Tribunale di Ivrea, Giudice monocratico, 19 gennaio 2001, sull’istanza
di sospensione dell'esecutività di un decreto ingiuntivo nell'ambito
di un procedimento di revocazione
Il Giudice, a scioglimento della riserva formulata all’udienza del 17/1/2001,
osserva quanto segue.
1) Con atto di citazione ritualmente notificato a controparte, parte
attrice domandava ex art. 665 c.p.c. la revocazione del decreto ingiuntivo
n. 59/94 reso dal Tribunale di Ivrea in data 23/2/1994, decreto divenuto
definitivamente esecutivo a seguito di estinzione del procedimento di opposizione.
Nel medesimo atto introduttivo, poi, veniva altresì richiesta una
pronuncia di sospensione del decreto in parola, ritenendo sussistenti i
presupposti di cui all’art. 401 c.p.c..
Parte convenuta si costituiva in causa resistendo alle domande ex adverso,
contestando sia la sussistenza in fatto ed in diritto dei presupposti dell’azione
di revocazione, sia la concedibilità del provvedimento di sospensione.
All’udienza ex art. 180 c.p.c. del 8/11/2000, il Giudice concedeva
termine alle parti per memorie sull’istanza di sospensione, e rinviava
per la decisione all’udienza del 17/1/2001, tenuta in camera di consiglio
ex artt. 401 e 373 c.p.c.. In tale udienza, la difesa di parte attrice
dava atto del decesso del procuratore ad litem degli attori, depositando
comparsa di costituzione di un nuovo procuratore speciale.
Le parti discutevano poi sull’istanza di sospensione con il Giudice,
che si riservava di decidere.
2) Concettualmente preliminare ad ogni statuizione sulla domanda di
sospensione, è la questione, sollevata in udienza di discussione,
dell’ammissibilità della procedura di revocazione relativamente
al decreto ingiuntivo che, come quello oggetto di causa, è divenuto
(definitivamente) esecutivo a seguito di estinzione del processo.
Sul punto, va evidenziato come l’art. 656 c.p.c., che disciplina la
revocazione del decreto ingiuntivo, riservi tale mezzo impugnatorio al
“decreto d’ingiunzione divenuto esecutivo a norma dell’art. 647”, e cioè
al decreto per il quale non è stata fatta opposizione o per il quale
l’opponente non si è costituito. Tuttavia, sulla scorta dell’insegnamento
della Suprema Corte, oramai datato ma mai contraddetto nel tempo, ritiene
questo Giudice che l’impugnazione per revocazione sia ammissibile anche
avverso il decreto divenuto esecutivo per estinzione del procedimento di
opposizione ex art. 653 (cfr. Cass. 29/3/1989 n. 1492 e Cass. 27/1/1977
n. 411).
Non esistono infatti motivazioni logiche o giuridiche che giustifichino
una distinzione, ai fini della revocazione, tra decreti esecutivi ex art.
647 o ex art. 653 c.p.c., a pena di una interpretazione letterale e formalistica
dell’art. 656, che potrebbe porre anche problemi di legittimità
costituzionale. Pertanto, come già evidenziato ed in aderenza alla
posizione della Corte di Cassazione, ritiene il Giudice di interpretare
in senso estensivo l’art. 656 c.p.c., e di considerare ammissibile l’azione
di revocazione anche nei confronti del decreto ingiuntivo divenuto esecutivo
per estinzione del procedimento di opposizione.
3) Non è poi condivisibile il rilievo, formulato da parte convenuta,
relativamente alla presunta inammissibilità della procedura di revocazione
del decreto ingiuntivo, nel caso di deduzione di dolo di controparte (cfr.
pag. 12 comparsa di risposta).
Se così fosse, da un lato l’ordinamento conterrebbe un’ingiustificata
discrasia tra impugnazione per revocazione di decreti ingiuntivi ed impugnazione
di altri provvedimenti giurisdizionali; dall’altro lato, si arriverebbe
ad un’illogica interpretazione abrogatrice dell’art. 656 c.p.c., che espressamente
sancisce la possibilità di chiedere la revocazione del decreto ingiuntivo
nei casi indicati nel numero 1 dell’art. 395 c.p.c., e cioè proprio
nei casi di dolo della controparte.
