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Aggiornamento - Penale |
Cassazione penale, sez. un.,
1. La questione di diritto che ha generato
la rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite è la seguente: "Se
il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)
concorra con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche (art. 640 bis c.p.)". 2. Il quesito trova la sua origine nella
presenza di due contrapposte interpretazioni delle disposizioni richiamate. Per la prima, si esclude un rapporto di
specialità tra due reati e si ritiene il concorso delle fattispecie (Sez. 2,
n. 29512 del Secondo l'opposta interpretazione (Sez. 2,
n. 42934 del Sulla base di tale ultima
ricostruzione, esclusa la rilevanza, quale discrimine utilizzabile per l'applicazione
del principio di specialità, dell'identità di materia o di interesse
protetto, si ritiene non corretto sottoporre a sanzione due comportamenti
offensivi dello stesso bene, giacchè il diverso
impiego del finanziamento non sarebbe che una conseguenza naturale del
conseguimento dell'erogazione a seguito di artifici o raggiri. Entrambi gli orientamenti interpretativi,
contenuti nei due filoni giurisprudenziali citati, escludono quindi che le
fattispecie siano tra loro in rapporto di specialità. Il primo ritiene il concorso di reati in
virtù della diversità della materia disciplinata dalle due disposizioni; il
secondo, che nega tale concorso, conclude per la
presenza di un concorso apparente di norme, in quanto valuta i comportamenti
tipizzati nelle disposizioni in esame offensivi del medesimo bene giuridico,
in stati e gradi diversi, ed evoca a sostegno della propria ricostruzione il
principio del rapporto di sussidiarietà tra le norme. Da tale norma si trae il principio generale
che, ove si escluda il concorso apparente, è possibile derogare alla regola
del concorso di reati solo quando la legge contenga l'espressione delle c.d.
clausole di riserva, le quali, inserite nella
singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma
incriminatrice prevalente che si individua seguendo
una logica diversa da quella di specialità. Sul rapporto di specialità si fonda anche la
comparazione, e quindi l'applicazione delle componenti
accessorie del reato, posto che le disposizioni di cui agli artt. 68 e 84 c.p., informano le
correlazioni tra gli elementi eventuali del reato nei medesimi termini
previsti dall'art. 15, i cui principi sono volti ad evitare l'addebito
plurimo di un accadimento, ove unitariamente valutato dal punto di vista
normativo: condizione che si porrebbe in contrasto col principio del ne bis
in idem sostanziale. 3.1. E' noto che sul punto sussiste un ampio
e risalente dibattito in dottrina tendente ad ampliare il concorso apparente
di norme alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante-fatto o
post-fatto non punibile: classificazioni ritenute tuttavia prive di sicure
basi ricostruttive, poichè individuano elementi
incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico tutelato
dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di
maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo
suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti. In particolare, la loro applicazione quale
criterio ermeneutico è stata ripetutamente negata
dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite per la mancanza di riferimenti
normativi che consentano un collegamento di tale ricostruzione alla voluntas legis. 3.2. La
giurisprudenza delle Sezioni Unite risulta invece
saldamente fondata sul criterio di specialità, individuato quale unico
principio legalmente previsto in tema di concorso apparente, con ampliamento
della sua applicazione alle ipotesi di illeciti amministrativi secondo la
previsione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, che ha imposto la comparazione delle fattispecie
astratte, prescindendo dalla qualificazione, penale o amministrativa, degli
illeciti posti a raffronto. In tal
senso, in maniera coerente, si sono pronunciate ripetutamente le Sezioni
unite
(Sez. U, n. 1963 del 4. Più di recente è stata avvertita
l'esigenza di porre in discussione tali consolidati principi sulla base della
rinnovata attenzione, convenzionale e costituzionale, al divieto del bis in
idem sostanziale, che trova riconoscimento, quale diritto fondamentale
dell'individuo, nell'art. 4 Prot. 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea, sulla base di quanto specificamente
elaborato anche dalla Corte EDU con la sentenza Appare al Collegio, per contro, che tali
interventi non legittimino un mutamento giurisprudenziale sul tema oggetto di
esame. 4.1. Dall'attenta lettura dei provvedimenti
richiamati si ricava la presenza di un costante riferimento alla necessità di
una comparazione concreta e complessiva delle fattispecie con particolare
distinzione - quanto alla verifica del presupposto processuale di cui all'art. 649 c.p.p., e del suo corrispondente convenzionale dell'art. 4 Prot. 7
CEDU - al fatto oggetto di contestazione e, quanto all'individuazione
dell'unitarietà della fattispecie contestata, agli elementi costitutivi della
stessa, caratterizzati come sempre dalla correlazione azione - evento -
elemento psicologico, e dalla loro concreta attribuzione, attraverso il capo
di imputazione, alla persona sottoposta a giudizio. In particolare, le pronunce della Corte EDU
succedutesi in argomento, cui si è già fatto riferimento, fondano la
necessità di una comparazione di quanto contestato con l'oggetto di un
precedente giudizio; sottolineano la funzione
processuale di tale limite; e non escludono che la regolamentazione
sostanziale del fatto possa essere descritta in più di una disposizione incriminatrice (penale o amministrativa) stante la più
ampia libertà decisionale riconosciuta allo Stato nazionale in argomento.
