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Aggiornamento - Penale |
Corte Cost, 6 dicembre 2013, n. 295, colpa medica, linee guida ed imperizia Ritenuto che, con ordinanza del 21 marzo
2013, il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più
alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189; che il rimettente premette di
essere investito del processo nei confronti di alcuni operatori sanitari di
un istituto ortopedico, imputati del reato di lesioni personali gravi,
cagionate ad una paziente «con colpa generica e per violazione dell'arte
medica»; che, esaurita l'istruzione
dibattimentale, nelle more della discussione finale era entrato in vigore l'art. 3 del d.l. n. 158 del 2012, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, il cui comma 1
stabilisce che «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento
della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve», fermo
restando l'obbligo risarcitorio di cui all'articolo 2043 del codice civile e con
l'ulteriore precisazione che «il giudice, anche nella determinazione del
risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al
primo periodo»; che il citato art. 3 prosegue, nei successivi commi,
prevedendo un sistema di agevolazione assicurativa per gli esercenti le
professioni sanitarie e una tabella per le somme dovute a titolo di
risarcimento del danno biologico; che, ad avviso del giudice a quo,
la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con plurimi parametri
costituzionali; che rimarrebbe assolutamente
incerto, anzitutto, se, con la formula «non risponde penalmente per colpa
lieve», la norma escluda che versi in colpa lieve il sanitario attenutosi
alle linee guida e alle buone pratiche, o preveda invece una causa di non
punibilità in senso stretto a favore del sanitario cui pure sia addebitabile
una colpa lieve; che l'equivocità della locuzione
in questione, non superabile tramite «una mera attività ermeneutica»,
renderebbe il dato normativo impreciso, ponendolo in contrasto con i principi
di ragionevolezza e di tassatività della fattispecie penale (artt. 3 e 25, secondo comma, Cost.), nonché con la
funzione rieducativa della pena (art. 27 Cost.); che la norma censurata violerebbe
il principio di tassatività, desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost., anche in
ragione dell'omessa definizione del concetto di «colpa lieve», che segna il
limite di operatività dell'«esimente» da essa delineata: concetto venuto
sinora in rilievo, nell'ordinamento penale - secondo il giudice a quo - solo
nell'ambito della valutazione del grado della colpa, richiesta dall'art. 133 del codice penale ai fini della
quantificazione della pena, e senza, peraltro, che sul punto si siano formati
orientamenti giurisprudenziali univoci; che la disposizione sottoposta a
scrutinio determinerebbe, inoltre, una irragionevole compressione della
libertà della scienza, in violazione degli artt. 3 e 33 Cost.; che la ratio
della non punibilità dell'operatore sanitario, da essa sancita, risiederebbe,
infatti, nell'intento di contrastare la cosiddetta «medicina difensiva»: vale
a dire, la tendenza della classe medica ad adottare scelte diagnostiche e
terapeutiche che valgano a porla al riparo da conseguenze penali e da
richieste risarcitorie, ma che non necessariamente rispondono all'interesse
del paziente; che la soluzione concretamente
adottata dal legislatore tradirebbe, tuttavia, tale finalità, rischiando «di
burocratizzare le scelte del medico e quindi di avvilire il progresso
scientifico»: essa "premierebbe", infatti, coloro che prestano una
«acritica e rassicurante adesione» alle linee guida e alle buone pratiche già
codificate, penalizzando invece chi, con una pari dignità scientifica, se ne
discosta, con l'effetto di bloccare l'evoluzione del pensiero scientifico e
la sperimentazione clinica; che la norma denunciata
violerebbe l'art. 3 Cost. anche per l'irragionevole
ampiezza assunta dalla sua sfera applicativa, in contrasto con l'evidenziata ratio; che, a fronte della genericità
delle espressioni usate, la previsione di non punibilità sarebbe infatti
riferibile, sul piano soggettivo, anche ad operatori sanitari non chiamati ad
adottare scelte diagnostiche o terapeutiche, o le cui scelte non attengono
alla salute umana (quali veterinari, farmacisti, biologi o psicologi, tutti
compresi nel genus degli esercenti le professioni
sanitarie), e, sul piano oggettivo, a qualunque reato colposo, anche diverso
dai reati contro la persona; che, in ulteriore violazione dei
principi di eguaglianza e di ragionevolezza, la norma censurata renderebbe
gli operatori sanitari non punibili anche per i reati colposi in materia di
sicurezza del lavoro, quando pure si tratti di soggetti investiti di
specifiche posizioni di garanzia a tale riguardo, in quanto aventi la
qualifica di datore di lavoro, dirigente, preposto o lavoratore; che l'art. 3 Cost. sarebbe violato, ancora, sotto il
profilo della ingiustificata disparità di trattamento tra gli operatori
