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Aggiornamento - Penale |
Cass. Pen., Sez. Un., 28 febbraio 2013 – 13 giugno 2013, n. n.
25939, la pena più grave nel reato continuato RITENUTO
IN FATTO 1. Il 16 febbraio 2011 il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona, accogliendo la
richiesta formulata ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., applicava a C.W. e
Ca.Da. - imputati entrambi dei delitti previsti dall'art. 416 cod. pen. (associazione per
delinquere), art. 474 cod. pen. (introduzione nel
territorio dello Stato di prodotti con marchi contraffatti), artt. 482-489 cod. pen. (falso), art. 648 cod. pen. (ricettazione), D.P.R. n.
43 del 1973, art. 291-bis, comma 1 e 291- ter e successive modifiche
(contrabbando di kg. 9.060 di tabacchi esteri), art. 494 cod. pen. (sostituzione di persona),
commessi dal mese di (OMISSIS) al mese di (OMISSIS) - le seguenti pene,
condizionalmente sospese, ritenuta la continuazione fra i reati, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti
sulla contestata aggravante, e tenuto conto della diminuente per il rito: - a C. un anno, sette mesi,
dieci giorni di reclusione ed Euro 5.300 di multa (pena-base per il più grave
delitto di cui all'art. 648 cod. pen.: tre anni di reclusione ed
Euro 10.329 di multa; riduzione ex art. 62-bis cod. pen.: due anni di
reclusione ed Euro 6.886 di multa; aumento ex art. 81 cpv. cod. pen.: due
anni, cinque mesi di reclusione ed Euro 7.950 di multa; riduzione di un terzo
per il rito); - a Ca. un anno, quattro mesi
di reclusione ed Euro 5.300 di multa (pena-base per il più grave delitto di
cui all'art. 648 cod. pen.: due anni, sei mesi di
reclusione ed Euro 10.329 di multa; riduzione ex art. 62-bis cod. pen.: un anno, otto mesi
di reclusione ed Euro 6.886 di multa; aumento ex art. 81 cpv. cod. pen.: due
anni di reclusione ed Euro 7.950 di multa; riduzione di un terzo per il
rito). 2. Avverso tale sentenza ha
proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica
presso Rileva, pertanto, che ferma
restando l'ammissibilità della continuazione anche nel caso in cui qualcuno
dei reati contestati sia punito con pene proporzionali in senso proprio,
secondo la dottrina prevalente e secondo la più recente giurisprudenza di
legittimità, l'individuazione della violazione più grave, ai fini del computo
della pena del reato continuato, deve essere effettuata in concreto e non già
con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 5,
n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, Rv. 246895; Sez. 3, n. 19978 del
24/03/2009, Angioni, Rv. 243723). Di conseguenza, comparando la pena
irrogabile in concreto per il reato di ricettazione e quella stabilita dalla
legge per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, risulta
evidente che, a fronte di una parità del minimo edittale della pena
detentiva, pari a due anni di reclusione per entrambi i reati (minimo
edittale, a cui il primo giudice si è sostanzialmente tenuto vicino nella
individuazione della pena-base), sussiste una palese differenza nella
congiunta pena pecuniaria della multa, che, per il reato di ricettazione,
arriva a un massimo edittale di Euro 10.329, mentre, per il reato di
contrabbando di tabacchi lavorati esteri, è di Euro 45.300 di multa, avuto riguardo
al quantitativo contestato. Pertanto, la valutazione di
maggiore gravità del reato di ricettazione si appalesa illegittima e,
comunque, non sorretta da alcuna motivazione in ordine ai criteri del calcolo
della pena e la multa di 5.300 Euro è illegittima per difetto. 3. Evidenzia che l'applicazione
del principio invocato dal ricorrente - per il quale l'individuazione del
reato più grave, da considerare ai sensi dell'art. 81 cpv. cod. pen. ai fini
della determinazione della pena-base, deve essere compiuta tenendo conto del
trattamento sanzionatorio nella sua globalità così come in concreto
determinato dal giudice - si fonda su un'interpretazione giurisprudenziale
del predetto art. 81 cpv. cod. pen. non uniforme nè prevalente, perchè
oggetto di contrasto, nonostante i ripetuti interventi delle Sezioni Unite
che hanno fissato i seguenti principi di diritto. Per la determinazione del reato
più grave agli effetti della continuazione non deve farsi riferimento alla
comparazione degli indici di gravità concreta dei reati ex art. 133 cod. pen., bensì al criterio della
più grave pena edittale prevista dal legislatore per ciascun reato da
comparare (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 03/02/1998, Varnelli, Rv.
209485; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/1/1994, Cassata, Rv. 195805;
Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, Rv. 191128). Il riconoscimento della
continuazione non presuppone necessariamente reati sanzionati con pene
omogenee ed è consentito pur se la contravvenzione è punita con una pena
edittale che, valutata sotto il profilo della conversione (art. 135 cod. pen.), risulta più elevata
rispetto a quella prevista per il delitto; anche in questa ipotesi, deve
ritenersi violazione più grave quella costituente delitto (Sez. U, n. 4901
del 27/03/1992, Cardarilli, cit.). I principi, così sintetizzati,
espressi dalle decisioni delle Sezioni Unite in precedenza richiamate, sono
stati seguiti dalla giurisprudenza maggioritaria, la quale ha affermato che,
in tema di reato continuato, ai fini della determinazione della violazione
più grave, il giudice deve fare riferimento alla pena edittale prevista per
ciascuno dei reati contestati, con la conseguenza che più grave deve essere
considerata la violazione punita più severamente dalla legge (Sez. 6, n.
34382 del 14/07/2010, Azizi Aslan, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473
dell'11/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S.,
Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, Sali, Rv. 246431; Sez. 4, n.
6853 del 27/01/2009, Maciocco, Rv. 242866; Sez. 1, n. 26308 del
27/05/2004, Micale, Rv. 229007). Pertanto, il giudice non può
liberamente scegliere quale sia la violazione più grave, essendo, invece,
tenuto, nel rispetto del principio di legalità, ad effettuare la valutazione
di maggiore gravità del reato sulla base della comminatoria più grave. Tale
approdo ermeneutico si fonda sull'interpretazione letterale dell'art. 81 cod. pen., contenente il riferimento
alla "violazione più grave" e non alla "pena più grave",
espressione quest'ultima che sarebbe stata più appropriata, qualora il
legislatore avesse voluto attribuire alla pena da infliggere in concreto -
tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. - l'efficacia
determinatrice della più grave violazione. L'ordinanza di rimessione
evidenzia, inoltre, che il principio secondo cui, in caso di continuazione di
reati, la pena irrogata per la violazione più grave non può mai essere
inferiore a quella che sarebbe irrogabile per il reato o i reati-satellite
sanzionati con pena edittale maggiore nel minimo, va applicato tenendo conto
del trattamento sanzionatorio nella sua globalità (Sez. 2, n. 47447 del
06/11/2009, Sali, cit.). A tale orientamento se ne
contrappone un altro minoritario (richiamato dal Procuratore generale
ricorrente) secondo cui, ai fini del computo della pena, l'individuazione
della violazione più grave deve essere effettuata in concreto e non già con
riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 5, n.
