sezione diretta a fini
scientifici dalla D. ssa Monica Sarti
Cass.
Pen., Sez. III, 19 ottobre 2004 n. 40618 sull’inesistenza di una
posizione di
garanzia ai fini dell’art. 40 cpv. c.p. del committente di lavori edili
in caso
di gestione abusiva di rifiuti da parte dell’appaltatore
1 - Con sentenza del 20.12.2002 il giudice
monocratico del
tribunale di Prato, in sede di opposizione a decreto penale, condannava
A. B.
alla pena di € 3.000 di ammenda e F. L. a quella di € 2.000 di ammenda
quali
colpevoli del reato di cui all'art. 51, comma 1, D. Lgs. 22/1997,
perché, il
primo quale presidente della s.r.l. X, committente dei lavori per opere
di
urbanizzazione primaria di una lottizzazione in località "X" del
comune di X, e il secondo, quale direttore dei lavori per conto della
medesima
società, avevano consentito che la ditta appaltatrice X
effettuasse
abusivamente nell'area lottizzata attività di raccolta e
smaltimento di rifiuti
non pericolosi (materiali di risulta da attività edili). Il
legale
rappresentante della X, P. L., e il direttore di cantiere R. N., erano
imputati
dello stesso reato per avere concretamente effettuato la suddetta
attività; ma,
avendo fatto richiesta di riti alternativi, venivano giudicati in
separato
processo.
Con la suddetta sentenza, in particolare, il giudice di merito rilevava
che -
come accertato durante un sopralluogo del 2.3.2000 da personale del
Corpo
Forestale e della Polizia Municipale - la ditta appaltatrice aveva
accumulato
nell'area lottizzata di proprietà della X cumuli di materiale,
costituito sia
da terre e rocce, sia da altri materiali provenienti da demolizioni,
quali
mattoni, mattonelle, pezzi di cemento, asfalto, conglomerato bituminoso
e
simili, che dovevano essere utilizzati per predisporre le opere di
urbanizzazione commissionate. In data 21.3.2000 la X aveva comunicato
alla
Provincia di voler iniziare attività di recupero di rifiuti
classificati con i
codici CER 170301 (asfalto contenente catrame) e 170701 (rifiuti misti
di
costruzioni e demolizioni), previa messa in riserva nonché
macinatura e
vagliatura. Ma in un successivo sopralluogo del 14.4.2000 si accertava
che la
ditta aveva continuato a raccogliere e depositare rifiuti prima di
attendere il
decorso di novanta giorni dalla comunicazione, imposto dalla legge per
legittimare la gestione dei rifiuti medesimi.
I siti interessati dal deposito dei rifiuti venivano prima sequestrati,
quindi
bonificati e restituiti alla società proprietaria.
2 - Avverso la sentenza di condanna hanno presentato ricorso entrambi
gli
imputati.
Il L. deduce cinque motivi per inosservanza di legge penale e difetto
di
motivazione.
In particolare lamenta che:
2.1 - a norma dell'art. 14 del D.L. 8.7.2002 n. 138 sulla
interpretazione
autentica della definizione di rifiuto, i materiali contestati non
potevano
qualificarsi come rifiuti, perché erano stati riutilizzati per
il compattamento
e il livellamento del terreno nei lavori di urbanizzazione;
2.2 - non poteva ravvisarsi alcuna colpa a carico del proprietario
dell'area,
il quale non ha alcun obbligo di recintare il suo terreno;
2.3 - doveva essere assolto ai sensi dell'art. 47, comma 1, c.p., per
errore
sul fatto, avendo incolpevolmente ignorato la natura di rifiuto dei
materiali
utilizzati;
2.4 - come direttore dei lavori nell'interesse della ditta committente
non
poteva ritenersi obbligato a controllare la qualità dei
materiali utilizzati
dalla ditta appaltatrice per l'esecuzione dei lavori commissionati;
2.5 - mancava correlazione tra la condotta contestata (di carattere
omissivo,
per non aver impedito la raccolta dei rifiuti) e quella ritenuta in
sentenza
(di carattere commissivo, per aver consentito la raccolta dei rifiuti).
3 - Dal canto suo il B. ha dedotto tre motivi.
3.1 - Col primo lamenta violazione dell'art. 522 c.p.p. perché
gli era stata
contestata una condotta omissiva, mentre il giudice l'ha ritenuto
responsabile
per una condotta commissiva.
