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Aggiornamento - Penale |
La violazione del principio di
determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni
all’ingresso della “regola Taricco”
nel nostro ordinamento. Corte costituzionale, sentenza 31
maggio 2018, n. 115, La pronuncia della Corte di Lussemburgo. “In primo luogo, provvede
a chiarire che, in virtù del divieto di retroattività in malam partem della legge
penale, la “regola Taricco” non può
essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di pubblicazione
della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente all’ “In secondo luogo demanda a queste
ultime il compito di saggiare la compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza in
materia penale (paragrafo 59). In tal caso, per
giungere a disapplicare la normativa nazionale in tema di prescrizione, è
necessario che il giudice nazionale effettui uno
scrutinio favorevole quanto alla compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza, che è,
sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine
del diritto dell’Unione, in base all’art. 49 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il
La pronuncia della Corte costituzionale. “Indipendentemente dalla collocazione dei fatti, prima o dopo l’ “Questa Corte, nel compimento del
relativo scrutinio di legittimità costituzionale, che in questo peculiare
caso è anche adempimento della verifica sollecitata dalla Corte di giustizia,
non può che ricordare quanto aveva già osservato con l’ordinanza n. 24
del “Un istituto che incide sulla
punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto
di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico
rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale
sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo
comma, Cost. con formula di particolare ampiezza”. “La prescrizione pertanto deve essere considerata un
istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un
ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’interesse
a perseguire i reati fino a quando l’allarme sociale indotto dal reato
non sia venuto meno (potendosene anche escludere l’applicazione per
delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa
costituzionale inderogabile (ex plurimis,
sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006;
ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999)”.SENTENZA N. 115 Corte costituzionale, sentenza Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza
dell’ La disposizione censurata
ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE), come modificato dall’art. 2
del Trattato di Lisbona del Il giudice rimettente dubita
della legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui, imponendo
di applicare l’art. 325 TFUE come interpretato dalla sentenza della
Grande sezione della Corte di giustizia 2.– Il giudice a quo
sintetizza, anzitutto, il contenuto della sentenza Taricco,
sottolineando che essa obbliga il giudice penale a
negare applicazione al regime legale degli atti interruttivi della
prescrizione previsto dagli artt. 160 e 161 cod. pen.,
con riferimento alle gravi frodi fiscali in danno degli interessi finanziari
dell’Unione, punite dal decreto legislativo Allorché ciò accada con riguardo a frodi gravi, e in un
numero considerevole di casi, l’impunità che ne deriverebbe, prosegue 3.– Il giudice
rimettente premette di procedere per reati puniti dal d.lgs. n. 74 del 2000
(artt. 2, 5, 8, 10 e 10-ter) e aventi ad oggetto
l’IVA, ovvero un’imposta il cui gettito è parzialmente devoluto
al bilancio dell’Unione. Ciò comporta che secondo la sentenza Taricco si è nel campo di applicazione dell’art. 325
TFUE e inoltre si è in presenza di frodi gravi, in
quanto concernenti vari milioni di euro, e molteplici. Ai fini della rilevanza
delle questioni, osserva La gravità della frode,
infatti, ricorrerebbe quando essa non è inferiore all’importo di
50.000,00 euro (art. 2 della Convenzione PIF),
mentre il numero considerevole di casi di impunità potrebbe essere desunto
dal capo di imputazione. Infine, i reati contestati corrisponderebbero alla
nozione di frode tracciata dall’art. 2 della
Convenzione PIF. Di conseguenza andrebbe
applicata la regola tratta dalla sentenza Taricco,
posto che i reati oggetto del giudizio sarebbero prescritti, in data
successiva a tale pronuncia, in applicazione degli artt. 160 e 161 cod. pen., mentre non lo
sarebbero se si dovesse procedere senza applicare queste disposizioni. 4.– Con riguardo alla
non manifesta infondatezza, il rimettente dubita prima di tutto della
compatibilità della regola enunciata dalla sentenza Taricco
con il principio di legalità in materia penale espresso dall’art. 25, secondo comma, Cost., che attinge al livello dei
principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato e dei diritti
inviolabili della persona, e opera quindi da controlimite
rispetto al diritto dell’Unione. Il giudice a quo si
riconosce nell’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità,
e che sarebbe stato ripetutamente avallato pure da questa Corte, secondo cui