12765 del 09/02/2010, Scuderi, cit; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, Angioni,
cit.; Sez. 1, n. 4322 del 13/01/1996, dep. 10/5/1997, Murgioni, Rv. 207433). Questo indirizzo esegetico
recepisce i principi espressi da una risalente pronuncia delle Sezioni Unite
in base alla quale, ai fini della determinazione della pena-base, la più
grave delle violazioni deve essere individuata con riferimento alla pena che
in concreto dovrebbe essere inflitta per ciascuno dei reati commessi in
esecuzione del medesimo disegno criminoso, qualora non dovesse procedersi al
cumulo giuridico di esse, con la conseguenza che, in tale ottica, è
irrilevante l'entità edittale delle pene, astrattamente considerate,
riferibili ai singoli reati (Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, Alunni, Rv.
155673). L'individuazione del reato
ritenuto in concreto più grave incontra, peraltro, un limite invalicabile nel
fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a quella che sarebbe
stata irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con pena edittale
maggiore nel minimo (Sez. 1, n. 4322 del 13/01/1997, Murgioni, cit.). 4. Con decreto del 5 novembre
2012, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite,
fissando per la sua trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio. 5. Il Procuratore generale
presso questa Corte ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento
impugnato con trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona per l'ulteriore
corso. Preliminarmente osserva che il
ricorrente ha omesso di considerare che, nel caso di specie, è stato
contestato il delitto di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291 ter, comma 2,
lett. c), introdotto dalla L. n. 92 del 2001, sanzionabile con la multa
di Euro venticinque (e non cinque come indicato nel ricorso) per ogni grammo
convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni (e non da due a
cinque anni, come erroneamente indicato dal ricorrente). Rileva, inoltre, che il
contrasto denunciato è solo apparente, in quanto, delle due sentenze citate
dal ricorrente, l'una (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, cit.) si
limita a richiamare una pronunzia pregressa (Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009,
Angioni, cit.) che, a sua volta, cita, a sostegno della tesi affermata, il
disposto dell'art. 187 disp. att. cod. proc. pen.,
concernente, invece, pacificamente la fase dell'esecuzione in cui il giudice
è, comunque, privo del potere discrezionale di individuare la violazione più
grave. Evidenzia, infine, che la pena
base determinata dal giudice nella sentenza impugnata non è conforme ai
principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., ord. n. 11 del 1997) e di
legittimità (da ultimo, Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv.
249664): non è, infatti, consentito che colui che ha posto in essere più
violazioni sia punito meno severamente, coeteris paribus, rispetto a chi ha
realizzato solo una parte di esse, sicchè la sanzione del reato-base non può
mai essere inferiore a quella prevista come minima per uno qualsiasi dei
reati- satellite. 6. I difensori di C. e Ca.
hanno entrambi presentato memorie difensive con le quali, anche alla luce
delle conclusioni scritte formulate dal Procuratore generale, chiedono il
rigetto del ricorso. Osservano che, in tema di continuazione, per la
determinazione della violazione più grave occorre fare riferimento alla pena
astrattamente stabilita dalla legge. Sulla base di tale presupposto
argomentativo rilevano che la sentenza impugnata ha fatto corretta
applicazione di questo principio, laddove ha considerato reato più grave il
delitto di ricettazione che prevede la pena detentiva più elevata nel massimo
rispetto a quella indicata per gli altri reati contestati. E' irrilevante,
quindi, l'entità della pena pecuniaria per stabilire, in astratto, quale sia
il reato più grave. Evidenziano, poi, che è stato
rispettato il principio per il quale la pena base della violazione più grave
non può mai essere inferiore a quella prevista come minimo edittale per uno
qualsiasi dei reati-satellite (nel caso di specie il delitto di contrabbando
di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche,
artt. 291-bis e 291-ter). Infatti, nel calcolare la
pena-base, tale risultato può essere raggiunto anche tenendo conto del
ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria (Sez. U, n. 15 del
26/11/1997, Cardarilli, cit.). Nel caso di specie il giudice è partito da una
pena base di tre anni di reclusione ed Euro 10.329 di multa per il più grave
delitto di ricettazione; tale pena non solo rispetta il minimo edittale
irrogabile per il reato di cui all'art. 416 cod. pen. (da tre a sette anni di
reclusione senza previsione di pena pecuniaria), ma rispetta anche il minimo
edittale del reato previsto dal D.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche,
art. 291 bis, comma 1, (da due a cinque anni di reclusione e multa minima
pari ad Euro 50.005). In particolare la pena pecuniaria andrebbe calcolata
tenendo conto della soglia minima di kg. 10 (convenzionali) stabiliti dalla
norma per aversi la violazione del primo comma della suddetta disposizione
((kg. 10 = gr. 10.000 + gr. 1 = Inoltre, non si può prescindere
dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate
prevalenti sulle aggravanti contestate, compresa quella di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche,
art. 291-ter, comma 2, lett. c). In adesione ad un recente orientamento
espresso dalla giurisprudenza di legittimità, la violazione più grave va
individuata in astratto in base alla pena edittale comminata dalla legge,
avendo però riguardo al reato ritenuto in concreto e all'eventuale giudizio
di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti (Sez. 4, n. del
9/10/2007, Ferrentino, Rv. 238352). In ogni caso, quand'anche si
ritenesse di non attribuire rilievo al giudizio di prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche, occorre considerare che l'imputazione
formulata, priva della contestazione di una precisa ipotesi fra quelle
disciplinate dall'art. 291-bis, fa specifico richiamo solo all'aggravante di
cui al comma 1 di tale disposizione, laddove precisa che il reato di
contrabbando è stato commesso adoperando mezzi di trasporto appartenenti a
persone estranee al reato. Atteso che la circostanza aggravante ex art.
291-ter, comma 1 prevede soltanto un aumento della pena irrogata per il reato
di cui all'art. 291-bis (reclusione da due a cinque anni e cinque Euro per
ogni chilogrammo convenzionale), la pena-base di due anni e sei mesi di
reclusione non viola il minimo edittale per il reato-satellite nella forma
aggravata. CONSIDERATO
IN DIRITTO 1. Il ricorso del Procuratore
generale è fondato nei limiti di seguito precisati. 1.1. Il suo esame impone una
duplice premessa metodologica. In tema di applicazione della
pena concordata fra le parti, il giudice è tenuto ad effettuare la verifica
sia della qualificazione giuridica dell'imputazione che della legalità della
pena irrogata. Sotto il primo profilo il
controllo è necessario, affinchè l'istituto processuale non si trasformi in
un accordo sui reati e sulle stesse imputazioni, in violazione dell'art. 112 Cost. e art. 444 cod. proc. pen.. E', quindi, obbligo del giudice
valutare, sulla base degli atti presenti nel fascicolo del pubblico
ministero, l'astratta corrispondenza della fattispecie contestata a quella
prospettata consensualmente dalle parti, dando corso alla richiesta ovvero
respingendola e procedendo nelle forme ordinarie a seconda che essa appaia o
meno corretta (Sez. 3, n. 2207 del 14/12/2011, dep. 19/01/2012, Morelli, Rv.
