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Aggiornamento - Penale |
Cassazione penale, sez.
VI, 11 febbraio 2013, n. 11794, vi è successione leggi penali nel tempo tra l'art.
319 quater cod. pen introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190,
contenente "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione"e la
vecchia fattispecie di cui all’art. 317 cod. pen., RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata Rilevava e come gli elementi di prova
acquisiti durante l'istruttoria dibattimentale, in specie quelli desumibili
dalle dichiarazioni rese da vari testimoni e dalle captazioni di
conversazioni, soprattutto di quelle ambientali, avessero inequivocabilmente
dimostrato che il M., sindaco del comune di (OMISSIS), lungi dall'aver avuto
comportamenti "intemperanti o esuberanti" (come la difesa aveva
cercato di prospettare), aveva sistematicamente e callidamente
"asservito gli interessi pubblici a quelli di parte", dapprima
"pilotando" il concorso pubblico definito con la nomina del G. come
responsabile dell'ufficio tecnico municipale, poi, cercando di sfruttare
"il credito maturato" verso lo stesso G., cui aveva imposto
l'adozione di una serie di atti palesemente illegittimi, finalizzati a
favorire i coniugi B. e P. nella gara per l'individuazione dei progettisti
dei lavori di recupero e di valorizzazione dell'area comunale di (OMISSIS), e
la ditta del Ga. nella gara per trattativa privata
per la scelta dell'impresa cui affidare i lavori di taglio di un rilevante
numero di piante del comune. CONSIDERATO IN DIRITTO La motivazione contenuta nella sentenza impugnata
possiede, dunque, una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale
non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo Escluso dai Giudici di merito, con motivazione congrua ed adeguata, che le frasi pronunciate dal M. e registrate
dagli investigatori potessero essere interpretate come l'espressione di un
atteggiamento di mero "eccesso verbale", essendo, invece,
qualificate da una palese carica intimidatrice (v., in specie, pag. 9 sent.
impugn.), va aggiunto che non è condivisibile la tesi difensiva secondo la
quale E' appena il caso, infine, di osservare come del tutto priva
di pregio è la doglianza del ricorrente secondo il
quale i delitti de quibus non sarebbero concretamente configurabili, posta
l'assenza della contestata posizione di superiorità gerarchica dell'agente
rispetto al destinatario delle pretese. E ciò non solo perchè è noto come, in
generale, la normativa in materia di enti locali riservi
al sindaco ampi margini decisionali in merito all'assegnazione dei compiti e
delle funzioni ai dirigenti amministrativi di ciascun settore; ma soprattutto
perchè le carte del processo - come posto in risalto dai Giudici di merito -
avevano restituito l'immagine di un sindaco "protervo e dispotico",
autentico "padre padrone" dell'intera amministrazione municipale,
capace di una "gestione personalistica" di tutte le attività
dell'ente pubblico, che aveva dalla sua parte anche il segretario comunale V.
A., suo alter ego, il quale aveva mostrato di "replicare", senza
alcuna reale autonomia, la volontà ed i desiderata del M. (v. pagg. 7-8,
10-13 sent. impugn.). 4.1. Quanto alla richiesta difensiva, formulata con la
memoria depositata il 25/01/2013, di
riqualificazione dei fatti oggetto di contestazione, va osservato quanto
segue. La questione
sollevata riguarda gli effetti derivanti dalla recente entrata in vigore
della L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente "Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità
nella pubblica amministrazione", che, come è noto, nel novellare la
disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l'art.
317 cod. pen., con l'introduzione di una "diversa" fattispecie di
"concussione", ed ha introdotto l'art. 319 quater cod. pen.,
riguardante l'innovativa figura criminosa della "induzione indebita a
dare o promettere utilità", figura sostanzialmente intermedia tra quella
residua della condotta concussiva sopraffattrice e l'accordo corruttivo,
integrante uno dei reati previsti dall'art. 318 o dall'art. 319 cod. pen.
