Cass. pen., sez. III, sent. 19 ottobre 2004, n. 40618
sulla posizione di garanzia nei reati commissivi mediante omissione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Paolino DELL’ANNO - Presidente -
Dott. Antoinio ZUMBO - Consigliere -
Dott. Pierluigi ONORATO - Rel. Consigliere -
Dott. Claudia SQUASSONI - Consigliere -
Dott. Carlo GRILLO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) L. F., n. a X il X;
2) B. A., n. a X il X;
avverso la sentenza resa il 20.12.2002 dal tribunale monocratico di
Prato.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi
Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Passacantando Guglielmo, che ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso;
Udito il difensore dell'imputato B., avv. G. M., che ha insistito nel
ricorso.
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza del 20.12.2002 il giudice monocratico del tribunale di
Prato, in sede di opposizione a decreto penale, condannava A. B. alla
pena di € 3.000 di ammenda e F. L. a quella di € 2.000 di ammenda quali
colpevoli del reato di cui all'art. 51, comma 1, D. Lgs. 22/1997,
perché, il primo quale presidente della s.r.l. X, committente
dei lavori per opere di urbanizzazione primaria di una lottizzazione in
località "X" del comune di X, e il secondo, quale direttore dei
lavori per conto della medesima società, avevano consentito che
la ditta appaltatrice X effettuasse abusivamente nell'area lottizzata
attività di raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi
(materiali di risulta da attività edili). Il legale
rappresentante della X, P. L., e il direttore di cantiere R. N., erano
imputati dello stesso reato per avere concretamente effettuato la
suddetta attività; ma, avendo fatto richiesta di riti
alternativi, venivano giudicati in separato processo.
Con la suddetta sentenza, in particolare, il giudice di merito rilevava
che - come accertato durante un sopralluogo del 2.3.2000 da personale
del Corpo Forestale e della Polizia Municipale - la ditta appaltatrice
aveva accumulato nell'area lottizzata di proprietà della X
cumuli di materiale, costituito sia da terre e rocce, sia da altri
materiali provenienti da demolizioni, quali mattoni, mattonelle, pezzi
di cemento, asfalto, conglomerato bituminoso e simili, che dovevano
essere utilizzati per predisporre le opere di urbanizzazione
commissionate. In data 21.3.2000 la X aveva comunicato alla Provincia
di voler iniziare attività di recupero di rifiuti classificati
con i codici CER 170301 (asfalto contenente catrame) e 170701 (rifiuti
misti di costruzioni e demolizioni), previa messa in riserva
nonché macinatura e vagliatura. Ma in un successivo sopralluogo
del 14.4.2000 si accertava che la ditta aveva continuato a raccogliere
e depositare rifiuti prima di attendere il decorso di novanta giorni
dalla comunicazione, imposto dalla legge per legittimare la gestione
dei rifiuti medesimi.
I siti interessati dal deposito dei rifiuti venivano prima sequestrati,
quindi bonificati e restituiti alla società proprietaria.
2 - Avverso la sentenza di condanna hanno presentato ricorso entrambi
gli imputati.
Il L. deduce cinque motivi per inosservanza di legge penale e difetto
di motivazione.
In particolare lamenta che:
2.1 - a norma dell'art. 14 del D.L. 8.7.2002 n. 138 sulla
interpretazione autentica della definizione di rifiuto, i materiali
contestati non potevano qualificarsi come rifiuti, perché erano
stati riutilizzati per il compattamento e il livellamento del terreno
nei lavori di urbanizzazione;
2.2 - non poteva ravvisarsi alcuna colpa a carico del proprietario
dell'area, il quale non ha alcun obbligo di recintare il suo terreno;
2.3 - doveva essere assolto ai sensi dell'art. 47, comma 1, c.p., per
errore sul fatto, avendo incolpevolmente ignorato la natura di rifiuto
dei materiali utilizzati;
2.4 - come direttore dei lavori nell'interesse della ditta committente
non poteva ritenersi obbligato a controllare la qualità dei
materiali utilizzati dalla ditta appaltatrice per l'esecuzione dei
lavori commissionati;
2.5 - mancava correlazione tra la condotta contestata (di carattere
omissivo, per non aver impedito la raccolta dei rifiuti) e quella
ritenuta in sentenza (di carattere commissivo, per aver consentito la
raccolta dei rifiuti).
3 - Dal canto suo il B. ha dedotto tre motivi.
3.1 - Col primo lamenta violazione dell'art. 522 c.p.p. perché
gli era stata contestata una condotta omissiva, mentre il giudice l'ha
ritenuto responsabile per una condotta commissiva.
