè il fatto non
sussiste.
Deposito in 45 giorni.
Torino, 26.5.1999
Il giudice estensore Il presidente
Dott. Alessandro BENIGNI Dott. Stanislao SAELI
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