(anch'essi oggetto di modifica da parte della medesima legge). Pure allo scopo di uniformare la normativa interna ai
principi della Convenzione contro la corruzione di Merida del 2003, approvata
in ambito ONU, ed a quelli della Convenzione penale
sulla corruzione di Strasburgo del 1999, approvata in ambito di Consiglio
d'Europa - ratificate in Italia rispettivamente dalla legge n. 116 del 2009 e
da quella n. 110 del 2012 - il legislatore nazionale, come si è accennato, ha
"spacchettato" l'originaria ipotesi delittuosa della concussione,
che, nel testo previgente dell'art. 317 cod. pen., parificava le condotte di
costrizione e di induzione, creando due nuove fattispecie di reato. La prima,
che resta disciplinata dall'art. 317 cod. pen.,
prevede la punizione del "pubblico ufficiale che, abusando della sua
qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità": conserva,
dunque, i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della fattispecie
della concussione per costrizione, limitandosi ad incrementare il limite
edittale minimo della pena detentiva (portata da quattro a sei anni di
reclusione) e lasciando come soggetto attivo il solo pubblico ufficiale, con
esclusione, dunque, della figura di incaricato di pubblico servizio: scelta,
quest'ultima, foriera di probabili incertezze applicative, il cui effetto è
ragionevole immaginare sarà quello di far rientrare, in presenza di tutti i
presupposti di legge, le condotte costrittive ascrivibili all'incaricato di
pubblico servizio nell'alveo operativo del reato di estorsione (eventualmente
aggravato dall'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o violazione dei
doveri inerenti ad un pubblico servizio, ai sensi dell'art. 61 cod. pen.,
comma 1, n. 9). La seconda fattispecie di reato, "scorporata"
dal previgente art. 317 cod. pen. ed ora regolata
dall'art. 319 quater cod. pen., recante in rubrica la nuova denominazione di
induzione indebita a dare o promettere utilità, sussiste, "salvo che il
fatto non costituisca più grave reato", laddove "il pubblico
ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o
dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a
un terzo, denaro o altra utilità": delitto, dunque, configurabile anche
a carico dell'incaricato di pubblico servizio oltre che del pubblico ufficiale,
sanzionato con la più mite pena della reclusione da tre ad otto anni, la cui
struttura descrittiva, con riferimento alla condotta del pubblico agente
(comma 1), mutua significativamente gli elementi qualificanti la
"vecchia" figura della concussione per induzione. Rappresenta,
invece, dato di assoluta novità la previsione, nel comma 2
dello stesso art. 319 quater, della punizione anche del soggetto che "da
o promette denaro o altra utilità", il quale, da persona offesa
nell'originaria ipotesi di concussione per induzione di cui al previgente
art. 317 cod. pen., diventa coautore nella nuova figura dell'induzione
indebita. 4.2. Prima di esaminare la tematica
di diritto intertemporale, va detto che la questione evidenziata dalla difesa
dell'odierno ricorrente impone di considerare quale sia il criterio che
permette di distinguere la figura della concussione prevista dal
"nuovo" art. 317 cod. pen. rispetto a quella della induzione
indebita di cui all'introdotto art. 319-quater dello stesso codice. In passato, il problema di definire cosa fosse la
costrizione rispetto alla induzione non aveva
costituito oggetto di analisi particolarmente approfondire, in quanto nel
previgente art. 317 cod. pen. le due condotte, in relazione agli effetti,
erano sostanzialmente parificate: tant'è che, nella prassi, spesso i termini
venivano entrambi contestati agli imputati chiamati a rispondere del delitto
di concussione, finendo per essere considerati una sorta di endiadi, vocaboli
che si riteneva esprimessero un concetto unitario. La circostanza che il legislatore della novella del 2012,
nello "sdoppiare" le fattispecie di reato, abbia riproposto,
rispettivamente nella nuova versione dell'art. 317 e nell'art. 319- quater,
comma 1, formulazioni testuali sostanzialmente identiche, nelle quali l'unico
dato di distinzione è, appunto, quello del verbo ("costringe" nel
primo caso, "induce" nel secondo), costituisce un indice che la
voluntas legis sia stata nel senso di attribuire una qual continuità normativa
rispetto alla disposizione incriminatrice precedentemente vigente: con la
conseguenza che appare senz'altro possibile continuare a valorizzare gli
approdi ermeneutici cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità che,
pur, nella indifferenza degli effetti pratici, aveva tracciato una
"linea di confine" tra la condotta costrittiva e quella induttiva.