3.2 - Col secondo lamenta travisamento dei fatti e vizio di
motivazione: a)
laddove il giudice ha ritenuto che la consegna dei lavori alla X era
avvenuto
il 28.1.2000, anziché il 28.2.2000, traendone la conseguenza che
in oltre un
mese e mezzo (cioè sino alla data del primo sopralluogo del
2.3.2000) il L. non
poteva aver ignorato i materiali utilizzati per l'esecuzione delle
opere di
urbanizzazione in località X; b) laddove il giudice ha ritenuto
la
responsabilità del legale rappresentante della X sulla base di
un giudizio
meramente probabilistico, in particolare sulla circostanza che,
malgrado la
lunga attività di bonifica, non risultano controversie in ordine
ai relativi
oneri tra società committente e impresa appaltatrice.
3.3 - Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt.
51, comma
1, 28 e 33 D. Lgs. 22/1997, giacché il committente di lavori
edilizi non può
considerarsi responsabile della inosservanza delle norme in materia di
rifiuti
da parte dell'assuntore dei lavori stessi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Vanno anzitutto disattese le censure relative alla violazione
dell'art. 522
c.p.p. (nn. 2.5 e 3.1).
Il Pubblico Ministero aveva contestato il reato di cui all'art. 51
D.Lgs.
22/1997 al L., legale rappresentante della società appaltatrice,
al N.,
dipendente del L. e direttore del cantiere, al B. presidente della
società
committente, e al L., direttore dei lavori per conto del committente,
perché
"ciascuno con una condotta indipendente, attiva od omissiva,
effettuavano
i primi due, e consentivano che venisse effettuata, il terzo e il
quarto,
attività di raccolta e smaltimento di rifiuti speciali non
pericolosi" in
violazione delle norme di legge. In tal modo veniva contestato non il
concorso
di persone nell'unico reato contravvenzionale (infatti l'imputazione
non
contiene alcun richiamo all'art. 110 c.p.), ma il concorso di reati
autonomi,
senza considerare che almeno per coloro che avevano "consentito" alla
altrui gestione dei rifiuti ricorreva la coscienza di cooperare alla
condotta
penale dei coimputati, secondo lo schema tipico del concorso personale.
Ma a parte questa incongruenza, resta il fatto che il L. e il N. sono
stati
imputati di avere, con una condotta attiva, esercitato abusivamente la
raccolta
e lo smaltimento di rifiuti; mentre il B. e il L. sono stati imputati
per aver
"consentito", con una condotta omissiva, l'abusiva attività di
raccolta e smaltimento di rifiuti effettuata dai primi. In altri
termini, agli
odierni ricorrenti è stato contestato (anche se con una
formulazione
sostanzialmente contraddittoria) un concorso per omissione in un reato
commissivo, che non può avere altro fondamento che la c.d.
causalità omissiva
disciplinata dall'art. 40 cpv. c.p.. Tuttavia il giudice li ha ritenuti
responsabili di una "condotta commissiva", nella considerazione,
desunta da alcune circostanza di fatto, che essi conoscevano o dovevano
conoscere la qualità dei materiali usati dagli altri due
coimputati per il
livellamento e la predisposizione del terreno al fine di realizzare le
opere di
urbanizzazione commissionate (pag. 4 sentenza impugnata).
Peraltro, in tal modo, nonostante la terminologia usata, il giudice ha
solo
accertato la compartecipazione psichica di B. e L. al reato commesso da
L. e
N., ma non ha concretamente verificato e affermato alcun comportamento
"commissivo" dei primi, tale non potendo qualificarsi il mero
"conoscere" la condotta commissiva dei secondi, e neppure il semplice
"consentire" a questa condotta. Per conseguenza, dall'attento esame
della motivazione, non può affermarsi che la sentenza ha
trasformato la natura
del reato contestato agli odierni ricorrenti, da omissiva a commissiva;
o, più
esattamente, si deve affermare che il giudice ha erroneamente
qualificato come
commissivo il fatto-reato sostanzialmente contestato come omissivo,
senza però
immutarne gli elementi materiali e psicologici. Orbene, ai sensi
dell'art. 521
c.p.p., il principio di correlazione tra imputazione e sentenza non
è violato
quando il giudice da una definizione giuridica diversa del fatto ma non
ne
immuta la concreta storicità.
5 - Altrettanto infondata è la censura sulla qualità di
rifiuti dei materiali
utilizzati per realizzare le menzionate opere di urbanizzazione,
formulata con
riferimento alla norma di interpretazione autentica di cui all'art. 14
del D.L.
