Cass pen, 13673
del 14 aprile 2006
sulla preterintenzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOSCARINI Bruno - Presidente
Dott. ROTELLA Mario - Consigliere
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da H.A.A., nato il ... avverso la
sentenza del
25/10/2004 della Corte d'Assise d'Appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in publica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Rotella
Mario;
udite le conclusioni di rigetto del Sostituto Procuratore Generale, Dr.
Salzano
F. e di manifesta infondatezza della questione di
illegittimita'
costituzionale;
udito il difensore, Avv. R. M.
PREMESSO
1 - La Corte di Assise di Appello di Milano ha confermato la condanna
inflitta
ad H.A.A. dal GUP di Milano, con generiche e diminuente di rito, ad
anni 4 e
mesi 6 di reclusione, ai sensi dell'art. 584 cp, per avere
cagionato il
4.5.99 la morte di E.D. per tromboembolia polmonare massiva da frattura
pelvica
(sx), colpendola ripetutamente con schiaffi e calci in data 28.4.99.
La sentenza ricostruisce che il 28 aprile, secondo le testimonianze
acquisite,
l'imputata, vista la E. seduta per via su una panchina con tre amiche,
si
avvicinava sorridendo e, datole improvvisamente uno schiaffo,
l'afferrava per i
capelli e la strattonava piu' volte. Nel "parapiglia" seguito, per
l'intervento delle altre donne, l'offesa cadeva in terra e la H.
continuava a
colpirla a calci, tra l'altro uno alla parte destra dell'inguine.
Il movente di questo suo comportamento era dovuto all'insulto, che
sosteneva di
aver subito dall'E., per non aver provveduto a restituirle la
somma
prestatale di L. 220.000.
Alla E., trasportata in ospedale, veniva riscontrato tra l'altro il
trauma di
cui imputazione, che le immobilizzava l'arto
inferiore sinistro. Dimessa, con prognosi di gg. 30-35, era trovata
morta in
casa 6 giorni dopo.
Il C.T. in sede di autopsia, presente quello per l'imputata, concludeva
per il
nesso causale dell'embolia mortale con il trauma pelvico.
Il perito, di seguito nominato dal GIP, confermava.
Con l'atto di appello la difesa contestava l'assenza di prova
che la E.
fosse stata spinta in terra dall'imputata, e che la
formazione trombotica, cui si rapporta il decesso, fosse dovuta al
trauma
fratturativo.
La sentenza ha risposto che la E. e' caduta a terra, a seguito della
colluttazione originata dalla H., che continuato a colpirla tra l'altro
con un
calcio, che ha cagionato la frattura da cui e' scaturito l'evento. Ha
aggiunto
che non era necessaria la previsione dell'evento, altrimenti rilevante
ai sensi
dell'art. 61 c.p., n. 3.
Il ricorso denuncia:
1) Vizio di motivazione sul nesso causale: il trauma alla branca
ileo-pubica sx
e' derivato dalla caduta, non dal calcio, che concerne la parte
destra
dell'inguine, e dunque vi e' travisamento della prova decisiva;
2) Mancata pronuncia di sentenza a norma dell'art. 129 c.p.p., posto
che il
piu' grave evento non era prevedibile, e per la configurazione del
reato
secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti e' necessario il dolo
misto a
colpa, nonostante taluna decisione di segno contrario;
e
solleva:
3) Questione di illegittimita' dell'art. 584 c.p. ai sensi dell'art.27
Cost.,
se la norma e' intesa nel senso di implicare attribuzione
dell'evento
piu' grave a titolo di responsabilita' obiettiva.
Ritenuto:
1 - Il 2^ e 3^ motivo concernono la premessa normativa, e sono
infondati.
1.1 - Il delitto di cui all'art. 584 c.p. ha un titolo proprio
ed esclusivo
di responsabilita'.
L'art. 42 c.p., fondando la regola di responsabilita' nel dolo, prevede
quali
eccezioni il delitto preterintenzionale e colposo. E infine
afferma che
la legge determina i casi in cui l'evento e' posto altrimenti a carico
dell'agente come conseguenza della sua condotta.
Va percio' escluso che l'omicidio preterintenzionale sia punibile a
titolo di
dolo e responsabilita' obiettiva insieme.
Si era ritenuto che lo fosse per dolo misto a colpa (cfr. Cass., Sez.
5^ n.
10994/1981, rv. 151265; 9294/83 - 161038; 4836/85 - 169259; 2634/93 -
194325).