la prescrizione è istituto di diritto penale sostanziale, anche con
riferimento al regime degli atti interruttivi, posto che essa esprime una
scelta sulle ragioni della punibilità, ovvero sulla
cosiddetta meritevolezza della pena. Ne deriverebbe
l’applicabilità delle garanzie proprie della legalità penale
sostanziale. Rispetto a queste ultime la
regola desumibile dalla sentenza Taricco sarebbe in
contrasto per tutti gli aspetti in cui si scompone il principio di legalità. In primo luogo vi sarebbe un
allungamento dei tempi della prescrizione anche in
relazione a fatti commessi prima dell’ Questo fenomeno
comporterebbe anche la violazione degli artt. 3 e 24
Cost., perché «il cambiamento delle regole in corsa» discriminerebbe
l’imputato che ha scelto di non accedere ai riti alternativi in
considerazione del tempo di prescrizione del reato e che si troverebbe ora
privato di quest’ultimo effetto senza poter più optare per il
patteggiamento o il giudizio abbreviato. In secondo luogo non sarebbe
osservata la riserva di legge in materia penale, basata sul «presupposto che
soltanto il procedimento legislativo sia lo strumento più adeguato a
salvaguardare il bene della libertà personale». Sarebbe perciò solo la legge
a poter definire la «dimensione della punibilità», e non In terzo luogo verrebbe a
mancare la tassatività della norma penale. Il rimettente non ritiene
che i criteri impiegati per testare la rilevanza delle questioni possano risultare utili quando si tratti di valutarne la non
manifesta infondatezza. Sotto questo
aspetto resterebbero indeterminati, sia il novero dei reati soggetti alla
regola enunciata dalla sentenza Taricco, non
essendo chiaro se sia necessaria una condotta fraudolenta, sia la gravità
della frode, perché il limite di 50.000,00 euro fissato dall’art. 2
della Convenzione PIF contrasta con il fatto che il legislatore italiano ha
talora introdotto «soglie di rilevanza penale» superiori a tale limite, sia
il numero considerevole di casi di impunità. Quest’ultimo, se riferito
al funzionamento del sistema penale, esorbiterebbe dai poteri cognitivi e
probatori del giudice, mentre, se riferito alle imputazioni del singolo
processo, richiederebbe, con un concetto
indeterminato, «una valutazione di natura politico-criminale, […]
fisiologicamente riservata […] al legislatore». L’attribuzione al
giudice comune di «un potere normativo riservato al legislatore» e basato su
«una valutazione di natura politico-criminale, relativa all’efficacia general-preventiva della complessiva disciplina penale a
tutela degli interessi finanziari dell’U.E.», comporterebbe la lesione
dell’art. 101, secondo comma, Cost. Il rimettente ritiene
violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost.,
perché il regime della prescrizione sarebbe del tutto affrancato dalle
esigenze special-preventive della pena per
dipendere esclusivamente dal fine di tutelare gli interessi finanziari
dell’Unione, «che, impropriamente, assumono rilievo nella dimensione
del c.d. “bisogno di pena”». Irragionevole e in contrasto
con l’art. 3 Cost. sarebbe anche la scelta di prolungare i termini di
prescrizione per i soli reati lesivi degli interessi dell’Unione, con
l’effetto che «la stessa fattispecie» diverrebbe soggetta a termini
prescrizionali differenti, a seconda che il reato leda gli interessi
dell’Unione o quelli della Repubblica. Tutti questi profili, conclude il rimettente, attingono a principi supremi
dell’ordine costituzionale dello Stato. L’art. 325 TFUE, come
interpretato dalla sentenza Taricco, genera perciò
una norma incompatibile con i controlimiti al
diritto dell’Unione europea, in violazione dell’art. 11 Cost., e
«travalica i confini delle attribuzioni riconosciute dal Trattato alle
istituzioni dell’Unione». Non resterebbe perciò che dichiarare
l’illegittimità costituzionale della legge ordinaria esecutiva del
Trattato, nella parte in cui permette l’ingresso nel nostro ordinamento
della regola tratta dalla sentenza Taricco. 5.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, è intervenuto nel giudizio promosso dalla Corte
di cassazione, chiedendo che le questioni siano dichiarate
inammissibili o comunque infondate. Osserva l’Avvocatura
dello Stato che Queste considerazioni
comporterebbero l’infondatezza delle questioni anche rispetto agli
artt. 24 e 3 Cost. Neanche sussisterebbe la
violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost. in relazione alla riserva
di legge in campo penale, in quanto lo stesso giudice rimettente
riconoscerebbe l’impossibilità di censurare nel merito la sentenza
della Corte di giustizia, la cui interpretazione della normativa comunitaria
si imporrebbe a tutti i soggetti. L’art. 25, secondo comma, Cost. inoltre non sarebbe violato sotto
il profilo del principio di tassatività e determinatezza, in quanto
spetterebbe alla giurisprudenza interpretare nel modo più adeguato i principi
della Corte di giustizia. Ciò determinerebbe anche l’infondatezza del
profilo relativo alla violazione dell’art.