251898; Sez. 5, n. 1627 del 18/12/2001, dep. 16/1/2002, Peano, Rv. 220818;
Sez. 2, n. 2737 del 12/05/2000, Tassine, Rv. 217757). Con riguardo al secondo
aspetto, occorre sottolineare che la determinazione contra legem della pena
concordata tra le parti ed illegittimamente ratificata dal giudice, invalida
la base negoziale sulla quale è maturato l'accordo e vizia la sentenza che lo
ha recepito. Il controllo di congruità della pena è logicamente comprensivo
della legalità di essa, ossia della sua conformità alle regole che la
disciplinano, nonchè di quelle che influiscono sulla sua determinazione. 1.2. Nell'ipotesi di
impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata
dalla parte secondo lo schema procedi menta le previsto dall'art. 444 cod. proc. pen., l'esigenza di
specificità delle censure deve ritenersi addirittura "rafforzata"
rispetto ad un'ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la
critica al provvedimento che abbia accolto la domanda dell'imputato deve
impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto dalla stessa parte
richiesto (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe, Rv. 247841; Sez. U, n.
11493 del 24/06/1998, Verga, Rv. 211468). 2. Nel caso in esame, il
Procuratore generale ricorrente argomenta, sulla base di un'analisi dei
diversi orientamenti giurisprudenziali, che la vantazione di maggiore gravità
ai fini del computo della pena deve essere effettuata in concreto e non già
con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore e,
muovendo da tale premessa, deduce specifiche e argomentate censure in merito
alla illegalità, sotto diversi profili, della pena oggetto dell'accordo ex art. 444 cod. proc. pen.. 3. Tanto premesso, la questione
di diritto devoluta alle Sezioni Unite può essere riassunta nei seguenti
termini: "se, in tema di reato continuato, l'individuazione della
violazione più grave ai fini del computo della pena debba essere effettuata
in concreto oppure con riguardo alla salutazione compiuta in astratto dal
legislatore". Secondo un'autorevole dottrina
e la prevalente giurisprudenza, la ratio di questo più mite trattamento
sanzionatorio risiede proprio nella minore riprovevolezza complessiva
dell'agente - che cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando
concepisce il disegno criminoso - e nella necessità di mitigare l'effetto del
cumulo delle pene, al quale viene sostituito un cumulo giuridico. Questa funzione dell'istituto è
stata resa ancor più evidente dalla novella dell'art. 81 cod. pen. ad opera del D.L. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 220, che, nel consentire
l'applicazione della continuazione anche in presenza di violazioni di norme
incriminatrici sanzionate con pene eterogenee, si colloca in una linea di
tendenza contraria all'automatismo repressivo, propria del sistema del cumulo
materiale, e favorevole, invece, ad un'accentuazione del carattere personale
della responsabilità penale, con un'esaltazione del ruolo e del senso di
responsabilità del giudice nell'adeguamento della pena alla personalità del
reo (Sez. U, n. 5690 del 07/02/1981, Viola, Rv. 149260-66; cfr. anche Corte Cost., sent. n. 254 del 1985; sent. n.
312 del 1988). Tenuto conto dell'evoluzione
normativa, dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale (sentt. nn. 115
del 1987, 361 del 1994, 324 del 2008), della complessa elaborazione
giurisprudenziale che ha avuto significativi approdi in decisioni delle
Sezioni Unite (Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, dep. 23/01/2009, Chiodi, Rv.
241755; Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, Mammoliti, Rv. 207939-40; Sez. U, n.
2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203965-78; Sez. U, n. 14 del 30/06/1994,
Ronga, Rv. 214535; Sez. U, n. 18 del 16/11/1989, dep. 15/01/1990, Fiorentini,
Rv. 183004), è possibile ritenere ormai superata la concezione unitaria del
reato continuato in favore dell'autonomia giuridica delle singole violazioni
che confluiscono nel reato continuato, tranne che per gli effetti
espressamente previsti dalla legge. I reati legati dal vincolo
della continuazione devono, quindi, considerarsi come una vera e propria
pluralità di reati autonomi e diversi in funzione del carattere più o meno
favorevole degli effetti che ne discendono. In tal modo è possibile garantire,
conformemente alla natura dell'istituto, quel trattamento privilegiato che è
imposto dalla sua minore riprovevolezza complessiva. La concezione unitaria
del reato continuato opera, quindi, soltanto per gli effetti espressamente
presi in considerazione dalla legge, come quelli relativi alla determinazione
della pena, e sempre che garantisca un risultato favorevole al reo. L'art. 81 cpv. cod. pen.
stabilisce che al reato continuato si applica la pena che dovrebbe
infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo, con il
limite massimo stabilito dalle norme che regolano il cumulo materiale (art. 72 e ss. cod. pen.). Ciò posto, occorre ricostruire
i criteri di individuazione della violazione più grave ex art. 81 cpv. cod.
pen.. In proposito si registrano orientamenti contrapposti sia in dottrina
che in giurisprudenza. Secondo un indirizzo
maggioritario, occorre fare riferimento alla pena comminata in astratto,
tenendo, però, conto - a differenza di quanto sostiene la dottrina - non
della specie e dell'entità della pena, bensì del genere e dell'entità della sanzione
comminata, con le conseguenti ricadute: il delitto è da considerare sempre
più grave della contravvenzione e ciò anche nel caso in cui quest'ultima sia
punita con una pena edittale di maggiore quantità rispetto a quella prevista
per il delitto; in presenza di una pluralità di delitti (o di
contravvenzioni) si deve considerare più grave il delitto (o la
contravvenzione) che ha il massimo edittale più elevato; in presenza di un
massimo edittale identico, occorre avere riguardo al delitto (o alla contravvenzione)
con il minimo edittale più elevato (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep.
03/02/1998, Varnelli, Rv. 209487; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep.
25/01/1994, Cassata, Rv. 195805; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli,
Rv. 191128-29; Sez. 5, n. 13573 del
20/01/2012, Santoni, Rv. 253299; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S., Rv.
246468; Sez. 6, n. 34382 del 14/07/2010, Azizi Aslan, Rv. 248247; Sez. 5, n.
12473 dell'I 1/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 2, n. 47447 dei
06/11/2009, Sali, Rv. 246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, Maciocco, Rv. 242866; Sez. 1, n. 26308 del
27/05/2004, Micale, Rv. 229007; Sez. 5, n. 1781 del 19/04/1999, Ciccinato,
Rv. 213400). Si è tuttavia precisato che,
nella concreta quantificazione della pena, il giudice non può irrogare una
sanzione che risulti inferiore a quella minima stabilita per uno dei
reati-satellite rispetto ai quali venga ravvisata la continuazione (Sez. U,
n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; v. anche Corte Cost., ord. n. 11 del 1997). In tale
contesto, si argomenta che il riferimento al minimo edittale di maggiore
gravità assume una precisa valenza unicamente nei casi in cui il giudice
ritenga di dovere applicare la pena - individuata sulla base del massimo
edittale più elevato - nel minimo di legge o, comunque, in misura inferiore
al minimo edittale stabilito per l'altro reato, mentre se il giudice ritiene
di dovere applicare una pena superiore, ben può assumere quale parametro di
riferimento il massimo edittale più elevato (Sez. 6, n. 44336 del 05/10/2004,
Mastrolorenzi, Rv. 230252; Sez. 6, n. 18173 del 04/11/2002, dep. 16/04/2003,
Broccolo, Rv. 225186; Sez. 5, n. 1749 del 19/04/1999, Schirra, Rv. 213211;
Sez. 6, n. 4087 del 19/02/1997, Bassi, Rv. 207402). Secondo un diverso
orientamento, invece, l'individuazione della violazione più grave ai fini del
computo della pena deve essere sempre effettuata in concreto e non già con riguardo
alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 6, n. 25120 del
06/03/2012, Cicala, Rv. 252613; Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, Rv.
