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Aggiornamento - Penale |
Atti persecutori e tentativo: secondo
la regola generale propria dei reati di evento, è
(logicamente e giuridicamente) possibile che alla commissione della condotta
medesima, in particolare di atti idonei diretti in modo non equivoco a
cagionare uno degli eventi de quibus (ex art. 56 c.p.), non segua l'effettiva causazione di
alcuno di essi. E, in tali casi, il fatto sarà punibile quale delitto
tentato. Cassazione
penale sez. V, Fatto La giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che il delitto di
atti persecutori è un reato abituale di danno, "integrato dalla
necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice, nonchè al loro
effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione
dell'evento, il quale deve essere il risultato della condotta persecutoria
nel suo complesso (...), sicchè ciò che rileva non
è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali
segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione
dell'evento" (Sez. 5, n. 15651 del - come si è affermato in relazione alla rituale contestazione del delitto, "è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tale senso l'essenza dell'incriminazione si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo"; è "l'atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l'appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza del reato" (Sez. 5, n. 15651/2020, cit.). Considerazioni consimili sono state svolte anche al fine di
determinare la competenza per territorio, allorchè
si è ribadito che il delitto di atti persecutori -
come esposto, reato abituale di danno - è caratterizzato dal fatto che le
singole molestie e minacce poste in essere dall'agente sono unificate per
l'evento che producono, tanto che esso si consuma nel momento e nel luogo
della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria
costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (tanto che la
competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il
disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione
psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis
c.p.; Sez. 5, n. 16977 del Se, quindi, i singoli atti dell'agente, proprio in ragione della loro
reiterazione (che, come detto, "li cementa"),
sono unificati sub specie iuris - e dunque rilevano
come un unico reato - come un'unica condotta persecutoria, causalmente volta
nel suo complesso alla determinazione di uno degli eventi tipici, siano essi
di danno (quale l'alterazione delle proprie abitudini di vita o il perdurante
e grave stato di ansia o di paura) o di pericolo (vale a dire, il fondato
timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al
medesimo legata da relazione affettiva; cfr. per tutte Sez. 5, n. 16977/2020,
cit.); se, in altri termini, i singoli atti sono già unificati sul piano
della condotta - oltre che, sul piano soggettivo, dalla "consapevolezza
della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti
dalla norma incriminatrice e dell'abitualità"
di essi (cfr. Sez. 5, n. 43085 del Quanto appena esposto non può mutare alla luce del fatto che il
delitto di atti persecutori sia un reato abituale improprio (Sez. 5, n. 31996
del Difatti, le singole azioni che ex se integrerebbero distinte ipotesi di reato, una volta reiterate nei termini anzidetti, sono già state unificate e tali rimangono, come detto, a monte dell'eventuale verificarsi di un evento di cui sarebbero antecedente causale, non incidendo punto la mancata determinazione di esso - per dir così, a ritroso - sulla già avvenuta unificazione di esse che non possono essere più considerate in modo isolato. 2. Con il secondo motivo è stata addotta la violazione della legge penale (indicata negli artt. 56 e 612-bis c.p.), in quanto il fatto del M. non è stato qualificato come reato impossibile. Il ricorrente ha esposto che il Giudice di primo grado: - ha affermato che gli eventi tipici non si sono realizzati per un mero accidente o per il carattere evidentemente forte di C.M.; - ed ha ritenuto che la stessa persona offesa non abbia percepito talune telefonate notturne dell'imputato (che, se udite avrebbero potuto ingenerare in lei sentimenti di precarietà e paura) e che le condotte in imputazione poste in essere dal M. nei locali da ballo o nel corso di feste non hanno prodotto conseguenze poichè la donna, per via del proprio carattere forte, non ne ha percepito la lesività; - pertanto, nella specie ricorrerebbe un caso di inidoneità del soggetto passivo rispetto al reato e, dunque, un reato impossibile. 2.1. La prospettazione difensiva è manifestamente infondata. Ricorre un reato impossibile, e dunque la punibilità è esclusa, quando è impossibile l'evento dannoso o pericoloso, "per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa" (art. 49 c.p., comma 2). Quanto alla prima ipotesi, la giurisprudenza ha
chiarito che "l'inidoneità dell'azione - da valutarsi con riferimento al
tempo del commesso reato in base al criterio di accertamento della prognosi
postuma - deve essere assoluta, nel senso che la condotta dell'agente deve
essere priva di astratta determinabilità causale nella produzione
dell'evento, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, sì
da non consentire neppure in via eccezionale l'attuazione del proposito
criminoso, indipendentemente da cause estranee o estrinseche, ancorchè riferibili all'agente (Sez. 1, n. 870 del Perchè si verifichi
la seconda ipotesi prevista dall'art. 49 c.p.,
comma 2, la giurisprudenza è costante, per vero da tempo risalente, nel
ritenere necessario che la inesistenza dell'oggetto del reato sia assoluta, sicchè manchi qualsiasi possibilità di offesa del bene
giuridico tutelato (cfr. già Sez. 2, n. 2639 del 16/12/1968, dep. 1969, Gravino, Rv. 111174 - 01; e Sez.
