Il reato di
usura dopo la nuova legge n. 108 del 1996 e i riflessi civilistici
sui contratti di mutuo stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore.
di Simone Angelini
Ai sensi dell'art. 644 c.p., così come
modificato con la legge n. 108/1996, "chiunque, fuori dai casi
previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere per sé o per
altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità,
interessi o altri vantaggi usurai, è punito con la reclusione
da uno a sei anni e con la multa da sei a trenta
milioni. [omissis]
La legge stabilisce il limite oltre il quale
gli interessi sono sempre usurai. [omissis]
Per la determinazione del tasso di interesse usuraio si
tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e
delle spese escluse quelle per imposte e
tasse, collegate all'erogazione del
credito". Le novità rispetto alla vecchia
figura dell'art. 644 c.p. sono notevoli:
1. irrilevanza dello stato soggettivo della vittima, non necessitando
più il requisito dell'approfittamento dello stato di bisogno
;
2. oggettivazione del delitto d'usura, per il quale il mero
superamento del tasso limite praticabile integra la fattispecie del
reato. Il dolo è costituito, ora, dalla
conoscenza e volontà del superamento del tasso limite predeterminato
dalla legge.
Dunque, la legge determina il tasso limite oltre il quale la
corresponsione di interessi (o di altri vantaggi) è
considerata usuraia. L'art. 2 legge 108/96 dispone che
tale limite è stabilito, mediante decreto del
Ministero del Tesoro pubblicato nella Gazzetta Ufficiale,
nel tasso medio praticato dalle banche ed altri intermediari
finanziari quale risultante dall'ultima rilevazione
che viene effettuata trimestralmente, aumentato
della metà. Invero, la nuova formulazione dell'art.
644 c.p. è stata costruita dal legislatore come
una "norma penale in bianco", in cui una parte del precetto è rinvenibile
dal 3° comma dello stesso articolo, mentre per un'altra parte
(l'individuazione del tasso limite) deve farsi
riferimento ad una fonte esterna diversa di natura amministrativa.
Inoltre, la Banca d'Italia ha ulteriormente
precisato le categorie di operazioni finanziarie
per le quali si procede trimestralmente
alla rilevazione dei tassi medi; tra queste c'è, ovviamente,
il mutuo, contratto sia a tasso fisso che variabile,
ed assistito, anche parzialmente, da garanzia reale. La
nuova fattispecie di usura ha, per
altro, portato la dottrina a qualificare diversamente
il reato, considerandolo non più un reato
in contratto ma un reato
contratto. Posto, infatti, che nella categoria dei "reati
contratto" sono da ricomprendere le fattispecie in cui
la condotta
tipizzata è individuata mediante termini che definiscono
nel diritto civile i singoli negozi giuridici, la cui stipula
pertanto è proprio ciò che la legge intende punire,
nei "reati in contratto" vanno collocati quei fatti realizzati
con la cooperazione artificiosa della vittima, che esigono
un atto dispositivo da parte di quest'ultima carpito con mezzi
illeciti sicché ciò che si intende punire è
il comportamento illecito tenuto da un parte prima della stipula
negoziale. Ora, a seguito della nuova disciplina, la nuova fattispecie
di usura pone al centro della fattispecie non
la condotta precontrattuale dell'approfittamento, bensì
il dato della sproporzione tra gli obblighi
contrattualmente previsti per le parti, ponendo
di fatto il reato all'interno della categoria
dei reati contratto. Per la determinazione del
tasso usuraio, il comma 4 dell'art. 644 c.p. stabilisce,
inoltre, che deve tenersi conto anche delle commissioni, spese e remunerazioni
a qualsiasi titolo. Tutte queste "voci" vanno comprese
e sommate al tasso di interesse da pagare.
Tale onnicomprensività della nozione d'interesse è
stata formulata onde evitare qualsiasi possibilità di aggiramento
della norma in esame. Per evitare interpretazioni
difformi, l'Istituto Centrale della
B.d.I. ha provveduto a
classificare dettagliatamente "spese e commissioni".
