Tribunale militare di Torino, sent. 21 marzo 2000, n. 287, sulla
possibilità di ottenere una pronuncia assolutoria immediata di merito
in sede predibattimentale ex art. 129 c.p.p..
TRIBUNALE MILITARE DI TORINO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Militare, composto dai Signori:
1. Dott. Stanislao SAELI Presidente
2. Dott. Alessandro BENIGNI Giudice
3. Cap. Giuseppe CARUSO Giudice militare
con l’intervento del P.M. in persona del dott.
e con l’assistenza del
ha pronunciato in pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale a carico di:
IMPUTATO
del reato di:
“MINACCIA CON ARMI” (artt. 229 c.p.m.p. e 339 c.p.) perché,
militare effettivo presso il…………, verso le ore 16.00 del 19/10/94, nella
zona adiacente la fureria del Corpo, minacciava un ingiusto danno al commilitone
C…….avvicinando un rasoio tipo “BIC” al mento di quest’ultimo, dicendogli,
in sua presenza, “questo pizzetto non mi piace, te lo devi tagliare, oppure
te lo taglio io, tanto non mi scappi”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
M………..è stato rinviato a giudizio per il reato in epigrafe.
Preliminarmente il Tribunale, dopo avere ascoltato le parti sulla natura
giuridica della richiesta di pocedimento prodotto in giudizio dal P.M.,
si è ritirato in Camera di Consiglio per emettere una sentenza di
proscioglimento ai sensi dell’art.129 c.p.p. per le ragioni che ora si
espongono.
Il capo d’imputazione indica, come reato ascritto all’imputato, la
minaccia con armi. L’arma in questione sarebbe costituita da un rasoio
tipo “BIC” che, come tutti sanno, è un rasoio di plastica del tipo
“usa e getta”, che non può in alcun modo essere assimilato a un’arma,
dal momento che per armi, ai sensi della legge penale, si intendono “quelle
da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa
alla persona” (e non certo la rasatura della propria barba) e “tutti gli
strumenti atti ad offendere di quali è dalla legge vietato il porto
in modo assoluto” (Art. 585 c.p.).
Pertanto, in nessun modo un rasoio a lama di tipo “BIC” può
rientrare nel concetto di arma sopra esposto. In conseguenza di tale constatazione,
il reato dovrebbe essere giuridicamente riqualificato come minaccia semplice,
presupponente una legittima richiesta di procedimento.
E’ stato reiteratamente affermato da questo Collegio come la richiesta
di procedimento debba necessariamente contenere una motivazione espressa
per potere essere considerata legittima, stante la sua natura amministrativa.
Questo Collegio è ben consapevole della diversa impostazione
accolta dalla Corte Militare di Appello di VERONA (ma non di quella di
ROMA la quale in più sentenze ha accolto tale indirizzo) e dalla
Corte di Cassazione, ma ritiene di non dovere mutare la propria giurisprudenza
fino alla pronuncia della Corte Costituzionale appositamente interpellata
su tale questione (T.M. TORINO ord. 12.1.1999).
Il Collegio, a questo punto, si è interrogato sulla necessità
di celebrare un inutile dibattimento per arrivare all’emissione della sentenza,
oppure pronunciare direttamente la decisione utilizzando la disposizione
contenuta nell’art.129 che prevede come “in ogni stato e grado del processo
il giudice riconosce che … manca una condizione di procedibilità,
lo dichiara d’ufficio con sentenza”.
La questione riguarda il rapporto tra tale norma di legge e l’art.
469 c.p.p. che afferma: “Salvo quanto previsto dall’art. 129 comma 2”,
se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita
e se per accertarla non è necessario procedere al dibattimento,
il giudice, sentiti il pubblico ministero e l’imputato e se questi non
si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere
enunciandone la causa nel dispositivo.
E’ stato affermato, in passato, dalla Suprema Corte (Cass. 12.12.1991
in Cass. Pen. 1993, 2293; Cass. 20.1.1993; Cass. 4.6.1993) che proprio
la presenza dell’art. 469 c.p.p. consentirebbe nella fase predibattimentale
la sola pronuncia di sentenza di non doversi procedere per improcedibilità
dell’azione o per estinzione del reato e non dunque il proscioglimento
nel merito dell’imputato; ciò sulla base di una dedotta specialità
dell’art. 469 c.p.p..
L’inciso “salvo quanto previsto dall’art. 129 comma 2”, secondo questa
inerpretazione, avrebbe la funzione di limitare l’emissione di una
pronuncia ex art.129 c.p.p., nella fase dibattimentale, solo qualora l’alternativa
sia posta tra un proscioglimento per estinzione del reato e un proscioglimento
con formula piena. Laddove l’alternativa sia tra una astratta pronuncia
di condanna e quella contrapposta di assoluzione, il giudice dibattimentale
sarebbe vincolato a celebrare il processo.