Tali interpretazioni quindi non impediscono di ritenere il concorso di norme
nell'ipotesi in cui non si ravvisi la coincidenza materiale nella fattispecie
astratta. L'essenza del divieto espresso dalla
giurisprudenza della Corte EDU in materia è individuabile nella necessità di
non sottoporre ad accertamento due volte l'interessato per il medesimo fatto
storico, divieto che non ha natura assoluta, non essendo precluso il
perseguimento della persona sottoposta a controllo in due autonome procedure,
pur auspicandosi una trattazione unitaria, ma solo la sottoposizione ad
autonomo giudizio quando sia stato definito uno dei due. Si deve sottolineare che, anche ai fini processuali, l'oggetto
della comparazione riguarda accadimenti che costituiscono un insieme di
circostanze fattuali concrete riconducibili al medesimo colpevole ed
indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio. 4.2. Nè al fine di
sostenere la necessità di un ampliamento del campo di azione del concorso
apparente di norme, al di là della previsione
legale, risulta potersi utilmente evocare la sentenza della Corte cost. n. 200
del 2016
che ha ridefinito l'applicazione dell'art. 649 c.p.p., prescrivendola anche nell'ipotesi in cui oggetto del
giudizio concluso sia un reato in concorso formale con l'altro posto in
comparazione. Tale pronuncia ha precisato che, nel
discrimine tra fatto giuridico e naturalistico, essenziale per stabilire i
poli posti a raffronto, ad avere carattere giuridico è la sola indicazione
dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a
prendere in considerazione per valutare l'identità del fatto ed ha
espressamente chiarito che "la tutela convenzionale affronta il
principio del ne bis in idem con un certo grado di
relatività, nel senso che esso patisce condizionamenti tali da renderlo
recessivo rispetto ad esigenze contrarie di carattere sostanziale. Questa circostanza non indirizza l'interprete, in assenza di una
consolidata giurisprudenza Europea che lo conforti, verso letture necessariamente
orientate nella direzione della più favorevole soluzione per l'imputato,
quando un'altra esegesi della disposizione sia collocabile nella cornice
dell'idem factum". 5. Sicchè,
riportando l'analisi nell'ambito più strettamente attinente alla questione
rimessa a questo Collegio, si deve concludere che
sia l'univoca giurisprudenza della Corte di legittimità sia la mancanza di
principi che impongano l'ampliamento postulato dall'opposta tesi, sulla base
dell'evoluzione giurisprudenziale della Corte EDU e del Giudice delle leggi,
conducono ad escludere la presenza di un sostegno ermeneutico all'ipotesi di
considerare, nell'ambito dell'istituto del concorso apparente di norme,
criteri valutativi diversi da quello di specialità. 6. La schematizzazione descrittiva del
criterio di specialità, anche nelle più ampie declinazioni della specialità
bilaterale, non si attaglia alle fattispecie in esame, che hanno genesi e
sviluppo autonomo, posto che lo stesso può ravvisarsi
solo ove vi sia un identico contesto di fatto ed una delle norme contenga
necessariamente gli elementi dell'altra. 6.1. In particolare, la pronuncia che ha
argomentato in maniera più ampia sulla presenza del concorso apparente di
norme tra le due fattispecie (Sez. 6, n. 23063 del Per contro, la più risalente pronuncia (Sez.