Vi rientrano, così, le spese di istruttoria o
revisione del finanziamento, le spese di
chiusura, di riscossione o di incasso
delle rate, e in generale
ogni spesa
contrattualmente prevista. Nulla è stato detto,
invece, sul concetto di "remunerazioni a qualsiasi titolo,
né da parte degli organi interessati né da parte
della giurisprudenza di Cassazione e della dottrina. Tenuto conto
del dato letterale e della ratio stessa che ha ispirato il comma
4, sembra, ad ogni modo, potersi ravvisare in tale fattispecie
una categoria di ampio spettro, capace di racchiudere
ogni tipo di vantaggio, contrattualmente previsto o meno,
a favore del soggetto attivo. Su tale concetto
si è, inoltre, espresso recentemente il Tribunale di Roma, che in
riferimento agli interessi moratori, ha dedotto che " con la parola
remunerazione esso - il legislatore- abbia inteso riferirsi
ad ogni utilità pecuniaria richiesta al debitore e quindi
anche a quelle relative agli interessi moratori, facendo ricorso
ad una terminologia giuridica non nuova per la quale
il termine
remunerazione ha significato generico comprensivo di prestazioni
a funzione anche risarcitoria" (Trib. Roma 10.06.1998).
Pertanto, tale categoria potrebbe (il condizionale in assenza
di riscontri nei casi di rivalutazione monetaria è d'obbligo),
ricomprendere anche la clausola di indicizzazione del
capitale, qualora questa sia basata
su determinati indici che
attribuiscono un oggettivo guadagno al soggetto
attivo, ben al di là dell'effettiva svalutazione
monetaria che tale pattuizione dovrebbe coprire. La problematica
più spinosa del nuovo delitto di usura
riguarda però L'accertamento del momento consumativo
del reato, indispensabile, tra L'altro, per una coerente applicazione
della relativa sanzione civile di cui all'art. 1815 c.c. anch'essa innovata
dalla legge 108/96. Vigente il vecchio testo dell'art.
644 c.p. una giurisprudenza
costante (da ultimo si veda Cass. Pen. 19.03.1997) e la prevalente
dottrina ritenevano l'usura un reato
istantaneo con eventuali effetti permanenti.
Sono "reati istantanei" quelli in cui l'offesa
è per l'appunto istantanea, perché viene
ad esistenza e si conclude nello stesso istante (esempio
classico è il reato di omicidio). Sono, invece,
"reati permanenti" quelli per la cui esistenza
la legge richiede che l'offesa si protragga nel tempo per effetto
della persistente condotta volontaria del soggetto. Il reato permanente
è reato unico e si consuma non quando si instaura la situazione
offensiva, ma nel momento in cui cessa la condotta volontaria
del mantenimento di essa. Si parla, inoltre, di "reati istantanei
ad effetti permanenti", ove alla condotta criminosa
iniziale perdurano nel tempo le conseguenze dannose del reato, per i quali,
comunque, la disciplina sostanziale e processuale, è
del tutto analoga a quella dei reati permanenti. A seguito dell'emanazione
del nuovo art. 644 c.p., alcuni autori hanno sostenuto che potrebbe
essere accolta la tesi che il delitto in questione sia
stato trasformato in reato permanente.
Detta trasformazione comporterebbe che un contratto di mutuo
a tasso fisso, oggi lecito, potrebbe a seguito dell'andamento del
mercato, raggiungere tassi d'usura con la conseguenza per l'ente
mutuante di incorrere nel reato e di
vedere decadere il proprio diritto al percepimento degli interessi
(ex art. 1815 c.c.) o di dover introdurre una clausola
di riduzione automatica. Allarmati da tale
questione, l'Associazione Bancaria Italiana, mediante
circolare del 20.03.1997, con particolare riferimento ai rapporti
sorti antecedentemente all'entrata in vigore della nuova
legge, ha sostenuto che:
"circa la sorte dei rapporti antecedenti, va detto che
essi non dovrebbero essere interessati dalla normativa qualora si
tratti di operazioni regolate a tasso fisso ovvero a
tasso indicizzato in base a parametri oggettivi prestabiliti.