1, n. 3568 del In sostanza, "può parlarsi di reato impossibile solo quando
l'evento risulta impossibile in ragione della
inidoneità dell'azione o della inesistenza dell'oggetto mentre in ogni altro
caso in cui barriere o ostacoli di tipo materiale o giuridico impediscono
l'evento, non potrà parlarsi di una sua "impossibilità" in senso
tecnico e di conseguenza invocare la impunità" (Sez. 5, n. 11890 del Pertanto, non rientra in alcun modo nelle dette ipotesi la circostanza che, nel caso in esame, C.M. non abbia avuto contezza di talune telefonate che l'imputato aveva fatto all'utenza di lei in orario notturno; ma, soprattutto, non ha alcuna rilevanza nella prospettiva del reato impossibile che il carattere della giovane abbia impedito il verificarsi di uno degli eventi in imputazione e tipico ex art. 612-bis c.p., che è stato correttamente valutato dal Giudice di merito al fine di escludere la consumazione del delitto (e di ravvisare la ricorrenza dell'ipotesi tentata), non contemplando in alcun modo l'art. 49, Cassazione penale sez. V, 1. Secondo la ricostruzione operata in sentenza l'imputato, avendo dato in prestito alla B., condomina dello stesso stabile, una somma di denaro, la assillò, minacciò e insolentì per lungo tempo, fino alla restituzione della somma, avvenuta ad (OMISSIS), e nel periodo successivo. Infine, la ingiuriò pesantemente nel corso di una riunione condominiale tenutasi nel mese di (OMISSIS). 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, con due motivi. 2.1. Col primo lamenta l'erronea applicazione degli artt. 124 e 612 bis c.p., nonchè un vizio di motivazione - comprensivo del travisamento della prova - con riguardo alla tempestività della querela, contestata dalla difesa. Deduce che, secondo quanto si desume dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, gli atti persecutori - se ritenuti esistenti - sarebbero cessati, al più tardi, ad (OMISSIS), epoca di restituzione della somma mutuata, dal momento che l'episodio del (OMISSIS) rappresenta un fatto a sè, con origine e motivazione diversa (sarebbe sorto un contrasto, in sede assembleare, circa l'utilizzo degli spazi condominiali) e differente qualificazione giuridica (ingiuria, ormai depenalizzata), e quindi del tutto inidoneo a spostare in avanti il termine semestrale di proposizione della querela. Tanto più che il dies as quo per la proposizione della querela decorre - secondo il ricorrente - dalla verificazione dell'evento; vale a dire, nel caso di specie, dal momento, certamente precedente all'(OMISSIS), in cui sarebbe insorto il grave e perdurante stato di ansia e di paura preso in considerazione dalla norma, ovvero il mutamento delle abitudini di vita. Diritto Il ricorso non merita accoglimento. 1. Va preliminarmente rimarcato che non è fondata la tesi difensiva, secondo cui non sarebbero rilevanti, per la tempestività della querela, gli atti persecutori posti in esser dopo l'insorgenza - per fatto del reo - di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis c.p.. La verificazione dell'evento costituisce - invero - un elemento della fattispecie, indispensabile per la configurabilità del reato, ma non rende irrilevanti gli atti successivi, i quali - saldandosi con quelli precedenti approfondiscono ed estendono l'offesa al bene giuridico protetto ed assumono, pertanto, rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all'ultimo atto della serie. La contraria opinione, oltre a non essere supportata da nessun serio argomento giuridico, finisce col creare una zona franca a vantaggio del persecutore, che si avvantaggerebbe della tolleranza o dello spirito di sopportazione della vittima allorchè questa si risolvesse a proporre querela dopo l'ennesimo (e magari più grave) atto persecutorio, quando fossero già cambiate le sue abitudini di vita o fosse già insorto in lei un grave e perdurante stato di ansia o di paura. Paradossalmente, proprio nei casi più gravi - caratterizzati da una intensa e prolungata attività persecutoria - si assisterebbe al tentativo del reo di anticipare nel tempo l'evento del reato, al fine di dedurre l'intempestività della querela. L'assurdità della conclusione prova l'evidenza e la logicità, oltre che l'aderenza al dettato normativo, della tesi sostenuta dalla Corte d'appello, che ha valutato la complessività della condotta posta in essere dall'imputato ed ha ricollegato al fatto del (OMISSIS) il termine iniziale per la manifestazione della volontà querelatoria. 2. Ugualmente infondata è la
pretesa del ricorrente di escludere l'ingiuria dal novero degli atti
persecutori. Sebbene l'ingiuria fosse ricompresa, fino alla sua espunzione
dal codice penale, tra i delitti contro l'onore e costituisca, tuttora, una
delle più frequenti forme di aggressione all'onore, sanzionato civilmente,
tale illecito costituisce anche una forma - e tra le più frequenti - di
molestia, soprattutto quando è posto in essere in
luogo pubblico o alla presenza di altre persone, siccome idoneo a incidere
dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Ne
consegue che - ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce in un più ampio contesto di aggressione alla
sfera psichica e morale della persona - l'autore delle stesse sarà
sanzionabile civilmente, mentre, quando le ingiurie assumono consistenza,
ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme
di illecito previste dall'art. 612 bis c.p., uno degli eventi previsti da detta
norma, risponderà del reato di atti persecutori. Pertanto, correttamente i
giudici di merito hanno tenuto conto (anche) delle ingiurie per giudicare del
reato contestato ad A., sia sotto il profilo della integrazione
del reato che della tempestività della querela. |
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