Il Tribunale ritiene che questa impostazione, benchè più
volte sostenuta dalla Corte di Legittimità non possa essere accolta.
L’art.129 primo comma consente un proscioglimento d’ufficio allorquando
il giudice possa essere soggettivamente certo, essendo a conoscenza di
tutti gli atti contenuti nel fascicolo del P.M.. Ciò, secondo la
Suprema Corte, non può avvenrie nella fase predibattimentale perché
il giudice non può essere “soggettivamente” certo dell’innocenza
dell’imputato, avendo a disposizione solo gli atti contenuti nel fascicolo
dibattimentale. Pertanto, in questi casi, il difetto di conoscenza integrale
degli atti renderebbe “necessario procedere al dibattimento” in tutti quei
casi in cui vi sia opposizione da taluna delle parti. Nel caso in questione
però l’eventuale lettura degli atti contenuti nel fascicolo del
P.M., ovvero la loro conseguente conversione in prova dibattimentale nulla
aggiungerebbe alla cognizione di questo giudice, il quale è già
in grado “ictu oculi” di qualificare il reato non come “minaccia con armi”,
ma come “minaccia” per le considerazioni sopra esposte con riferimento
al rasoio BIC.
La richiesta di procedimento acquisita nel fascicolo dibattimentale
in via preliminare è priva di ogni motivazione, per cui appare evidente
che, alla luce della consolidata giurisprudenza di questo Collegio, il
M……..sia destinatario di una sicura sentenza di proscioglimento. In altre
parole, non sussiste la “ratio” individuata dalla Suprema Corte per ravvisare
la necessità di procedere all’istruzione dibattimentale.
Appare quindi antieconomico e inutile per l’accertamento del fatto,
evidentemente insussistente, come proposto nel capo d’imputazione, procedere
al dibattimento, non salvaguardando in tal modo il diritto dell’imputato
ad essere prosciolto nel più breve tempo possibile, qualora il processo
sia destinato a un esito scontato.
Una diversa inerpretazione, in astratto sostenibile, esporrebbe il
combinato disposto degli artt. 129/469 c.p.p. a censure di costituzionalità.
Si pensi a un processo in cui il P.M. citi 10 – 15 testimoni. Poiché
l’imputato, innanzi al G.I.P., o al G.U.P., ha la possibilità di
ottenere una pronuncia assolutoria immediata di merito “de pleno” anche
senza disporre l’udienza preliminare (in questi termini espressamente Cass.
5064/1995) ma di fronte a un diverso giudice, nella fase predibattimentale,
non ha tale diritto ma deve subire un dibattimento del tutto inutile, che
può durare mesi e mesi con la protrazione di sofferenze morali e
il costo, non leggero, di un eventuale difensore di fiducia. Chi risarcisce
questo cittadino del danno subito in questi mesi?
Alla luce di queste considerazioni, il T.M. di Torino ritiene di emettere
una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ove sussistano i presupposti
richiesti, anche nella fase predibattimentale.
Superato questo iniziale problema il Tribunale ritiene di escludere
“prima facie” la sussistenza dell’aggravante proposta dal P.M..
A questo punto, riqualificata giuridicamente la fattispecie nel reato
di minaccia semplice, il Tribunale si trova ad esaminare la richiesta di
procedimento, al solito, immotivata.
Ribadendo la propria costante giurisprudenza sulla base delle affermazioni
più volte svolte in altre sentenze (natura soggettivamente amministrativa
del Comandante di Corpo, affermazione fatta da Cass. 12.5.1972 in Cass.
Pen. 1974, 797, Cass. 20.2.1980 in Giur it 1980, II; 483, Cass. 3.6.1988
in Giust. Pen. 1990, 348 sulla natura amministrativa della richiesta ministeriale
di procedimento, cui la richiesta del Comandante di Corpo è assimilabile,
esigenza costituzionale di sindacabilità da parte di un giudice
terzo di un potere che può tradursi in uno strumento di pressione
e di ricatto), il Collegio ritiene, anche questa volta, di disapplicare
l’illegittima richiesta di procedimento, prosciogliendo l’imputato dal
reato ascrittogli.
P.Q.M.
Letti gli artt. 129 c.p.p. e 260 c.p.m.p.,
DICHIARA
non doversi procedere a carico di M……….., in ordine al reato di Minaccia,
esclusa l’aggravante, perché l’azione penale non poteva essere iniziata
per difetto di legittima richiesta di procedimento.
Deposito in trenta giorni.
Torino, ventuno marzo duemila.
Il Giudice estensore Il Presidente
Dott. Alessandro BENIGNI Dott. Stanislao SAELI
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