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Aggiornamento - Penale |
Per le recenti sentenze sul C.E.D. della Cassazione cliccare www.giustizia.it/documentazione/index.htm Cassazione penale,
sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 11792, sulle
fattispecie penali introdotte dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente
"Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione"e
sulle problematich di successione di leggi penali
nel tempo. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata Rilevava 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C., con atto
sottoscritto dal suo difensore avv. Luigi Ravagnan,
il quale ha dedotto i seguenti sette motivi. CONSIDERATO IN DIRITTO 5.1 Manifestamente infondato è il quinto motivo del
ricorso. Conforme al dettato normativo appare la scelta operata
dalla Corte di appello che ha qualificato la condotta accertata, oggetto
dell'addebito mosso al C. con il capo D) dell'imputazione, in termini di
concussione consumata e continuata, ai sensi dell'allora vigente art. 317 c.p.: avendo i Giudici di merito
sottolineato come l'imputato, formulando quelle richieste di somme di denaro
per definire ciascuna delle trenta pratiche di immatricolazione
di natanti presentate dal D.L., avesse abusato della qualità e dei poteri di
responsabile di quelle procedure, quale Capo ufficio diporto dell'Ufficio
circondariale marittimo di (OMISSIS), avendo fatto valere la sua posizione di
supremazia, derivante dall'esercizio della pubblica funzione affidatagli, per
indurre il privato all'indebito; come sussistesse la fattispecie della
concussione e non anche quella meno grave della corruzione, dato che le
emergenze processuali avevano dimostrato che non vi era stato un accordo paritario
tra il pubblico ufficiale ed il privato, ma che il secondo aveva subito il metus esercitato dal primo, il quale aveva fatto valere e
pesare il suo ruolo, assoggettando l'altro; come, in questa ottica, fosse
irrilevante che le richieste di denaro fossero state collegate al compimento
di altrettanti atti dell'ufficio, in quanto tale circostanza è pacificamente
ininfluente ai fini della configurabilità del delitto di concussione; ed
ancora, come non fosse possibile la derubricazione del fatto-reato in quello
di abuso di ufficio di cui all'art. 323 c.p., dato che tale fattispecie incriminatrice, come si desume dalla clausola di
consunzione presente nell'inciso iniziale della relativa disposizione codicistica ("Salvo che il fatto non costituisca un
più grave reato..."), ha notoriamente una portata applicativa residuale
(v. pagg. 22, 25 sent. impugn.). 5.2. Con la richiamata memoria, la difesa dell'imputato ha
posto la questione dell'esatta qualificazione giuridica dei fatti accertati,
in conseguenza dell'entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente
"Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione". Come
è noto, tale legge, nel
novellare la disciplina di vari reati contro la pubblica amministrazione, ha
sostituito l'art. 317 c.p., con l'introduzione di una
nuova fattispecie di "concussione", configurabile ora solo per
costrizione, ed ha introdotto l'art. 319 quater c.p.,
riguardante la nuova figura criminosa della "induzione indebita a dare o
promettere utilità", fattispecie che sostanzialmente si pone in una
posizione intermedia tra la residua figura della condotta concussiva
sopraffattrice e l'accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti
dagli artt. 318 o 319 c.p.. Allo
scopo di uniformare la normativa interna ai principi della Convenzione contro
la corruzione approvata in ambito ONU nel 2003 ed a quelli della Convenzione
penale sulla corruzione di Strasburgo, approvata in ambito di Consiglio
d'Europa nel 1999 - ratificate in Italia rispettivamente dalla L. n. 116 del 2009. e da quella L. n. 110 del 2012 - la novella del Ora, tenuto conto che, nel caso di specie, la condotta
ritenuta, a carico dell'odierno ricorrente - pur in origine contestata nel
capo D) dell'imputazione, in forma ambigua, con riferimento ad entrambe le
forme di concussione, sia di costrizione che di
Induzione, previste dal vecchio art. 317 c.p. - è stata concretamente ritenuta
dai Giudici di merito integrante un'ipotesi di concussione per induzione
continuata, il problema che pone l'odierno ricorso non è tanto quello di
definire il criterio discretivo tra le due nuove fattispecie delittuose,
