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Aggiornamento - Penale |
Cassazione
penale, sez. un., 1. La soluzione della questione controversa
sottoposta alle Sezioni Unite ("Se, ed eventualmente a quali condizioni,
ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 624-bis cod. pen., i luoghi di lavoro
possano rientrare nella nozione di privata dimora") comporta che venga
correttamente definita la nozione di "privata dimora". A tale nozione si fa riferimento non solo
nell'art. 624-bis, ma anche in altre norme, sia di carattere sostanziale (artt. 614, 615,
615-bis e 624-bis cod. pen.,
art. 628
cod. pen., comma 3, n. 3-bis, art. 52 cod. pen., comma 2), sia di carattere processuale (art. 266 cod. proc. pen., comma 2). L'orientamento maggioritario, richiamato
nell'ordinanza di rimessione, partendo dalla considerazione che il concetto
di privata dimora sia più ampio di quello di abitazione, ne dà una interpretazione estensiva, tanto da ricomprendervi
tutti i luoghi, non pubblici, nei quali le persone si trattengano per
compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Si è ritenuto, pertanto, configurabile il
delitto previsto dall'art. 624-bis cod. pen. in ordine al furto
commesso: all'interno di un ristorante in orario di chiusura (Sez. 2, n.
24763 del Della nozione di "privata dimora"
si è data una interpretazione ancora più ampia in
tema di rapina, ritenendo sussistente la circostanza aggravante prevista
dall'art. 628 cod. pen., comma 3, n. 3-bis, nell'ipotesi in cui la condotta
delittuosa venga commessa, nell'area aperta al pubblico, nei confronti dei
clienti di un istituto di credito (Sez. 2, n. 28405 del 2. Secondo tale indirizzo, cui si richiama
anche la sentenza impugnata, gli elementi identificativi del luogo di privata
dimora sarebbero uno di carattere strutturale (vale a dire l'astratta
possibilità di inibire l'accesso al pubblico attraverso dispositivi di
sbarramento, quali portoni, saracinesche o altri meccanismi; senza escludere
che, in determinate ore del giorno, sia liberamente consentito detto accesso)
e l'altro di carattere funzionale (la natura privata, cioè, dell'attività che
vi si svolge; specificandosi che atti della vita privata non sono soltanto
quelli della vita intima o familiare, ma anche quelli dell'attività professionale
o lavorativa, o quelli posti in essere a contatto
con altri soggetti, quali l'acquisto di merce in un supermercato, la
fruizione di una prestazione professionale, il compimento di operazioni
bancarie). 2.1. Ritiene il Collegio che l'ampliamento
della nozione, propugnato dall'indicato orientamento, contrasti sia con il
dato letterale sia con la ratio e la interpretazione sistematica della norma. Non c'è dubbio che la nozione di privata
dimora sia più ampia di quella di abitazione. E' arbitrario, tuttavia, far discendere da
tale constatazione un significato che prescinde, innanzitutto, dalla lettera
della norma. L'aver il legislatore adoperato
l'espressione "privata dimora" ha una indubbia valenza sul
piano interpretativo. "Dimora", secondo i dizionari della
lingua italiana, è, invero, il luogo in cui una persona, che non vi risiede
in modo stabile, attualmente abita e permane. La parola, derivata dal latino morari, implica il fermarsi, trattenersi, soggiornare. Basterebbe già questo per escludere dalla
nozione di dimora tutti i casi in cui ci si trovi in un luogo in modo del
tutto occasionale (anche se per svolgere atti della vita privata) e senza
avere alcun rapporto (tranne la presenza fisica) con il luogo medesimo. Per di più occorre considerare che, nella
descrizione della fattispecie di cui all'art. 624-bis cod. pen., l'espressione
"privata dimora" è preceduta dalle parole "in un edificio o in
altro luogo destinato in tutto o in parte (...)". Deve trattarsi, quindi, di un luogo
"destinato" a privata dimora: il che rafforza il significato
dell'espressione. Il riferimento della norma è, allora, ad un luogo che sia stato adibito (in modo apprezzabile
sotto il profilo cronologico) allo svolgimento di atti della vita privata,
non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima
(propri dell'abitazione). Va aggiunto ancora
che, significativamente, la rubrica dell'art. 624-bis è intitolata
"Furto in abitazione" e il riferimento è in linea con il
significato restrittivo della nozione di privata dimora in precedenza