In tal senso, possono essere "recuperati" gli approdi esegetici
giurisprudenziali (per i quali si vedano, tra le tante, Sez. 6, n. 33843 del
19/06/2008, Lonardo, Rv. 240795; Sez. 6, n. 49538
del 01/10/2003, P.G. in proc. Bertolotti, Rv. 228368) secondo i quali sia la
costrizione che l'induzione si realizzano laddove il comportamento del
pubblico ufficiale, che abusa della sua qualità o dei suoi poteri, si
sostanzi nella formulazione di una pretesa indebita, di dazione o di promessa
di denaro o di altra utilità, manifestata con forme e modalità idonee ad
incidere psicologicamente sulla volontà e, quindi, sulle determinazioni del
destinatario: solo che, nel primo caso, si parla di costrizione perchè la
pretesa ha una maggiore carica intimidatoria, in quanto espressa in forma
ovvero in maniera tale da non lasciare alcun significativo margine di scelta
al destinatario; mentre, nel secondo caso, si parla di induzione perchè la
pretesa si concretizza nell'impiego di forme di suggestione o di persuasione,
ovvero di più blanda pressione morale, sì da lasciare al destinatario una
maggiore libertà di autodeterminazione, un più ampio margine di scelta in
ordine alla possibilità di non accedere alla richiesta del pubblico
funzionario. Va, dunque, escluso
che le modifiche introdotte dalla legge n. 190 del 2012 abbiano comportato
una riqualificazione delle due condotte di "costrizione" e di
"induzione", formule lessicali che appaiono entrambe capaci di
indicare sia la condotta che l'effetto: solo che -
come anche suggerisce il nettamente differenziato trattamento sanzionatorio -
la prima descrive una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione
psichica dell'altrui volontà, che pone l'interlocutore di fronte ad un
aut-aut ed ha l'effetto di obbligare questi a dare o promettere,
sottomettendosi alla volontà dell'agente (voluit quia coactus); la seconda
una più tenue azione di pressione psichica sull'altrui volontà, che spesso si
concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto
quello di condizionare ovvero di "spingere" taluno a dare o
promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell'agente (coactus tamen
voluit). In entrambe le ipotesi, quindi, la condotta delittuosa
deve concretizzarsi in una forma di pressione
psichica relativa (sicchè è fondato ritenere che continuano a restare fuori
dall'ambito di operatività degli artt. 317 e 319 quater cod. pen. le condotte
di violenza fisica, le quali possono eventualmente integrare gli estremi di
altri reati, estranei allo statuto dei delitti dei pubblici ufficiali contro
la pubblica amministrazione) che determina, proprio per l'abuso delle qualità
o dei poteri da parte dell'agente, uno stato di soggezione nel destinatario; e
che, per essere idonea a realizzare l'effetto perseguito dal reo, deve sempre
contenere una più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un
pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, le cui conseguenze dannose il
destinatario della pressione cerca di evitare soddisfacendo quella pretesa
indebita, dando o promettendo denaro o altra utilità. Pregiudizio che non deve necessariamente essere contra
ius, ben potendo la pressione psichica tradursi anche nella prospettazione,
da parte dell'agente, di una conseguenza dannosa derivante all'esercizio dei
suoi poteri in maniera formalmente doverosa, conforme al diritto ovvero ad esso non contraria: prospettazione che diventa ingiusta
perchè connessa al perseguimento di un fine illecito, posto che l'omesso
esercizio di quel potere viene condizionato dal soddisfacimento dell'indebita
richiesta di dazione o di promessa. La condotta del pubblico funzionario è,
dunque, capace di condizionare illecitamente la volontà, altrui in quanto espressione di uno sviamento di potere, tenuto
conto che il sud esercizio o la prospettazione dell'esercizio, lungi dal
realizzare quell'interesse pubblico cui l'iniziativa è solo in apparenza
ispirata, diventa, in concreto, il mezzo per soddisfare un interesse privato
(in senso sostanzialmente conforme Sez. 6, n. 45034 del 09/07/2010,
Pentimalli, Rv. 249031; Sez. 6, Sentenza n. 33843 del 19/06/2008, Lonardo,
Rv. 240794). 4.3. Tuttavia, bisogna riconoscere come la distinzione tra
i concetti di costrizione e di induzione basata esclusivamente
sul maggiore o minore grado di coartazione morale ha creato in passato non
poche difficoltà interpretative, talvolta tradottesi in una tendenza a
dilatare la portata applicativa della previgente disposizione codicistica,
che hanno portato la dottrina a dubitare della legittimità costituzionale di
una norma apparentemente carente dei requisiti di tassatività nella
descrizione della condotta. Lungi dal poter trarre argomenti decisivi dall'esegesi
sistematica, dato che il legislatore codicistico spesso
ha dimostrato di confondere i due concetti di costrizione e di induzione,
oppure di assimilarli a quello di minaccia e, persino, di violenza
(emblematica, in tale ottica, è la sintassi poco chiara impiegata per la
descrizione degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 377 bis cod.