101, secondo comma, Cost. La violazione del principio
di uguaglianza ex art. 3 Cost. non sarebbe ipotizzabile in
quanto il semplice fatto che un illecito penale sia idoneo a ledere o
porre in pericolo gli interessi finanziari non solo dello Stato ma anche
dell’Unione europea costituirebbe una circostanza idonea a legittimare
un più lungo termine di prescrizione senza che ciò possa ritenersi
irragionevole. Questa considerazione determinerebbe l’infondatezza
anche dell’ipotizzata violazione dell’art. 27 Cost. Infine la censura relativa all’art. 11 Cost. sarebbe infondata, non
potendosi sostenere che l’inadeguatezza della tutela penale apprestata
da un ordinamento nazionale sarebbe sanzionabile con una procedura di
inadempimento dello Stato membro, in quanto la sentenza Taricco
avrebbe già fornito un’interpretazione della normativa europea che
porterebbe alla disapplicazione di una norma nazionale per contrasto con la
stessa normativa. 6.– Si è costituito in
giudizio un imputato nel processo innanzi alla Corte
di cassazione, chiedendo che le questioni siano accolte. La parte ripercorre le
motivazioni dell’ordinanza di rimessione, aderendo alle argomentazioni
ivi espresse sui parametri costituzionali ritenuti violati dalla sentenza Taricco. 7.– Anche questo rimettente
procede per reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (e per
l’associazione per delinquere finalizzata a commettere tali reati) e
realizzati in danno dell’Unione, perché aventi ad
oggetto frodi fiscali in materia di IVA. Le frodi sono gravi, in quanti pari
a «svariati milioni di euro» e ricorrono in un numero considerevole di casi,
atteso «il numero esorbitante di operazioni fraudolente oggetto di
contestazione». Il giudice a quo aggiunge
che i reati sarebbero già prescritti se si dovessero applicare gli artt. 160
e 161 cod. pen., mentre
non lo sarebbero in gran parte ove tali ultime disposizioni fossero
disapplicate in forza della regola enunciata dalla sentenza Taricco. Tale regola inerisce al
giudizio e rende rilevante la questione di legittimità costituzionale. La non
manifesta infondatezza poi deriva dal fatto che la disapplicazione
«produrrebbe la retroattività in malam partem della normativa nazionale risultante da tale
disapplicazione», in violazione dell’art. 25,
secondo comma, Cost. 8.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, è intervenuto anche nel giudizio promosso dalla Corte
d’appello di Milano, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile. Sulla base della lettura
della sentenza Taricco e delle conclusioni
rassegnate in quella sede dall’avvocato generale, l’Avvocatura
ritiene che la disapplicazione non concerna i reati già prescritti prima
della pubblicazione della sentenza europea, ovvero
prima dell’ 9.– Si è costituito in
giudizio un imputato nel processo innanzi alla Corte
d’appello, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
che, altrimenti, sia accolta. L’inammissibilità
deriverebbe dal fatto che il giudizio principale «è rimasto per anni pendente innanzi ad Autorità giudiziaria territorialmente
incompetente», sicché la prescrizione non è dovuta a un regime legale
inefficace ma a una circostanza del tutto peculiare. Ciò renderebbe
inapplicabile la regola enunciata dalla Corte di giustizia. Nel merito la parte ritiene
che gli imputati non potessero prevedere la «regola Taricco»
quando il fatto è stato commesso: la sentenza della Corte di giustizia
avrebbe natura «costitutiva» dell’obbligo di disapplicazione. 10.– In prossimità
dell’udienza pubblica, la difesa dell’imputato nel
processo innanzi alla Corte d’appello di Milano ha depositato
una memoria con cui ha ribadito le conclusioni già indicate nell’atto
di costituzione. L’inammissibilità
deriverebbe anche dal fatto che per la maggioranza dei reati contestati il
termine prescrizionale era già maturato all’ Nel merito, la parte, ribadendo le argomentazioni dell’atto di
costituzione, osserva che l’art. 25, secondo comma, Cost. sarebbe leso
non solo per la violazione del divieto di retroattività, ma anche per la
violazione della riserva di legge, intesa, sia come garanzia di «monopolio
parlamentare assoluto sulle scelte normative d’incriminazione, di
aggravamento del regime sanzionatorio o che comunque determinano una modifica
in peius per il reo», sia come esigenza di
tassatività-determinatezza, che mancherebbe per la estrema vaghezza ed
indeterminatezza dei presupposti da accertare in sede giudiziale ai fini
della disapplicazione della normativa interna più favorevole. 11.– All’esito
dell’udienza pubblica del Tuttavia questa Corte ha
dubitato dell’applicabilità della “regola Taricco”,
osservando che la stessa Corte di giustizia, con la sentenza Taricco, l’avrebbe subordinata a una verifica
