Tribunale di Ivrea, ordinanza collegiale 21 settembre 2000 (est.
Morlini), sulla configurabilità del sequestro conservativo nell’ambito
dei giudizi di separazione personale.
Tribunale di Ivrea
composto dai Magistrati Sigg.
dr. Luigi Grimaldi, Presidente
Dott. Andrea Piersantelli, Giudice
Dott. Gianluigi Morlini, Giudice est.
a scioglimento della riserva formulata nell’udienza del 18/9/2000, nella
causa iscritta al n. 5/2000 reg. reclamo
RILEVATO CHE
- Con ricorso per sequestro conservativo in corso di causa, depositato
il 8/6/2000, Elena Bartelloni domandava al G.I. l’autorizzazione a procedere
ex art. 671 c.p.c. su beni in proprietà del signor Valentino Nicolotti.
Esponeva la ricorrente che, tra le parti, pendeva un processo di separazione
personale. In particolare, si rappresentava che, nell’ambito di tale procedimento,
il Presidente del Tribunale, in sede di provvedimenti temporanei ed urgenti
ex art. 708 c.p.c., aveva disposto che il Nicolotti contribuisse al mantenimento
della moglie e del figlio con la somma mensile di lire sei milioni, e precisamente
con lire tre milioni per ciascuno.
Una volta proseguita la causa davanti al Giudice istruttore, veniva
disposta sul patrimonio del Nicolotti apposita c.t.u., dalla quale si evinceva
un sostanziale azzeramento dei conti correnti nella titolarità del
Nicolotti stesso, pur se due anni prima era stata accertata la disponibilità
di oltre settecento milioni tra titoli e depositi.
Pertanto, ritenendo esistente, relativamente al vantato diritto di
credito nei confronti del marito, tanto il fumus boni iuris (rinvenibile
nell’ordinanza presidenziale) che il periculum in mora (enucleabile dalla
disposta c.t.u., dall’esistenza di successivi atti del Nicolotti asseritamente
rivolti a provocare un depauperamento del proprio patrimonio, nonché
da un rinvio a giudizio per il reato di violazione degli obblighi di assistenza
familiare), la Bartelloni si risolveva a domandare al G.I. la concessione
del sequestro conservativo di partecipazioni societarie facenti capo al
Nicolotti e meglio descritte nella citata c.t.u. del dott. Bullio.
- Con comparsa di risposta depositata all’udienza del 23/6/2000, si
costituiva Valentino Nicolotti, domandando il rigetto della domanda ex
adverso.
Argomentava in particolare parte convenuta che il sequestro conservativo
ex art. 671 c.p.c., il cui iter processuale segue le forme del cosiddetto
procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669 bis e ss., non può
trovare ingresso nell’ambito dei procedimenti di separazione personale.
Infatti, a tali procedimenti l’unica forma di sequestro applicabile sarebbe
quella specificamente prevista dall’art. 156 comma 6 c.c., con esclusione
quindi della possibilità di agire ex art. 671 c.p.c.. Poiché
non era stato provato, e neppure dedotto, l’inadempimento necessario a
fondare la pronuncia ex art. 156 comma 6 c.c., non essendo proponibile
una diversa forma di sequestro, la domanda andava rigettata.
Da una seconda angolazione, si argomentava che il ricorso andava comunque
respinto anche per evitare la duplicazione di titoli esecutivi in forza
della Bartelloni, che già poteva contare sull’ordinanza ex art.
708 c.p.c..
Infine, si contestava anche la esistenza dei requisiti specificamente
necessari per provvedere ex art. 671 c.p.c., negando in particolare nel
caso di specie la sussistenza del periculum in mora e contestando la configurabilità
di atti del Bartelloni volti a provocare il depauperamento del proprio
patrimonio.
- All’udienza del 23/6/2000, il G.I. interrogava liberamente le parti,
la ricorrente ribadiva di agire ai sensi dell’art. 671 c.p.c. e non ai
sensi dell’art. 156 c.c., i difensori discutevano la causa illustrando
le proprie posizioni ed il G.I si riservava di provvedere. Con ordinanza
riservata depositata il 26/6/2000, il G.I., a scioglimento della riserva
assunta ed in accoglimento del ricorso, autorizzava il sequestro sino alla
concorrenza di £. 220.000.000, sul presupposto che il credito della
Bartelloni ammontava allo stato a £. 6.000.000 al mese e che la situazione
poteva protrarsi sino alla pronuncia di divorzio, e cioè almeno
per tre anni.
