Cassazione penale, Sez. VI, Sent. n. 20097 del 17 maggio 2001, rivelazione
del segreto d’ufficio solo in caso di segretezza del provvedimento
FATTO E DIRITTO
La Corte d'appello di Campobasso, con sentenza 26 ottobre 2000, confermava
quella in
data 1 dicembre 1999 del tribunale di Isernia, che aveva dichiarato A.
D. colpevole del
delitto di rivelazione di segreto di ufficio (articolo 326/1° Cp) e,
in concorso delle circostanze
attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, lo aveva condannato
alle pene,
condizionalmente sospese, di mesi quattro di reclusione e della interdizione
temporanea
dai pubblici uffici, oltre che al risarcimento dei danni in favore della
parte civile.
In particolare, si era addebitato al D., quale Presidente della Comunità
montana "Alto
Molise", di avere agevolato, violando così i doveri inerenti alla
sua funzione, la conoscenza
della notizia d'ufficio relativa alla sospensione cautelare dal servizio
del Segretario generale
della citata Comunità, A. P., avendo informato di tanto, nel corso
di un'intervista, il
giornalista V. L. della testata "Corriere del Molise", giornale sul quale
la notizia era stata,
poi, pubblicata con ampi stralci del testo del provvedimento di sospensione
cautelare.
La Corte territoriale, dopo aver puntualizzato il bene protetto dalla norma
incriminatrice di
cui all'articolo 326/1° Cp e dopo avere richiamato i principi in tema
di segretezza dell'atto
d'ufficio, garantita dall'articolo 15 Dpr 3/57, ha ritenuto che la notizia
diffusa dall'imputato
rientrava tra quelle che dovevano rimanere segrete sia per la tutela dell'Ente,
sia per la
tutela del funzionario interessato, con l'effetto che la divulgazione della
medesima aveva
integrato il reato.
Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
proprio difensore,
l'imputato citato ha dedotto: 1) inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo
326 Cp,
nonché manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo
che, dovendo la violazione
dell'obbligo di rispettare il segreto d'ufficio essere definita con riferimento
ad altre norme
che tale segreto impongono e considerato che la norma specifica di riferimento
va
individuata nell'articolo 15 Dpr 3/57, che, però, ha quale destinatario
solo "l'impiegato
pubblico", doveva escludersi la sussistenza di un simile obbligo in capo
a lui, non legato da
alcun rapporto di dipendenza con la Comunità montana; 2) inosservanza
ed erronea
applicazione dell'articolo 326 Cp e vizio di motivazione, sotto il profilo
che non si era dato il
giusto peso alla circostanza che l'atto di cui si discute era stato già
reso noto all'interessato
e al pubblico prima ancora dell'asserita "rivelazione" da lui fatta al
giornalista del "Corriere
del Molise", sicché doveva escludersi qualunque lesione del bene
protetto dalla citata
norma; 3) vizio di motivazione circa la riferibilità a lui della
divulgazione della notizia e circa
la sussistenza dell'elemento soggettivo.
Con memoria datata 22 febbraio 2001, la difesa del ricorrente ha illustrato
ulteriormente le
proprie doglianze e ha insistito per l'accoglimento del gravame.
All'odierna udienza pubblica, le parti hanno concluso come da epigrafe.
Il ricorso è fondato.
In punto di fatto, va chiarito, sulla base della ricostruzione operata
dal giudice di merito,
che A. P., Segretario generale della Comunità montana "Alto Molise",
era stato rinviato a
giudizio per oltraggio in danno dei componenti la giunta del detto Ente;
a seguito di ciò, il
Presidente della Comunità, A. D., con proprio provvedimento 14 settembre
1993, dispose la
sospensione cautelare dal servizio del P., la quale ebbe immediata operatività,
tanto che la
giunta, con la delibera 175 del successivo 21 settembre, alla quale venne
data regolare
pubblicità con affissione nel relativo albo, provvide alla nomina
di altro funzionario in
sostituzione del P., dopo avere dato atto della sospensione di quest'ultimo
dal servizio; il
giornalista L. venne a conoscenza di tale situazione e ne chiese "conferma"
al Presidente
D., che, dopo un iniziale atteggiamento di reticenza, fornì dettagli
e chiarimenti sul
provvedimento cautelare da lui adottato.
Ciò posto, rileva la Corte che il bene protetto dalla disposizione
incriminatrice che qui viene
in esame va individuato nel normale funzionamento della pubblica amministrazione,
il quale
è una proiezione dei valori di rango costituzionale di cui all'articolo
97 Costituzione e si
estrinseca, in concreto, anche attraverso l'osservanza del segreto d'ufficio
inerente al
rapporto funzionale che intercorre tra il pubblico funzionario e l'amministrazione
di
appartenenza, proprio perché tale segreto costituisce uno strumento
per garantire
l'efficacia dell'azione dell'ente pubblico, che potrebbe rimanere pregiudicata
dalla
rivelazione del contenuto degli atti, soprattutto quando incidono su interessi
antagonisti o
concorrenti con quelli pubblici. Con l'entrata in vigore della legge 7
agosto 1990 n. 241 e
l'introduzione del principio generale della trasparenza dell'attività
della Pa, la violazione del
dovere di segretezza va correlata non tanto alla qualità del soggetto
agente, quanto
piuttosto alla natura delle notizie rivelate, e ciò perché
assume primaria importanza anche
l'esigenza di tutelare - con la sanzione penale - il dovere di fedeltà
del funzionario,
ancorché strumentalmente alla garanzia di buon funzionamento dell'amministrazione.