D’altronde, la giurisprudenza non dubita in alcun modo della possibilità
di revocazione di un decreto ingiuntivo per dolo di controparte, e la sentenza
della Corte di Cassazione citata dalla difesa di parte convenuta, risulta
in realtà essere di segno esattamente opposto a quello inteso dalla
CRT. Infatti, la lettura del testo di Cass. n. 1134/1992, chiarisce che
i giudici di legittimità hanno semplicemente ritenuto come, nel
caso in cui la conoscenza del fatto fonte di revocazione sia anteriore
allo spirare del termine per l’opposizione al decreto, la situazione viziante
debba essere fatta valere con l’opposizione, non con la revocazione.
La decisione, che il Giudice condivide pienamente, non è di
alcuna utilità nel caso concreto, posto che parte attrice fonda
le proprie doglianze su documenti ottenuti dalla CRT sei anni dopo l’emissione
del decreto ingiuntivo, e quindi ben oltre i termini utili per proporre
opposizione. Pertanto, solo se il dolo di controparte è conosciuto
dall’intimato fin dal momento della notifica del decreto ingiuntivo, è
preclusa la possibilità di agire per revocazione, essendo in tal
caso necessario percorrere la strada dell’opposizione (cfr. proprio Cass.
3/2/1992 n. 1134).
Sotto questo profilo, dunque, le doglianze di parte convenuta non meritano
accoglimento.
4) Neppure può essere condivisa l’apodittica eccezione di parte
convenuta circa l’inapplicabilità del procedimento di sospensione
alla fattispecie oggetto di causa (cfr. pag. 17 comparsa di risposta).
Sul punto, si osserva come non esistano ragioni logiche o letterali
che escludano l’operatività dell’art. 401 c.p.c., secondo il quale
“Il Giudice della revocazione può pronunciare, su istanza di parte
inserita nell’atto di citazione, l’ordinanza prevista dall’art. 373, con
lo stesso procedimento in camera di consiglio”. Deve al proposito osservarsi
come non risulti in discussione il fatto che il Tribunale di Ivrea sia
il Giudice della revocazione, che l’istanza di sospensione sia contenuta
nella citazione, che si sia proceduto a decidere in camera di consiglio.
Nemmeno può opinarsi che l’art. 373 c.p.c., a cui l’art. 401
c.p.c. rinvia per il procedimento, si limiti a parlare di sospensione di
sentenze, non già di decreti ingiuntivi. E’ facile al riguardo obiettare
che l’art. 373 c.p.c. è relativo alla sospensione di sentenze per
le quali pende il ricorso per Cassazione, ed il rinvio a tale norma è
chiaramente operato a meri fini procedimentali, posto che l’ammissibilità
sostanziale della revocazione del decreto ingiuntivo riposa sul già
citato art. 656 c.p.c., e che il legislatore ha inteso estendere la procedura
descritta dall’art. 373 c.p.c. a tutti i casi di revocazione.
Pertanto, se è vero che al procedimento di revocazione del decreto
ingiuntivo si applicano le regole relative alla revocazione della sentenza
(cfr. Cass. 10/4/1978 n. 1074), deve necessariamente inferirsi che al procedimento
di revocazione del decreto ingiuntivo si applica anche l’ipotesi di sospensione.
5) Tuttavia, pur se ammissibile in linea di principio, la sospensione
non può essere concessa nel caso di specie. Ritiene infatti il Giudice
non provati i presupposti del danno “grave e irreparabile”, che ex art.
373 c.p.c. debbono presidiare la concessione della sospensione del provvedimento
impugnato.
Parte ricorrente, tanto nell’atto introduttivo che nella memoria 14/12/2000,
ha infatti lungamente discettato sul pregiudizio che deriverebbe dall’esecuzione
del provvedimento per il quale è causa, e cioè del decreto
ingiuntivo n. 59/94. Il pregiudizio “grave e irreparabile” sarebbe infatti
rappresentato dalla vendita di immobili di proprietà degli attori
e per i quali è in corso la procedura esecutiva n. 46/94, ormai
prossima all’udienza di vendita.
In realtà, come ha nella discussione riconosciuto la stessa
parte attrice e come è provato dalle produzioni documentali di controparte,
la procedura esecutiva il cui compimento rappresenta il pregiudizio che
giustificherebbe la sospensione, è supportata da una molteplicità
di titoli esecutivi. Si pensi al proposito che, da un lato, la procedura
è stata promossa da un altro creditore, essendo la CRT un mero creditore
intervenuto; dall’altro lato, la stessa CRT vanta in tale procedura altri
tre titoli esecutivi, oltre a quello contestato nella presente causa.