evidenziato. In essa vanno, conseguentemente, ricompresi
i luoghi che, ancorchè non destinati allo
svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le
"caratteristiche" dell'abitazione. 2.2. L'indirizzo interpretativo sopra
richiamato, inoltre, nel dare rilievo al "luogo in sè",
si limita a far riferimento allo svolgimento in esso di atti della vita
privata, siano essi lavorativi, professionali o di altro genere, senza ulteriori approfondimenti. Si ritiene, cioè, configurabile il reato di
furto in abitazione, disciplinato dall'art. 624-bis cod. pen., tutte le volte in
cui l'azione delittuosa venga commessa in un luogo nel quale si svolgano atti
della vita privata, a prescindere dall'orario e dalla presenza di persone
(tra le altre, Sez. 2, n. 24763 del In altre decisioni, invece, rendendosi
evidentemente conto della portata troppo estensiva, nella interpretazione
della norma, del generico riferimento ai luoghi in cui si svolgano atti della
vita privata, si cerca di delimitarne l'applicazione. Si afferma, invero, che non commette il reato
di furto in abitazione il soggetto che si introduca all'interno di un
esercizio commerciale in orario notturno, trattandosi di un locale non
adibito a privata dimora in ragione del mancato svolgimento di attività
commerciali che caratterizza le ore di chiusura (Sez. 4, n. 11490 del Secondo altre pronunce il criterio
discretivo da applicare è rappresentato dall'accertamento della prevedibile
presenza di persone nel luogo di svolgimento di atti della vita privata, a
prescindere dall'orario (notte o giorno) e dalla chiusura o meno
dell'esercizio (Sez. 5, n. 10747 del Tali soluzioni risultano
non condivisibili, in quanto si fa dipendere l'applicazione di un trattamento
sanzionatorio più grave (previsto dal legislatore per il reato di furto in
abitazione, al fine di apprestare una più intensa tutela al luogo in cui
l'azione delittuosa viene commessa) da elementi estranei alla fattispecie e,
per di più, vaghi, incerti ed accidentali (di carattere temporale o di
effettivo esercizio dell'attività ivi svolta). L'esigenza di maggior tutela dei luoghi
destinati a privata dimora non viene meno solo perchè
il furto è commesso in orario notturno o diurno, in orario
di apertura o di chiusura, oppure in presenza o in assenza di persone. E' stato, in proposito, incisivamente
osservato che lo "spostamento del baricentro della previsione normativa
dal luogo del commesso reato al momento della consumazione"
determinerebbe una inaccettabile "tutela ad
intermittenza" (Sez. 5, n. 428 del 2015, cit.). 2.3. Che il luogo destinato a privata dimora
debba avere determinate "caratteristiche", che non possono essere
certamente quelle del mero svolgimento in esso di atti della
vita privata, è confermato dal dato sistematico nella sua evoluzione. Il Codice Zanardelli
faceva riferimento, in ordine al reato di violazione
di domicilio (art. 157), "all'abitazione altrui o alle appartenenze di
essa". Dopo però che la dottrina maggioritaria,
sotto la vigenza di quel codice, aveva già ritenuto che il termine abitazione
andasse interpretato estensivamente come ogni luogo adibito ad uso domestico, nel quale si fossero compiuti atti
caratteristici della vita privata, il codice Rocco, nell'art. 614,
introduceva la nozione di "altro luogo di privata dimora",
affiancandola a quella di abitazione, e nella Relazione si precisava che la
tutela apprestata dalla norma riguardava "tutti i luoghi che servano, in
modo permanente o transitorio, alla esplicazione della vita privata". Per il reato di furto la tutela (più intensa
in termini di trattamento sanzionatorio) rimaneva, però, limitata alla sola
abitazione: l'art. 625 cod. pen., comma 1, n. 1,
prevedeva, infatti, come circostanza aggravante, "se il colpevole, per
commettere il furto, si introduce o si trattiene in un edificio o in altro
luogo destinato ad abitazione". Con Previa abrogazione dell'art. 625 cod. pen., comma 1, n. 1, è
stata introdotta una ipotesi autonoma di reato definita in rubrica come
"Furto in abitazione e furto con strappo", con l'evidente scopo di
ampliare la tutela penale non solo sotto il profilo patrimoniale, ma anche personale. E ciò è tanto vero che l'approvazione della L. n. 128 del 2001 era stata preceduta
dalla presentazione al Parlamento, da parte del Governo, del disegno di L. n.