246895; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, Angioni, Rv. 243723; Sez. 1, n. 4322 del
13/01/1996, dep. 10/05/1997, Murgioni, Rv. 207433). Le decisioni riconducigli
a questo indirizzo, valorizzando il tenore letterale dell'art. 187 disp. att. cod. proc. pen. e una
risalente pronunzia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982,
Alunni, Rv. 155673), affermano che, ai fini della determinazione della
pena-base, la violazione più grave deve essere individuata con riferimento
alla pena da infliggere in concreto per ciascuno dei reati, dopo la
valutazione di ogni singola circostanza e l'eventuale giudizio di
comparazione di cui all'art. 69 cod. pen., secondo i criteri indicati
nell'art. 133 cod. pen., senza alcun riguardo al
titolo ed alle relative pene edittali. Rilevano poi che, in ogni caso,
l'individuazione del reato ritenuto in concreto più grave incontra un limite
invalicabile nel fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a
quella che sarebbe stata irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con
pena edittale maggiore nel minimo. 6. La questione è controversa
anche in dottrina. Secondo alcuni Autori, in
ossequio al principio di legalità e a quello di certezza del diritto, per
accertare quale sia la violazione più grave occorre fare riferimento
all'astratta previsione legislativa, ossia alla specie (detentiva o
pecuniaria) e non al genere (delittuoso o contravvenzionale) e all'entità
delle sanzioni applicabili per i singoli reati uniti dal vincolo della
continuazione con le conseguenti ricadute pratico-applicative: è più grave la
violazione per la quale è prevista la pena detentiva rispetto al reato punito
con la pena pecuniaria; in presenza di pene qualitativamente identiche, la
violazione più grave è il reato punito con una pena avente un massimo edittale
più elevato o, in caso di identico massimo edittale, il reato per il quale è
prevista una pena avente il maggior minimo edittale. Tale approdo esegetico è
contrastato da altra parte della dottrina con plurimi rilievi critici. Sotto
il profilo letterale si osserva che il tenore testuale dell'art. 81 cod. pen. evoca la concreta
realizzazione del reato. Sul piano logico-sistematico si argomenta che il
disposto dell'art. 187 disp. att. cod. proc. pen., a
prescindere dalla sua collocazione topografica, enuncia una regola di valenza
generale che, per ragioni di coerenza complessiva del sistema, non può
ritenersi limitata alla sola fase dell'esecuzione, cui pure la disposizione
fa espresso richiamo. Altri studiosi sottolineano il
tenore ambiguo dell'art. 81 cod. pen., in quanto tale suscettibile
di diverse letture, ed evidenziano che l'art. 187 disp. att. cod. proc. pen. ben può
essere considerata una disposizione speciale dettata dalle particolari
esigenze della fase esecutiva. Un ulteriore indirizzo teorico
osserva che un limite alla tesi che da rilievo alla maggiore gravità della
violazione considerata in astratto è rappresentato dall'ambiguità degli
indici edittali; infatti un reato può essere
punito con una pena edittale massima più elevata, ma con una pena edittale
minima meno elevata rispetto a quella rispettivamente prevista per l'altro
reato in continuazione e che, in tale caso, per stabilire quale sia in
astratto la violazione più grave, si pongono due alternative, entrambe
insoddisfacenti. Se si decide di fare, comunque, riferimento al massimo
edittale, non necessariamente alla maggiore gravità in astratto corrisponde
la maggiore gravità in concreto, con la conseguenza che la pena complessiva
del reato continuato può risultare di entità addirittura inferiore al minimo
edittale previsto per un'altra violazione. Utilizzando, per ovviare a tali
inconvenienti, il criterio del minimo più elevato, s'introduce un parametro
meramente formale, in quanto tale inidoneo a dar conto del profilo
sostanziale e dell'effettivo disvalore espresso dalla cornice edittale. Traendo spunto da questi
rilievi critici, altri Autori argomentano che si deve fare riferimento alla
violazione che in concreto risulta essere più grave, con la conseguenza che
il giudice, nel rispetto dei parametri fissati dall'art. 133 cod. pen., deve innanzitutto
determinare la pena per ciascun reato, consumato o tentato, tenendo conto
anche delle eventuali circostanze, del loro giudizio di bilanciamento e,
quindi, assumere come pena-base per l'aumento fino al triplo quella che, alla
stregua di tali operazioni, risulta essere più grave. 7. La questione sottoposta
all'esame delle Sezioni Unite si colloca sullo sfondo di un'articolata e
graduale elaborazione di principi conseguente alla riforma dell'art. 81 cod. pen., introdotta con il D.L. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 220. L'iniziale indirizzo
interpretativo in base al quale l'unificazione di pene di specie o genere
diverse costituisce una violazione del principio di legalità (Sez. U, n.
12190 del 23/10/1976, Desideri, Rv. 134812-13) è stata superato da altre
decisioni che, valorizzando l'ampliato ambito applicativo del reato
continuato conseguente alla modifica del 1974, hanno ritenuto ammissibile la
continuazione tra reati puniti con pene eterogenee dapprima con esclusivo riguardo
alle pene congiunte stabilite per il reato più grave (Sez. U, n. 14890 del
22/01/1977, Zavatti, Rv. 137328-30), quindi anche con
riferimento all'ipotesi inversa (Sez. U, n. 62206 del 30/04/1983, Anaclerio,
Rv. 159727) e, infine, in relazione a reati puniti con pene di specie diversa
(Sez. U, n. 6300 del 26/05/1984, Falato, Rv. 165181). Tutte queste prime decisioni
non hanno, peraltro, affrontato espressamente la questione interpretativa
concernente il concetto di violazione più grave. Successive pronunzie delle
Sezioni Unite, nell'approfondire ulteriormente la problematica, hanno
argomentato che, ai fini dell'individuazione della violazione più grave da
assumere come base per il calcolo delle pene, occorre riferirsi alle
valutazioni astratte compiute dal legislatore, ossia si deve avere riguardo
alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, sicchè la violazione più
grave va individuata in quella punita dalla legge più severamente (Sez. U, n.