3.2 - Col secondo lamenta travisamento dei fatti e vizio di
motivazione: a) laddove il giudice ha ritenuto che la consegna dei
lavori alla X era avvenuto il 28.1.2000, anziché il 28.2.2000,
traendone la conseguenza che in oltre un mese e mezzo (cioè sino
alla data del primo sopralluogo del 2.3.2000) il L. non poteva aver
ignorato i materiali utilizzati per l'esecuzione delle opere di
urbanizzazione in località X; b) laddove il giudice ha ritenuto
la responsabilità del legale rappresentante della X sulla base
di un giudizio meramente probabilistico, in particolare sulla
circostanza che, malgrado la lunga attività di bonifica, non
risultano controversie in ordine ai relativi oneri tra società
committente e impresa appaltatrice.
3.3 - Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt.
51, comma 1, 28 e 33 D. Lgs. 22/1997, giacché il committente di
lavori edilizi non può considerarsi responsabile della
inosservanza delle norme in materia di rifiuti da parte dell'assuntore
dei lavori stessi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Vanno anzitutto disattese le censure relative alla violazione
dell'art. 522 c.p.p. (nn. 2.5 e 3.1).
Il Pubblico Ministero aveva contestato il reato di cui all'art. 51
D.Lgs. 22/1997 al L., legale rappresentante della società
appaltatrice, al N., dipendente del L. e direttore del cantiere, al B.
presidente della società committente, e al L., direttore dei
lavori per conto del committente, perché "ciascuno con una
condotta indipendente, attiva od omissiva, effettuavano i primi due, e
consentivano che venisse effettuata, il terzo e il quarto,
attività di raccolta e smaltimento di rifiuti speciali non
pericolosi" in violazione delle norme di legge. In tal modo veniva
contestato non il concorso di persone nell'unico reato
contravvenzionale (infatti l'imputazione non contiene alcun richiamo
all'art. 110 c.p.), ma il concorso di reati autonomi, senza considerare
che almeno per coloro che avevano "consentito" alla altrui gestione dei
rifiuti ricorreva la coscienza di cooperare alla condotta penale dei
coimputati, secondo lo schema tipico del concorso personale.
Ma a parte questa incongruenza, resta il fatto che il L. e il N. sono
stati imputati di avere, con una condotta attiva, esercitato
abusivamente la raccolta e lo smaltimento di rifiuti; mentre il B. e il
L. sono stati imputati per aver "consentito", con una condotta
omissiva, l'abusiva attività di raccolta e smaltimento di
rifiuti effettuata dai primi. In altri termini, agli odierni ricorrenti
è stato contestato (anche se con una formulazione
sostanzialmente contraddittoria) un concorso per omissione in un reato
commissivo, che non può avere altro fondamento che la c.d.
causalità omissiva disciplinata dall'art. 40 cpv. c.p.. Tuttavia
il giudice li ha ritenuti responsabili di una "condotta commissiva",
nella considerazione, desunta da alcune circostanza di fatto, che essi
conoscevano o dovevano conoscere la qualità dei materiali usati
dagli altri due coimputati per il livellamento e la predisposizione del
terreno al fine di realizzare le opere di urbanizzazione commissionate
(pag. 4 sentenza impugnata).
Peraltro, in tal modo, nonostante la terminologia usata, il giudice ha
solo accertato la compartecipazione psichica di B. e L. al reato
commesso da L. e N., ma non ha concretamente verificato e affermato
alcun comportamento "commissivo" dei primi, tale non potendo
qualificarsi il mero "conoscere" la condotta commissiva dei secondi, e
neppure il semplice "consentire" a questa condotta. Per conseguenza,
dall'attento esame della motivazione, non può affermarsi che la
sentenza ha trasformato la natura del reato contestato agli odierni
ricorrenti, da omissiva a commissiva; o, più esattamente, si
deve affermare che il giudice ha erroneamente qualificato come
commissivo il fatto-reato sostanzialmente contestato come omissivo,
senza però immutarne gli elementi materiali e psicologici.
Orbene, ai sensi dell'art. 521 c.p.p., il principio di correlazione tra
imputazione e sentenza non è violato quando il giudice da una
definizione giuridica diversa del fatto ma non ne immuta la concreta
storicità.
5 - Altrettanto infondata è la censura sulla qualità di
rifiuti dei materiali utilizzati per realizzare le menzionate opere di
urbanizzazione, formulata con riferimento alla norma di interpretazione
autentica di cui all'art. 14 del D.L. 138/2002, convertito in legge
8.8.2002 n. 178 (n. 2.1).