bensì quello di chiarire se, a seguito
della entrata in vigore della novella del 2012, sia ipotizzabile una abolitio criminis, ai sensi
del'art. 2 c.p., comma 2, con riferimento
alla "vecchia" ipotesi di concussione per induzione, ovvero sia
ravvisarle una mera successione di leggi penali nel tempo regolata dall'art. 2 c.p., comma 4, essendo
riconoscibile una continuità di tipo di illecito tra il precedente reato di
concussione per induzione ed il nuovo reato di induzione indebita a dare
o promettere utilità, di cui al più volte citato art. 319 quater c.p.. Nè conduce ad
una differente conclusione la circostanza che il privato, destinatario della
induzione, che da ovvero promette denaro o altra utilità al pubblico
ufficiale oppure all'incaricato di pubblico servizio, già soggetto passivo
nella previgente disciplina dell'art. 317 c.p., sia oggi punibile come
concorrente necessario, giusta la previsione del sopra menzionato art. 319 quater c.p.,
comma 2. Tale "struttura bilaterale" del nuovo reato -
che è sicuro essere stata il frutto della scelta del legislatore di evitare
che potessero rimanere impunite condotte che, soprattutto nella logica dei
rapporti internazionali, vengono parificate alla
corruzione, e che, quindi, potessero risultare elusi gli obblighi derivanti
dalle menzionate Convenzioni - non modifica affatto una fattispecie che, con
riferimento alla posizione del pubblico funzionario, resta immutata nei suoi
elementi strutturali (salva, come detto, la diversa cornice sanzionatoria). 5.3. Il
riconoscimento di una continuità normativa tra la vecchia fattispecie di
concussione mediante induzione e la nuova di induzione
indebita a dare o promettere denaro o utilità, impone, a mente della norma
dettata dall'art. 2 c.p., comma 4, l'applicazione
retroattiva della disposizione sopravvenuta, più favorevole in ragione del
già richiamato abbassamento di entrambi i limiti edittali. Ma se ciò, con riferimento al caso di specie, non comporta
per l'imputato alcuna effetto benefico in ordine al
termine di prescrizione - che si
riduce dagli originari quindici anni, aumentabili a ventidue anni e mezzo,
già previsti per il reato di concussione di cui al previgente art. 317 c.p., agli attuali otto anni,
aumentabili fino a dieci anni per l'incensurato - dato che il reato
continuato del capo D) risulta contestato all'odierno ricorrente come
commesso a partire dalla primavera del 2003 e, dunque, non si è ancora
estinto, un problema si pone per la quantificazione della pena principale inflitta, considerato che il
limite edittale minimo è stato ridotto da quattro a tre anni di reclusione. Tuttavia, nella fattispecie va disposto l'annullamento
della sentenza impugnata senza rinvio ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), con rideterminazione della pena,
operazione in questa sede consentita dato che non richiede alcun accertamento
ovvero alcun esercizio di potere discrezionale (in questo senso, tra le
tante, Sez. 4, n. 41569 del 27/10/2010, Negro, Rv.
248458). Ciò tenuto conto che i Giudici di merito avevano determinato la pena
da irrogare al C. partendo, per la pena base, dal
minimo edittale di quattro anni, riducendola di un terzo per la riconosciuta
attenuante di cui all'art. 323 bis c.p., e poi aumentandola,
per la contestata continuazione interna, di appena due mesi (oltre
all'ulteriore aumento della pena per la continuazione con l'altro reato
accertato del capo C), reato che, come vedremo, non viene toccato da
questioni di diritto intertemporale). Ne consegue che la pena può essere
rideterminata nella misura totale di anni due mesi due di
reclusione, partendo dalla pena base di anni tre di reclusione - pari al
nuovo limite edittale minimo fissato dal più favorevole art. 319 bis c.p. - ridotta di un terzo
per l'indicata circostanza attenuante, ed aumentata di mesi uno e giorni
quindici per la continuazione interna (operando una riduzione proporzionale
di un quarto anche sull'originario aumento di due mesi), fermo restando
l'altro aumento di giorni quindici di reclusione per la continuazione con il
citato reato sub capo C). 5.4. Per completezza va aggiunto che la più volte menzionata L. n. 190 del 2012, ha pure modificato l'art. 322 c.p., sostituendo, nel comma 1,
le parole "che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a