pen.), vi è oggi una rilevante e specifica ragione che suggerisce di
integrare quel "tradizionale" criterio di distinzione, valorizzando
un elemento obiettivo che, in molte fattispecie, può servire a dare ai due
concetti in esame un tasso di maggiore determinatezza. La ragione è legata alla già considerata
novità della incriminazione - sia pur con la previsione di una pena più mite
rispetto a quella stabilita per il pubblico funzionario - di colui che,
destinatario della induzione indebita, si sia determinato a dare o a
promettere denaro o altra utilità, giusta la statuizione dell'art. 319 quater
cod. pen., comma 2. La posizione di tale soggetto, non più vittima ma coautore del reato, è evidentemente diversa da quella del
destinatario della pretesa concussiva, che, nel reato di cui al riscritto
art. 317, resta mera persona offesa, ed impone oggi di ricercare elementi
sintomatici ulteriori idonei a favorire una più netta differenziazione tra i
concetti di costrizione e di induzione. Sforzo ricostruttivo che, teso ad individuare un dato qualificato da aspetti di maggiore
oggettività, può consentire di superare quelle situazioni di incertezza
determinate dall'impiego del, talora più evanescente, criterio spiccatamente
soggettivo del margine di libertà di scelta lasciato al destinatario della
pretesa: e ciò vale soprattutto per quei casi, ricadenti nella c.d.
"zona grigia", nei quali non è chiaro nè è facilmente definibile se
la pretesa del pubblico agente, proprio perchè proposta in maniera larvata o
subdolamente allusiva, ovvero in forma implicita o indiretta, abbia ridotto
fino quasi ad annullare o abbia solo attenuato la libertà di
autodeterminazione del privato. Tale indice integrativo è ragionevolmente rappresentato
dal tipo di vantaggio che il destinatario di quella pretesa indebita consegue
per effetto della dazione o della promessa di denaro o di altra utilità. Egli è certamente persona offesa di una concussione per
costrizione se il pubblico agente, pur senza l'impiego di brutali forme di
minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte
all'alternativa "secca" di accettare la pretesa indebita oppure di
subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto: al destinatario
della richiesta non è lasciato, in concreto, alcun apprezzabile margine di
scelta, ed è solo vittima del reato perchè, lungi dall'essere motivato da un
interesse al conseguimento di un qualche vantaggio diretto, si determina a
dare o promettere esclusivamente per evitare il pregiudizio minacciato. Al
contrario, il privato è punibile come coautore nel
reato se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere,
formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per
il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un'azione o di una
omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un
vantaggio indebito: dunque, egli non è vittima ma compartecipe laddove abbia
conservato un significativo margine di autodeterminazione o perchè la pretesa
gli è stata rivolta in forma più blanda o in maniera solo suggestiva, ovvero
perchè egli è stato "allettato" a soddisfare quella pretesa dalla
possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce
per diventare la ragione principale della sua decisione. Questa impostazione, più articolata rispetto a quella
fondata esclusivamente sulla verifica "soggettivizzante" del
diverso grado di pressione morale, appare coerente anche rispetto alla nuova collocazione che, nel codice, è stata data alla figura
dell'induzione indebita, come "plasticamente" confermata dalla
scelta di introduzione dell'art. 319-quater subito dopo gli articoli
disciplinanti le due forme di corruzione - al cui alveo sembra maggiormente
avvicinarsi - e non anche dopo l'articolo sulla concussione. Ed invero, nel reato di induzione indebita il destinatario
della pretesa soffre, al pari della vittima della concussione, l'abusiva
iniziativa prevaricatrice del pubblico agente, dalla quale la sua volontà
risulta psichicamente condizionata (che, altrimenti, laddove tra i prevenuti
vi fosse una posizione di piena parità, si dovrebbe passare nell'ambito di
operatività di una delle figure corruttive); ma, al pari del corruttore,