15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, Cassata,
cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, cit.). Sulla pena in
concreto inflitta per tale illecito deve essere, poi, applicato l'aumento di
pena per la continuazione, contenuta nel limite massimo del triplo. Il Collegio ritiene di
confermare in questa sede quest'ultimo orientamento esegetico in favore del
quale militano plurime considerazioni di tipo letterale e logico-sistematico. 8. La corretta impostazione
della problematica implica, innanzitutto, la ricostruzione dei principi e dei
criteri generali contenuti in alcune disposizioni del codice penale che
delineano una precisa trama interpretativa in base alla quale, ai fini
dell'individuazione della violazione più grave da assumere come base per il
calcolo della pena da irrogare in caso di reati in continuazione (art. 81, comma secondo, cod. pen.), deve
ritenersi più grave il delitto rispetto alla contravvenzione, fungendo il
parametro quantitativo come integratore in presenza di pene di uguale specie. L'art. 17 cod. pen., nell'elencare in maniera
tassativa e vincolante per l'interprete le "specie" di pene
principali che si applicano a seguito della commissione di un fatto-reato, da
un iato, fornisce il criterio di tipo nominalistico per identificare
l'illecito criminale rispetto agli altri tipi di illecito previsti
dall'ordinamento e, al contempo, coordinandosi con l'art. 39 cod. pen., introduce il criterio
formale di individuazione delle due fattispecie tipiche di reato, i delitti e
le contravvenzioni. Un fatto costituisce reato ogniqualvolta la legge
stabilisce per esso una sanzione criminale - pena principale - denominata
come ergastolo, reclusione, multa "per i delitti", arresto e
ammenda "per le contravvenzioni", distinta dalle altre sanzioni
extrapenali quanto alla funzione rieducativa, al contenuto prevalentemente
afflittivo ed alle finalità di prevenzione generale e speciale. Il successivo art. Nell'impossibilità di enucleare
un affidabile criterio qualitativo di distinzione tra delitti e
contravvenzioni, così come evidenziato dalla stessa Relazione al codice (vol.
1^, 82), il criterio discretivo più condivisibile e maggiormente seguito sia
in dottrina che in giurisprudenza è quello incentrato sulla qualità delle
sanzioni (art. 39 cod. pen.). La legge fornisce numerosi
elementi di valutazione per ritenere che i delitti siano più gravi rispetto
alle contravvenzioni anche nei casi in cui queste ultime siano assistite da
una sanzione che, riguardata sotto il profilo della conversione, risulti
maggiore quantitativamente rispetto a quella prevista per il delitto.
Significative, in tale prospettiva, appaiono le disposizioni in tema di
sospensione condizionale della pena, prescrizione, conversione (L. n. 689 del 1981, art. 102), entità massima
delle pene rispettivamente previste per i delitti e le contravvenzioni (art. 78 cod. pen.). Si tratta di elementi
univocamente significativi, pur tenendo conto del fatto che alcune
collocazioni sistematiche appaiono decisamente sorpassate. Degno di nota al
riguardo è il rilievo che anche il legislatore del 1981, con la legge di
depenalizzazione, intervenuta ad una significativa distanza di tempo
dall'emanazione del codice, pur introducendo qualche innovazione, ha lasciato
sostanzialmente inalterati gli indici sopra indicati che depongono certamente
per la maggiore gravità dei delitti rispetto alle contravvenzioni (Sez. U, n.
4901 del 27/03/1992, Cardarmi, cit.). Così precisato il rapporto tra
delitti e contravvenzioni, è indubbio che, nel concorso fra tali reati, debba
essere ritenuta più grave la violazione costituente delitto, anche se la
contravvenzione è punita edittalmente con una pena che, riguardata sotto il
profilo della conversione, risulti maggiore quantitativamente rispetto a
quella stabilita per il delitto. Il discorso quantitativo serve
come "integratore", allorquando si tratti di pene di uguale specie,
al fine di decidere della maggiore gravità dell'una o dell'altra violazione. Inoltre la determinazione
giudiziale caso per caso della violazione più grave in concreto potrebbe
essere foriera delle soluzioni più disparate con conseguente possibile
lesione dell'affidamento in una parità di trattamento di situazioni analoghe. Sul piano dell'interpretazione
letterale, deve essere attribuita una particolare valenza all'espressione
"violazione", contenuta nell'art. 81 cod. pen.: essa evoca la condotta
illecita descritta dalla norma incriminatrice che, in un'ottica
sanzionatoria, è assistita da un minimo e da un massimo edittale e si connota
concettualmente in maniera distinta ed autonoma rispetto alla nozione di
"pena". Da un punto di vista
logico-sistematico, tale lettura è quella maggiormente coerente con le scelte
effettuate dal legislatore in ambito processuale; si richiamano, a tale
riguardo, le disposizioni in tema di competenza per materia (art. 4 cod. proc. pen.), competenza per
connessione (art. 16 c.p.p., comma 1), nonchè in materia di
applicazione di misure cautelari personali (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997,
Varnelli, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarmi, cit.; Sez. 6, n.
34382 del 14/07/2010, Azizi Aslan Detto, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473
dell'11/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del
26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, Sali, Rv.
246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, Maciocco, Rv. 242866; Sez. 1, n.
44860 del 05/11/2008, Ficara, Rv. 242198; Sez. 1, n. 26308 del
27/05/2004, Micale, Rv. 229007). Il criterio della gravità
"in concreto", consacrato dall'art. 187 disp. att. cod. proc. pen., non può
essere valorizzato a sostegno di una diversa interpretazione, atteso il
carattere derogatorio della disposizione rispetto a quanto stabilito dall'art. 81 cod. pen., desumibile dalla stessa
dizione della norma che usa l'espressione "si considera violazione più
grave". Il legislatore ha utilizzato l'espressione "violazione più
grave" e non "pena più grave", come avrebbe fatto se avesse
voluto attribuire alla pena da infliggere in concreto - tenuto conto dei
criteri di cui all'art. 133 cod. pen. - l'efficacia
determinatrice della più grave violazione. L'art. 187 disp. att. cod. proc. pen. è,
pertanto, espressamente e logicamente limitato alla fase dell'esecuzione, in
cui si può solo prendere atto della valutazione effettuata dal giudice della
cognizione, sicchè, per esaminare sentenze o decreti irrevocabili ai fini del
concorso formale o della continuazione, ci si deve necessariamente riferire
alle pene più gravi che siano state concretamente inflitte. 10. Sotto il profilo
dell'evoluzione storica dell'istituto, infine, il concetto di violazione più
grave da cui prendere le mosse quanto al calcolo della pena non è stato in
alcun modo interessato dalla novella del 1974 e, in assenza di un espresso
mutamento legislativo, non è consentito all'interprete, traendo spunto da una
modifica riguardante altri profili, prospettare una diversa disciplina che
non trova alcun fondamento nel dato testuale dell'art. 81 cod. pen.. 11. Per tutte queste ragioni
non appare condivisibile l'opposto indirizzo esegetico che afferma la
necessità di una valutazione in concreto della violazione più grave
unicamente sulla base di un'interpretazione logico-sistematica dell'art. 187 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 5,
n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, cit.; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009,
Angioni, cit.) e di un iter argomentativo avulso dal complesso delle
specifiche considerazioni sviluppate nel tempo da plurime decisioni delle
Sezioni Unite (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748
del 12/10/1993, Cassata, cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli,
cit.) e non corredato da ulteriori rilievi critici e da prospettive
esegetiche atti a suggerire un ripensamento dell'intera problematica. 12. Una volta individuata la
"violazione più grave" nel senso sopra chiarito, i reati meno gravi
perdono la loro autonomia sanzionatoria e il relativo trattamento
sanzionatorio confluisce nella pena unica irrogata per tutti i reati
concorrenti. Costituisce, infatti, una pena legale non solo quella stabilita
dalle singole fattispecie incriminatrici, ma anche quella risultante dalle
varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, quali sono,
appunto, tra le altre, quelle concernenti il reato continuato (Sez. U, n.