Ma questa Corte (Sez. 5^, n.13114/02, P.G. in proc. Izzo, rv. 222054),
giusta
lettera della norma incriminatrice, afferma che l'elemento psicologico
dell'omicidio preterintenzionale e' costituito unicamente dalla
volonta' di
infliggere percosse o provocare lesioni.
Per intendere la ratio normativa, va innanzitutto osservato che
l'art.43 c.p.
costruisce l'elemento psicologico quale causalita' morale, in
parallelo a
quella materiale (art. 40 c.p.), fondandola sul rapporto tra
intenzione,
costituita da volonta' e previsione del risultato della condotta, ed
evento
conseguente alla stessa condotta.
Definendo il delitto doloso secondo l'intenzione, l'articolo
pone la regola
di responsabilita' nella corrispondenza dell'evento, da cui dipende
l'esistenza
del reato, all'intenzione di risultato.
La corrispondenza permane nel delitto preterintenzionale, nel
quale e'
superata solo dalla maggior gravita' dell'evento.
La corrispondenza e' invece esclusa nel delitto colposo nel
quale l'evento,
seppure preveduto, e' in contrasto con il risultato intenzionale.
Ed e'
per questa ragione che l'art. 43 c.p., detta quali parametri di
causalita'
morale ("quando l'evento ... si verifica a causa di ...") la
negligenza, l'imprudenza, l'imperizia o l'inosservanza di norme da
parte
dell'agente.
Ciascun parametro si rapporta alla categoria logica di
prevedibilita'
dell'evento da cui dipende l'esistenza del reato, come conseguenza
della
condotta, e serve a dimostrare superabile dall'agente
l'inconsapevolezza
dell'esigenza di diverso comportamento.
Tanto basta.
Percio', se nel delitto colposo si agisce nonostante la previsione
dell'evento,
l'art. 61 c.p., n. 3 prevede un'aggravante:
la possibilita' cognitiva e' superata dalla consapevolezza.
La tassativa limitazione dell'aggravante al delitto colposo
conferma che la
previsione dell'evento da cui dipende l'esistenza del reato e'
componente
necessaria e non circostanziale nel delitto preterintenzionale, come in
quello
doloso.
Il sistema dunque significa che quanto al delitto preterintenzionale,
la
disposizione dell'art.43 assorbe la prevedibilità di evento piu'
grave
nell'intenzione di risultato, per il quale parametri di negligenza,
imprudenza
o imperizia, men che d'inosservanza di norme, sono assolutamente
irrilevanti.
E' per esempio incontroverso che l'essere l'agente privo di
conoscenze
mediche, tali da consentirgli di prevedere l'evoluzione nell'evento
morte del
risultato lesivo intenzionale, non pone questione di imperizia, pur a
fronte
di complessa ricostruzione medico - legale del nesso causale.
La ragione evidente e' che chi agisce con dolo di delitto di percosse o
lesioni
per definizione puo' prevedere l'evento piu' grave del risultato
voluto,
indipendentemente dai parametri che servono a qualificare la
colpa.
Il rischio del verificarsi della morte e' implicito nell'offesa
dell'incolumita' personale, tant'e' che se l'agente prevede l'evento
morte, il
delitto e' secondo l'intenzione, e va qualificato omicidio volontario.
Difatti, come si e' premesso, la piena corrispondenza
dell'intenzione,
intesa previsione e volonta' di risultato, all'evento conseguito alla
condotta,
integra dolo generico del delitto di cui all'art.575 c.p..
E, secondo diritto vivente, e' irrilevante che alla previsione
dell'evento si
associ l'opzione di risultato meno grave perche', agendo, si vuole
anche quello
piu' grave, secondo causalita' naturale della propria condotta (dolo
eventuale
o indiretto). Tanto, paradossalmente, riconosce proprio la
giurisprudenza del
doppio elemento psicologico.
L'errore ermeneutico e' dunque dovuto al travisamento della categoria
(idea) di
prevedibilita', per la colpa (concetto), che e' una specie del genere
elemento
psicologico. Ma se la prevedibilita' va codificata in un carattere
(negligenza,
imprudenza, etc.) necessario del delitto colposo, perche' l'evento si
verifica
contro l'intenzione, questa necessita' non esiste nel
delitto
preterintenzionale, a fronte dell'intenzione del risultato della
condotta.
