Cass. Pen., sez. V, 7 giugno 2006 n. 19509 sul diritto di
critica in ambito
politico
MOTIVI DELLA
DECISIONE
Il Giudice di Pace di Milano condannava R. P. alla pena della multa,
per avere
offeso l'onore e il decoro di B. S., Presidente del Consiglio dei
Ministri,
proferendo al suo indirizzo le seguenti espressioni: «Fatti
processare, buffone!
Rispetta la legge, rispetta la democrazia o farai la fine di Ceausescu
e di don
Rodrigo».
Il giudice escludeva la sussistenza dell'esimente di cui all'art. 51
c.p., sia
per la violazione del limite della continenza, sia perché,
essendosi svolto
l'episodio nei corridoi del palazzo di giustizia di Milano, difettava
il
contrasto stesso nel quale si inquadra il diritto di critica.
- Ricorre l'imputato, che ribadisce gli assunti difensivi prospettati,
lamentando violazione di legge e vizio di motivazione. Egli rammenta il
particolare momento in cui si svolse la vicenda, ossia il maggio 2003,
quando
il querelante, al centro del dibattito politico per il noto conflitto
di
interessi che lo riguardava, era imputato nel processo Sme a Milano e
promuoveva leggi ad personam (legge Cirami, legge sulle rogatorie
internazionali, legge di modifica del reato di falso in bilancio).
Il prevenuto è un giornalista free lance, collaboratore di vari
giornali,
sensibile alla questione morale della politica italiana, organizzatore
di
dibattiti sul tema.
L'epiteto “buffone”, opportunamente contestualizzato, perde la sua
carica
lesiva e va comunque inserito nell'ambito della critica politica, che
si
esprime con toni anche aspri e sgradevoli.
Le circostanze dimostrano chiaramente - prosegue il ricorrente - che la
strategia processuale adottata dal querelante era dilatoria e
defatigante e,
dunque, contraria ai doveri di un cittadino investito di elevate
funzioni
pubbliche. E tale strategia si coniugava con i ripetuti attacchi del
partito
del querelante contro l'ordine giudiziario.
L'imputato richiamava pure la decisione del caso Oberschick da parte
della
Corte europea dei diritti dell'uomo dell'1 luglio 1997, che ha ritenuto
che
l'espressione “idiota” rivolta da un giornalista ad un personaggio
politico
molto in vista in un art. improntato a critica poteva essere
considerata
polemica, ma non costituiva gratuito attacco personale.
Non diversamente, pertanto, assume il R., l'epiteto “buffone” esprime
veemente,
ma legittima critica rivolta al querelante, la cui condotta appariva
elusiva
del rispetto della legge. È stata presentata memoria difensiva
all'odierna
udienzaIl ricorso è fondato.
Il diritto di critica può manifestarsi anche in maniera
estemporanea, non
essendo necessario che si esprima nelle sedi, ritenute più
appropriate,
istituzionali o medianiche, ove si svolgano dibattiti fra i
rappresentanti
della politica ed i commentatori. Diversamente, verrebbe indebitamente
limitato, se non conculcato, il diritto di manifestazione del pensiero
che
spetta al comune cittadino. Irrilevante, dunque, è la
circostanza che nella
specie la censura sia stata esternata nei corridoi di un palazzo di
giustizia,
che appare anzi particolarmente idoneo, come sede privilegiata, a
suscitare
riflessioni sul tema della legalità e del rispetto della legge.
Che si tratti di una critica lo si desume in maniera non dubbia dal
fatto che
l'imputato ha fatto seguire all'epiteto incriminato espressioni che
suonano
come forte riprovazione della condotta tenuta dal querelante come homo
publicus. L'esortazione pressante «fatti processare, rispetta la
legge» è una
vibrata ed accorata censura, istintivamente suscitata dalla presenza
del
personaggio che a tante polemiche e contrasti aveva dato origine.
Non a caso il ricorrente ha rammentato temi scottanti, che hanno
profondamente
diviso l'opinione pubblica, dando luogo a critiche anche da parte della
stampa
estera: il conflitto di interessi, le leggi definite ad personam, il
rapporto
fra i parlamentari e la giurisprudenza.
Del carattere di critica politica dell'esternazione è conferma
ulteriore
l'evocazione del dittatore romeno Ceausescu e del personaggio
manzoniano
simbolo di sopraffazione ed arbitrio (don Rodrigo).
Ciò che denota il profondo senso di protesta per il vulnus che
il R. riteneva
inferto a valori primari dello stato di diritto, come quello della
eguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge ed ai giudici che la applicano.