5925, nel quale il reato di furto in abitazione, attraverso la previsione nel
codice penale di un
art. 614-bis,
era stato inserito nel Libro 2, Titolo 12
("Delitti contro la persona"), al fine di rafforzare "la
tutela del domicilio non tanto nella sua consistenza oggettiva, quanto nel
suo essere proiezione spaziale della persona, cioè ambito primario ed
imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalità
individuale". Tale originaria impostazione non poteva non
riflettersi nella formulazione del "nuovo" art. 624-bis, pur
mantenendosi la collocazione dello stesso nei reati
contro il patrimonio. Si è visto già come, a fronte della rubrica
che fa riferimento al furto in abitazione, il testo normativo ricomprende
qualsiasi luogo destinato in tutto in parte a privata dimora o nelle pertinenze di esso. L'ampliamento dell'ambito di applicabilità
della "nuova" fattispecie anche a luoghi che non possano
considerasi abitazione in senso stretto risulta
dettato, da un lato, dalla necessità di superare le incertezze manifestatesi
in giurisprudenza in ordine alla definizione della nozione di abitazione e,
dall'altro, di tutelare l'individuo anche nel caso in cui compia atti della
sua vita privata al di fuori dell'abitazione. Deve, però, trattarsi, come si evince dalla ratio della norma, di luoghi che abbiano le stesse
caratteristiche dell'abitazione, in termini di riservatezza e,
conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso
dell'avente diritto. 2.4. Tale interpretazione della norma è
conforme ai principi enucleabili dalla giurisprudenza costituzionale in tema
di privata dimora. E, per stabilire se detti luoghi avessero la
copertura dell'art. 14 Cost., il Giudice delle
leggi ne ha individuato ambito, limiti e
caratteristiche. Nel dichiarare non fondata la questione di
costituzionalità sollevata, Tali principi venivano ancor di più rimarcati nella sentenza n. 149 del 2008. Il Giudice delle Leggi osservava, infatti,
che la tutela del domicilio prevista dall'art. 14 Cost. viene in rilievo
sotto due aspetti: "come diritto di ammettere o
escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita
intima di ciascun individuo; e come diritto alla riservatezza su quanto si
compie nei medesimi luoghi". Perchè sia operativa la tutela costituzionale del domicilio è
necessario, quindi, che si tratti di un luogo in cui sia inibito l'accesso ad
estranei e sia tale da garantire la riservatezza ovvero la impossibilità di
essere "percepito" dall'esterno anche senza necessità di una
intrusione fisica. Laddove, invece, il luogo sia accessibile visivamente da
chiunque, venendo meno la caratteristica della riservatezza, si rimane fuori
"dall'area di tutela prefigurata dalla norma costituzionale de
qua". 2.5. Gli elementi, delineati dalla
giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti il "domicilio" e
ritenuti indefettibili per garantire la copertura costituzionale dell'art. 14 Cost., si rinvengono anche nella sentenza delle Sezioni Unite n.
