Cassazione Penale, Sezione III, Sent. n. 422/2000, sulla
delega per la gestione di impianti di depurazione e responsabilità
penale
FATTO E DIRITTO
Il Pretore di Lucca, Sezione Distaccata di Pietrasanta, con sentenza
del 4 dicembre 1998, condannava alla pena di
40 milioni di ammenda N. D., titolare della Spa Hen aux, esercente
attività di lavorazione del marmo, per uno scarico
nel rio Bonazzera oltre i limiti tabellari, in violazione dell'articolo
21, 3° comma 1. 319/76, con l'aggravante della
recidiva, come accertato in località Querceta di Svezza il 4
dicembre 1995.
Contro questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato,
lamentando manifesta illogicità della
motivazione e travisamento del fatto, in quanto sarebbe risultata nel
dibattimento la esistenza di una effettiva
delega (anche se non scritta) a favore dello ing. Pino Riccardo per
il funzionamento tecnico degli impianti,
compreso quello di depurazione degli scarichi.
I1 ricorso è infondato.
I1 Pretore sul punto, con congrua e corretta motivazione, ha osservato
che, nel caso di specie,non si è trattato di
delega di funzioni, ma di non male assegnazione di mansioni tecniche,
non risultando per iscritto la prova di una
effettiva delega, con propri poteri decisionali ed autonomia finanziaria,
al di fuori di qualsiasi possibilità di
ingerenza della società, ossia dei suoi organi statutari e del
legale rappresentante.
Ha osservato il Pretore che l'autorizzazione era stata chiesta dall'attuale
ricorrente, che peraltro era anche recidivo
nel reato contestato.
Trattasi, all'evidenza, di valutazioni di merito incensurabile in sede
di legittimità e non è ravvisabile alcun vizio di
travisamento del fatto.
Lo scarico oltre i limiti tabellari nella fognatura è stato accertato
con sicurezza, attraverso un corretto prelievo dei
campioni e la regolarità delle analisi, le quali hanno evidenziato
valori superiori alla Tabella per i parametri PH,
materiali sedimentabili e materiali in sospensione totali.
Trattasi di scarico di "acque reflue industriali" (o da insediamento
produttivo secondo la vecchia dizione ex 1.
319/76), che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto
soggetto alla normativa sull'inquinamento delle
acque anche per i profili penali, in un caso analogo (Cass. Sez. III,
11.7.1995, n. 7691, imp. Mariotti, massima n.
202520).
Sulla questione della delega questa Corte ha avuto occasione di precisare
gradualmente un orientamento, al quale
si è attenuto il Pretore di Pietrasanta, allorché ne
ha respinto l'applicabilità nel caso in esame.
Con la sentenza Sez. III, n. 8116/89, imp. Pomari (e con altre successive,
Cass. Sez. III, 15.4.1991, n. 4262, imp.
Bartoluzzi;Cass. Sez. III, 8.11.1992, n. 6, imp. Furlano) questa Corte
escludeva, in via di principio, l'ammissibilità
della delega nella materia della tutela delle acque dell'inquinamento,
traendo argomenti; dalla mancata previsione
legislativa; dalla non delegabilità della responsabilità
penale che è personale; dalla previsione aperta di più
possibili soggetti responsabili con la dizione "chiunque effettua lo
scarico", orientata verso la "effettività", ed il
possibile concorso di più persone nello stesso reato, più
che in una canalizzazione tipizzata (come avviene nella
materia della sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro con le figure
distinte del datore di lavoro, dirigente e
preposto); dalla finalità pratica della norma volta ad evitare
l'evento dell'inquinamento oltre i limiti legali, possibile
solo con l'adozione di misure tecniche, organizzative, strutturali,
economiche tipiche delle decisioni del vertice
delle aziende; dalla natura sostanzialmente pericolosa per la salute
e l'ambiente degli insediamenti da cui deriva
l'inquinamento.
A questo orientamento si accompagnava e seguiva un indirizzo giurisprudenziale
che, senza negare in via di
principio la possibilità di delega, sottoponeva questa ad una
serie di precise e rigide condizioni oggettive e
soggettive atte ad escludere solo in via eccezionale la responsabilità
per colpa nel caso concreto (Cass. Sez. III,
13.3.1987, n. 175762, imp. Berti; Cass. Sez. III, 31.10.1990 n. 14342,
imp. Manghi; Cass. Sez. III, 18.4.1988, n. 180311,
imp. Colombo; Cass. Sez. III, 3.5.1996, n. 4422, imp. Altea; Cass.
Sez. III, 27.5.1996, n. 5242, imp. Zanoni; Cass. Sez.
III, 6.5.1996, n. 1570, imp. Bonaccorsi).