positiva, da parte della competente autorità giudiziaria nazionale, circa la
sua conformità ai principi che segnano l’identità costituzionale dello
Stato membro, e in particolare al rispetto dei diritti fondamentali della
persona. Al fine di chiarire questo
dubbio sono stati formulati i seguenti tre quesiti alla Corte di giustizia:
1) se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE
debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non
applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero
considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli
interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di
prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi
finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di
una base legale sufficientemente determinata; 2) se l’art. 325, paragrafi
1 e 2, del TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice
penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta
in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno
degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di
prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi
finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato
membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al
principio di legalità; 3) se la sentenza della Grande sezione della Corte di
giustizia dell’Unione europea 8 settembre 12.– Nella sostanza, 13.– In prossimità
della nuova udienza pubblica conseguente alla pronuncia della Corte di
giustizia M.A. S., il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria chiedendo che
siano restituiti gli atti ai giudici rimettenti «per una nuova valutazione
della rilevanza alla luce della sentenza 14.– Anche uno degli
imputati nel processo innanzi alla Corte di cassazione,
già costituitosi in giudizio, ha depositato una memoria chiedendo
l’adozione di una sentenza interpretativa di rigetto. La difesa di questo imputato
ritiene “opportuno” che il giudizio sia definito con tale tipo di
sentenza e non con una «pronuncia a carattere processuale (di
inammissibilità o […] di restituzione degli atti al giudice a
quo)», al fine di fornire «fondamentali criteri di interpretazione alle Corti
chiamate a pronunciarsi nei procedimenti a quibus »
e di «ribadire i termini del rapporto tra diritto interno e diritto
dell’Unione quando quest’ultimo incida sulla tutela dei diritti
fondamentali della persona». Poiché il paragrafo 59 della sentenza della Corte di giustizia del Per i fatti commessi prima
dell’ 15.– Ha depositato una
memoria pure uno degli imputati nel processo innanzi alla Corte
d’appello di Milano, già costituitosi in giudizio, chiedendo che siano
restituiti gli atti al giudice rimettente o, in subordine, che la questione
sia dichiarata non fondata, con una sentenza interpretativa di rigetto. La difesa
dell’imputato, dopo aver richiamato il contenuto essenziale
dell’ordinanza n. 24 del 2017 di questa Corte, osserva che la pronuncia
della Corte di giustizia Considerato in diritto 1.– 2.– A sua volta 3.– La disposizione
censurata ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del I rimettenti dubitano della
legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui, imponendo di
applicare l’art. 325 TFUE, come interpretato dalla sentenza della
Grande sezione della Corte di giustizia Il combinato disposto degli
artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. pone un limite all’aumento del termine di
prescrizione in seguito a un atto interruttivo. Questo limite però non opera
per i delitti elencati dall’art. 51, commi
3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. La sentenza resa in causa Taricco dalla Corte di giustizia ha stabilito che il
giudice nazionale deve disapplicare, alle condizioni che poi si vedranno, gli
artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., omettendo di dichiarare prescritti i reati e
procedendo nel giudizio penale, in due casi: innanzitutto, secondo una regola
che è stata tratta dall’art. 325, paragrafo 1, TFUE, quando questo
regime giuridico della prescrizione impedisce di infliggere sanzioni
effettive e dissuasive in un numero considerevole di gravi casi di frode che
ledono gli interessi finanziari dell’Unione; in secondo luogo, in base
a una regola desunta dall’art. 325, paragrafo 2, TFUE (cosiddetto
principio di assimilazione), quando il termine di prescrizione, per effetto
delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge
nazionale per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro. Entrambi i rimettenti
giudicano imputati ai quali sono addebitati reati che, ove fossero applicati
gli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod.