RITENUTO CHE
- Avverso tale ordinanza del G.I. proponeva reclamo al Collegio ex
art. 669 terdecies il Nicolotti, riproponendo e puntualizzando le argomentazioni
già sviluppate in precedenza.
In particolare, si ribadiva da un lato la presunta inapplicabilità
del sequestro conservativo ai procedimenti di separazione personale, ritenendo
che tale posizione trovasse il conforto della giurisprudenza, in particolare
della sentenza n. 258/1996 della Corte Costituzionale.
In secondo luogo, si contestava la concessione di un sequestro conservativo
invocato a tutela di un diritto già consacrato in un titolo giudiziale,
rappresentato dall’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c., riportandosi
alla sentenza della Corte d’Appello di Milano 5/3/1983 per motivare l’impossibilità
di concedere un sequestro al creditore già è munito di titolo
esecutivo.
Da ultimo, si argomentava circa la mancanza in ogni caso dei presupposti
del periculum in mora e del fumus boni iuris relativamente al credito vantato
dalla Bartelloni.
Per tali motivi, veniva domandata la revoca del sequestro.
- All’udienza del 18/9/2000 si costituiva Elena Bartelloni, instando
per il rigetto del reclamo e la conferma del provvedimento del G.I.. Nel
corso della medesima udienza, le parti illustravano le proprie conclusioni,
ed il Giudicante si riservava di deliberare.
CONSIDERATO CHE
1) Non può essere accolta l’eccezione formulata dal reclamante
circa l’inconfigurabilità del sequestro conservativo nell’ambito
dei giudizi di separazione personale.
Osserva infatti in proposito il Collegio che la giurisprudenza assolutamente
consolidata tratteggia una netta differenziazione tra il sequestro conservativo
ex art. 671 c.p.c. ed il cosiddetto sequestro atipico ex art. 156 comma
6 c.c.. E’ stato infatti autorevolmente osservato, con pronunciamenti che
il Collegio pienamente condivide, come il sequestro ex art. 156 c.c. sia
uno strumento avente natura non cautelare e con caratteri assolutamente
peculiari rispetto all’ordinario sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.,
posto che esso presuppone un credito già dichiarato, sia pure in
via provvisoria; richiede il presupposto dell’inadempimento, non già
del fumus boni iuris o del periculum in mora; può essere posto in
essere solo su determinati beni, non su tutto il patrimonio del debitore
(cfr., ex pluribus, Cass. Sez. I 12/5/1998 n. 4776, Cass. Sez. I 30/1/1992
n. 961).
Ciò posto, non vi è ragione di ritenere incompatibile
il sequestro ex art. 671 c.p.c. con il giudizio di separazione personale,
posto che in esso viene pienamente racchiusa la causa di merito circa la
condanna di un coniuge a versare all’altro coniuge una determinata somma
di denaro. E’ appena il caso di accennare, infatti, che il giudizio di
separazione richiede un necessario pronunciamento sul vincolo matrimoniale,
ma anche un ulteriore e diverso pronunciamento, sia pure accessorio e potenziale,
sulla eventuale domanda di corresponsione di un assegno di mantenimento.
Ritiene il Collegio che la previsione legislativa della possibilità
di utilizzare, in materia di separazione, il procedimento ex art. 156 comma
6 c.c., rappresenti una tutela aggiuntiva che il legislatore offre in tale
settore, e non già una norma sostitutiva della tutela ordinaria.
Opinando diversamente, si arriverebbe all’incongrua soluzione di ritenere
che la riforma del diritto di famiglia del 1975 -che ha provveduto a riformulare
l’art. 156 c.c. e che è certamente orientata a rafforzare la tutela
del coniuge debole- ha, per alcuni versi, operato una deminutio nella tutela
dello stesso coniuge debole. Infatti, posto che prima del 1975 non si dubitava
che fosse possibile proporre nel giudizio di separazione personale il sequestro
conservativo (cfr. Cass. 1772/1971 e Cass. 3773/1969), sarebbe innegabile
l’esistenza di un regresso di tutela nel caso in cui si ritenesse ora che,
dopo la riforma, sia possibile solo il sequestro nelle forme dell’art.