1.2 - A riprova strutturale, l'elemento psicologico
dell'omicidio
preterintenzionale e' unico, perche' ad esso corrisponde un solo
evento,
da cui dipende l'esistenza del reato.
Tanto trova conferma, oltre che nella lettera della norma
incriminatrice in
rapporto al dettato dell'art. 15 c.p., nelle norme sul concorso
di reati.
Si ritorni alla lettera delle norma.
Secondo l'art. 584 c.p., la condotta consiste in atti diretti a
commettere
taluno dei delitti di cui agli artt. 581o 582 c.p.,
mentre l'evento cagionato, da cui dipende l'esistenza del delitto, e'
la
morte.
Per diritto vivente (giurisprudenza costante da Cass. 13.10.64,
Viti in
CPMA 65,488 e v. Sez. 5^, 4793/88, CED rv. 178180) la lettera significa
sufficiente il tentativo di percosse, men che di lesione, per la
punibilita' a
titolo di omicidio preterintenzionale (se per es. ad un atto
aggressivo, che
non attinga il corpo dell'offeso, segua un infarto).
Orbene, se l'agente ha voluto un evento minore omogeneo, quale
conseguenza
della condotta ai sensi dell'art. 581 o 582 c.p., la progressivita' del
delitto
di cui all'art. 584 c.p., implica, giusta la regola dell'art. 15 c.p.,
assorbimento del delitto sussidiario di cui all'art. 581 o 582 c.p..
Proprio il riferimento all'art.586 c.p., la cui disposizione
parallela e'
tratta a conforto dalla teoria del "doppio elemento
psicologico", lo conferma.
L'art.586 c.p., disciplina un delitto "contro l'intenzione", perche'
l'evento mortale, o anche solo lesivo si badi (e v. oltre, dove si
osserva
perche' non e' previsto anche il delitto di lesione
preterintenzionale), e'
conseguenza non voluta di un delitto doloso non sussidiario.
La disposizione si fonda dunque, al contrario di quella di cui
all'art. 584
c.p., sulla disomogeneita' dell'evento lesivo o mortale, rispetto al
risultato
prefigurato e voluto dall'agente, tant'e' che rinvia all'art. 83 c.p.,
che
disciplina l'aberrazione e a sua volta stabilisce bensi' che l'agente
risponda
a titolo di colpa del delitto qualificato dall'evento diverso, quando
il fatto e'
preveduto come delitto colposo, ma conferma il concorso di reati, se
l'agente
ha cagionato anche l'evento voluto.
L'art. 586 c.p., dunque, non si rifa' alla regola dell'art. 15
c.p., ma a
quella del concorso di reati, perche' i due eventi eterogenei, ovvero
rapportabili a norme che disciplinano diversa materia, implicano
ciascuno un
proprio elemento psicologico.
Viceversa l'art. 584 c.p., non richiede un ulteriore elemento
psicologico
oltre il dolo di delitto sussidiario, perche' l'evento da cui dipende
l'esistenza del reato progressivo e' unico.
1.3 - Per concludere sul perche' la prevedibilita' non assurge
a carattere
distinto dell'omicidio preterintenzionale, e' necessario verificare il
rapporto
con la realta' fenomenica.
Orbene, si e' visto, l'esperienza dimostra che il rischio di evento
omogeneo
piu' grave e' insito nel danno o pericolo che si arreca alla
persona
fisica.
E nel sistema l'interesse primario, che accomuna i beni essenziali
della
persona, e' complessivamente tutelato in ragione dell'idea (categoria)
di
inevitabilita' dell'evento piu' grave, conseguente al processo naturale
attivato con la condotta umana.
Si tratta della stessa idea per cui la legge afferma in via generale
che la
causalita' umana non e' esclusa da cause concorrenti precedenti,
simultanee o
sopravvenute, indipendenti dall'azione (art. 41 c.p.).
Su questa premessa si rifletta innanzitutto sul perche' la legge non
prevede il
delitto di lesione preterintenzionale: il delitto di percosse e quello
di
lesione concernono oltre che lo stesso interesse, lo stesso bene
incolumita'.
Percio' se, percuotendo una persona, dalla condotta scaturisce un
processo
morboso (per es. da trauma), il delitto va qualificato ai sensi
dell'art. 582
c.p., e, in ipotesi di maggior gravita', progressivamente aggravato ai
sensi
dell'art. 583 c.p..
La ratio di questa disciplina e' incontestata sul piano obiettivo e
psicologico.