risponde penalmente della sua condotta, per aver dato o promesso denaro o
altra utilità, o perchè ha subito una più tenue pretesa intimidatoria, alla
quale, senza eccessivi sforzi, ben avrebbe potuto resistere, ovvero perchè da
quella dazione o promessa ha tratto un vantaggio non dovutogli, al cui
conseguimento, in una logica quasi "negoziale", ha finito per
parametrare la sua decisione. 4.4. Ora, tenuto conto che, nel caso di specie, le
condotte ritenute a carico dell'odierno ricorrente sono
state correttamente qualificate in termini di concussione del pubblico ufficiale
per costrizione, rispettivamente tentata nel capo d) e consumata nel capo e)
dell'imputazione - essendo sufficiente, sul punto, richiamare quanto
dettagliatamente esposto nel punto 3.: condotta, dunque, agevolmente
inquadrabile tanto nella fattispecie a suo tempo prevista dal previgente art.
317 cod. pen., quanto in quella regolata dalla nuova disposizione contenuta
nel medesimo articolo, per la forza intimidatrice della minaccia - resta da
chiarire, sotto l'aspetto intertemporale, se, a seguito della entrata in
vigore della novella del 2012, sia ipotizzabile, con riferimento alle norme
dei due appena considerati articoli, una qualche forma di abolitio criminis
ai sensi del'art. 2 comma 2 cod. pen., ovvero
un mero fenomeno di successione di leggi penali nel tempo regolato dall'art.
2 comma 4 cod. pen.. In tal senso vanno valorizzati,
per un verso, l'esito del confronto strutturale tra le due esaminate
fattispecie incriminatrici, che permette agevolmente di rilevare come, a
parte l'esclusione, quale soggetto attivo, della figura dell'incaricato di
pubblico servizio (che, come innanzi anticipato, ha comportato una forma di
abrogatio sine abolitio), il legislatore del 2012 abbia riproposto nel nuovo
art. 317 cod. pen. una descrizione degli elementi costitutivi del reato di
concussione per costrizione sostanzialmente identica a quella degli elementi
integranti il reato di concussione per costrizione di cui al previgente art.
317 cod. pen.; per altro verso, il risultato dell'analisi del giudizio di
disvalore che qualifica le due fattispecie, immutato in entrambe le
disposizioni, essendo ugualmente colpite - fatto salvo l'aumento, con la
nuova legge, del trattamento sanzionatorio - vicende criminose identiche,
consistenti nell'Iniziativa di costrizione illecita posta in essere da un
pubblico ufficiale. Il riconoscimento
di una continuità normativa tra le due fattispecie e la sicura attribuibilità
all'odierno ricorrente della qualifica di pubblico ufficiale, esclude la
necessità di riqualificare i fatti accertati ed osta
all'applicazione retroattiva della disposizione sopravvenuta, più sfavorevole
al reo in ragione del già considerato aumento del limite edittale minimo
della pena detentiva. 5. Infondato è il quarto motivo del ricorso presentato
nell'interesse del M.. Il delitto di concussione e quello di turbata libertà
degli incanti possono astrattamente concorrere tra loro, trattandosi di illeciti che hanno una diversa obiettività giuridica,
tutelando il primo l'interesse della pubblica amministrazione con riferimento
al prestigio, alla correttezza ed alla probità dei pubblici funzionari, ed il
secondo l'interesse alla libera formazione delle offerte nei pubblici incanti
e nelle licitazioni private. In tal senso, corretta appare la soluzione adottata dalla
Corte territoriale che, con motivazione completa e priva di
incongruenze - invero direttamente riferita al rapporto tra i reati
suo capi c) e d), ma implicitamente estensibile anche alla relazione tra gli
analoghi reati contestati sub capi e) ed f) (v. pagg. 13-14 sent. impugn.) - ha sostanzialmente
escluso la ricorrenza di una ipotesi di concorso apparente di norme, attesa
la non sovrapponibilità delle condotte oggetto di dei rispettivi addebiti:
tenuto conto che, nel caso della gara per l'affidamento dell'incarico di
progettazione dei lavori da eseguire in zona (OMISSIS), vi era stata una
irregolare predisposizione del bando di gara, una concordata scelta dei
componenti della commissione di aggiudicazione ed una preventiva definizione
delle modalità di apertura delle buste contenenti le offerte, condotte
collusive atte a turbare la libertà di quel concorso (e specificamente