138/2002, convertito in legge 8.8.2002 n. 178 (n. 2.1). 3.2 - Col
secondo
lamenta travisamento dei fatti e vizio di motivazione: a) laddove il
giudice ha
ritenuto che la consegna dei lavori alla X era avvenuto il 28.1.2000,
anziché
il 28.2.2000, traendone la conseguenza che in oltre un mese e mezzo
(cioè sino
alla data del primo sopralluogo del 2.3.2000) il L. non poteva aver
ignorato i
materiali utilizzati per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione in
località
X; b) laddove il giudice ha ritenuto la responsabilità del
legale
rappresentante della X sulla base di un giudizio meramente
probabilistico, in
particolare sulla circostanza che, malgrado la lunga attività di
bonifica, non
risultano controversie in ordine ai relativi oneri tra società
committente e
impresa appaltatrice.
3.3 - Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt.
51, comma
1, 28 e 33 D. Lgs. 22/1997, giacché il committente di lavori
edilizi non può
considerarsi responsabile della inosservanza delle norme in materia di
rifiuti
da parte dell'assuntore dei lavori stessi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Vanno anzitutto disattese le censure relative alla violazione
dell'art. 522
c.p.p. (nn. 2.5 e 3.1).
Il Pubblico Ministero aveva contestato il reato di cui all'art. 51
D.Lgs.
22/1997 al L., legale rappresentante della società appaltatrice,
al N.,
dipendente del L. e direttore del cantiere, al B. presidente della
società
committente, e al L., direttore dei lavori per conto del committente,
perché
"ciascuno con una condotta indipendente, attiva od omissiva,
effettuavano
i primi due, e consentivano che venisse effettuata, il terzo e il
quarto,
attività di raccolta e smaltimento di rifiuti speciali non
pericolosi" in
violazione delle norme di legge. In tal modo veniva contestato non il
concorso
di persone nell'unico reato contravvenzionale (infatti l'imputazione
non
contiene alcun richiamo all'art. 110 c.p.), ma il concorso di reati
autonomi,
senza considerare che almeno per coloro che avevano "consentito" alla
altrui gestione dei rifiuti ricorreva la coscienza di cooperare alla
condotta
penale dei coimputati, secondo lo schema tipico del concorso personale.
Ma a parte questa incongruenza, resta il fatto che il L. e il N. sono
stati
imputati di avere, con una condotta attiva, esercitato abusivamente la
raccolta
e lo smaltimento di rifiuti; mentre il B. e il L. sono stati imputati
per aver
"consentito", con una condotta omissiva, l'abusiva attività di
raccolta e smaltimento di rifiuti effettuata dai primi. In altri
termini, agli
odierni ricorrenti è stato contestato (anche se con una
formulazione
sostanzialmente contraddittoria) un concorso per omissione in un reato
commissivo, che non può avere altro fondamento che la c.d.
causalità omissiva
disciplinata dall'art. 40 cpv. c.p.. Tuttavia il giudice li ha ritenuti
responsabili di una "condotta commissiva", nella considerazione,
desunta da alcune circostanza di fatto, che essi conoscevano o dovevano
conoscere
la qualità dei materiali usati dagli altri due coimputati per il
livellamento e
la predisposizione del terreno al fine di realizzare le opere di
urbanizzazione
commissionate (pag. 4 sentenza impugnata).
Peraltro, in tal modo, nonostante la terminologia usata, il giudice ha
solo
accertato la compartecipazione psichica di B. e L. al reato commesso da
L. e
N., ma non ha concretamente verificato e affermato alcun comportamento
"commissivo" dei primi, tale non potendo qualificarsi il mero
"conoscere"
la condotta commissiva dei secondi, e neppure il semplice
"consentire" a questa condotta. Per conseguenza, dall'attento esame
della motivazione, non può affermarsi che la sentenza ha
trasformato la natura
del reato contestato agli odierni ricorrenti, da omissiva a commissiva;
o, più
esattamente, si deve affermare che il giudice ha erroneamente
qualificato come
commissivo il fatto-reato sostanzialmente contestato come omissivo,
senza però
immutarne gli elementi materiali e psicologici. Orbene, ai sensi
dell'art. 521
c.p.p., il principio di correlazione tra imputazione e sentenza non
è violato
quando il giudice da una definizione giuridica diversa del fatto ma non
ne
immuta la concreta storicità.
5 - Altrettanto infondata è la censura sulla qualità di
rifiuti dei materiali
utilizzati per realizzare le menzionate opere di urbanizzazione,
formulata con
riferimento alla norma di interpretazione autentica di cui all'art. 14
del D.L.