Il dovere di segretezza in capo al soggetto attivo costituisce il presupposto
del reato. La
notizia d'ufficio, cioè, deve rimanere segreta, vale a dire non
essere palesata ad altri che
non abbiano diritto a conoscerla, tutte le volte che il pubblico ufficiale
o l'incaricato di un
pubblico servizio abbia l'obbligo giuridico di non rivelarla.
Tale obbligo può trovare la sua fonte o in una specifica norma di
legge o in un regolamento
o in un ordine (non illegittimo) del superiore o nella natura intrinseca
della stessa notizia
d'ufficio, privilegiandosi in questa ultima ipotesi un criterio sostanzialistico.
Tra le fonti del segreto d'ufficio viene certamente in rilievo, come puntualmente
sottolineato
nella sentenza gravata, l'articolo 15 Dpr 3/97 (Statuto degli impiegati
civili dello Stato),
sostituito dall'articolo 28 della legge 7 agosto 1990 n. 241, che disciplina
appunto il
mantenimento del segreto d'ufficio come obbligo di carattere generale tra
i doveri
dell'impiegato civile dello Stato; e tale norma opera anche, contrariamente
a quanto si
sostiene col primo motivo di ricorso, per gli amministratori e il personale
degli enti locali in
forza del rinvio dell'articolo 58 della legge 8 giugno 1990 n. 142.
Il richiamato articolo 15 pone certamente il problema dei rapporti tra
il dovere di segretezza
e le norme che regolano il diritto di accesso ai documenti amministrativi
di cui alla legge
241/90. Dalla disposizione emerge che il divieto di divulgazione comprende
non soltanto
informazioni sottratte all'accesso, ma anche, nell'ambito delle notizie
accessibili, quelle
informazioni che non possono essere date alle persone che non hanno il
diritto di riceverle,
in quanto non titolari dei prescritti requisiti. Pertanto, in tale contesto
normativo, le notizie
d'ufficio destinate a rimanere segrete sono sia quelle sottratte alla divulgazione
in ogni
tempo e nei confronti di chiunque, sia quelle svelate a soggetti non titolari
del diritto di
accesso o senza il rispetto delle modalità previste.
Ciò posto, non può prescindersi, tuttavia, nel caso in esame,
dal considerare se la notizia di
ufficio (provvedimento di sospensione dal servizio), nel momento in cui
venne comunicata
dall'imputato al giornalista L., fosse destinata o no a rimanere ancora
segreta.
la problematicità insita in questa necessaria riflessione deve essere
risolta in senso
negativo.
Ed invero, se non può esservi dubbio che, nel corso dell'iter amministrativo
propedeutico al
provvedimento di sospensione e fino all'emanazione dello stesso, sussiste
l'obbligo del
mantenimento del segreto d'ufficio, riveniente dalla richiamata norma generale
dell'articolo
15 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, nonché più
specificamente anche
dall'articolo 24 della legge 241/90 che individua le categorie degli interessi
tutelabili con il
segreto, tra le quali è ricompresa (comma 2 lett. d) "la riservatezza"
delle persone, tale
segretezza viene meno nel momento in cui la sospensione dal servizio ha
effettiva
esecuzione, nel senso che non solo è portata a conoscenza dell'interessato
che la subisce,
ma, per così dire, si "esteriorizza" necessariamente nel mondo relazionale,
in quanto la
stessa collettività viene posta, di fatto, nella condizione di conoscere
il mutamento
soggettivo intervenuto nell'organizzazione interna di una determinata amministrazione.
In sostanza, l'esecuzione del provvedimento di sospensione dal servizio,
al pari
dell'esecuzione della misura dell'arresto, fa venire meno, per gli innegabili
riflessi che ha
naturalmente nel mondo esterno, la connotazione di segretezza del provvedimento
medesimo e, conseguentemente, l'interesse della P.A. alla permanente tutela
di un
"segreto" che non è più tale; anzi la P.A., nel momento in
cui dà attuazione alla
sospensione cautelare di un proprio dipendente, proprio per assicurare
il suo buon
funzionamento anche nei rapporti relazionali con il pubblico (si è
nell'ambito dell'interesse
protetto dalla norma incriminatrice), ha l'interesse contrario, quello
cioè di informare la
collettività della mutata situazione soggettiva di un proprio organo.
Conclusivamente, il provvedimento amministrativo di sospensione dal servizio,
una volta
eseguito, non può più ritenersi coperto da segreto, con la
conseguenza che la divulgazione
della notizia relativa alla sua esistenza non integra il delitto di cui
all'articolo 326/1° Cp.
Né può venire in rilievo, per sostenere l'opposta tesi, l'interesse
personale (di mero fatto)
del funzionario sospeso a far sì che il provvedimento adottato,
sia pure in via cautelare, ai
suoi danni rimanga il più possibile avvolto da un alone di riservatezza,
posto che tale
interesse deve cedere il passo di fronte al preminente interesse pubblico
dell'Ente di
apparire all'esterno attraverso le persone fisiche che effettivamente sono
legittimate ad
operare per esso.
Nel caso in esame, come si è sopra chiarito, è pacifico che
la sospensione cautelare dal
servizio del P. aveva già trovato concreta attuazione sin dal 14
settembre 1993; che era
seguita (21 settembre 1993) la delibera di giunta, regolarmente pubblicata,
con la quale
era stato nominato altro funzionario in sostituzione; che solo dopo il
verificarsi di tali eventi,
divenuti ormai noti o comunque potenzialmente tali, il prevenuto aveva
"confermato" al
giornalista L. la notizia - non più segreta - della sospensione
dal servizio del segretario
generale della Comunità montana "Alto Molise".
Le argomentazioni svolte, assorbenti rispetto ad ogni altra questione prospettata
in
ricorso, impongono l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
perché il fatto
non sussiste.
PER QUESTI MOTIVI
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non
sussiste.
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