Cass. Pen.,
sez. II, 29 settembre 2005, n. 35076, sulla
successione delle leggi penali nel tempo in materia di reati di usura
S. G., nato a X il X, e S. G., n.
a X il X, erano condannati dal Pretore di Modica, con sentenza del
18.3.1999,
alle pene come in atti, per concorso nel delitto di usura impropria
continuata
(artt. 81 cpv., 110 e 644 bis c.p.).
Su gravame degli imputati, la Corte di Appello di Catania perveniva,
per
entrambi, ad una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto,
emessa il
20.12.2001.
Avverso questa pronuncia ricorrono per cassazione parti civili “A.” e
M. C..
I ricorrenti muovono analoghe doglianze che si articolano su tre
motivi: 1)
inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 644 bis c.p., in
relazione
all'art. 644 c.p. nell'odierna formulazione e ad altre norme; 2)
manifesta
illogicità della motivazione; 3) inosservanza delle norme
processuali stabilite
a pena di inutilizzabilità e di inammissibilità.
Il nucleo centrale dei rilievi mossi alla sentenza di secondo grado si
sostanzia nel sostenere che la Corte territoriale ha ritenuto non
usurari i
prestiti effettuati dagli imputati sulla base di valutazioni non
corrette:
essa. invero, avrebbe erroneamente raffrontato il tasso di interesse
applicato
dagli imputati per i prestiti erogati alle parti civili con i tassi
applicati
dalle banche per un'altra categoria di operazione ben distinta dai
mutui, ossia
i rapporti di conto corrente, ed avrebbe di conseguenza errato anche
nel
ritenere applicabile l'anatocismo.
I ricorrenti rilevano che il predetto errore, oltre ad una violazione
di legge,
ha portato anche ad un ragionamento illogico e contraddittorio, dal
momento che
il raffronto è stato effettuato tra categorie di operazioni
disomogenee.
Sotto un terzo profilo eccepiscono che sarebbe stata posta a fondamento
del
convincimento del giudice di appello una memoria difensiva, non
utilizzabile a
fini probatori.
I ricorsi non sono fondati.
Per definire correttamente le questioni sollevate si deve esaminare, in
via
prioritaria data la sua importanza risolutiva, la tematica
dell'astratta
applicabilità ai fatti di causa della norma incriminatrice
dell'usura
impropria, sotto il profilo della successione delle leggi penali.
Il complesso percorso, attraverso il quale si sono snodate le scelte
del
legislatore, è approdato ad una previsione caratterizzata
dall'intento di
delineare una disciplina in chiave tendenzialmente oggettiva, che
faccia perno
essenzialmente su un rapporto di sproporzione tra le prestazioni,
predeterminata “a monte” in via normativa nel testo originario; D.l.
306/92
conv. nella legge 356/92; legge 108/96).
Attualmente si può dire che, in linea generale, il reato di
usura comune si
configura per l'oggettivo superamento del prestabilito tasso soglia
degli
interessi, indipendentemente dalla condizione della persona offesa; il
terzo
comma, secondo periodo, dell'art. 644 c.p., tuttavia, prevede un
criterio
diverso, soggettivo, che prescinde dalla misura del tasso legalmente
qualificato e si aggancia a due condizioni, lasciate all'apprezzamento
discrezionale del giudice di merito: a) la sussistenza di una
sproporzione tra
la prestazione dell'usuraio e gli interessi (o altri vantaggi o
compensi)
corrisposti dalla vittima, avuto riguardo alle concrete modalità
del fatto e al
tasso medio praticato per operazioni similari; b) la situazione di
difficoltà
economica o finanziaria in cui deve trovarsi la vittima (questa seconda
condizione non è tuttavia in discussione).
Chiarita la regolamentazione normativa del delitto di usura, si deve
osservare
che in caso di abrogazione di una disposizione incriminatrice con
contestuale
emanazione di altra norma incriminatrice non si può
automaticamente ritenere
che tutte le condotte anteatte e rientranti nella disposizione
precedente
divengano non punibili, ma occorre stabilire, alla luce del disposto
dell'art.
2 c.p., se la condotta sottoposta a giudizio continui a costituire
reato anche
per la legge posteriore; in caso affermativo, subentrerà
l'applicazione del
principio del favor rei, nel senso che i fatti punibili alla stregua di
entrambe le norme saranno sottoposti alla disciplina sanzionatoria
più
favorevole, facendo così rivivere per questi limitati effetti -
la norma
abrogata.
Se vi sia una soppressione del reato, con cesura per le condotte
precedentemente messe in atto, ovvero se si verifichi il fenomeno del
rapporto
di successione normativa, con legame di continuità col passato,
è questione
rimessa - ove non legislativamente definita al prudente apprezzamento
dell'interprete, il quale dovrà operare un raffronto fra gli
elementi
strutturali delle fattispecie, mettendo una particolare attenzione
all'oggetto
della tutela ed all'intenzione del legislatore.
Proprio in base ad una lettura comparativa delle norme in esame - con
puntualizzazione dell'oggetto della tutela penale accordata e della
volontà del
legislatore (tesa a reprimere in maniera più vasta ed intensa
comportamenti
illeciti, certamente non ad abbassare il livello di guardia in una
materia di
forte impatto sociale ed economico) - si deve pervenire alla
conclusione che la
dizione del citato art. 644, comma 3 secondo periodo, come introdotto
dall'art.
1, comma 1, legge 108/96 assicura continuità normativa con
l'art. 644 bis c.p.
formalmente abrogato dall'art. 1, comma 2, della stessa legge 108/96,
in quanto
la nuova disposizione ha inglobato in sé gli elementi
costitutivi del reato di
usura impropria, dando luogo non già ad un fenomeno di abolitio
criminis, bensì
solo ad una diversità di trattamento punitivo di un medesimo
fatto, soggetto
alla disciplina dell'art. 2, comma 3, c.p. (v. Cass., Sez. V, sentenza
31683/01
RV 219850).
Ciò posto, la Corte territoriale ha considerato come valido
punto di
riferimento per stabilire l'usurarietà o meno dei tassi
praticati dagli
imputati il criterio stabilito dall'attuale dizione dell'art. 644 c.p.
(in
particolare i commi 3 e 4), con riguardo anche al concetto di
proporzionalità.
Essa, anche attraverso la disamina dei tassi di interesse praticati
all'epoca
dei fatti dagli istituti di credito, ha concluso per la non
usurarietà del
prestito de quo. Ma il punto essenziale in fatto è che la Corte
di merito ha
rilevato come risultasse dalle emergenze processuali che gli imputati
hanno
praticato all'incirca gli stessi tassi che il M. pagava alla Banca.
I conteggi specifici e le varie voci considerate nella sentenza e le
opposte
considerazioni e valutazioni offerte dai ricorrenti non incidono sul
rilievo
fondamentale che il tasso incriminato aveva stretta relazione con
quello
operato in genere: si tratta di un dato fattuale e concreto, assorbente
rispetto a valutazioni e calcoli di carattere astratto e generale.
Sulla base di queste considerazioni i ricorsi devono essere rigettati,
in
quanto le ulteriori contestazioni si risolvono in una rivalutazione del
fatto,
mentre l'eccezione di inutilizzabilità della memoria difensiva
è comunque
assorbita dalla precedente esposizione, non assumendo rilevanza ai fini
del
decidere.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese
processuali.
Così deciso in Roma, il giorno 7.6.2005.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 29 SETTEMBRE 2005
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