156 c.c., cioè solo nel caso di inadempimento del coniuge tenuto
a corrispondere l’assegno di mantenimento.
Decisamente più ragionevole, è, quindi, ritenere che
il procedimento ex art. 156 c.c. consenta al coniuge debole di procedere
al sequestro in caso di inadempimento dell’altro coniuge, senza dovere
dare prove di requisiti diversi dall’inadempimento stesso; ma che ben può
il coniuge, in assenza di tale inadempimento, ricorrere alla tutela ordinaria
concessa dall’art. 671 c.p.c., alla condizione ovviamente di potere provare
i necessari e tradizionali presupposti del fumus boni iuris e del periculum
in mora.
D’altronde, erra parte reclamante nel sostenere che a diverse conclusioni
è giunta la sentenza di Corte Cost. n. 158/1996. L’attenta lettura
del provvedimento, infatti, consente di evidenziare che la Corte, ribadita
la diversità tra le due figure, ha semplicemente affermato
che l’art. 156 comma 6 c.c. “si configura con tali aspetti di specialità
da doversi ritenere di applicazione prevalente, se non esclusiva, in sede
di separazione personale tra coniugi, rispetto all’ordinario sequestro
conservativo”. Tale obiter dictum, che secondo i principi generali non
è ovviamente vincolante per il giudice di merito, è ben lungi
dall’affermare la inconfigurabilità dell’art. 671 c.c. nel giudizio
di separazione, limitandosi ad affermare che nella generalità dei
casi è di “applicazione prevalente” il sequestro ex art. 156 c.c.,
senza che in alcun modo possa desumersi l’assoluta inapplicabilità
dell’art. 671 c.c.. Ciò è poi ulteriormente confermato dal
brano successivo della sentenza, che chiarisce opportunamente come “resta
ovviamente affidato alla saggia valutazione del giudice istruttore bilanciare
in modo equilibrato l’uso dei vari strumenti offerti dalla legge, per conseguire
il risultato di soddisfare nel modo migliore le ragioni economiche dei
componenti più bisognosi della famiglia”.
Se così è, non solo la Corte Costituzionale non ha ritenuto
il sequestro ex art. 671 c.p.c. inconfigurabile nel procedimento di separazione,
ma di fatto lo ha anzi ammesso, lasciando la valutazione in concreto di
tale possibilità alla “saggia valutazione del giudice istruttore”.
Sul punto, va poi osservato che anche Cassazione Sez. I 20/1/1994 n.
521, in un giudizio perfettamente sovrapponibile al presente, ha sostanzialmente
aderito a questa ricostruzione, censurando un provvedimento di sequestro
conservativo reso nell’ambito del giudizio di separazione personale non
sul presupposto della (inesistente) sua inconfigurabilità ontologica,
ma semplicemente perché reso dal Presidente quando la causa era
già stata affidata al Giudice Istruttore.
Pertanto, concludendo sul punto, può dirsi che ben è
possibile provvedere al sequestro ex art. 671 c.p.c. nell’ambito di una
causa di separazione personale tra coniugi, rappresentando il rimedio di
cui all’art. 156 comma 6 c.c. una tutela aggiuntiva e non sostitutiva rispetto
all’ordinario sequestro del codice di rito.
2) Neppure pare al Collegio meritevole di accoglimento la seconda censura
mossa dal reclamante, relativa alla inammissibilità di un sequestro
conservativo in presenza di altro titolo esecutivo (nel caso di specie,
quello offerto dal provvedimento ex art. 708 c.p.c.).
Innanzitutto, deve al riguardo essere evidenziato come il precedente
giurisprudenziale citato a conforto delle proprie tesi dalla difesa di
parte reclamante, e cioè la sentenza della Corte d’Appello di Milano
5/3/1983, rappresenti un orientamento giurisprudenziale minoritario della
giurisprudenza di merito. E’ la stessa corte milanese, infatti, che correttamente
rappresenta come la giurisprudenza di legittimità e la maggioritaria
giurisprudenza di merito, ritengano che “il creditore, ancorché
munito di titolo esecutivo, può scegliere tra l’azione esecutiva
e quella cautelare”. A tale indirizzo, correttamente, il G.I ha chiaramente
mostrato di ispirarsi.
