LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
SENTENZA
Con sentenza del 24/4/2001 la
Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa
dal Tribunale di Genova, assolveva F. A. dall’imputazione per il reato
di cui all’art. 4 della legge 516/82, perché il fatto non
è più previsto dalla legge come reato, e disponeva
l’eliminazione della relativa pena fissata in mesi due inflitti per
continuazione; confermava la condanna di F. E. per avere emesso, quale
amministratore della Ge.Sa. s.r.l., la fattura n. 434 del 31/12/1993,
al fine di consentire all’AGE autoveicoli Genova di evadere l’Iva per
l’imponibile di £ 375.000.000 relativa ad operazioni inesistenti.
Confermava la condanna di F. A.
e F. E. per il reato di falso in bilancio per aver annotato la falsa
fattura indicata nel bilancio 31/12/1993, una perdita di £
161.000.000, inferiore a quella effettiva di £ 375.000.000.
Proponevano ricorso i due
imputati, censurando la sentenza impugnata, per omessa e
contraddittoria motivazione sull’esistenza dei presupposti dei reati
contestati ed in particolare di quello di falso in bilancio.
Nei due ricorsi al primo motivo
sono state riproposte le censure in fatto già definite dalla
Corte di Appello.
Hanno contestato, i ricorrenti,
la decisione di merito in ordine alla natura della fattura ed alla sua
annotazione, sostenendo che si trattava di acconto per una prestazione
futura.
La Corte di Appello sul punto ha
deciso, dando conto, con ampia motivazione della disamina delle prove
acquisite, della loro validità ed efficacia in ordine ad un
giudizio del merito logico, coerente e preclusivo di altre
interpretazioni.
Le argomentazioni proposte dal
ricorrente, esulano dal giudizio di legittimità perché
comportano un inammissibile riesame di merito delle risultanze
processuali nel caso totalmente precluso per aver la Corte di secondo
grado correttamente motivato.
Ne deriva la conferma della
responsabilità di F.E. in ordine al reato di cui al capo a),
dato che il decreto legislativo emesso il 3/2/2000, all’art. 8 ha
mantenuto il reato per emissione di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle
imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
È di tutta evidenza,
infatti che l’emissione della fattura è stata effettuata al
duplice fine di consentire l’evasione dell’IVA alla società AGE
e di prospettare nel bilancio della Ge.Sa. una situazione debitoria
meno grave di quella reale.
L’AGE ha realizzato un risparmio
nel pagamento IVA del dicembre 1993 di £ 71.000.000, e la Ge.Sa.
ha esposto una perdita di £ 375.000.000.
I dubbi sul dolo proposti dal
ricorrente, appaiono del tutto infondati dato che i due F disponevano
totalmente delle due società, e quindi avevano preso coscienza
dell’importanza dell’atto doppiamente favorevole, emesso da F.E.
Il ricorso di F. E. in ordine al
capo a) della rubrica va pertanto rigettato.
Passando all’esame dei ricorsi
relativi al capo b) deve osservarsi che con decreto legislativo
11/472002 n. 61 all’art, 1 è stata modificata la disciplina
prevista dall’art. 2621, 2622, 2623 2 2624 c.c.
Il nuovo art. 2621
c.c. [1] prevede il reato per le false comunicazioni sociali
poste in essere dagli amministratori dai direttori generali, sindaci e
liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il
pubblico ed al fine di conseguire per se o per altri un ingiusto
profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni
sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono
fatti materiali non rispondenti al vero ancorchè oggetto di
valutazione ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è
imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società o del gruppo a cui essa appartiene, in
modo idoneo ad indurre in errore i destinatari della predetta
situazione.
Il reato consiste in una
contravvenzione punita con l’arresto fino ad un anno e sei mesi.
La punibilità è
estesa anche al caso in cui le informazioni riguardano beni posseduti o
amministrati dalla società per conto terzi.
La punibilità è
invece esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo
sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale
o finanziaria della società o del gruppo al quale essa
appartiene.
La punibilità è
comunque esclusa se la falsità o le omissioni determinano una
variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte
non superiori al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore
all’1%.