Ma la vita, che si rapporta bensi' allo stesso interesse,
costituisce quel
bene diverso ed omogeneo, sulla cui tutela s'incentra tutto il
sistema
penale. E, fermo che se si usa violenza fisica alla persona per
cagionare
sofferenza o malattia, non si e' per definizione in grado di potere
escludere
che cause indipendenti dalla condotta, seppure ignote al momento di
agire,
possano concorrere a cagionare la morte, e' evidente perche' il
sistema, per
sorreggere la disciplina
dell'unica ipotesi di delitto preterintenzionale di cui all'art. 584
c.p.,
disciplina una specie autonoma di responsabilita' morale
nell'art. 43
c.p..
E' questa la ragione per cui, in caso di omicidio
preterintenzionale, il
giudice non deve verificare se l'evento morte fosse prevedibile secondo
un
parametro legale, dettato per la colpa, ma solo se l'agente ha agito
con il
dolo di cui all'art. 581 o 582 c.p..
La prevedibilita' dell'evento piu' grave è assorbita
nell'intenzione di
risultato del delitto contro la persona fisica, mentre la speculazione
teorica
del doppio elemento psicologico, pone la disciplina normativa fuori
della
realta'.
1.4 - E' pertanto singolare che la motivazione della sentenza
impugnata
concluda che la previsione dell'evento non e' necessaria,
altrimenti
nella specie sarebbe stata contestata l'aggravante di cui all'art. 61
c.p., n.
3 esclusa in concreto. In tal modo travisa che l'aggravante si applica
solo ai
delitti colposi, e non puo' essere applicata all'omicidio
preterintenzionale, ed autorizza l'argomentazione infondata del ricorso.
All'evidenza era sufficiente la risposta gia' resa che
la H. aveva di
certo voluto offendere l'incolumita' personale della E., per dimostrare
corretta l'inferenza della sua responsabilita' a titolo di omicidio
preterintenzionale per la morte
cagionata.
2 - Il ricorso e' infine giunto a contestare l'illegittimita'
dell'art.584
c.p., in rapporto all'art.27 Cost..
La verifica dell'equivoco dialettico, in cui e' gia' incorso in passato
questo
Giudice di diritto, a cui altrimenti si rifa' altrimenti il ricorso,
dimostra
la manifesta infondatezza della questione.
Questa Corte aveva difatti gia' ritenuto manifestamente
infondata la
questione di illegittimita' costituzionale, proprio
con
l'affermazione che la giurisprudenza configura la preterintenzione come
dolo
misto a colpa (Cass. Sez. 5^, n. 2634/93, rv. 194325, cit).
Sennonche' la difesa non ha osservato che, motivandola, tradisce
l'equivoco
spiegando che l'evento non si rapporta a responsabilita'
oggettiva, ma ad
una prevedibilita' di minimo profilo.
In tal modo ammette implicitamente che non si e' in presenza dei
parametri
posti dall'art.43 c.p., circa il delitto colposo, che concernono
l'intenzione
diretta ad altro risultato della condotta, percio' contro
l'evento.
Ma non trae l'implicazione realistica che la prevedibilita' dell'evento
piu'
grave e' in caso di delitto preterintenzionale categoria
irrilevante per la struttura dell'elemento psicologico, assorbita nel
dolo di
percosse o lesioni.
Orbene, l'art. 27 Cost., non trascura affatto che il disvalore
del reato e'
segnato oltre che dal nesso di causalita' tra condotta ed evento (art.
40 c.p.),
dal rapporto dell'elemento psicologico con lo stesso evento (art. 43
c.p.).
E' quanto si evince dall'ordinanza 152/84 e dalla sentenza 364/88 del
Giudice
di legittimita' (menzionate da Cass. 13114/02, cit.). In questi
provvedimenti si afferma che l'art. 27 Cost., comma 1,
propugnando il
principio di responsabilita' personale, esclude quella per fatto di
terzi (e
percio' stesso gia' riconosce come centrale del
sistema penale il rapporto causale dell'evento con la condotta
dell'agente) e
non contiene tassativo divieto di responsabilita' oggettiva (art. 42
c.p.,
comma u.), perche' il precetto va combinato quello di cui al comma con
il 3
(che si occupa dell'emenda del reo).
Per quanto interessa la responsabilita' morale ai sensi dell'art. 584
c.p.,
quest'ultima non rileva come concessiva perche', conclude il Giudice di
legittimita', e' l'insieme degli elementi costitutivi di ciascun reato
a
significarne la ragione di incriminazione ed il metro di punibilita'.
