Corte di
Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 aprile – 4 novembre 2019,
n. 28314
sulle nullità selettive
9. Nel quinto motivo viene
dedotta la violazione degli artt. 820, 1148 e 2033 c.c. in relazione al
dedotto obbligo dell’investitore di restituire le cedole riscosse in
buona fede nel corso del rapporto. Il ricorrente aveva già prospettato il
rilievo in questione precisando che le cedole nella specie erano state
pagate dagli emittenti dei titoli e non dalla banca con la conseguenza che
la stessa difettava di legittimazione. L’affermazione, secondo la
quale, con la declaratoria di nullità i titoli restavano di proprietà della
banca non faceva venire meno la conseguenza che il pagamento delle cedole
era stato effettuato in buona fede al soggetto che
in virtù del possesso del titolo figurava esserne il proprietario. Le norme
sopra indicate stabiliscono il principio secondo il quale il possesso di
buona fede fa sì che i frutti riscossi siano dovuti
solo dal giorno della domanda e non dal momento della loro
materializzazione. Il giudice d’appello ha errato nel dare rilievo
invece che al possesso di buona fede alla titolarità delle obbligazioni.
Essendo stata esclusa la malafede della banca doveva a maggior ragione
essere esclusa la malafede del cliente. La corte d’Appello ha
erroneamente ritenuto la banca legittimata alla ripetizione di indebito oggettivo.
11. La questione di cui sono state investite
le Sezioni Unite è affrontata nel secondo motivo di ricorso. Il contrasto
che si è determinato all’interno della prima sezione riguarda, come
già rilevato, la legittimità della limitazione degli effetti derivanti dall’accertamento
della nullità del contratto quadro ai soli ordini oggetto della domanda
proposta dall’investitore, contrapponendosi a tale impostazione,
quella, ad essa alternativa, che si fonda
sull’estensione degli effetti di tale dichiarazione di nullità anche
alle operazioni di acquisto che non hanno formato oggetto della domanda
proposta dal cliente, con le conseguenze compensative e restitutorie che ne
possono derivare ove trovino ingresso nel processo come eccezioni o domande
riconvenzionali.
14. L’esame del secondo motivo richiede una precisazione preliminare.
Nel giudizio di merito si è formato
il giudicato sulla nullità del contratto quadro per difetto di forma,
nonostante emerga dal ricorso (pag.8), e dalla
sentenza impugnata (pag. 7 in fine) che il predetto
contratto (quello del 25/8/98) sia stato sottoscritto dagli investitori (il
ricorrente e sua madre). L’esistenza di un testo completo e
sottoscritto da uno dei contraenti, ancorché costituisca circostanza
irrilevante, in relazione all’accertamento
della nullità, perché coperta da giudicato, non può essere del tutto
ignorata, in relazione alla valutazione della legittimità delle diverse
forme di tutela dell’intermediario determinate dall’uso
selettivo delle nullità di protezione.
14.1 in particolare, deve escludersi l’applicabilità, nel caso di
specie, dei principi contenuti nell’ordinanza della prima sezione
civile, n. 10116 del 2018, secondo i quali l’intermediario non può
legittimamente opporsi ad un’azione fondata
sull’uso selettivo della nullità ex art. 23 T.U.F.
quando un contratto quadro manchi del tutto, nè
attraverso l’exceptio doli (di cui si
tratterà nei par. 18,19,20) nè, in ragione della
protrazione nel tempo del rapporto, per effetto della sopravvenuta
sanatoria del negozio nullo per rinuncia a valersi della nullità o per
convalida di esso, l’una e l’altra essendo prospettabili solo
in relazione ad un contratto quadro formalmente esistente.
15. Si ritiene necessaria, in primo luogo, la ricognizione del quadro
legislativo delle nullità di protezione non limitando l’esame
soltanto alle norme del T.U.F ratione temporis applicabili,
ma estendendo l’indagine ad aree contigue, in modo da avere un
prospetto comparativo della peculiarità del regime giuridico di tale
tipologia di nullità.
15.1 Al rapporto dedotto in giudizio si applica il D.Lgs.
n. 58 del 1998, art. 23 nella sua formulazione
originaria. Il testo normativo è, infatti, entrato in vigore il 1/7/1998 ed il contratto quadro è stato stipulato
nell’agosto del 1998. Gli ordini di cui si chiede la dichiarazione di
nullità sono stati emessi nel 1999.
Il testo normativo ratione temporis
applicabile è il seguente:
1. I contratti relativi alla prestazione dei
servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un
esemplare è consegnato ai clienti. La CONSOB, sentita la Banca d’Italia,
può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti,
particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra
forma. Nei casi di inosservanza della forma
prescritta, il contratto è nullo.
2. È nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi
per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro
onere a suo carico. In tal casi nulla è dovuto.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità
può essere fatta valere solo dal cliente.
Il comma 3 non è mutato nella versione della norma
attualmente vigente.