Tali operazioni, pertanto, ai fini del rispetto delle soglie
di legge, non comportano l'obbligo di alcun intervento di adeguamento,
anche se i relativi tassi effettivi globali dovessero risultare
superiori alle soglie stesse. A tale conclusione può giungersi
sulla base del principio generale enunciato dall'art. 2 del codice
penale secondo cui è esclusa la punibilità per
un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu
concesso, non costituiva reato, viceversa, nel caso di
operazioni regolate a tasso variabile di
iniziativa dell'intermediario, sarà necessario verificare
se le eventuali variazioni da apportare risultano entro
i limiti massimi stabiliti dalla legge. Tale fattispecie,
infatti, pur innestandosi su un
rapporto antecedentemente acceso, si atteggia nella sostanza
quale nuovo rapporto ".Tuttavia, ora, la tesi dottrinale che vede
nel nuovo delitti d'usura un reato permanente è stata asseverata
e ribadita anche da una recentissima sentenza della Sezione I della
Corte di Cassazione Penale, la quale ha così
motivato la sua decisione:
"I caratteristici connotati di sinallagmaticità propri
del momento iniziale della determinazione convenzionale di
interessi o compensi usurari - in termini di promessa
o, alternativamente, di dazione - non sembra siano in grado
di esaurire in sé la condotta tipica della fattispecie
criminosa di cui all'art. 644 c.p., così degradandosi la periodica,
talora prolungata per
numerosi anni, corresponsione da parte della vittima dei medesimi
interessi o vantaggi ad un post factum penalmente irrilevante.
S'intende dire che il tradizionale insegnamento giurisprudenziale,
secondo cui il reato di usura è
"reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti",
nel senso che esso si consuma nel momento della
stipula del patto usurario pur perdurandone le conseguenze
nel tempo - in caso di promessa seguita da dazione
- senza il compimento di un'ulteriore attività da parte
dell'agente, appare incompatibile con il rilievo oggi
assegnato alla "ultima riscossione" degli interessi usurari pattuiti dall'art.
644-ter c.p., introdotto dall'art. Il I. 108/96, in tema di prescrizione
del reato. Sembra logicamente più
convincente e condivisibile, alla
stregua dell'odierno assetto normativo dell'istituto,
la prevalente opinione dottrinale, secondo cui,
qualora alla promessa segua - come abitualmente avviene
mediante la rateizzazione nel tempo
degli interessi usurari convenuti - la dazione effettiva,
questa fa parte a pieno titolo dei fatto lesivo penalmente
rilevante e segna, mediante la concreta e
reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria,
il momento consumativo "sostanziale" del reato. [omissis] Certo è
che sarebbe davvero distonico, rispetto ai consueto atteggiarsi
- nella realtà sociale ed economica
- del fenomeno usurario, sostenere l'estraneità
alla struttura della fattispecie criminosa di quella modalità
di realizzazione dell'illecito - la dazione degli interessi
-, nella quale indubbiamente s'identifica la completa esecuzione
dei delitto e il massimo
approfondimento della concreta e
progressiva lesione dell'interesse protetto". In sostanza
la Suprema Corte sostiene che l'introduzione dell'art. 644 ter c.p.,
secondo cui "la prescrizione del reato di usura decorre
dall'ultimo giorno dell'ultima riscossione sia
degli interessi che del capitale", consentirebbe
di abbandonare la vecchia tesi della
irrilevanza della
riscossione degli interessi, quale post
factum penalmente privo di significato rispetto
al solo momento importante dell'accordo iniziale che dava luogo
alla configurazione dell'usura, inquadrando, invece, tale reato tra
quelli ad effetti permanenti. La dazione effettiva fa
parte a pieno titolo del fatto lesivo e segna
il momento consumativo sostanziale del
reato. La realizzazione del reato di usura si compie,
così, attraverso le ricezione di indebite prestazioni
maturate periodicamente, ed il momento consumativo va
a coincidere di volta in volta con i singoli versamenti di
capitali e/o interessi. D'altro canto la giurisprudenza
nel definire la natura di alcuni reati a struttura analoga,
quale ad esempio la corruzione,
in cui alla promessa segue la dazione,
non ha esitato ad individuare quest'ultima quale momento
di consumazione del reato. Non si vede, pertanto, perché non
debba essere seguita la stessa soluzione, per il reato d'usura
(cfr.Trib. Velletri, ord. 30.04.98). Accertato che la
riscossione è momento penalmente rilevante,
sebbene successiva alla promessa, è necessario
ora rapportare tale principio all'interno della
disciplina civilistica e stabilire se sia applicabile la nuova
fattispecie di usura ad un contratto di mutuo (o
altri contratti affini) stipulato anteriormente all'entrata
in vigore della legge 108/96,
vale a dire al 2 aprile 1997 (data della prima rilevazione trimestrale).