Spetta dunque a questa Corte, per il suo compito
nomofilattico, volto alla
realizzazione del diritto vivente, spiegare la ragione di
incriminazione,
e affermare che nel caso non entra minimamente in giuoco la
responsabilita'
obiettiva, men che la colpa, bensi' solo il dolo di evento minore, che
assorbe
la prevedibilita' dell'evento omogeneo piu' grave.
La ratio dell'art. 584 c.p., risulta insomma conforme al dettato
costituzionale, in quanto si fonda sul rapporto dell'elemento
psicologico di un
delitto preveduto e voluto contro l'incolumita', con l'evento morte
come
conseguenza percio' stesso prevedibile della condotta.
3 - Passando alle questioni di premessa di fatto della
sentenza impugnata,
il 1^ motivo e' infondato, al di la' della lettera della motivazione,
che pure
afferma: "la frattura e' derivata non dalla caduta, ma dal violento
calcio
inflitto alla vittima gia' per terra".
Questa frase a prima vista collega gratuitamente il trauma pelvico
fratturativo, che immobilizzava l'arto inferiore sinistro della E., da
cui e'
scaturita la morte, al calcio da lei ricevuto in terra a destra
nell'inguine,
come pure riferito (pag. 2).
L'asserto denuncia un travisamento, che e' bensi' evidente, ma
irrilevante.
La frase difatti va letta nel contesto ricostruttivo, che
riassume nella
frase precedente a quella censurata, quanto esposto in dettaglio dalla
sentenza
di 1^ grado, con il rilievo che se la donna (di eta' avanzata) "e'
caduta
a seguito del parapiglia, tale parapiglia e' stato cagionato
dall'imputata". Ed e' incontestato dal ricorso che la H. l'aveva
repentinamente
percossa, afferrata per i capelli e strattonata, ed ha continuato nella
sua
azione violenta con calci, tra cui quello all'inguine, quando e' caduta
in
terra nel parapiglia, seguito al tentativo delle altre donne presenti
di
fermarla nella sua azione violenta.
Ne segue per quanto interessa che la caduta, men che
rapportabile a fatto di
terzi, non e' ritenuta estranea alla condotta dell'imputata dai Giudici
di
entrambi i gradi di merito, bensi' dovuta proprio all'azione
incriminata.
Essi non hanno percio' rilevato alcun elemento di segno contrario
idoneo ad
escludere il nesso causale, posto che l'anziana persona offesa,
prima di
essere aggredita con violenza da lei e di cadere durante il
"parapiglia" sorto per
fermarla, ovvero consecutivo all'azione, era seduta e sicura
sulla
panchina.
Pertanto il ragionamento complessivo si sottrae alla censura
di manifesta
illogicita' (contraddittorieta' o mancanza di motivazione che si
voglia).
Resta l'ultima questione, secondo la quale la Corte di merito
individuando,
quale causa dell'evento, un tipico atto diretto a ledere
(art.
582 c.p.) e non invece, come correttamente avrebbe
dovuto
fare, un insieme di atti diretti ad indurre un altro soggetto a
desistere da
una condotta gia' oppressiva dell'offesa (art. 610 c.p.), ha ritenuto
sussistente il reato di cui all'art. 584 c.p., in luogo della
fattispecie
prevista e punita dall'art. 586 c.p..
L'argomento e' non consentito per
l'implicazione di
valutazione alternativa che prospetta in questa sede.
Secondo la ricostruzione di fatto delle sentenze, l'intento offensivo
dell'incolumita' sino a livello di lesione e' dimostrato dall'insieme
della
condotta violenta contro la persona, attestato a partire dallo schiaffo
e
dell'afferrare la donna per i capelli a finire proprio con quel
calcio
peraltro non unico, quale che fosse il movente della condotta.
Ed e' anche manifestamente infondato.
Se i Giudici di merito avessero ritenuto che l'agente aveva anche lo
scopo
rilevante di costringere l'offesa ad un non fare, si sarebbero trovati
in
presenza di concorso di reati, non alla necessita' di qualificare
diversamente
lo stesso fatto, insopprimibili gli estremi di delitto di lesione in
rapporto
al piu' grave evento cagionato. Il richiamo all'art. 586 c.p., posto a
suffragio dal ricorso, percio' implica altro travisamento degli
estremi
di reato, stavolta non avallato da alcuna giurisprudenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento.
Cosi' deciso in Roma, il 8 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2006
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