26795 del Dopo aver premesso che la nozione di
domicilio di cui all'art. 14 Cost. è più estesa di
quella ricavabile dall'art. 614 cod. pen., le Sezioni Unite
sottolineano che, quale che sia il rapporto tra le due disposizioni, "il
concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un
qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza". Non
c'è dubbio che "il concetto di domicilio individui un rapporto tra la
persona ed un luogo, generalmente chiuso, in cui si
svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle
ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza. Ma il rapporto tra
la persona ed il luogo deve essere tale da giustificare
la tutela di questo anche quando la persona è assente. In altre parole la
vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di
tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude
violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne
ha la titolarità, perchè il luogo rimane connotato
dalla personalità del titolare, sia questo o meno presente". Sulla base di tali considerazioni
le Sezioni Unite introducono, come elemento caratterizzante la nozione di privata
dimora, il requisito della stabilità, "perchè
è solo questa, anche se intesa in senso relativo, che può trasformare un
luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un'autonomia
rispetto alla persona che ne ha la titolarità". 2.6. La interpretazione
letterale e sistematica della norma, confortata dai principi enucleabili
dalle sentenze della Corte costituzionale sopra richiamate e dalla sentenza Prisco delle Sezioni Unite, consente di delineare la
nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a)
utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita
privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di
lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b)
durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale
rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte
di terzi, senza il consenso del titolare. 3. Non resta che applicare le linee
tracciate in precedenza in relazione alla nozione di
privata dimora, contenuta nell'art. 624-bis cod. pen., ai luoghi di lavoro. E' indiscutibile che nei luoghi di lavoro il
soggetto compia atti della vita privata. Ma ciò non è
sufficiente, come invece ritiene l'indirizzo interpretativo maggioritario,
per affermare che tali luoghi rientrino nella nozione di privata dimora e
che, per i reati di furto in essi commessi, trovi applicazione la norma
rubricata come furto in abitazione (con conseguente tutela rafforzata in
termini di trattamento sanzionatorio). I luoghi di lavoro, generalmente, sono
accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza
il preventivo consenso dell'avente diritto: ad essi è quindi estraneo ogni
carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla
"intrusione" altrui. Si pensi agli esercizi commerciali o agli
studi professionali o agli stabilimenti industriali accessibili a un numero
indeterminato di persone, che possono pertanto prendere contatto (e non solo
visivo) con il luogo senza alcun filtro o controllo. L'attività privata svolta in detti luoghi
avviene a contatto con un numero indeterminato di altri soggetti e, talvolta,
in rapporto con gli stessi. Con riferimento ad essi è, pertanto, fuor di
luogo parlare di riservatezza o di necessità di tutela della
sfera privata dell'individuo. L'orientamento che interpreta estensivamente
la nozione di privata dimora si pone, quindi, in contrasto con la lettera e
la ratio della norma. Ritengono le Sezioni Unite che vada
confermato l'orientamento che interpreta la disciplina dettata dall'art. 624-bis cod. pen. come estensibile ai
luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie
dell'abitazione (accertamento questo riservato ai giudici di merito). Potrà, quindi, essere riconosciuto il
carattere di privata dimora ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di
essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e
precludendo l'accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o
spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno
stabilimento). La conferma che i luoghi di lavoro, di per sè, non costituiscano privata dimora si ricava, infine,
dall'art. 52 cod. pen.,
comma 3 (aggiunto dalla L. Nel richiamato secondo comma si fa
riferimento, ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e
difesa, ai luoghi previsti dall'art. 614 cod. pen. (vale a dire a
quelli di privata dimora). Se, dunque, la nozione di privata dimora
comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti
della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere
l'art. 52, comma 3 per estendere l'applicazione
della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale,
professionale o imprenditoriale. Evidentemente tale precisazione è stata
ritenuta necessaria perchè, secondo il legislatore,
la nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di
lavoro. 4. Va, quindi, affermato il seguente
principio di diritto: "Ai fini della configurabilità del
delitto previsto dall'art. 624-bis cod. pen., i luoghi di lavoro
non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia
avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona
offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all'art. 624-bis cod. pen. esclusivamente i
luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si
svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti
al pubblico nè accessibili a terzi senza il
consenso del titolare". 5. Alla stregua del principio di diritto in
precedenza enunciato, il reato contestato va diversamente qualificato. Non risulta dagli
atti che l'esercizio commerciale, in cui fu commesso il furto, avesse un
locale con le caratteristiche in precedenza delineate, in cui cioè si
potessero svolgere atti della vita privata del titolare, in modo riservato e
senza possibilità di accesso da parte di estranei. Risulta, piuttosto, che la somma di denaro
sottratta si trovava nella cassa dell'esercizio e la macchina fotografica su
un tavolo, vale a dire in luogo accessibile al pubblico. Non è configurabile, pertanto, il furto in
abitazione a norma dell'art. 624-bis cod. pen., bensì il reato di cui
all'art. 624 cod. pen. e art. 625 cod. pen., comma 1, n. 2, (furto aggravato dalla violenza
sulle cose), essendo la sottrazione dei beni, di cui alla contestazione,
avvenuta mediante effrazione della finestra dell'esercizio commerciale. |
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