Occorre, infatti, preliminarmente premettere che la novella introdotta
dalla legge 108/96 non si è limitata a ridisegnare la disciplina
penalistica ma ha inciso anche sul piano privatistico modificando
il 2° comma dell'art. 1815 c.c.. Il vecchio comma sanciva
la nullità della clausola contrattuale con la quale si convenivano
interessi usurai e l'automatica riduzione di essi al
tasso legale, derogando al principio
generale di cui
all'art. 1343 c.c secondo cui l'illiceità
della causa per contrarietà a norma imperativa
penale travolge l'intero contratto
rendendolo nullo. La nuova norma stabilisce
ora che "se sono stabiliti interessi usurai la clausola è
nulla e non sono dovuti interessi", mostrando un chiaro inasprimento
della disciplina e confermando il
carattere sanzionatorio di essa.
Il contrasto giurisprudenziale che si è venuto a creare su tale
questione, è stato quanto mai acceso. A fronte di
alcune sentenze (si veda Pretura di Cagliari, 16.09.96; Tribunale
di Lodi 30.03.98 e, soprattutto, Tribunale di Roma con ordinanza
del 04.06.98), che hanno negato rilevanza alla dazione degli
interessi al fine della consumazione del reato,
non considerando, pertanto, il contratto affetto da nullità
parziale per contrasto con norma imperativa, si oppongono altre pronunce
che hanno forse preparato e spianato il terreno per la
sentenza della Cass. penale di cui sopra. Così,
il
Tribunale di Firenze con ordinanza del 10.06.1998, ha enunciato che
la nuova normativa anti-usura è applicabile anche
ai contratti di mutuo stipulati prima della sua entrata in vigore,
nel senso che "la ricezione di interessi, divenuti usurai, integra
gli estremi del reato indipendentemente dall'accordo sugli
stessi. La clausola contrattuale che prevede interessi usurai
è affetta così da nullità
parziale sopravvenuta e deve essere sostituita ai sensi
degli artt. 1339 e 1419 c.c. con la prescrizione legale
della misura massima degli interessi consentiti". Lo stesso
Tribunale di Milano con la sentenza 13.11.1997 ha
sancito la
nullità della clausola contenuta in un contratto
di leasing anteriore alla legge 108/96, in quanto
gli interessi venivano corrisposti in misura superiore
al tasso soglia, con conseguente riconoscimento di interessi solo
nella misura legale.
Il Tribunale di Velletri, con un'ampia
motivazione all'ordinanza del 30.04.1998, ha messo in
evidenza come l'art. 3 della legge 108/96 abbia previsto
un regime transitorio, il quale è cessato dopo la prima rilevazione
trimestrale. Ora, tale norma
non avrebbe avuto alcun senso
se, successivamente alla pubblicazione del tasso-soglia, i
contratti stipulati in precedenza non venissero sottoposti a tale
limite, "poiché in tale caso il legislatore avrebbe delimitato
temporalmente il criterio transitorio fino a tutta la durata
del rapporto fondato sui contratti di mutuo stipulati
anteriormente. Il regime transitorio serve proprio ad
adeguare i vecchi contratti alla nuova disciplina,
lasciando un margine di tempo necessario per la modifica
di essi".