2, n. 39644 del 6.2. Risulta a
questo punto necessario valutare gli elementi costitutivi dei reati oggetto
di analisi in questo procedimento, al fine di verificare la natura del
concorso ipotizzabile. E' del tutto pacifico che gli artifici e
raggiri non costituiscono l'unica modalità
attraverso la quale possa ottenersi la percezione dei finanziamenti e delle
altre forme di provvidenze previste dall'art. 316 bis c.p., così come, per
contro, la percezione illegittima, non necessariamente sfocia nello storno
delle somme erogate dalla loro finalità che individua l'elemento
caratterizzante della disposizione di cui all'art. 640 bis c.p. (Sez. U, n.
7537 del Nel senso indicato, oltre che la lettera
delle disposizioni, depongono lo sviluppo storico e
sistematico delle due previsioni incriminatrici. Si tratta di norme contenute in disposizioni
di legge autonome, ma entrate in vigore a brevissima
distanza l'una dall'altra, pari a poco più di un mese, e la mancata
previsione di clausole di riserva (le sole che, al di là del principio di
specialità, autorizzino un rapporto di valore tra le diverse disposizioni incriminatrici) depone di per sè
nel senso di una meditata definizione di autonomia delle fattispecie. Tale chiave di lettura si ricava anche dalle
valutazioni sulla complessiva finalità della disposizione che ha introdotto
l'art. 640 bis c.p., contenuta nella L. La norma è mirata a prevenire
l'infiltrazione di imprese che trovano origine o
possano connettersi a contesti criminali territoriali. Il bene giuridico
avuto di mira dal legislatore non è solo la protezione dallo storno delle
somme dalla finalità pubblica che si voleva imprimere con l'erogazione, ma
anche la corretta individuazione del beneficiario. Del resto, in linea di ricostruzione
astratta, l'acquisizione di fondi pubblici - a fondo perduto o a tassi
agevolati - non consente al percettore di realizzare un utile esclusivamente
attraverso lo storno delle somme dalle loro finalità, circostanza che
imporrebbe di ritenere la condotta caratterizzante la fattispecie di cui all'art. 316 bis c.p., quale inevitabile
prosecuzione della prima; ma ben può identificarsi anche nella convenienza
economica del credito, tale da permettere all'impresa che ne usufruisce un
margine di utile decisamente maggiore di quello
ritraibile a seguito del ricorso al credito a prezzi di mercato, e quindi da
consentire a coloro che vi accedono di recuperare quote di mercato maggiori,
quale effetto dell'abbattimento dei costi. 7. La considerazione di tali profili pone in
evidenza l'autonomia esistente tra le fattispecie. L'artificio e raggiro, ove sfociante
nell'erogazione, crea un indubbio vantaggio al
percettore, con danno dell'ente erogatore, che può essere economico, oltre
che, congiuntamente o disgiuntamente, riguardare la possibilità di incidere
sulla corretta distribuzione delle risorse, sia sul piano oggettivo che su
quello soggettivo; il danno inoltre si può realizzare anche nei confronti del
privato concorrente nell'erogazione del credito, in quanto ingiustamente pretermesso. 7.1. Quanto al primo profilo le Sezioni
Unite (sent. n. 26351 del Analogamente, il richiamo all'intera
disposizione di cui all'art. 640 c.p., utilizzato dalla parte descrittiva
della nuova disposizione per definirne i contorni caratterizzanti, impone di
escludere che questo si riferisca solo alla circostanza aggravante del danno
apportato all'ente pubblico di cui al comma 2, n. 1, dovendosi intendere
riferito anche alla fattispecie di cui al primo comma. Ciò rende rilevante,
ai fini della consumazione del reato, anche la verificazione di un danno
economico nei confronti dell'operatore concorrente, escluso illegittimamente
dall'accesso ai fondi, per effetto della falsa rappresentazione della realtà
esposta dall'autore del reato. 7.2. Ciò consente di cogliere l'assenza di
un nesso di interdipendenza necessaria tra i due
reati contestati, la cui consumazione presuppone una pianificazione autonoma
da parte dell'autore, rientrante nella figura del concorso di reati, che
eventualmente possono tra loro essere connessi da unicità ideativa. 7.3. Nè a diverse
conclusioni permette di giungere l'analisi del testo
della disposizione di cui all'art. 316 bis c.p., stante l'assoluta
indifferenza delle fase genetica del credito rispetto alla descrizione
normativa. Si vuole in particolare sottolineare che
nessun richiamo testuale consente di limitare l'applicazione della
disposizione ai soli contributi acquisiti lecitamente, poichè
la norma rimanda all'acquisizione del finanziamento, nelle sue varie forme,
come fatto storico, prescindendo dalla focalizzazione degli aspetti inerenti
alle modalità di ingresso nel patrimonio del destinatario di tali importi, cosicchè l'elemento genetico risulta indifferente al fine
della configurazione della fattispecie. 7.4. Sulla base delle richiamate differenze