Da una seconda angolazione, deve poi osservarsi che una attenta lettura
della sentenza de quo, è probabilmente idonea a sminuire la portata
innovativa che la difesa di parte reclamante le attribuisce, laddove, circa
a metà della motivazione, si argomenta come sia “da escludere che
il creditore possa invocare un sequestro quando sia già munito di
sentenza di condanna esecutiva”. Basta al proposito osservare che il provvedimento
presidenziale ex art. 708 c.p.c. è un’ordinanza (revocabile in ogni
momento dal G.I.), e non già una sentenza, e come tale non necessariamente
inquadrabile nell’ambito di quei titoli esecutivi giudiziali la cui presenza,
ad avviso della Corte milanese, escluderebbe l’ammissibilità del
sequestro conservativo.
Da ultimo e soprattutto, è la stessa natura del provvedimento
esecutivo in questione che impedisce, ad avviso del Collegio, di giungere
alle conclusioni del reclamante. Infatti, se già in astratto appare
condivisibile l’orientamento della Suprema Corte di ritenere possibile
il sequestro conservativo anche da parte del creditore già munito
di un titolo esecutivo, tale orientamento diviene ancora più convincente
laddove il titolo esecutivo è rappresentato da un provvedimento
-come l’ordinanza ex art. 708 c.p.c.- la cui temporaneità e la cui
possibilità di caducazione sono massime, essendo l’ordinanza sempre
revocabile dal G.I e comunque travolta dalla sentenza definitiva.
Per una implicita conferma giurisprudenziale di tale posizione, pare
opportuno rinviare alla già citata Cass. Sez. I 20/1/1994 n. 521,
che non ha censurato la proposizione di un sequestro conservativo da parte
del coniuge munito di titolo esecutivo ex art. 708 c.p.c., ma ha semplicemente
chiarito che tale sequestro andava presentato al G.I. (come correttamente
ha fatto la Bartelloni) e non al Presidente del Tribunale.
Concludendo quindi sul punto, può dirsi che il Collegio non
ritiene preclusa al creditore munito di un titolo esecutivo quale l’ordinanza
ex art. 708 c.p.c., la possibilità di agire per sequestro conservativo.
3) Infine, deve essere rigettata anche la terza doglianza mossa dal
reclamante relativamente alla mancanza del fumus boni iuris e del periculum
in mora.
Per quanto concerne l’elemento del fumus relativo all’esistenza del
diritto di credito, questo è più che sufficientemente lumeggiato
dalla più volte richiamata ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c.,
che ha provvisoriamente indicato in sei milioni mensili l’entità
dell’assegno dovuto dal Nicolotti.
Circa il periculum in mora, il Collegio non può che rifarsi
alla dettagliata e convincente c.t.u. del dottor Bullio, che ha rappresentato
il sostanziale azzeramento del patrimonio di depositi e titoli, in precedenza
ammontante ad oltre settecento milioni, nonché la mancanza di un
conto corrente riconducibile al Nicolotti. Aderendo a quanto già
diffusamente illustrato dal G.I., va evidenziato come l’attività
liquidatoria del patrimonio mobiliare del marito, ha reso oggettivamente
più difficile alla Bartelloni il soddisfacimento del proprio diritto
di credito, mentre la mancanza di un conto corrente a sé intestato
può essere sintomatica della volontà del Nicolotti di occultare
liquidità facilmente aggredibili.
4) Per tutti questi motivi, il reclamo deve essere respinto, e per l’effetto
va confermato il provvedimento del G.I del 26/6/2000. Le spese di lite
devono essere liquidate all’esito del già instaurato giudizio di
merito.
P.Q.M.
il Tribunale di Ivrea,
visto l’art. 669 terdecies c.p.c.
ogni diversa istanza disattesa,
- rigetta il reclamo proposto da Valentino Nicolotti con ricorso depositato
il 12/7/2000, e per l’effetto conferma l’ordinanza del G.I 26/6/2000;
- spese all’esito del giudizio di merito.
Così deciso nella camera di Consiglio del Tribunale di Ivrea
il 21/9/2000.
Il Presidente
Dott. Luigi Grimaldi
Il Giudice estensore
Dott. Gianluigi Morlini |