In particolare, nella procedura esecutiva immobiliare n. 46/94, la
CRT fa valere non solo il decreto ingiuntivo n. 59/94, ma anche i decreti
ingiuntivi n. 57/94, 58/94 e 60/94. Su tali ultimi tre decreti, non solo
non vi sono contestazioni da parte degli attori, ma vi è addirittura
l’espressa ammissione di debito fatta in udienza dal difensore degli attori
e la dichiarazione di ritenere dovute le relative somme. Somme che, sei
anni orsono, ammontavano ad oltre duecentosettantasette milioni, e che
oggi vanno maggiorate di interessi e spese legali per un periodo di sei
anni.
Se così è, non vi è la prova che la sospensione
del decreto ingiuntivo per cui è causa, eviti un danno “grave ed
irreparabile” per gli attori, id est la vendita degli immobili di cui alla
procedura esecutiva immobiliare n. 56/94. Anzi, vi è addirittura
la prova contraria, cioè che la richiesta sospensione non potrebbe
in alcun modo evitare quel danno, poiché l’esecuzione immobiliare
procederebbe relativamente ad un non contestato debito di duecentosettantasette
milioni, oltre interessi e spese legali per sei anni.
Ciò è ancora più vero se si riflette sul fatto
che, dopo alcuni provvedimenti di differimento delle udienze di vendita,
il G.E. ha rigettato le richieste dei debitori esecutati di ulteriori rinvii,
proprio sul presupposto che, in tutti gli anni di causa, non si era provveduto
a soddisfare neppure parzialmente i creditori, pur se alcuni debiti ed
alcuni creditori non erano oggetto di contestazione alcuna. Pertanto, in
assenza della benché minima attivazione degli attori nel parziale
soddisfacimento della propria situazione debitoria, o quanto meno di un
oggettivo e certo impegno in tal senso, non è per il Tribunale in
alcun modo possibile formulare un giudizio prognostico circa il rinvio
dell’udienza di vendita della procedura immobiliare, pur se in ipotesi
fosse sospesa l’efficacia di uno dei molteplici titoli esecutivi a fondamento
della procedura stessa.
Mancando quindi la prova che, dall’esecuzione del decreto ingiuntivo
impugnato, possa derivare “grave ed irreparabile danno”, la domanda di
sospensione deve essere rigettata.
6) In limine alla presente appendice del processo di revocazione, ed
a mero titolo di completezza espositiva, deve poi essere evidenziata una
peculiarità del presente giudizio. Infatti, anche a volere in ipotesi
aderire alla tesi dell’attore, contestata da controparte e comunque da
vagliare giudizialmente, circa la capacità dei documenti prodotti
in causa di provare un comportamento doloso della CRT, l’accoglibilità
dell’azione di revocazione si pone in ogni caso, allo stato, assai problematica.
La mole e la complessità dei citati documenti, infatti, ad un
primo esame pare rivolta più che altro a supportare la pretesa degli
attori in ordine ad una responsabilità risarcitoria della CRT, già
azionata in un diverso procedimento, e non già ad inficiare il debito
degli attori per i quali è stato emesso il decreto ingiuntivo oggi
impugnato.
Ammesso, infatti, che la documentazione allegata provi quanto argomentato
da parte attrice, e cioè, in buona sostanza, l’imposizione alla
SOAUTO di un rovinoso rientro debitorio, forzoso ed ingiustificato, la
conseguenza apparirebbe, rebus sic stantibus, quella di giustificare una
pretesa risarcitoria nei confronti della banca, posto che il debito per
il quale è stato emesso il decreto ingiuntivo non appare allo stato
essere contestato.
7) Per tutti i motivi sopra enucleati, e segnatamente per l’inesistenza
di un danno che derivi direttamente dall’esecuzione del decreto ingiuntivo
impugnato, la domanda di sospensione deve essere rigettata.
La causa di revocazione deve proseguire con la già fissata udienza
ex art. 183 c.p.c. del 11/5/2001.
P.Q.M.
- rigetta la richiesta di sospensione dell’esecuzione del decreto ingiuntivo
n. 59/94 emesso dal Tribunale di Ivrea di data 23/2/1994;
- dispone che la causa prosegua alla già fissata udienza ex
art. 183 c.p.c. del 11/5/2001 ore 9,45.
Ivrea, 19/1/2001
Il Giudice
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