Per quello che interessa nella presente fattispecie, secondo la
interpretazione autentica fornita dall'art. 14, per rifiuto deve
intendersi quella sostanza di cui il detentore o produttore abbia
deciso di disfarsi, cioè di destinare a smaltimento o recupero
(comma 1); tuttavia non si considera rifiuto quella sostanza che, pur
avviata a smaltimento o recupero, sia però utilizzata nello
stesso o in altro ciclo produttivo senza alcun intervento preventivo di
trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente (comma 2, lett.
a)).
Queste concrete condizioni (il riutilizzo senza trattamento e senza
pregiudizio all'ambiente) configurano una deroga rispetto alla nozione
generale di rifiuto autenticamente interpretata; e come tali devono
essere positivamente e rigorosamente provate. Ma nel caso di specie
sussiste la prova che i materiali furono riutilizzati senza alcun
trattamento (come cernita e compattamento), ma non sussiste la prova
che difettava il pregiudizio per l'ambiente (v. sentenza impugnata).
Per questa ragione (a tacer d'altro) non è applicabile
l'interpretazione restrittiva di cui al citato art. 14. 5.1 - In questo
quadro va disatteso anche il motivo di ricorso coltivato solo dal L.,
che deduce una sua incolpevole ignoranza della natura di rifiuti dei
materiali utilizzati nel cantiere (n. 2.3).
Il ricorrente in realtà non deduce un errore sul fatto, di cui
al primo comma dell'art. 47 c.p., ma un errore sulla qualifica
giuridica del fatto, cioè sulla nozione di rifiuto di cui
all'art. 6 D.Lgs. 22/1997 e alla norma interpretativa del succitato
art. 14 legge 8.8.2002 n. 178. Si tratta però di leggi
integrative della fattispecie penale, e non di leggi extrapenali, per
cui si deve fare riferimento non al terzo comma dell'art. 47, ma
all'art. 5 c.p.. Orbene, ai sensi di quest'ultima norma, così
come modificata da Corte Cost. n. 364/1988, l'addotta ignoranza della
legge penale non può certo dirsi "inevitabile", considerato che
la esperienza e la professionalità del L., anche se non nello
specifico settore dei rifiuti, gli consentivano quanto meno di
informarsi adeguatamente al riguardo.
6 - Si pone a questo punto il delicato problema della
responsabilità del committente (B.) e del direttore dei lavori
(L.) in ordine alla gestione abusiva dei rifiuti operata
dall'appaltatore (L.) e dal preposto dipendente da quest'ultimo (il
capocantiere N.). Si tratta in sostanza della c.d. posizione di
garanzia dei primi due, giacché il concorso omissivo in un reato
omissivo, che è stato contestato e ritenuto a carico degli
stessi (v. sopra n. 4), ricorre solo quando gli imputati hanno ex art.
40 cpv. c.p. un obbligo di impedire l'evento, evento che in tal caso
coincide col reato direttamente commesso da terzi.
Il problema è delicato perché coinvolge l'armonica
applicazione da una parte del principio di solidarietà, tipico
dello stato sociale, che ispira l'obbligo di garanzia di cui all'art.
40 cpv. c.p., e, dall'altra, dei fondamentali principi di
legalità-tassatività e di responsabilità personale
nel diritto penale, che sono alla base dello stato liberale.
Per chiarezza, va soltanto premesso che nel caso di specie si tratta di
una posizione di garanzia che non si qualifica come obbligo di
protezione (es. quello del genitore nei confronti del figlio minore),
ma come obbligo di controllo (come ad es. quello di proprietari di cose
o animali pericolosi). Comunque, anche per gli obblighi di controllo,
come per gli obblighi di protezione, è tesi pacifica in
giurisprudenza e dominante in dottrina che fonte dell'obbligo deve
essere una norma di legge extrapenale o un contratto, sicché in
mancanza di una fonte legale o contrattuale non sussiste alcuna
posizione di garanzia ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p..
6.1 - Orbene, in tema di gestione dei rifiuti è tradizionale
l'affermazione che ogni soggetto che interviene nello smaltimento degli
stessi ha il dovere di accertarsi che colui al quale sono consegnati i
materiali per l'ulteriore fase di gestione sia fornito della necessaria
autorizzazione, sicché in caso di omesso controllo egli ne
risponde penalmente a titolo di concorso. A fondamento di questa
conclusione si richiama la norma dell'art. 2, comma 3, D.Lgs. 22/1997,
secondo cui "la gestione dei rifiuti si conforma ai principi di
responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti
nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di
beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi
dell'ordinamento nazionale e comunitario"; nonché la norma di
cui all'art. 10, comma 1, dello stesso decreto legislativo, secondo cui
"gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico
del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o
ad un soggetto che effettua le operazioni individuate nell'allegalo B
al presente decreto (i.e. le operazioni di smaltimento), e dei
precedenti detentori o del produttore dei rifiuti".
