La sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giangiulio AMBROSINI - Presidente -
Dott. Ilario MARTELLA - Consigliere -
Dott. Antonio Stefano AGRO’ - Consigliere -
Dott. Giorgio COLLA - Consigliere -
Dott. Nello ROSSI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso promosso da X. O. contro la sentenza 14 luglio 2004 della
Corte d'Appello di Ancona;
Udita la relazione del Consigliere Antonio Stefano Agró;
Udito il P.G. Elisabetta Cesqui che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. X. O., ritenuto responsabile di resistenza a pubblico ufficiale,
ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe.
2. Afferma che dallo stesso testo della pronunzia è dato
ricavare come nella sua condotta difettino gli elementi costitutivi del
reato. D'altra parte il tentativo fatto dal Carabiniere di accesso
nella sua abitazione non era legittimo, in quanto non v'era alcun
sospetto di detenzione di armi. Sussisteva allora la scriminante della
reazione ad atto arbitrario del pubblico ufficiale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La Corte d'Appello di Ancona ricorda come i carabinieri si presentarono
a casa del ricorrente perché il fratello di costui, privo del
permesso di soggiorno ed anzi già espulso dall'Italia, aveva
affermato di dormire presso il congiunto. Ricorda ancora come lo X. si
fosse opposto all'accesso nella sua abitazione senza un mandato di
perquisizione e come, ciononostante, i carabinieri non si fossero
allontanati, ma avessero iniziato tale perquisizione, alla quale
l'imputato oppose resistenza.
2. Ora la stessa Corte d'Appello percepisce giustamente che in questa
situazione la violazione dell'appartamento dello X., terzo rispetto
all'attività d'ufficio fin allora svolta dagli agenti, si
rappresentava obbiettivamente quale atto invasivo dei diritti
fondamentali e quindi bisognevole di una accettabile giustificazione
per non essere qualificata come arbitraria. E tale giustificazione
crede di fornire richiamandosi al tulps, laddove autorizza la
perquisizione ad iniziativa della polizia in caso di sospetto di
detenzione di armi.
Afferma testualmente che "la condotta tenuta dall'O. nel contesto
appariva estremamente minacciosa ed il suo atteggiamento faceva nascere
il naturale sospetto che egli detenesse a casa armi e da qui una
condotta assolutamente ostruzionistica all'effettuazione di una
perquisizione".
3. In tal modo argomentando, la Corte d'Appello (che peraltro non
spiega perché l'ostruzionismo del ricorrente, sia pure
accompagnato da invettive verso il maresciallo, si dovesse qualificare
come "estremamente minaccioso") sembra dunque legittimare
l'atteggiamento di chi dubita che le persone possano essere motivate
semplicemente da un senso di ribellione avverso l'aggressione ai propri
diritti, quando tale aggressione é operata dalle forze
dell'ordine, e crede invece che tale ribellione sia strumentale a
coprire situazioni di illegalità in cui i soggetti, specie se di
diversa nazionalità, comunque verserebbero.
4. Ma una simile massima di esperienza, in quanto alla fine frutto del
diniego dell'altrui dignità, non può certo essere
accettata, con la conseguenza che un sospetto di detenzione di armi,
basato sul fatto che non si é prestata acquiescenza ad una
perquisizione altrimenti arbitraria ed anzi ad essa ci si é
opposti minacciosamente, non può mai corrispondere al sospetto
contemplato dalle leggi di pubblica sicurezza, il quale deve invece
trovare un ragionevole fondamento.
5. Ne consegue che non sussistendo i requisiti che legittimavano la
perquisizione, il ricorrente, nell'abbandonarsi poi alla violenza,
reagì ad un atto arbitrario e che la sentenza impugnata va
annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non
costituisce reato.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2005.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 6 GIUGNO 2005
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