tra le due fattispecie in comparazione si possono verificare almeno tre tipi
di situazioni diverse: a) il privato ottiene un finanziamento illecitamente
e, successivamente, utilizza la somma per scopi
privati (l'ipotesi più frequente); b) il privato ottiene con mezzi
fraudolenti l'erogazione, ma la destina effettivamente ad opere o attività
giustificanti il sostegno economico richiesto (ipotesi più rara ma non certo
impossibile); c) il privato ottiene legittimamente il finanziamento, ma
omette di destinarlo all'attività o all'opera di pubblico interesse per cui
era stato erogato. Nell'ultimo caso si verte in ipotesi di
malversazione "pura"; nel secondo viene in evidenza l'autonomia fra
le due fattispecie, in quanto il privato pone in
essere una truffa ma poi non compie una malversazione; nel primo caso dopo
aver compiuto la truffa, con una condotta anche cronologicamente autonoma ed
eventuale, il privato pone in essere la malversazione. Sussiste inoltre l'ulteriore
possibilità che l'importo riscosso sia destinato a fini pubblici diversi da
quelli avuti di mira dall'ente erogante, con condotta astrattamente
paragonabile alla figura giuridica del peculato per distrazione, ed anche in
questo caso il testo normativo non permette di escludere la consumazione del
reato. L'analisi dell'atteggiarsi delle fattispecie
astratte ha il pregio di mettere in luce come le situazioni concrete in cui i
due reati possono realizzarsi siano molteplici e possano combinarsi tra loro,
con modalità autonome. Il che sottolinea
la differenza strutturale tra le due fattispecie e le interferenze tra le
condotte che, anche se in via eventuale, possono verificarsi. La possibilità astratta di tali diverse
conseguenze porta a concludere che la soluzione
giuridica non può che essere quella del concorso materiale dei due reati
eventualmente, e solitamente, unificabili nel vincolo della continuazione. 7.5. Nè possono
considerarsi rilevanti, ai fini dell'assorbimento nella fattispecie minore in
quella più grave, i casi in cui nel concreto il reato si atteggi
come naturale prosecuzione della condotta truffaldina, ritenendo possibile
l'effetto di assorbimento. Una tale chiave interpretativa trascura l'elemento
essenziale dell'istituto del concorso di norme che
si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, per
apprezzare la valutazione implicita di correlazione tra norme ritenuta dal
legislatore, non dal loro atteggiarsi concreto, condizione che riguarda il
diverso istituto del concorso tra i reati e la valutazione dell'elemento soggettivo
al fine di accertare nel concreto la natura autonoma o unica dell'attività
ideativa. 7.6. Va da ultimo rimarcato che i due reati
si consumano fisiologicamente in tempi diversi - momento percettivo ed attività esecutiva, di natura omissiva istantanea -
della condotta finanziata, e che nel caso di specie la condotta qualificata
ai sensi dell'art. 316 bis c.p., si è distanziata di
parecchi anni rispetto alla percezione delle provvidenze. Tale condizione di
fatto, come già valutato da precedenti delle Sezioni Unite (sent. n. 23427 del La conclusione raggiunta sulle fattispecie risulta ulteriormente evidenziata dalla circostanza che il
reato di cui all'art. 316 ter c.p., omologo a quello di cui all'art. 640 bis c.p., pur procurando
l'identico evento d'indebita percezione dei fondi, è punito in modo più mite
di quest'ultima incriminazione, cosicchè rispetto a
questo la fattispecie di cui all'art. 316 bis c.p., che si
realizzerebbe ove gli importi riscossi vengano sottratti alle finalità a cui
erano destinati per essi stabilite, non potrebbe ridursi ad un irrilevante
post factum non punibile, pena l'irriducibile contraddizione della
ricostruzione sistematica. 7.7. Se, per comune indicazione proveniente
dalle esegesi in materia formulate dalla giurisprudenza di legittimità, il
rapporto tra le norme in esame è estraneo al criterio di specialità, deve
escludersi anche l'operatività di quello di sussidiarietà, il cui presupposto
dogmatico - la connessione dei fatti descritti secondo l'id
quod plerumque accidit -, al di là del mancato
riconoscimento normativo di tale principio in tema di concorso apparente di
norme, risulta concretamente escluso, nel rapporto tra le due norme, dalle
ricostruzioni espresse. 8. La violazione del principio di legalità
non può essere sostenuta dall'esigenza di evitare l'interpretazione in malam partem, posto che la
finalità evocata è superata dall'individuazione
dell'autonomia degli interessi tutelati e dalla conseguente necessità che
questi trovino riconoscimento. Tale esigenza risulta
ancora più cogente dalla considerazione in entrambe le fattispecie della
possibile provenienza comunitaria dei fondi: circostanza, questa, che impone
di non ignorare il costante richiamo della Corte di giustizia U.E.