contestate al capo c) dell'imputazione), tutte antecedente ed ontologicamente
differenti rispetto alla specifica pretesa concussiva manifestata dal sindaco
nei confronti del G., oggetto del distinto addebito riportato nel capo d)
dell'imputazione. E che, nell'altro caso, quello della gara per l'affidamento
dei lavori di taglio delle piante comunali, l'azione costrittiva posta in essere dall'odierno ricorrente in danno del
dirigente comunale (di cui al capo e) dell'imputazione), aveva preceduto le
successive e diverse azioni collusive che, mediante una illegittima determina
di annullamento della precedente procedura e l'avvio di una nuova gara,
avevano di fatto turbato lo svolgimento della ulteriore trattativa privata,
con iniziative riportate nel capo f) dell'imputazione. 7. Il quinto motivo del ricorso è manifestamente infondato. Anche a voler trascurare il fatto che,
con l'atto di appello, la richiesta difensiva con cui era stato domandato il
riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità,
era stata espressamente formulata con riferimento ai reati contestati al M.
ai capi h) ed l) dell'imputazione (v. pag. 4 sent. impugn.), per i quali, con
la presentazione del ricorso per cassazione, non vi è stato effetto
devolutivo, va sottolineato come pag. 15 sent. impugn.). Soluzione, questa, conforme al pacifico indirizzo della
giurisprudenza di questa Corte secondo il quale il
provvedimento impugnato non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di
tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte
le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una
valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico
ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto
decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (così, tra le
tante, Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n. 13151
del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590). 8. Quanto alla sollecitazione difensiva finalizzata ad ottenere la dichiarazione di estinzione per prescrizione
del reato di tentata concussione di cui al più volte richiamato capo d)
dell'imputazione, va detto che l'istanza è stata formulata solo nel corso
dell'odierna discussione ed In maniera generica, comunque in termini tali da
risultare inidonea a contrastare la formale attestazione della Corte
distrettuale, contenuta a pag. 2 della sentenza impugnata, in ordine al
computo dei periodi di sospensione del corso della prescrizione dovuti a
rinvii delle udienze dinanzi al G.u.p., al Tribunale ed alla stessa Corte,
per richieste presentate dai difensori dell'imputato: periodi che, pari a complessivi
anni tre mesi uno e giorni otto, ostano alla declaratoria della estinzione
del reato in esame che, risultando commesso sino al mese di giugno del 2000,
si sarebbe prescritto solo il 08/07/2013. Nè conduce a differente conclusione l'affermazione del
difensore del M. (invero, anch'essa prospettata in maniera alquanto
indeterminata) secondo cui alcuni di quei periodi di sospensione,
asseritamele dovuti a richieste di rinvio a suo tempo avanzate per legittimo
impedimento dei patrocinatori, sarebbero stati calcolati in misura superiore
ai sessanta giorni, cioè maggiore di quella consentita dall'art. 159 cod. pen., comma 1, n. 3. Ed
infatti, l'esame degli atti a disposizione ha consentito di rilevare che in
almeno due casi di rinvio, esattamente quelli disposti nelle udienze svoltesi
dinanzi alla Corte di appello il 17/12/2010 ed il 10/11/2011, le richieste di
differimento sono state avanzate non in base ad un concomitante impegno
professionale ovvero ad altro legittimo impedimento del difensore, bensì per
generici impegni di natura personale o familiare dell'istante, per giunta con
espressa riconoscimento, da parte dello stesso richiedente, della operatività
della sospensione della prescrizione per tutto il periodo intercorrente tra
la data di ogni rinvio e quella delle successive udienze. 9. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
in favore dell'erario delle spese del presente procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 11
febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2013
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