4901 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U., n. 748 del 12/10/1993, Cassata,
cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, cit.; Sez. U, n. 5690 del
07/02/1981, Viola, Rv. 149259-149263). Tale lettura appare coerente con i
principi enunciati dalla Corte Costituzionale che, avallando l'orientamento
espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 5656 del 26/05/1984,
Rabassi, Rv. 164862), ha affermato che pena legale non è solo quella prevista
dalla singola norma incriminatrice, ma quella che risulta dall'applicazione
delle varie disposizioni che incidono sul trattamento sanzionatorio e che,
quindi, la pena unica progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., è anch'essa pena legale,
perchè prevista dalla legge (Corte Cost., sent. n. 312 del 1988). Anche se essa deve essere il
risultato di una operazione unitaria, occorre tuttavia che sia individuabile
la pena stabilita dal giudice in aumento per ciascun reato-satellite (Sez. U,
n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, Rv. 201549), e ciò sia per la verifica
dell'osservanza del limite di cui all'art. 81 cod. pen., comma 3 sia perchè a taluni
effetti il cumulo giuridico si scioglie: basti pensare alla prescrizione che
va considerata distintamente per ciascun reato (Sez. U, n. 2780 del
24/01/1996, Panigoni, cit.; Sez. U, n. 10928 del 10/10/1981, Cassinari, Rv.
151241-151242); all'indulto, in cui occorre
applicare il beneficio a quei reati che in esso rientrano (Sez. U, n. 18 del
16/11/1989, dep. 15/01/1990, Fiorentini, Rv. 183004); all'estinzione di
misure cautelari personali, quando la suddivisione della pena irrogata per i
reati- satellite rilevi per il calcolo della durata massima della custodia
cautelare o per l'accertamento dell'avvenuta espiazione di pena (Sez. U, n. 1
del 26/02/1997, Mammoliti, Rv. 207939-40); alla sostituzione delle pene
detentive brevi (L. n. 689 del 1981, art. 53, u.c.) in cui la
pena del reato continuato si scompone per determinare la porzione di pena
suscettibile di sostituzione per quei reati che la ammettono. L'applicabilità della
continuazione anche tra norme incriminatrici eterogenee comporta che il
cumulo giuridico possa avvenire tra pene diverse sia nel genere (detentive o
pecuniarie) che nella specie (reclusione o arresto ovvero multa o ammenda). La giurisprudenza di
legittimità, dopo un iniziale atteggiamento di chiusura (Sez. U, n. 12189 del
23/10/1976, Abbate, Rv. 134811; Sez. U, n. 12190 del 23/10/1976, Desideri,
cit.), ha successivamente inverato il precetto normativo riconoscendo la
possibilità della continuazione fra reati, di cui uno punito con pena
pecuniaria e detentiva congiunte e l'altro con pena unica, semprechè le pene
congiunte siano previste per il reato più grave (Sez. U, n. 14890 del
22/10/1977, Zavatti, cit.). Ha, poi, esteso tale principio al caso inverso,
stabilendo che al reato più grave va aggiunta la pena pecuniaria prevista per
il reato satellite (Sez. U, n. 6219 del 30/04/1983, Piccione, Rv. 159726;
Sez. U, n. 6220 del 30/04/1983, Anaclerio, cit.). E', così, progressivamente
emersa la consapevolezza che, in caso di concorso di pene eterogenee, una
volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatolo
originariamente previsto per i reati-satellite perde la sua specificità,
proprio per la ragione che, individuata la violazione più grave, essi vanno a
comporre una sostanziale unità, disciplinata e sanzionata diversamente
mediante le regole dettate all'uopo dal legislatore. L'avere il legislatore
espressamente disciplinato questa possibilità con conseguente previsione
sanzionatola, consente di affermare che non vi è violazione del principio di
legalità, dovendosi ogni norma incriminatrice leggere, per quanto riguarda
l'aspetto punitivo, come se essa contenesse un'eccezione derogativa della
sanzione per il caso che la violazione contemplata vada a comporre un reato
continuato. Qualora l'aumento della sanzione
del reato principale venisse calcolato sulla base della pena qualitativa
edittalmente prevista per il reato o i reati satellite, si violerebbe il
preciso disposto normativo che prevede un aumento della pena base determinato
per la più grave delle violazioni, quella pena cioè prevista per il reato più
grave e non mediante aumenti derivati da pene di specie diversa. 13. Sulla base delle
considerazioni sinora svolte, è indubbio che, in tema di determinazione della
pena ai sensi dell'art. 81 cod. pen., deve aversi riguardo alla
violazione considerata più grave in astratto e non in concreto (Sez. U, n. 15
del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, Cassata, cit,;
Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, cit.), sicchè, allorchè occorra
individuare il reato più grave, deve farsi riferimento alla pena edittale,
ovvero alla gravità "astratta" dei reati per i quali è intervenuta
condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena prevista dalla legge per
ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di
determinazione della pena di cui all'art. 133 cod. pen. che possono contribuire
alla determinazione di quella da infliggere in concreto (cfr. Sez. U, n. 4901
del 27/03/1992, Cardarilli, cit. che, per prima, ha rivisto l'orientamento
espresso da Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, Alunni, che proprio a tali indici
aveva fatto riferimento). Ciò posto, però, occorre
considerare che la nozione di "violazione più grave" ha una valenza
"complessa", che muovendo dalla sanzione edittale comminata in
astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione
delle sue concrete modalità di manifestazione. Nel sistema del codice penale,
infatti, per sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto
con riferimento al reato contestato e ritenuto (in concreto) in sentenza,
tenendo conto, cioè, delle singole circostanze in cui la fattispecie si è
manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano, a
determinati effetti, la rilevanza delle circostanze o di talune di esse. Di
conseguenza, una volta che sia stata riconosciuta la sussistenza delle
circostanze attenuanti e che sia stato effettuato il doveroso giudizio di
bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l'individuazione in
astratto della pena edittale non può prescindere dal risultato finale di tale
giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l'effetto di riduzione per le
attenuanti e nel massimo l'aumento per le circostanze aggravanti (Sez. U, n.
3286 del 27/11/2008, Chiodi, cit; Sez. 1, n. 24838 del 15/06/2010, Di Benedetto,
Rv. 248047; Sez. 1, n. 9828 del 05/02/2009, Russo, Rv. 243426; Sez. 4, n. 47144 del
09/10/2007, Ferrentino, Rv. 238352; cfr. Sez. 6, n. 1318 del 12/12/2002,
dep. 14/01/2003, Bombasaro, Rv. 223343; Sez. 2, n. 3307 del
20/01/1992, Sorvillo, Rv. 189675; Sez. 1, n. 8238 del 08/04/193, Bombaci, Rv.