pen., dovrebbero ritenersi prescritti. Diversamente
si dovrebbe decidere, invece, se in applicazione della “regola Taricco” tali disposizioni non potessero operare. I giudici a quibus osservano che questa regola è senz’altro
applicabile nei rispettivi giudizi, che vertono su gravi frodi in materia di
IVA, con conseguente lesione degli interessi finanziari dell’Unione. Le
frodi, inoltre, ricorrerebbero in un numero considerevole di casi, così da
integrare tutte le condizioni che concretizzano la
“regola Taricco”. Nel solo processo milanese
rileverebbe anche, e con il medesimo effetto, il paragrafo 2
dell’art. 325 TFUE, perché ad alcuni imputati è contestato il reato di
associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari
attinenti all’IVA. Questa figura criminosa non è compresa
nell’elenco dei delitti previsti dall’art. 51,
commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., che
invece, nel comma 3-bis, include l’art. 291-quater del d.P.R. 4.– I rimettenti, dopo
aver dato conto della necessità di applicare la “regola Taricco”, reputano che essa sia in contrasto con i
principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato e censurano
pertanto la normativa nazionale che, dando esecuzione all’art. 325
TFUE, accoglie nel nostro ordinamento tale regola. Premesso che
l’istituto della prescrizione appartiene alla legalità penale
sostanziale, Inoltre sarebbe leso
l’art. 101, secondo comma, Cost., perché verrebbe
demandata al giudice un’attività implicante una «valutazione di natura
politico-criminale» che spetterebbe invece al legislatore. Sarebbero poi violati gli
artt. 3 e 24 Cost., a causa della irragionevolezza
manifesta della “regola Taricco” e
dell’impedimento che essa avrebbe costituito per gli imputati di
prevedere la data di prescrizione del reato e conseguentemente di valutare
l’opportunità di accedere a un rito alternativo. Infine, sarebbe leso
l’art. 27, terzo comma, Cost., perché legare
il termine di prescrizione esclusivamente a considerazioni attinenti alla
tutela di interessi finanziari farebbe venire meno la finalità rieducativa
della pena. 5.– Questa Corte con
l’ordinanza n. 24 del Secondo questa Corte
l’eventuale applicazione della “regola Taricco”
nel nostro ordinamento violerebbe gli artt. 25,
secondo comma, e 101, secondo comma, Cost., e non potrebbe perciò essere
consentita neppure alla luce del primato del diritto dell’Unione. Tuttavia è sembrato a questa
Corte che la stessa sentenza Taricco (paragrafi 53
e 55) tenda ad escludere tale applicazione ogni qual
volta essa venga a trovarsi in conflitto con l’identità costituzionale
dello Stato membro e in particolare implichi una violazione del principio di
legalità penale, secondo l’apprezzamento delle competenti autorità di
tale Stato. Di ciò è stata chiesta
conferma alla Corte di giustizia. 6.– 7.– La nuova pronuncia
della Corte di Lussemburgo opera su due piani connessi. In primo luogo, provvede a chiarire che, in virtù del divieto di
retroattività in malam partem
della legge penale, la “regola Taricco”
non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di
pubblicazione della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente
all’ In secondo luogo demanda a
queste ultime il compito di saggiare la compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza in
materia penale (paragrafo 59). In tal caso, per
giungere a disapplicare la normativa nazionale in tema di prescrizione, è
necessario che il giudice nazionale effettui uno
scrutinio favorevole quanto alla compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza, che è,
sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine
del diritto dell’Unione, in base all’art. 49 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il
8.– A
quest’ultimo proposito va ribadito quanto già
affermato con l’ordinanza n. 24 del 2017. L’autorità competente a
svolgere il controllo sollecitato dalla Corte di giustizia è 9.– Alla luce del
chiarimento interpretativo offerto dalla sentenza M.A. S., tutte le questioni sollevate da entrambi i
rimettenti risultano non fondate, perché la “regola Taricco”
non è applicabile nei giudizi a quibus. 10.– In entrambi i
processi principali si procede per fatti avvenuti prima dell’ Ciò però non significa che
le questioni sollevate siano prive di rilevanza, perché riconoscere solo
sulla base della sentenza M.A.S.