Sarebbe però profondamente sbagliato utilizzare queste fonti
legali per sostenere che anche il committente di lavori edili o
urbanistici è "garante" della corretta gestione dei rifiuti da
parte dell'appaltatore e quindi penalmente corresponsabile del reato di
abusiva attività di raccolta, trasporto, recupero o smaltimento
di rifiuti che l'appaltatore abbia effettuato nell'esecuzione
dell'appalto.
E infatti, neppure con una interpretazione estensiva si può
sostenere che il committente sia coinvolto nella produzione o
distribuzione e nemmeno nell'utilizzo o nel consumo di "beni da cui
originano i rifiuti" ai sensi dell'art. 2, comma 3; o che sia un
produttore o detentore dei rifiuti gravato dagli oneri dello
smaltimento a norma dell'art. 10, comma 1. Per riprendere il caso di
specie, il committente è soltanto il soggetto che, dal momento
in cui riceve in consegna l'opera appaltata e ultimata, diventa in
certo qual modo utilizzatole o consumatore dei rifiuti, impiegati come
sottofondo delle opere di urbanizzazione appaltate: nessun rapporto
diretto ha mai avuto, invece, con i "beni da cui originano i rifiuti" o
con la attività di produzione, raccolta, trasporto e smaltimento
dei rifiuti stessi.
6.2 - Ma, al di là della corretta esegesi delle fonti legali,
esistono altre ragioni di principio, ancor più importanti e
dirimenti, per escludere che dalle norme citate possa dedursi una
posizione di garanzia a carico del committente. Si allude al principio
di tassatività e a quello di responsabilità personale in
materia penale, il cui rispetto è imposto, sia pur
genericamente, dalla stessa succitata disposizione dell'art. 2, comma
3.
6.2.1 - Secondo il principio di tassatività, come sottolinea
un'autorevole dottrina, la fonte legale (ma anche contrattuale)
dell'obbligo di garanzia deve essere sufficientemente determinata, nel
senso che deve imporre obblighi specifici di tutela del bene protetto.
Esulano perciò dall'ambito operativo della responsabilità
per causalità omissiva ex art. 40 cpv., c.p. gli obblighi di
legge indeterminati, fosse pure il dovere costituzionale di
solidarietà economica e sociale (art. 2 Cost.), che costituisce
il generale fondamento costituzionale della responsabilità
omissiva, ma per se stesso non può essere assunto a base delle
specifiche responsabilità omissive dei singoli reati.
Alla stregua di questo principio non può dirsi che le citate
norme dell'art. 10 e (meno che mai) dell'art. 2 costituiscano obblighi
specifici da cui possa desumersi una posizione di garanzia a carico dei
committenti di lavori edilizi o urbanistici, in quanto tali.
6.2.2 - Secondo il principio di responsabilità penale personale,
infine, la condizione di "garante" rispetto a un bene da tutelare (nel
caso concreto, la integrità ambientale) presuppone in capo al
soggetto il potere giuridico di impedire la lesione del bene, ovverosia
quell'evento (reato) evocato dal capoverso dell'art. 40 c.p.. Quando
questa norma precisa che "non impedire un evento, che si ha l'obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo" fonda la
responsabilità penale dell'omittente non solo sull'obbligo, ma
anche sul connesso potere giuridico di questi di impedire l'evento.
Responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, anche
quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per
impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui
all'art. 27/1 Cost..
Alla luce di questo principio è evidente come il committente di
lavori edili o urbanistici non può essere "garante" della
corretta gestione di rifiuti da parte dell'appaltante, e quindi
penalmente responsabile della abusiva gestione di rifiuti eventualmente
effettuata dal secondo.