160649). Si deve, pertanto,
conclusivamente affermare, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 3, il
seguente principio di diritto: "In tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata
in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal
giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è
manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse". 14. Fermo restando il criterio
di individuazione della violazione più grave sopra enunciato, qualora il
giudice intenda graduare al livello più basso la dosimetria della pena, non
gli è tuttavia consentito applicare una pena-base inferiore al minimo
edittale previsto per uno qualsiasi dei reati unificati dall'identità del
disegno. Un simile approdo è in linea
con i principi costantemente espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte in
tema di concorso formale e di continuazione fra reati con plurime decisioni i
cui enunciati hanno una valenza ermeneutica generalizzata (Sez. U, n. 20798
del 24/02/2011, Indelicato, cit.; Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Varnelli,
cit.; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarmi, cit.; v. anche Corte Cost., ord. n. 11 del 1997). In tali
decisioni si argomenta, infatti, che, in caso di reati unificati
dall'identità del disegno criminoso in ordine ai quali debba trovare
applicazione una pena di identica specie, ove l'uno di essi sia punito con
pena più elevata nel massimo e l'altro con pena più elevata nel minimo, la
pena da irrogare in concreto non può essere inferiore alla seconda previsione
edittale (v. anche Sez. 3, n. 19737 del 14/04/2011, Bessi, Rv. 250335; Sez.
3, n. 9261 del 28/01/2010, Del Prete, Rv. 246236; Sez. 5, n. 12473 del
11/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 2, Sentenza n. 19148 del 19/04/2007, Cannellino,
Rv. 236406; Sez. 2, Sentenza n. 10987 del 17/02/2005, Contini, Rv.
231327; Sez. 5, n. 4503 del 15/10/1997, Pellegrino, Rv. 209663; Sez. 6, n.
4087 del 19/02/1997, Bassi, Rv. 207402). Si deve, pertanto, conclusivamente
affermare, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 3, il
seguente principio di diritto: "In caso di concorso di
reati puniti con sanzioni omogenee sia nel genere che nella specie per i
quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l'individuazione del
concreto trattamento sanzionatorio per il reato ritenuto dal giudice più grave
non può comportare l'irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella
prevista per uno dei reati-satellite". 15. Nel caso in esame gli
imputati sono chiamati a rispondere dei delitti previsti dall'art. 416 cod. pen. (associazione per
delinquere), art. 474 cod. pen. (introduzione nel territorio
dello Stato di prodotti con marchi contraffatti), artt. 482-489 cod. pen. (falso), art. 648 cod. pen. (ricettazione), D.P.R. n.
43 del 1973, art. 291-bis, comma 1 e art. 291-ter e successive modifiche
(contrabbando di kg. 9.060 di tabacchi esteri), art. 494 cod. pen. (sostituzione di persona). Il reato più grave, avuto
riguardo al massimo della sanzione edittale detentiva per esso prevista, è
quello di ricettazione (art. 648 cod. pen.). Con riferimento al concorrente
reato di contrabbando - prospettato quale reato più grave nel ricorso del
Procuratore generale - occorre evidenziare che entrambi gli imputati sono
chiamati a rispondere del delitto di contrabbando aggravato D.P.R. n. 43 del
1973, ex art. 291 bis e art. 291 ter, comma 2, lett. c), così come modificato
dalla legge n. 92 del 2001, trattandosi di fatto
connesso con il reato contro la fede pubblica di cui all'art. 474 cod. pen.. La circostanza aggravante di
cui alla L. n. 43 del 1973, art. 291- ter, comma 2, lett. c), così come
modificato dalla L. n. 92 del 2001, è contestata specificamente
nel corpo dell'imputazione elevata nei confronti di entrambi gli imputati che
rispetto ad essa hanno avuto modo di esercitare effettivamente e con pienezza
le loro difese, sicchè la mancata formale indicazione dell'ipotesi di cui al
comma 2, lett. c), del predetto art. 291-ter è irrilevante, non essendosi
tradotta in una compressione del diritto garantito dall'art. 24 Cost.. Sul punto, quindi, non possono
trovare accoglimento i rilievi svolti, nelle rispettive memorie, dai
difensori degli imputati. Tenuto conto dell'epoca di
entrata in vigore della L. n. 92 del 2001 (pubblicata nella G.U. n. 79
del 4 aprile 2001) e della data di commissione del reato (agosto-dicembre
2008) è pacifica l'applicabilità delle modifiche normative contenute nella L. n. 92 del 2001 che ha introdotto nuove più
sfavorevoli previsioni penali. Il Procuratore generale
ricorrente, pur facendo espresso riferimento alla contestazione del fatto
contenuta nel capo d'imputazione (contrabbando di kg. 9.060 di tabacchi
lavorati esteri, connesso con un delitto contro la fede pubblica),
nell'ambito delle argomentazioni sviluppate in ordine ai criteri di
individuazione della violazione più grave in tema di reato continuato e alla
conseguente dosimetria della pena, ha omesso di prendere in specifica
considerazione l'ipotesi aggravata di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art.
291-ter, comma 2, lett. c), così come modificato dalla L. n. 92 del 2001 (sanzionata con la
reclusione da tre a sette anni e con la multa di venticinque Euro per ogni
grammo convenzionale di prodotto), limitandosi a richiamare erroneamente la
sola disposizione di cui all'art. 291-bis (punita con la pena della
reclusione da due a cinque anni e con la multa di cinque Euro per ogni grammo
convenzionale di prodotto superiore ai dieci chilogrammi D.Lgs. n. 58 del 2010, ex art. 39-quinquies). 16. Le richieste di
applicazione concordata della pena avanzate per iscritto dagli imputati, cui
il pubblico ministero ha prestato il suo consenso (cfr. verbale di udienza) e
che sono state recepite dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Ancona con la sentenza pronunziata il 16 febbraio 2011 ex art. 444 cod. proc. pen., prevedevano il
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da dichiarare
prevalenti sulle contestate aggravanti. Il provvedimento impugnato non
ha precisato i reati in relazione ai quali sono state riconosciute le
circostanze attenuanti generiche. Peraltro, in adesione
all'orientamento espresso da queste Sezioni Unite e condiviso dal Collegio
(Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, cit.; in senso conforme Sez. 6, n.