Riteneva, infatti, la Corte, con queste ultime decisioni, che la delega,
per poter agire quale scriminante della penale
responsabilità, debba essere accompagnata dalle seguenti condizioni:
a) la natura formale ed espressa, ossia una delega scritta;
b) la natura non occasionale, ma strutturale, nel senso della conformità
alle norme statutarie previa adozione
secondo le previa adozione secondo le procedure e da parte degli organi
competenti;
c) la specificità, nel senso di un puntuale contenuto;
d) la pubblicità;
e) l'effettivo trasferimento di poteri decisionali in capo al delegato,
con l'attribuzione di una completa autonomia di
gestione e con piena e completa disponibilità economica;
f) le dimensioni dell'impresa, tali da giustificare la necessità
di decentrare compiti e responsabilità;
g) la capacità ed idoneità tecnica del soggetto delegato;
h) l'insussistenza di una richiesta di intervento da parte del delegato;
i) la mancata conoscenza della negligenza o sopravvenuta inidoneità
del delegato;
1) che l'inquinamento non derivi da cause strutturali dovute ad omissioni
di scelte generali;
m) la natura eccezionale della delega e la necessità di una prova
rigorosa della osservanza di tutte le condizioni
sopra indicate.
Alla luce di quanto sopra ritiene la Corte che, anche nelle imprese
di grandi dimensioni, nel caso di delega,
sussista sempre la possibile responsabilità (anche del delegante)
almeno in due casi: uno oggettivo (allorché
l'inquinamento sia riconducibile a cause strutturali dovute a scelte
generali); uno soggettivo (allorché il dovere
generale di controllo, secondo diligenza e prudenza, non sia stato
esercitato dal delegante sull'attività od inattività
del delegato).
Questo prudente orientamento giurisprudenziale sembra debba essere ulteriormente
confermato nel caso di
specie, anche alla luce della nuova legge 152/99, che prevede lo stesso
reato contestato (superamento dei limiti
tabellari per scarichi di acque reflue industriali), con sanzioni penali
identiche (arresto e ammenda, in misura più
grave rispetto alla normativa precedente) sia per "chiunque", in via
generale, "effettua" scarichi (art. 59 comma 5),
sia "altresì" per il "gestore di impianti di depurazione" (senza
distinzione tra pubblici o privati) che superi gli stessi
valori tabellari "nell'effettuazione dello scarico" dal depuratore
(art. 59, comma 6).
Per i gestori di impianti di depurazione la nuova normativa sembra introdurre,
sotto il profilo soggettivo, la
previsione di una responsabilità attenuata, solo per "dolo o
grave negligenza".
Nel caso in esame, mancando qualsiasi delega valida, come accertato
in punto di fatto, il rappresentante legale
risponde, comunque, a titolo di colpa per lo scarico effettuato dall'insediamento
e del relativo depuratore nella
fognatura.
Ci si domanda quale sarebbe la soluzione gi ridica nel caso di delega
alla luce della nuova normativa.
Un primo problema - che, si ripete, nel caso in esame non è rilevante
- riguarda la eventuale illegittimità
costituzionale dell'articolo 59, comma 6 della legge 152/99 per contrasto
con gli articoli 2, 3, 9, 32, 41 della
Costituzione, in quanto - a parità di condizione oggettiva (scarico
oltre i limiti tabellari)_ sembra distinguere la
posizione soggettiva di chi "effettua" lo scarico (rappresentante legale,
presidente, amministratore unico, titolare)
rispetto al soggetto che gestisce il depuratore (nell'ipotesi che sia
diverso dal titolare, appartenendo alla stessa
struttura produttiva o esterno alla medesima oppure gestore di fognatura
pubblica).
Per non violare il principio di uguaglianza e per evitare danni sostanziali
ai valori costituzionali della salute e
dell'ambiente ed assicurare all'attività economica il non contrasto
con l'utilità sociale, dovrà chiarirsi il significato
dello avverbio "altresì" ed il significato di "grave negligenza",
di cui alla norma citata.
Questa Corte ha già chiarito che la "grave negligenza", non esclude
il dovere oggettivo di predisporre le misure
tecniche preventive in misura adeguata ad evitare il superamento dei
limiti legali, in quanto la colpa ricomprende
anche la prudenza e la perizia, sempre necessarie nell'esercizio di
una attività da cui possano derivare pericoli per
valori costituzionali, quali la salute e l'ambiente.
La delega eventuale al gestore dell'impianto di depurazione - proprie
per l'ipotesi di una responsabilità soggettiva
attenuata di quest'ultimo non potrebbe escludere la penale responsabilità
dei titolari della struttura produttiva nei
casi di omessa adozione di misure tecnologiche adeguate nel tipo e
modo di produzione e nella scelta del
depuratore idoneo.
Così interpretata la norma, si eviterebbe un conflitto con i
principi costituzionali e la possibile delega al gestore
dell'impianto di depurazione non potrebbe essere utilizzata per violare
i principi di tutela delle acque, ancor più
rigorosi, introdotti dalla nuova legge 152/99.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
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