Il reato previsto dall’art. 2621
c.c. così delineato si distingue per esclusione da quello di cui
all’art. 2622 c.c. relativo alle false comunicazioni sociali in danno
dei soci o dei creditori.
Nel primo infatti sono punite le
false comunicazioni dirette ai soci e al pubblico, nel secondo quelle
che creano un danno ai soci o ai creditori.
L’art. 2621 c.c. prevede quindi
un reato di pericolo che tutela la regolarità dei bilanci e
delle altre comunicazioni sociali, come interesse della
generalità; l’art. 2622 un reato di danno a tutela degli
interessi dei soci e dei creditori.
I nuovi reati previsti dagli
artt. 2623 e 2624 c.c. sono anche loro di pericolo, anche se per
entrambi il verificarsi del danno costituisce un’ipotesi aggravata, ma
si riferiscono, rispettivamente alle società quotate in borsa ed
alle società di revisione.
Così precisata la nuova
disciplina dell’art. 2621 c.c., va verificato se essa può essere
applicata al reato contestato in questo procedimento sotto la vigenza
della precedente formulazione dell’art. 2621 c.c.
Secondo quanto chiarito da
questa Corte di legittimità (v. Cass Sez. Un. 20/6/1990 n.
10893), deve verificarsi se gli elementi costitutivi del reato
descritto nel nuovo articolo siano stati contenuti in forma esplicita
ed implicita pure nelle norme abrogate e siano anche stati indicati
chiaramente nell’imputazione contestata.
Dall’esito dell’indicata
indagine può dedursi se la modifica legislativa non abbia
comportato l’abolizione generalizzata delle anteriori fattispecie
criminose, ma soltanto la successione di una nuova norma incriminatrice
che ha escluso la rilevanza penale di alcune ipotesi già punite
come reato, conservato tale rilevanza rispetto ad altre ed anche
ampliato sotto qualche aspetto le precedenti previsioni incriminatrici.
Nel caso in esame la nuova legge
ha determinato no già la soppressione del reato bensì una
rilevante modifica dello stesso.
Infatti la norma preesistente e
quella sopravvenuta, tutelano l’identico interesse alla
veridicità delle scritture sociali ed in particolare ai bilanci,
come bene essenziale per la correttezza dei rapporti all’interno della
società e di essa nei confronti dei terzi.
Entrambe le formulazioni
dell’art. 2621 c.c., la precedente e l’attuale, indicano nella
veridicità delle comunicazioni sociali un bene tutelato, e
condannano la prima la fraudolenta esposizione no veritiera e la
seconda, l’esposizione non veritiera fatta con l’intenzione di
ingannare i soci o il pubblico.
Salva la lieve distinzione, in
ordine all’elemento soggettivo del reato, entrambe le formulazioni
affermano la tutela generalizzata dell’interesse alla veridicità
delle comunicazioni sociali.
Quindi il primo elemento di
comparazione, relativo all’interesse tutelato, consente di ritenere le
modifiche non estranee, anzi coerenti con la precedente formulazione.
Il secondo elemento di
comparazione riguarda i soggetti agenti, praticamente identici in
entrambe le fattispecie, con la sola esclusione nella nuova
formulazione dei soci promotori.
Le parti offese, non sono
indicate nella vecchia norma, ma sono facilmente riconoscibili nella
generalità dei cittadini, trattandosi di un reato di pericolo;
indicate invece nella nuova norma nei soci e nel pubblico.
Le due indicazioni sono
praticamente conformi.
Per quanto riguarda l’elemento
soggettivo del reato, l’art. 2621 previgente prevedeva il dolo
specifico, consistente nella volontà di trarre in inganno, ossia
di determinare un errore nei soci o nei terzi, in ordine all’effettiva
situazione patrimoniale della società, accompagnata dal
proposito di conseguire attraverso l’inganno un ingiusto profitto per
se o per altri (v. Cass. Sez. V 25/2/2000 n. 4128).
Nella nuova versione il dolo
previsto dal reato di cui all’art. 2621, è intenzionale,
cioè rafforzato in ordine al fine di ingannare i soci o il
pubblico e di conseguire per se o per altri un ingiusto profitto.