Il committente infatti non ha alcun potere giuridico di impedire
quell'evento in cui consiste il reato di abusiva gestione dei rifiuti
commesso dall'appaltatore. Egli, invero, ha diritto di controllare lo
svolgimento dei lavori nel suo interesse ex art. 1662 cod. civ., per
esempio verificando che i materiali utilizzati siano conformi a quelli
pattuiti o che le opere siano eseguite a regola d'arte; ma non ha il
diritto di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli
interessi ambientali, a meno che questi non coincidano col suo
interesse contrattuale. Più concretamente, ha la facoltà
di controllare la qualità dei materiali utilizzati per il
riempimento del terreno, ma non ha il potere (e non ha l'obbligo) di
chiedere all'appaltatore se è abilitato allo smaltimento dei
rifiuti utilizzati allo scopo; e tanto meno ha il potere di impedire
all'appaltatore non autorizzato di smaltire i rifiuti che lui utilizza
per lo svolgimento dell'appalto.
Discorso non dissimile deve farsi anche quando - come nel caso di
specie - il committente dei lavori è pure proprietario dell'area
su cui i lavori sono eseguiti, giacché come proprietario egli
non ha alcun potere giuridico specifico verso l'appaltatore, posto che
i rapporti reciproci sono regolati soltanto dal contratto di appalto.
6.2.3 - Per queste ragioni va condivisa la conclusione secondo cui il
committente dei lavori edili non può, per ciò solo,
essere considerato responsabile della mancata osservanza da parte
dell'assuntore di detti lavori, delle norme in materia di smaltimento
dei rifiuti, non essendo derivabile da alcuna fonte giuridica
l'esistenza, in capo al committente, di un dovere di garanzia della
esatta osservanza delle suindicate norme (Cass. Sez. III, n. 15165 del
1.4.2003, Capecchi, rv. 224706); mentre non può accettarsi,
almeno nella sua assolutezza, la tesi secondo cui il titolare di una
concessione edilizia committente dei lavori ha una posizione di
garanzia in ordine al corretto svolgimento dei lavori stessi da parte
dell'appaltatore anche in ordine alla gestione dei rifiuti (Cass. Sez.
III, n. 4957 del 21.4.2000, Rigotti, rv. 215943). In quest'ultimo caso,
peraltro, i lavori commissionati comprendevano anche la demolizione di
un fabbricato preesistente, cosicché il giudice di
legittimità ha ritenuto la posizione di garanzia del committente
anche in base alla considerazione che egli doveva qualificarsi come
"produttore" dei rifiuti derivanti dalla demolizione, con una
interpretazione quanto meno discutibile della nozione di produttore di
cui all'art. 6 lett. b) D.Lgs. 22/1997.
6.3 - A maggior ragione non può essere qualificato come
obbligato per garanzia il direttore dei lavori.
Questi infatti sovrintende alla esecuzione delle opere appaltate per
conto del committente, e come quest'ultimo è privo di qualsiasi
potere giuridico di impedire una illecita gestione dei rifiuti da parte
dell'appaltatore (in questo senso conclude anche la citata sentenza
Rigotti, rv. 215945).
7 - Alla luce dei principi su esposti la sentenza impugnata deve essere
annullata. Infatti il giudice di merito ha ritenuto la penale
responsabilità del committente B. e del direttore dei lavori L.
sul presupposto implicito che essi fossero "garanti" ex lege della
gestione dei rifiuti effettuata dalla ditta appaltatrice X. Al
contrario, nessun obbligo di garanzia gravava sugli imputati ricorrenti
sia per il periodo di esecuzione del contratto formale di appalto (che
la sentenza fa contraddittoriamente decorrere prima dal 28.1.2000 e poi
dal 28.2.2000), sia per il periodo precedente in cui la X eseguì
i lavori "in economia", atteso che con questa dizione giuridicamente
impropria si deve intendere che la ditta eseguì i lavori sempre
per conto della X anche prima della stipula per iscritto di un
contratto di appalto con relativo capitolato.
Resta però da verificare se un obbligo di garanzia gravasse ex
contractu sul committente e sul direttore dei lavori. Le clausole
contrattuali richiamate dalla sentenza non sono significative a questo
riguardo, perché si limitano a conferire al direttore dei lavori
la facoltà di verificare la qualità dei materiali usati
per la costruzione delle opere, riconoscendo all'appaltatore il potere
di scegliere la provenienza dei materiali stessi. Ma ciò non
esclude che un puntuale esame del contratto di appalto e del relativo
capitolato, che spetta solo al giudice di merito, possa individuare
altre specifiche fonti contrattuali di un obbligo di garanzia a carico
del B. e del L..
Per queste ragioni la sentenza deve essere annullata con rinvio allo
stesso tribunale pratese, che procederà a un nuovo giudizio in
base ai principi sopra esposti.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata nei
confronti dei ricorrenti e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di
Prato.
Così deciso in Roma il 22.9.2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 19 OTTOBRE 2004
|