138/2002, convertito in legge 8.8.2002 n. 178 (n. 2.1). d un
raccoglitore
autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni individuate
nell'allegalo B al presente decreto (i.e. le operazioni di
smaltimento), e dei
precedenti detentori o del produttore dei rifiuti".
Sarebbe però profondamente sbagliato utilizzare queste fonti
legali per
sostenere che anche il committente di lavori edili o urbanistici
è
"garante" della corretta gestione dei rifiuti da parte
dell'appaltatore e quindi penalmente corresponsabile del reato di
abusiva
attività di raccolta, trasporto, recupero o smaltimento di
rifiuti che
l'appaltatore abbia effettuato nell'esecuzione dell'appalto.
E infatti, neppure con una interpretazione estensiva si può
sostenere che il
committente sia coinvolto nella produzione o distribuzione e nemmeno
nell'utilizzo o nel consumo di "beni da cui originano i rifiuti" ai
sensi dell'art. 2, comma 3; o che sia un produttore o detentore dei
rifiuti
gravato dagli oneri dello smaltimento a norma dell'art. 10, comma 1.
Per
riprendere il caso di specie, il committente è soltanto il
soggetto che, dal
momento in cui riceve in consegna l'opera appaltata e ultimata, diventa
in
certo qual modo utilizzatole o consumatore dei rifiuti, impiegati come
sottofondo delle opere di urbanizzazione appaltate: nessun rapporto
diretto ha
mai avuto, invece, con i "beni da cui originano i rifiuti" o con la
attività di produzione, raccolta, trasporto e smaltimento dei
rifiuti stessi.
6.2 - Ma, al di là della corretta esegesi delle fonti legali,
esistono altre
ragioni di principio, ancor più importanti e dirimenti, per
escludere che dalle
norme citate possa dedursi una posizione di garanzia a carico del
committente.
Si allude al principio di tassatività e a quello di
responsabilità personale in
materia penale, il cui rispetto è imposto, sia pur
genericamente, dalla stessa
succitata disposizione dell'art. 2, comma 3.
6.2.1 - Secondo il principio di tassatività, come sottolinea
un'autorevole
dottrina, la fonte legale (ma anche contrattuale) dell'obbligo di
garanzia deve
essere sufficientemente determinata, nel senso che deve imporre
obblighi
specifici di tutela del bene protetto. Esulano perciò
dall'ambito operativo
della responsabilità per causalità omissiva ex art. 40
cpv., c.p. gli obblighi
di legge indeterminati, fosse pure il dovere costituzionale di
solidarietà economica
e sociale (art. 2 Cost.), che costituisce il generale fondamento
costituzionale
della responsabilità omissiva, ma per se stesso non può
essere assunto a base
delle specifiche responsabilità omissive dei singoli reati.
Alla stregua di questo principio non può dirsi che le citate
norme dell'art. 10
e (meno che mai) dell'art. 2 costituiscano obblighi specifici da cui
possa
desumersi una posizione di garanzia a carico dei committenti di lavori
edilizi
o urbanistici, in quanto tali.
6.2.2 - Secondo il principio di responsabilità penale personale,
infine, la
condizione di "garante" rispetto a un bene da tutelare (nel caso
concreto, la integrità ambientale) presuppone in capo al
soggetto il potere
giuridico di impedire la lesione del bene, ovverosia quell'evento
(reato)
evocato dal capoverso dell'art. 40 c.p.. Quando questa norma precisa
che
"non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire,
equivale a cagionarlo" fonda la responsabilità penale
dell'omittente non
solo sull'obbligo, ma anche sul connesso potere giuridico di questi di
impedire
l'evento. Responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un
evento, anche
quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per
impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui
all'art.
27/1 Cost..
Alla luce di questo principio è evidente come il committente di
lavori edili o
urbanistici non può essere "garante" della corretta gestione di
rifiuti da parte dell'appaltante, e quindi penalmente responsabile
della abusiva
gestione di rifiuti eventualmente effettuata dal secondo.
Il committente infatti non ha alcun potere giuridico di impedire
quell'evento
in cui consiste il reato di abusiva gestione dei rifiuti commesso
dall'appaltatore. Egli, invero, ha diritto di controllare lo
svolgimento dei
lavori nel suo interesse ex art. 1662 cod. civ., per esempio
verificando che i
materiali utilizzati siano conformi a quelli pattuiti o che le opere
siano
eseguite a regola d'arte; ma non ha il diritto di interferire sullo
svolgimento
dei lavori a tutela degli interessi ambientali, a meno che questi non
coincidano col suo interesse contrattuale. Più concretamente, ha
la facoltà di
controllare la qualità dei materiali utilizzati per il
riempimento del terreno,
ma non ha il potere (e non ha l'obbligo) di chiedere all'appaltatore se
è
abilitato allo smaltimento dei rifiuti utilizzati allo scopo; e tanto
meno ha
il potere di impedire all'appaltatore non autorizzato di smaltire i
rifiuti che
lui utilizza per lo svolgimento dell'appalto.