all'effettività di tutela che l'ordinamento degli Stati nazionali deve
garantire agli interessi comunitari. Per contro, le esigenze di giustizia
sostanziale di correlazione della sanzione alla
gravità del fatto trovano ampia possibilità di tutela con l'applicazione dei
criteri ordinari in tema di concorso dei reati e nella previsione del
contemperamento del cumulo materiale della sanzione conseguente
all'applicazione dell'art. 81 c.p., ove se ne
riconoscano i presupposti. 9. Il quesito sottoposto all'attenzione
delle Sezioni Unite deve quindi essere risolto nel senso seguente: "Il reato di malversazione in danno
dello Stato (art. 316 bis c.p.) concorre con quello
di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.)". 10. Passando all'analisi degli ulteriori motivi di ricorso proposti si deve escludere
l'ammissibilità della deduzione inerente alla mancanza di elementi
caratterizzanti l'ipotesi di truffa, poichè la
declaratoria di prescrizione del reato impone una modifica della pronuncia
sul punto solo nell'ipotesi dell'emergere di risultanze che dimostrino la
presenza di condizioni che impongono il proscioglimento, secondo quanto
espressamente previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2: ipotesi, questa, esclusa con argomentazioni
adeguate e logiche, perciò incensurabili, dalle pronunce di merito. 11. Anche per la contestazione riguardante
la sussistenza del reato di cui all'art. 316 bis c.p., connesso alla
distrazione dei beni strumentali, risulta dirimente
rilevare che tutte le deduzioni contenute nell'atto di impugnazione non si
rapportano con le risultanze specificamente evidenziate dai giudici di
merito, ma sottolineano aspetti di fatto che, anche ove dimostrati,
risulterebbero inidonei a porre nel nulla le circostanze poste a logico
fondamento dell'accertamento di responsabilità. Nè
l'esame della norma sulla base della quale è stato erogato il finanziamento
evidenzia la non imperatività del carattere della novità dell'attività
beneficiata, in quanto tale presupposto costituisce,
sulla base del testo del D.Lgs. 21 aprile 2000, n.
185,
la condizione legittimante l'erogazione espressa dall'art. 1 ove prevede:
"Le disposizioni del presente titolo sono dirette a favorire
l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonchè
lo sviluppo di una nuova imprenditorialità": novum
che non è dato riscontrare nell'ipotesi di costituzione di una società
paravento, quale quella accertata nella specie. 12. Estranee all'ambito valutativo rimesso
al giudizio di legittimità risultano le censure
formulate con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche in favore della B., nonchè alla
sottoposizione alla condizione del pagamento della provvisionale in favore
della parte civile della sospensione concessa, e al mancato riconoscimento
della non menzione della condanna, riguardanti entrambe le ricorrenti. Si tratta, infatti, di decisioni rimesse
alla valutazione discrezionale del giudice di merito, rispetto alle quali la
mancata dimostrazione di insussistenza delle
condizioni fondanti la valutazione nel concreto o di assenza di motivazione
sul punto rende insuscettibili di censura le relative disposizioni. Quel che rileva è la presenza di una argomentazione di sostegno e la sua coerenza rispetto
alle emergenze di fatto, condizioni la cui sussistenza non è contestata nel
ricorso. 13. Al rigetto dei ricorsi consegue la
condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di rappresentanza della
parte civile INVITALIA s.p.a. in questo grado,
liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti
al pagamento delle spese processuali, nonchè alla
rifusione in favore della parte civile costituita delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro
6.000,00 oltre gli accessori di legge. Così deciso in Roma, il Depositato in Cancelleria il
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