Il primo testo è
caratterizzato dall’espressione fraudolentemente, il secondo
dall’intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire
per se o per altri u ingiusto profitto, e cioè una dizione
più puntuale e specifica rispetto al vecchio testo.
Le differenze fra le due
fattispecie riguardano soprattutto la sanzione e la punibilità.
Il nuovo testo prevede la
sanzione dell’arresto classificando così il reato come
contravvenzione, mentre in precedenza era un delitto punito con una
severa pena restrittiva.
Nel nuovo testo sono previste ai
commi due, tre e quattro altrettanti casi di esclusione dalla
punibilità estranea alla vecchia fattispecie.
In conclusione è evidente
una scelta di politica criminale ben precisa che tende a specificare e
distinguere in varie ipotesi il contenuto del reato, ritenendo in
alcuni casi rilevante penalmente la semplice pericolosità delle
false comunicazioni sociali, ed in altri, richiedendo l’esistenza di
una danno effettivamente cagionato a soci e creditori, ed escludendo
nelle ipotesi di minor rilievo la punibilità.
La scelta attiene in parte ad un
dato sociologico che riguarda l’evoluzione delle strutture societarie,
verso nuove forme di aggregazione anche a carattere sopranazionale tali
da rendere più efficiente il controllo effettuato dal mercato
rispetto a quello penale.
A ciò deve aggiungersi la
scelta effettuata dal legislatore di affievolire il controllo penale
della correttezza degli amministratori delle società, attenuando
le sanzioni ed escludendo la responsabilità nei casi di minore
gravità.
Le differenze fra le due
fattispecie (la vecchia e la nuova), non sono strutturali, ma attengono
a modalità parzialmente diverse di difesa dello stesso interesse
tutelato, che derivano da politiche criminali diverse, ed in parte
frutto dell’evoluzione nel tempo degli istituti giuridici.
Riguardano infatti, le soglie di
punibilità, l’intensità della pena e vari elementi
circostanziali del reato.
Vi è quindi
continuità fra le due fattispecie, con la conseguenza che va
applicata quella più favorevole al reo, che sicuramente è
quella prevista dal nuovo decreto legislativo.
Va però verificato se la
concreta contestazione in fatto indica nell’imputazione può
integrare la nuova formulazione del reato (v. Cass. Sez. Un. 25/10/2000
n. 27).
Dalla lettura dell’imputazione
si evince che gli imputati hanno intenzionalmente indicato a ricavi di
esercizio la fattura emessa per operazioni inesistenti, manifestando
così una perdita inferiore a quella reale, che incide in misura
notevole, certamente superiore al limite di non punibilità, nel
dare ai soci ed al pubblico informazioni false sullo stato economico
della società.
Ne deriva che a F. A. e F. E. va
applicata la norma contenuta nel primo comma dell’art. 2621 c.c.
Deve però osservarsi che
trattandosi di una contravvenzione ed essendosi verificato il fatto nel
1994 è interamente trascorso il tempo previsto dalla legge per
la prescrizione del reato.
Pertanto va disposto
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al
reato di cui al capo b), qualificato come violazione dell’art. 2621
comma1 c.c., così come previsto dal decreto legislativo
11/4/2002 n. 61, perché estinto il reato per prescrizione.
L’indicato annullamento rende
impossibile allo stato quantificare la pena residua da applicare a F.
E. per il reato di cui al capo a), poiché nelle fasi di merito
la pena è stata determinata, considerando reato più grave
il falso in bilancio ed attribuendo la continuazione per altro reato.
Deve pertanto disporsi il rinvio
alla Corte d’Appello di Genova al solo fine di determinare la pena da
applicare a F. E. per il reato di cui al capo a).
PQM
La Corte Suprema di Cassazione,
V sezione penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata,
limitatamente al reato di cui al capo b), qualificato come violazione
all’art. 2621 comma 1 c.c., così come previsto dal decreto
legislativo 11/4/2002 n. 61, perché estinto il reato per
prescrizione; rigetta nel resto il ricorso di F. E. e rinvia per la
determinazione della pena riguardante il capo a) ad altra sezione della
Corte di Appello di Genova.
Depositata in Cancelleria il 21
maggio 2002.
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