Discorso non dissimile deve farsi anche quando - come nel caso di
specie - il
committente dei lavori è pure proprietario dell'area su cui i
lavori sono
eseguiti, giacché come proprietario egli non ha alcun potere
giuridico
specifico verso l'appaltatore, posto che i rapporti reciproci sono
regolati
soltanto dal contratto di appalto.
6.2.3 - Per queste ragioni va condivisa la conclusione secondo cui il
committente dei lavori edili non può, per ciò solo,
essere considerato
responsabile della mancata osservanza da parte dell'assuntore di detti
lavori,
delle norme in materia di smaltimento dei rifiuti, non essendo
derivabile da
alcuna fonte giuridica l'esistenza, in capo al committente, di un
dovere di
garanzia della esatta osservanza delle suindicate norme (Cass. Sez.
III, n.
15165 del 1.4.2003, Capecchi, rv. 224706); mentre non può
accettarsi, almeno
nella sua assolutezza, la tesi secondo cui il titolare di una
concessione
edilizia committente dei lavori ha una posizione di garanzia in ordine
al
corretto svolgimento dei lavori stessi da parte dell'appaltatore anche
in
ordine alla gestione dei rifiuti (Cass. Sez. III, n. 4957 del
21.4.2000,
Rigotti, rv. 215943). In quest'ultimo caso, peraltro, i lavori
commissionati
comprendevano anche la demolizione di un fabbricato preesistente,
cosicché il
giudice di legittimità ha ritenuto la posizione di garanzia del
committente
anche in base alla considerazione che egli doveva qualificarsi come
"produttore" dei rifiuti derivanti dalla demolizione, con una
interpretazione
quanto meno discutibile della nozione di produttore di cui all'art. 6
lett. b)
D.Lgs. 22/1997.
6.3 - A maggior ragione non può essere qualificato come
obbligato per garanzia
il direttore dei lavori.
Questi infatti sovrintende alla esecuzione delle opere appaltate per
conto del
committente, e come quest'ultimo è privo di qualsiasi potere
giuridico di
impedire una illecita gestione dei rifiuti da parte dell'appaltatore
(in questo
senso conclude anche la citata sentenza Rigotti, rv. 215945).
7 - Alla luce dei principi su esposti la sentenza impugnata deve essere
annullata. Infatti il giudice di merito ha ritenuto la penale
responsabilità
del committente B. e del direttore dei lavori L. sul presupposto
implicito che
essi fossero "garanti" ex lege della gestione dei rifiuti effettuata
dalla ditta appaltatrice X. Al contrario, nessun obbligo di garanzia
gravava
sugli imputati ricorrenti sia per il periodo di esecuzione del
contratto
formale di appalto (che la sentenza fa contraddittoriamente decorrere
prima dal
28.1.2000 e poi dal 28.2.2000), sia per il periodo precedente in cui la
X
eseguì i lavori "in economia", atteso che con questa dizione
giuridicamente impropria si deve intendere che la ditta eseguì i
lavori sempre
per conto della X anche prima della stipula per iscritto di un
contratto di
appalto con relativo capitolato.
Resta però da verificare se un obbligo di garanzia gravasse ex
contractu sul
committente e sul direttore dei lavori. Le clausole contrattuali
richiamate
dalla sentenza non sono significative a questo riguardo, perché
si limitano a
conferire al direttore dei lavori la facoltà di verificare la
qualità dei
materiali usati per la costruzione delle opere, riconoscendo
all'appaltatore il
potere di scegliere la provenienza dei materiali stessi. Ma ciò
non esclude che
un puntuale esame del contratto di appalto e del relativo capitolato,
che
spetta solo al giudice di merito, possa individuare altre specifiche
fonti
contrattuali di un obbligo di garanzia a carico del B. e del L..
Per queste ragioni la sentenza deve essere annullata con rinvio allo
stesso
tribunale pratese, che procederà a un nuovo giudizio in base ai
principi sopra
esposti.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata nei
confronti dei
ricorrenti e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Prato.
Così deciso in Roma il 22.9.2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 19 OTTOBRE 2004
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