Si sostiene, inoltre, che la nuova legislazione anti-usura,
ogettivizzando l'illecito, coglie il fondamento del reato nell'alterazione
della causa di scambio e dà rilevanza al momento consumativo dello
stesso. Non vi è dubbio, infatti, che la novella si sia ispirata
all'art. 41 della Costituzione. Si è voluto impedire
la lesione di un bene giuridico,
derivante dalla sproporzione delle prestazioni, sproporzione
non solo originaria ma anche sopravvenuta, sulla base del richiamato
principio costituzionale secondo cui l'iniziativa privata non può
svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza alla libertà alla dignità umana.
Da tali premesse, il Tribunale laziale ritiene, pertanto,
che se le parti avessero rispettivamente continuato ad eseguire e
riscuotere le prestazioni, il contratto sarebbe stato
colpito da una nullità sopravvenuta, " Il
mutuante, infatti, attraverso un comportamento concludente avrebbe rinnovato
la volontà di riscuotere interessi ormai divenuti usurai,
in violazione dei
principi posto alla l. 108/96, così da subirne le conseguenze
(tra cui anche quella della espulsione degli interessi ai
sensi dell'art. 1815 2° comma c.c.".
Da tali considerazioni si deve
concludere che riscuotere interessi legittimante
e legalmente pattuiti e in seguito divenuti usurai
perché superiori al tasso soglia fissato
con decreto ministeriale, è momento rilevante
per la consumazione del reato ex art. 644 c.p.. Conseguentemente
il mutuatario che ha pagato tali indebite somme nulla più
deve né a titolo di interessi né a titolo di
spese, commissioni, o altre remunerazioni, ex art. 1815 comma
2 c.c. Non si comprendono, pertanto, quelle decisioni dei Tribunali
che alla declaratoria di nullità della pattuizione degli interessi
usurai non vi fanno seguire la sanzione
indicata dal codice civile, recuperando,
invece, senza alcuna spiegazione, il
meccanismo della sostituzione automatica contemplata
dalla citata disposizione codicistica nella sua vecchia formulazione,
riducendo il tasso di interesse a quello
legale. Inoltre, esiste a riguardo una chiara disposizione
il cui dettato all'art. 185 disp. att. estende la disciplina
dell'art. 1815 c.c. anche ai contratti di mutuo anteriori all'entrata
in vigore del codice. Tuttavia, ex adverso, alcuni non hanno ritenuto applicabile
tale norma in virtù del fatto che il tenore letterale della stessa,
il cui riferimento temporale è rimasto alla data di
entrata in vigore del codice, lascia intendere
che il legislatore non l'abbia presa in
considerazione nel dettare la nuova
disciplina. Si hanno ora gli strumenti necessari per esaminare
il caso concreto, in cui il Sig.Tizio nel 1987
ha convenuto con la Banca Tuscolana un
mutuo indicizzato e rateizzato in quindici anni, con pagamento d'interessi
pari al 10% annui. Nel corso degli anni tale tasso è
divenuto superiore al tasso soglia usuraio pubblicato
nella Gazzetta Uff., ma la Banca riscuote
ugualmente la/le rate, commettendo, per i principi esposti,
il delitto di usura. Il Sig.Tizio, a questo punto, potrebbe non solo
denunciare la stessa del delitto, ma rifiutarsi di pagare gli interessi
rimasti ex art. 1815 c.c. (si ricordi che tale norma ha carattere
sanzionatorio) e in base all'art. 644 c.p. avere il diritto
alle restituzioni al risarcimento dei danni.. E' chiaro, infatti,
che se la clausola di interessi usurai è nulla, è evidente
che la Banca dovrà restituire quanto indebitamente percepito
a tale titolo (tale orientamento era pacifico anche nel vigore della
vecchia disciplina).
Per quanto riguarda il risarcimento dei danni appare ovvio
che nel caso di specie la norma si riferisca ai danni
non patrimoniali, dunque, al danno morale ed a
quello biologico patito dall'usurato
afflitto dalle preoccupazioni di dover far fronte al contratto.