12414 dell'08/03/ 2011, V., Rv 249646; Sez. 1, n. 37108 del 20/09/2002,
Peddio, Rv 222528), è da ritenere che, in presenza di più reati uniti tra
loro con il vincolo della continuazione, se il giudice non ha espressamente
indicato le imputazioni in relazione alle quali sono state riconosciute le
circostanze attenuanti generiche, queste ultime debbono intendersi riferite,
sulla base di una vantazione globale del complesso dei fatti funzionale ad
accertare aspetti fondamentali ai fini del complessivo trattamento
sanzionatorio (quali la capacità a delinquere, l'intensità del dolo, la
condotta del reo antecedente, contemporanea e susseguente al singolo fatto,
etc.) e in assenza di specifici elementi di segno contrario, a tutti i reati
in contestazione per il principio del favor rei e tenuto conto della natura
stessa di tali circostanze, basate su considerazioni attinenti alla
personalità dell'imputato. Di conseguenza le circostanze
attenuanti generiche devono, nella concreta fattispecie sottoposta all'esame
di questa Corte, intendersi riconosciute anche con riguardo al delitto di
contrabbando aggravato, in quanto, per espressa previsione normativa ( D.P.R.
n. 43 del 1973, art. 291-ter, comma 3, così come modificato dalla L. n. 92 del 2001), la circostanza aggravante
di cui all'art. 291-ter, comma 2, lett. c), non è sottratta al giudizio di
bilanciamento (art. 69 cod. pen.) con eventuali circostanze
attenuanti ritenute sussistenti. Il giudizio di prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate comporta che
violazione più grave debba essere considerato il delitto di ricettazione per
il quale i limiti massimi della pena della reclusione (da due a otto anni)
sono più elevati rispetto a quelli del reato di contrabbando D.P.R. n. 43 del
1973, ex art. 291-bis, così come modificato dalla L. n. 92 del 2001 (da due a cinque anni di
reclusione). 17. Sulla base di tali rilievi
è evidente che, nel caso di specie, la pena pecuniaria prevista per il più
grave delitto di ricettazione (multa da Euro 516 ad Euro 10.329) è inferiore
a quella minima (multa di Euro cinque per ogni grammo convenzionale di prodotto,
come definito da ultimo dal D.Lgs. n. 58 del 2010, art. 39-quinquies),
irrogabile per il reato di contrabbando, tenuto conto del quantitativo di kg.
9.060 di tabacchi lavorati esteri oggetto della condotta contestata
(erroneamente pretermesso nelle memorie difensive), nonchè del giudizio di
bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con l'aggravante di cui
al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-ter e successive modifiche. Per
quest'ultimo, infatti, la legge stabilisce, oltre alla reclusione, una pena
pecuniaria proporzionale in funzione del valore economico dell'oggetto
materiale del reato (valore della merce) e del danno (tributo evaso)
cagionato dalla condotta. La proporzionalità non incide
sulla fattispecie legale, caratterizzata da una struttura essenzialmente
unitaria, ma investe soltanto il sistema di commisurazione della pena, tant'è
che non è prevista una speciale disciplina sanzionatoria riferita al concorso
formale o materiale di reati; è di conseguenza esclusa ogni incompatibilità
con il regime previsto dall'art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 5690 del
07/02/1981, Viola, cit.). La continuazione è ammessa, quindi, anche nel caso
in cui alcuno dei reati sia punito con pene propriamente proporzionali (Sez.
3, n. 24719 del 15/05/2001, Gagliardi, Rv. 219102; Sez. 3, n. 5704 del
14/03/1983, Massimino, Rv. 159551; Sez. 3, n. 1393 del
06/12/1982, dep. 16/02/1983, Di Stefano, Rv. 157469; Sez. 3, n. 8304 del
17/06/1981, Azzolini, Rv. 150213; Sez. 3, n. 5270 del 16/03/1979,
Patelli, Rv. 142196). Comparando, quindi, la pena
pecuniaria applicabile per il reato di ricettazione (da un minimo di 516 Euro
ad un massimo di 10.329 Euro) e quella proporzionale stabilita dalla legge
per il delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (Euro 5 per ogni
grammo di tabacchi lavorati esteri), risulta che, a fronte di una parità del
minimo edittale della pena detentiva, vi è, tra i due reati, una sensibile
differenza nella pena pecuniaria, considerato che per il delitto di
contrabbando ( D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-bis, comma 1 e art. 291-ter,
comma 2, lett. c), così come modificato dalla legge n. 92 del 2001) essa, tenuto conto del
quantitativo contestato (kg. 9.060) non può essere inferiore
ad Euro 45.300.000 (Euro 5.000 x Nè a diversa conclusione si
perviene considerando il ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva per
la differenza tra la pena pecuniaria applicata per il reato più grave e
quella maggiore applicabile al reato satellite. 18. Va effettuata anche la
verifica dell'osservanza del limite minimo con riferimento ai restanti reati
satellite. Relativamente al delitto di cui
all'art. 416 cod. pen., occorre differenziare le
posizioni di C. e Ca.. Al primo è stata contestata e
riconosciuta in sentenza l'ipotesi di cui all'art. 416 c.p., comma 1 (promotore del
sodalizio); avuto riguardo al minimo edittale (tre anni di reclusione) e al
giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, la pena
applicata in concreto è ampiamente superiore al minimo previsto dalla legge. Essendo stata, invece,
contestata e riconosciuta nei confronti di C. l'ipotesi di cui all'art. 416 c.p., comma 2, è indubbio che la pena
applicata in concreto per tale reato è ampiamente superiore al minimo
edittale (un anno di reclusione), tenuto conto della ritenuta sussistenza
delle circostanze attenuanti generiche e del relativo giudizio di
bilanciamento. Ampiamente rispettati
risultano, infine, i minimi edittali previsti per gli ulteriori
reati-satellite contestati. In particolare quanto all'art. 474 cod. pen. (poi sostituito dalla L. n. 99 del 2009, art. 7), si rileva che lo
stesso, al momento del fatto (2008), era sanzionato fino a due anni di
reclusione e fino ad Euro 2065 di multa e che, dunque, la pena minima era di
quindici giorni di reclusione e cinque Euro di multa (l'art. 24 cod. pen. è stato modificato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 60). 19. Non può farsi ricorso alla
procedura di rettificazione (art. 619 c.p.p., comma 2) per applicare
d'ufficio, una misura della pena esulante dall'accordo intervenuto, in quanto
l'imputato, di fronte ad essa, potrebbe non rinnovare la richiesta, ai sensi
dell'art. 444 cod. proc. pen., e optare per il rito
ordinario (Sez. 5, n. 46790 del 25/10/2005, Grifantini, Rv 233033; Sez. 5, n.
40840 del 20/09/2004, Terzetti, Rv 230216; Sez. 3, n. 30581 del 12/06/2001,
Santullo, Rv. 220046; Sez., n. 641 del
16/02/1999, Zanon, Rv. 213275; Sez. 1, n. 1571 del 14/03/1995, Panariello, Rv
201163; Sez. 6, n. 2791 del 01/02/1995, Damiano, Rv. 200808; Sez. 6, n. 3462
del 06/11/1990, dep. 23/03/1991, Cracco, Rv 186694; Sez. 1, 19/06/1998, n.
3655, Spalvieri, Rv 211424; Sez. 1, n. 574 del 06/02/1992, Angeloni, Rv
189929). 20. Per queste ragioni, quindi,
s'impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con conseguente
trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona per il corso ulteriore. Nel
giudizio conseguente all'annullamento senza rinvio della sentenza di
"patteggiamento" (art. 444 cod. proc. pen.) determinata da
illegalità della pena, le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle
medesime condizioni in cui si trovavano prima dell'accordo annullato e,
pertanto, non è loro preclusa la possibilità di riproporlo, sia pure in
termini diversi (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe, cit.). P.Q.M. Annulla senza rinvio la
sentenza impugnata. Dispone la trasmissione degli
atti al Tribunale di Ancona. Così deciso in Roma, il 28
febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 13
giugno 2013 |
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