sanitari e i soggetti con diversa qualifica che cooperino colposamente alla
realizzazione del medesimo evento lesivo, posto che, a parità di grado di
colpa, solo i primi beneficerebbero dell'esonero da responsabilità penale per
i fatti commessi con colpa lieve; che, in contrasto con gli artt. 3, 24, 32 e 111 Cost., la disposizione denunciata
comprometterebbe, inoltre, la tutela giudiziaria della persona offesa, la
quale, nei casi previsti dalla disposizione stessa, potrebbe agire solo in
sede civile, vedendosi così privata dei più ampi strumenti di tutela offerti
dal processo penale, diversamente da quanto avviene in rapporto ai reati
commessi con colpa lieve da soggetti non esercenti la professione sanitaria; che nell'ipotesi, poi, in cui i
sanitari fossero dipendenti pubblici, essi fruirebbero, in violazione degli artt. 3 e 28 Cost., di un trattamento privilegiato
rispetto a quello riservato a tutti gli altri dipendenti pubblici, i quali, a
parità di condotta lievemente colposa lesiva dei medesimi beni giuridici, continuano
invece a rispondere penalmente; che assolutamente impreciso e
foriero, dunque, di un ulteriore vulnus del principio di tassatività sarebbe,
infine, il riferimento alle «linee guida» e alle «buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica», delle quali non vengono precisate le fonti, le
modalità di produzione e le procedure di diffusione, con il risultato di
rendere indeterminabile l'area della non punibilità; che la questione sarebbe,
altresì, rilevante nel giudizio a quo, giacché, trattandosi di norma più
favorevole al reo, essa «potrebbe essere di diretta e immediata applicazione
al caso sub iudice, salva ogni valutazione sul
merito della vicenda processuale»; che l'accoglimento della
questione, d'altra parte, comporterebbe il semplice ripristino della
normativa generale precedente, senza ledere la discrezionalità del
legislatore nella determinazione delle fattispecie penali; che è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata
inammissibile per omessa descrizione della fattispecie concreta o, comunque,
infondata nel merito. Diritto che il Tribunale di Milano dubita
della legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più
alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, nella parte in
cui, al comma 1, dispone che «L'esercente la professione sanitaria che nello
svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa
lieve»: previsione che il rimettente reputa lesiva di un'ampia platea di
parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111 della Costituzione); che - conformemente a quanto
eccepito dall'Avvocatura dello Stato - il giudice a quo ha omesso di
descrivere compiutamente la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio
e, conseguentemente, di fornire una adeguata motivazione in ordine alla
rilevanza della questione; che il rimettente si limita, in
effetti, a riferire di essere investito del processo penale nei confronti di
alcuni operatori sanitari, imputati del reato di lesioni personali colpose
gravi, cagionate ad una paziente «con colpa generica e per violazione
dell'arte medica»; che il rimettente non specifica
la natura dell'evento lesivo, le modalità con le quali esso sarebbe stato
causato e il grado della colpa ascrivibile agli imputati; ma, soprattutto,
non precisa se, nell'occasione, i medici si siano attenuti - o, quantomeno,
se sia sorta questione in ordine al fatto che essi si siano attenuti - a
«linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica» proprie
del contesto di riferimento, così che possa venire effettivamente in
discussione l'applicabilità della norma censurata; che, al riguardo, occorre anche considerare come, nelle prime pronunce emesse
in argomento, la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto - in accordo
con la dottrina maggioritaria - che la limitazione di responsabilità prevista
dalla norma censurata venga in rilievo solo in rapporto all'addebito di
imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono
esclusivamente regole di perizia: non, dunque, quando all'esercente la
professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della colpa, un
comportamento negligente o imprudente; che l'insufficiente descrizione
della fattispecie concreta impedisce alla Corte la necessaria verifica della
rilevanza della questione, affermata dal rimettente in termini meramente
astratti e apodittici; che le rilevate manchevolezze
dell'ordinanza di rimessione comportano, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 99 del
2013, n. 314 e n. 268 del 2012), la manifesta inammissibilità della
questione. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e 9, comma 2, delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. PQM dichiara la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più
alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di
Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013. DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 06 DIC.
2013.
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