È noto che il diritto di critica si concreta nella espressione
di un giudizio o
di un'opinione che, come tale, non può essere rigorosamente
obiettiva. Ove il
giudice pervenga, attraverso l'esame globale del contesto espositivo, a
qualificare quest'ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti
dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e
dalla
correttezza di espressione (Cassazione, Sezione quinta, 11211/93,
Paesini, in
tema di diffamazione a mezzo stampa; 6416/04, Pc in proc. Ambrosio;
7671/84,
Hendi).
Non è trattato di gratuità l'espressione alla persona del
querelante, ma di
forte critica, speculare per intensità al livello di dissenso
nell'ambito
politico e nell'opinione pubblica dalla delicatezza dei problemi posti
ed
affrontati dalla p.o..
Il diritto di critica riveste necessariamente connotazioni soggettive
ed
opinabili quando si svolge in ambito politico, in cui risulta
preminente
l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. Ne
deriva
che, una volta riconosciuto il ricorrerete della polemica politica ed
esclusa
la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è
necessario valutare la
condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di
critica di
cui all'art. 51 c.p. (Sezione settima, 15236/05, Ferrare ed altri).
Il Giudice di Pace ha estrapolato dalle frasi pronunciate dal R. il
solo
termine oggettivamente offensivo, negando l'esercizio del diritto di
critica ed
omettendo di contestualizzare, come dovuto, l'esternazione.
Al contrario, si adombrano nel caso di specie gli estremi dell'esimente
in
questione, della quale resta da accertare se sia stato rispettato il
limite
della continenza (o correttezza formale).
La sentenza va, pertanto, annullata con rinvio al Giudice di Pace di
Milano,
che si uniformerà al principio di diritto innanzi formulato e
che motiverà
congruamente in punto di continenza.
Essendo stati accertati il sostrato fattuale della critica e
l'utilità sociale
della stessa, intesa come interesse della collettività alla
manifestazione del
pensiero ed alla conoscenza delle pur divergenti opinioni dei cittadini
sui
temi cruciali della vita pubblica, il giudice di merito dovrà
stabilire se sia
stato violato il limite della correttezza formale delle espressioni
adoperate
dal R..
Sotto tale profilo egli avrà cura di considerare: la
desensibilizzazione del significato
offensivo di talune parole, segnatamente in ambito politico e
sindacale, ossia
il mutato atteggiamento circa la loro offensività da parte dei
consociati, in
ragione delle peculiarità di taluni settori della vita pubblica,
ove i
contrasti si esprimono tradizionalmente in forma anche vibrata (per
l'operatività della scriminante anche quando essa si esprima in
toni aspri e di
disapprovazione, v. ex pluribus, Sezione quinta, 12013/98, Casanova;
761/98, Pc
in proc. Pendinelli ed altri; 11905/97, Farassino; 5109/97, Landonio).
La critica può esplicarsi in forma tanto più incisiva e
penetrante, quanto più
elevata è la posizione pubblica della persona che né
destinataria (Sezione
settima, 11928/98, Ruffa; 3473/84, Franchini).
Ciò vale a dire che il livello e l'intensità, pur
notevoli, delle censure
indirizzate a mò di critica a coloro che occupano posizioni di
tutto rilievo
nella vita pubblica, non escludono l'operatività della
scriminante.
Pertinente appare, al riguardo, il richiamo fatto dal ricorrente alla
decisione
1 luglio 1997 della Corte europea dei diritti dell'uomo (c. Oberschick
c.
Austria), che ha ritenuto la violazione dell'art. 10 della Convenzione
da parte
dell'Austria, in un caso in cui il direttore di un giornale aveva
pubblicato un
commento su un discorso tenuto dal leader del partito liberale
austriaco e capo
del governo della Carinzia, nel quale questi veniva definito “idiota”.
La Corte
ha affermato in proposito:
- che la libertà di espressine non vale solo per le
“informazioni” e le “idee”
recepite favorevolmente, ma anche per quelle che indignano ed
offendono;
- che se si tratta di un uomo politico, che è un personaggio
pubblico, i limiti
alla protezione della reputazione si estendono ulteriormente, nel senso
che il
diritto alla tutela della reputazione deve essere ragionevolmente
bilanciato
con l'utilità della libera discussione delle questioni
politiche;
- che se l'espressione “idiota” può essere offensiva dal punto
di vista
obiettivo, è ance vero che essa appare proporzionata
all'indignazione suscitata
dallo stesso ricorrente.
Si impone, dunque, l'annullamento con rinvio al Giudice di Pace di
Milano per
nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Giudice di Pace di Milano
per
nuovo esame.
Così deciso in Roma il 4.5.06.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 7 GIUGNO 2006
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