l’avvenuta prescrizione significherebbe comunque fare applicazione
della “regola Taricco”, sia pure
individuandone i limiti temporali. Indipendentemente dalla collocazione dei fatti, prima o dopo l’ Questa Corte, nel compimento
del relativo scrutinio di legittimità costituzionale, che in questo peculiare
caso è anche adempimento della verifica sollecitata dalla Corte di giustizia,
non può che ricordare quanto aveva già osservato con l’ordinanza n. 24
del 2017. Un istituto che incide sulla
punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto
di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico
rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale
sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo
comma, Cost. con formula di particolare ampiezza. La prescrizione pertanto
deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può
modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio
e l’interesse a perseguire i reati fino a quando l’allarme
sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere
l’applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto
di tale premessa costituzionale inderogabile (ex plurimis,
sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006;
ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999). 11.– Ciò posto, appare
evidente il deficit di determinatezza che caratterizza, sia l’art. 325,
paragrafi 1 e 2, TFUE (per la parte da cui si evince
la “regola Taricco”), sia la
“regola Taricco” in sé. Quest’ultima, per la
porzione che discende dal paragrafo 1
dell’art. 325 TFUE, è irrimediabilmente indeterminata nella definizione
del «numero considerevole di casi» in presenza dei quali può operare, perché
il giudice penale non dispone di alcun criterio applicativo della legge che
gli consenta di trarre da questo enunciato una regola sufficientemente
definita. Né a tale giudice può essere attribuito il compito di perseguire un
obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al
quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.). Ancor prima, è indeterminato
l’art. 325 TFUE, per quanto qui interessa, perché il suo testo non
permette alla persona di prospettarsi la vigenza della “regola Taricco”. La sentenza M.A. S. ha enfatizzato, a tal
proposito, la necessità che le scelte di diritto penale sostanziale
permettano all’individuo di conoscere in anticipo le conseguenze della
sua condotta, in base al testo della disposizione rilevante, e, se del caso,
con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai
giudici (paragrafo 56). Perlomeno nei paesi di tradizione continentale, e
certamente in Italia, ciò avvalora (finanche in seno al diritto
dell’Unione, in quanto rispettoso
dell’identità costituzionale degli Stati membri)
l’imprescindibile imperativo che simili scelte si incarnino in testi
legislativi offerti alla conoscenza dei consociati. Rispetto a tale origine
nel diritto scritto di produzione legislativa, l’ausilio interpretativo
del giudice penale non è che un posterius
incaricato di scrutare nelle eventuali zone d’ombra, individuando il
significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza e che la persona può
raffigurarsi leggendolo. Il principio di
determinatezza ha una duplice direzione, perché non si limita a garantire,
nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell’attività
giurisdizionale mediante la produzione di regole adeguatamente definite per
essere applicate, ma assicura a chiunque «una percezione sufficientemente
chiara ed immediata» dei possibili profili di
illiceità penale della propria condotta (sentenze n. 327 del 2008 e n. 5 del
2004; nello stesso senso, sentenza n. 185 del 1992). Pertanto, quand’anche
la “regola Taricco” potesse assumere,
grazie al progressivo affinamento della giurisprudenza europea e nazionale,
un contorno meno sfocato, ciò non varrebbe a «colmare l’eventuale
originaria carenza di precisione del precetto
penale» (sentenza n. 327 del 2008). 12.– È persino