Per di più, l'art. 14 della legge 108/96 ipotizza a carico
della vittima anche l'aver subito, a causa
dell'usura danni per perdite e per mancati guadagni.
Inoltre, essendo un mutuo con clausola di
rivalutazione monetaria, nel computo del tasso d'interesse
si dovrebbe tenere conto anche della clausola stessa, (basata
nel nostro caso sull'andamento dei BOT, oltre
ad un determinato indice fisso), se, per i principi già
esposti precedentemente, portasse un effettiva remunerazione alla
mutuataria, ben al di là del tasso
effettivo di svalutazione, dovrebbe essere
computato nel calcolo degli interessi, unitamente a tutte
le spese sostenute da Tizio per l'esecuzione del contratto. E' necessario
ancora notare che la Banca ha nel 1999 abbassato il tasso,
passando da un tasso fisso al 10% ad un
tasso variabile la cui prima quantificazione è
stata del 7,2% per un mutuo e 7,4% per un altro mutuo,
convenuto dalla stesso Tizio in precedenza ed alle stesse
condizioni del primo. Orbene, premesso che il 7,4 % è dall'ultima
rilevazione tasso usuraio in quanto la soglia è stata
improrogabilmente fissata al 7,3 %, si deve considerare che
la proposta di variazione dal tasso fisso al variabile
è avvenuta per esclusiva iniziativa di Tizio (che
ha corrisposto anche 100
mila lire a titolo di spese) e la Banca
per sua stessa ammissione ha eccezionalmente accettato,
quando invece era la stessa mutuataria che
avrebbe dovuto immediatamente ricondurre al tasso legale (e
ad equità) la dazione di interessi. Situazione questa che può,
pertanto, rilevare anche da un punto di vista
soggettivo (cioè dell'elemento psicologico)
nell'analisi della situazione concreta,
in quanto la Banca avrebbe pacificamente
continuato a riscuotere il 10 % annui, ricevendo indebitamente interessi
ben al disopra del tasso soglia. È opportuno, ancora una
volta, tenere conto che nelle precedenti pronunce effettuate dai
Tribunali aditi per questioni simili, la clausola concernente la dazione
di interessi divenuti usurai, è stata sostituita con quella
che li prevede al tasso soglia massimo consentito, e mai è
invece avvenuta la
sostituzione automatica ex art. 1815 c.c
(non corresponsione di alcun interesse) Pertanto il rischio
è che se Tizio impugna parzialmente il contratto
per contrarietà a norma imperativa, rischia di vedersi eccepire
dalla Banca che tali interessi sono stati immediatamente ricondotti
ad un tasso minore a quello usuraio. Esiste di
conseguenza il pericolo che il Tribunale
competente investito della questione, pur abbracciando
le teorie sopra illustrate sul momento consumativo del reato
di usura, possa effettivamente non applicare la sanzione di cui
all'art. 1815 c.c. e condannare la Banca unicamente alle restituzioni
delle precedenti rate usuraie, (che allo stato dei fatti sarebbe
solo quella versata il 01.01.99 quando il, tasso usuraio era del
8,7%), oltre naturalmente al risarcimento danni. Esiste inoltre la
possibilità di denuncia in sede penale della mutuataria
con contestuale costituzione di parte civile qualora ci fosse una
pronuncia di rinvio a giudizio da parte del G.U.P..
Ma anche in tale caso Tizio potrebbe unicamente richiedere
il risarcimento del danno e le eventuali
restituzioni dei beni (rate considerate usuraie) conferiti illegittimamente.
Di conseguenza dall'attenta analisi condotta non sembra potersi prescindere
da un esatto calcolo di quanto è ed in precedenza è stato
pagato a titolo di rivalutazione monetaria. Si ribadisce ulteriormente
che se effettivamente tale "voce" avesse portato o tuttora
porti un tangibile remunerazione alla
Banca questa dovrebbe presumibilmente sommarsi
agli interessi, con la conseguenza che anche quelli
appena pagati a tasso variabile essere ancora considerati usurai.
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