compiere un atto del suo ufficio" con quelle "per l'esercizio delle
sue funzioni o dei suoi poteri"; e sostituendo per intero il comma 3 con
il seguente: "La pena di cui al primo comma si applica al pubblico
ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa
o dazione di denaro o altra utilità per l'esercizio delle sue funzioni o dei
suoi poteri". Modifica che
risponde esclusivamente all'esigenza di adeguare le due fattispecie incriminatrici della istigazione
alla corruzione alla nuova figura criminosa della corruzione per l'esercizio
delle funzioni, di cui all'art. 318 c.p., come riscritto dalla
stessa novella legislativa. Con riferimento al caso portato all'odierna attenzione di questa
Corte, tale modifica non comporta, dunque, alcuna particolare questione di
diritto intertemporale rispetto al reato contestato al capo C) dell'imputazione, per il quale il C. è stato ritenuto
penalmente responsabile dai Giudici di secondo grado. E ciò perchè la nuova fattispecie incriminatrice
della corruzione per l'esercizio della funzione ha comportato un ampliamento,
e non un restringimento del rilevante penalmente, rispetto alla
"vecchia" figura della corruzione per un atto dell'ufficio, di cui
al previgente art. 318 c.p.: reato quest'ultimo che
deve considerarsi "assorbito" nel nuovo e più ampio delitto
previsto dal rinnovato art. 318 c.p., con analoghi effetti anche
per le connesse ipotesi di istigazione alla
corruzione, di cui al citato art. 322 c.p., commi 1 e 3. D'altra
parte, il rinvio contenuto in tali commi dell'art. 322 c.p., alla pena stabilita dall'art. 318 c.p., comma 1, - i cui limiti
edittali sono stati sensibilmente incrementati - esclude che la sopravvenuta
modifica in peius del trattamento sanzionatorio
possa avere efficacia retroattiva nei confronti dell'odierno ricorrente. Deve, dunque, affermarsi il principio di diritto per il
quale "vi è continuità normativa tra le nuove disposizioni in materia di istigazione alla corruzione contenute nell'art. 322 c.p., commi 1 e 3, come
sostituite dalla L. n. 190 del 2012, e le previgenti
disposizioni contenute negli stessi commi, in quanto la finalità di tali
modifiche è stata esclusivamente quella di adeguare le due fattispecie incriminatrici della istigazione alla corruzione, ivi
previste, alla nuova figura criminosa della corruzione per l'esercizio delle
funzioni, di cui all'art. 318 c.p., anch'esso sostituito dalla
stessa L. n. 190 del 2012: ciò fatto salvo il
divieto di applicazione retroattiva delle nuove norme, ex art. 2 c.p., comma 4, nella parte in
cui risultano ampliata la portata operativa della nuova fattispecie di
corruzione di cui al predetto art. 318 (che assorbe la "vecchia"
ipotesi della corruzione impropria) ed incrementata la relativa cornice
sanzionatola". 6. Manifestamente infondato è il sesto motivo del ricorso
presentato nell'interesse del C.. Il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le
quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui
concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche: esercizio che deve essere
motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il
pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (così, tra le molte,
Sez. 6, n. 6866/10 del 25/11/2009, Alesci e altri, Rv. 246134; Sez. 1, n. 3232 del 13/01/1994, Palmisano, Rv. 199100; Sez. 1,
n. 758/04 del 28/10/1993, Braccio, Rv. 196224). Nella specie, del tutto legittimamente impugn.). L'imputato si è doluto del fatto che E, tuttavia, il riconoscimento della fondatezza del motivo
comporta solo l'annullamento senza rinvio della sentenza gravata, in quanto la censurata omissione ha avuto ad oggetto una
mancata statuizione obbligatoria consequenziale alla pronuncia adottata, come
tale suscettibile di integrazione senza l'esercizio di alcun potere
discrezionale, essendo pure fissata dalla legge la durata della pena
accessoria in questione (art. 37 c.p.). 8. La riconosciuta fondatezza di uno dei motivi di gravame esclude la soccombenza del ricorrente e,
dunque, la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento
sanzionatolo, determinando la pena principale in quella di anni due mesi due
di reclusione e quella accessoria della interdizione
temporanea dai pubblici uffici per anni due. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 11
febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2013
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