intuitivo (anche alla luce della sorpresa manifestata dalla comunità dei
giuristi nel vasto dibattito dottrinale seguito alla sentenza Taricco, pur nelle sfumature delle diverse posizioni) che
la persona, prendendo contezza dell’art. 325 TFUE, non potesse (e
neppure possa oggi in base a quel solo testo)
immaginare che da esso sarebbe stata estrapolata la regola che impone di
disapplicare un particolare aspetto del regime legale della prescrizione, in
presenza di condizioni del tutto peculiari. Se è vero che anche «la più certa
delle leggi ha bisogno di “letture” ed
interpretazioni sistematiche» (sentenza n. 364 del 1988), resta fermo che
esse non possono surrogarsi integralmente alla praevia
lex scripta, con cui si
intende garantire alle persone «la sicurezza giuridica delle consentite,
libere scelte d’azione» (sentenza n. 364 del 1988). Ciò è come dire che una
scelta relativa alla punibilità deve essere
autonomamente ricavabile dal testo legislativo al quale i consociati hanno
accesso, diversamente da quanto accade con la “regola Taricco”. Fermo restando che compete alla sola
Corte di giustizia interpretare con uniformità il diritto dell’Unione,
e specificare se esso abbia effetto diretto, è anche indiscutibile che, come
ha riconosciuto la sentenza M.A.
S., un esito interpretativo non conforme al principio di determinatezza in
campo penale non possa avere cittadinanza nel nostro ordinamento. 13.– Quanto appena rilevato concerne la “regola Taricco”,
sia per la porzione tratta dal paragrafo 1 dell’art. 325 TFUE, sia per
quella desunta dal paragrafo 2. In quest’ultimo caso,
anche se il principio di assimilazione non desse luogo sostanzialmente a un
procedimento analogico in malam partem
e potesse permettere al giudice penale di compiere un’attività priva di inaccettabili margini di indeterminatezza, essa,
comunque sia, non troverebbe una base legale sufficientemente determinata
nell’art. 325 TFUE, dal quale una persona non avrebbe potuto, né oggi
potrebbe, desumere autonomamente i contorni della “regola Taricco”. In altri termini, qualora si
reputasse possibile da parte del giudice penale il confronto tra frodi
fiscali in danno dello Stato e frodi fiscali in danno dell’Unione, al
fine di impedire che le seconde abbiamo un
trattamento meno severo delle prime quanto al termine di prescrizione,
ugualmente l’art. 325, paragrafo 2, TFUE non perderebbe il suo tratto
non adeguatamente determinato per fungere da base legale di tale operazione
in materia penale, posto che i consociati non avrebbero potuto, né oggi
potrebbero sulla base del solo quadro normativo, raffigurarsi tale effetto. Bisogna aggiungere che una
sufficiente determinazione non sarebbe rintracciabile neppure
nell’enunciato della sentenza Taricco,
relativo ai «casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato
membro interessato», per i quali sono stabiliti «termini di prescrizione più
lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione». Si tratta infatti di
un enunciato generico, che, comportando un apprezzamento largamente
opinabile, non è tale da soddisfare il principio di determinatezza della
legge penale e in particolare da assicurare ai consociati una sua sicura
percezione. 14.– L’inapplicabilità
della “regola Taricco”, secondo quanto
riconosciuto dalla sentenza M.A.
S., ha la propria fonte non solo nella Costituzione repubblicana, ma nello
stesso diritto dell’Unione, sicché ha trovato conferma l’ipotesi
tracciata da questa Corte con l’ordinanza n. 24 del 2017, ovvero che
non vi sia alcuna ragione di contrasto. Ciò comporta la non fondatezza di
tutte le questioni sollevate, perché, a prescindere dagli ulteriori
profili di illegittimità costituzionale dedotti, la violazione del principio
di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni
all’ingresso della “regola Taricco”
nel nostro ordinamento. per questi motivi riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 2 della legge
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