Analogo sistema di tutela del cliente si rinviene nel D.Lgs.
n. 385 del 1993 (d’ora in avanti denominato T.U. bancario), sia in relazione alla previsione della nullità del contratto
per difetto di forma (art. 117, commi 1 e 3, rimasti immutati), sia in
relazione all’applicazione delle nullità di protezione disciplinate
nell’art. 127, così formulato:
"1. Le disposizioni del presente titolo sono
derogabili solo in senso più favorevole al cliente.
2. Le nullità
previste dal presente titolo possono essere fatte valere solo dal cliente.".
Con la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 141 del 2010, art. 4, comma 3, l’attuale formulazione dell’art. 127,
comma 4, si è conformata al regime giuridico del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005) ed è la seguente: "Le
nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del
cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice".
Deve, infatti rilevarsi, che le nullità di
protezione sono state introdotte nel codice civile in relazione
all’inefficacia delle clausole vessatorie nei contratti conclusi con
i consumatori. Al riguardo nell’art. 1469 quinquies
c.c., ratione temporis
applicabile, è stato previsto che "l’inefficacia opera soltanto
a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal
giudice". Con l’introduzione del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005), e l’abrogazione delle
norme codicistiche in tema di clausole
vessatorie, l’art. 36, comma 3. ha esteso jì la tutela prevista per le clausole vessatorie alla
nullità, stabilendo che: "La nullità opera soltanto a vantaggio del
consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice".
15.2 Il confronto tra le norme sopra illustrate pone in luce come, pur in presenza di differenze testuali non prive di rilievo,
il tratto unificante del regime giuridico delle nullità di protezione sia
la legittimazione esclusiva del cliente ad agire in giudizio. Le
conseguenze sostanziali di questo regime peculiare di legittimazione sono
espresse nella regola normativa: La nullità opera soltanto a vantaggio del
consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice", che,
tuttavia, non è testualmente riprodotta nell’art. 23 T.U.F.. Al riguardo deve osservarsi che il rilievo officioso delle nullità
di protezione deve ritenersi generalmente applicabile a tutte le tipologie
di contratti nei quali è previsto in favore del cliente tale regime di
protezione in considerazione dei principi stabiliti nella sentenza delle
S.U. n. 26642 del 2014 così massimati:
"La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi
anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua
delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una "species" del più ampio "genus"
rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori
fondamentali - quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.)
e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3
Cost.) - che trascendono quelli del singolo",(cfr. anche la più
recente Cass. 26614 del 2018, nella quale si precisa che il rilievo
d’ufficio è, tuttavia, subordinato ad una manifestazione
d’interesse del legittimato). Il testo, immutato, dell’art. 23, comma 3, deve, pertanto, essere interpretato in modo
costituzionalmente orientato e coerentemente con i principi del diritto eurounitario, così da non escluderne nè il rilievo d’ufficio nè
l’operatività a vantaggio esclusivo del cliente.
Deve, tuttavia, rilevarsi che la configurazione normativa e
l’elaborazione giurisprudenziale relativa alle nullità di protezione
ne evidenziano la vocazione funzionale, ancorché non esclusiva, alla
correzione parziale del contratto, limitatamente alle parti che
pregiudicano la parte contraente che in via
esclusiva può farle valere. Tale carattere è stato largamente sottolineato dalla dottrina che più autorevolmente si è
occupata della loro collocazione nel sistema dei rimedi e delle disfunzioni
del contratto. L’originaria destinazione all’eliminazione delle
clausole inefficaci ne sottolinea tale profilo ed
evidenzia le difficoltà di adattamento dello strumento in relazione alla
produzione dell’effetto dell’invalidità dell’intero
contratto. Questo ampliamento dell’ambito di
applicazione delle nullità di protezione costituisce il nucleo problematico
della questione sottoposta all’esame delle S.U. Può, infatti,
rilevarsi che l’incidenza diretta sui requisiti di forma ad substantiam è prevista in particolare per i contratti
bancari e per i contratti d’investimento. Per questi ultimi si pone in concreto l’interrogativo della legittimità
e liceità dello strumento delle nullità cd. selettive. È la conformazione
bifasica dell’impegno negoziale assunto dalle parti a determinare
l’insorgenza delle criticità applicative del regime delle nullità di protezione. Il contratto quadro ha una
funzione conformativa e normativa. Deve a pena
d’invalidità, essere redatto per iscritto, contenendo la definizione
specifica della tipologia d’investimenti da eseguire, il range di rischio coerente con il profilo del cliente e
la determinazione degli obblighi che l’intermediario è tenuto ad
adempiere (Cass.12937 del 2017). Il suo perfezionamento, tuttavia,
costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente perché si
realizzino tutti gli effetti scaturenti dal vincolo negoziale assunto dalle
parti. Ad esso deve seguire l’effettuazione
degli investimenti finanziari, attraverso l’esecuzione degli ordini
di acquisto da parte dell’intermediario. Nonostante l’impegno
economico per il cliente si determini con la trasmissione degli ordini, la
forma scritta, in linea generale, è imposta soltanto per il contratto
quadro, salvo diversa disposizione contrattuale voluta dalle parti, perché
in questo testo negoziale si cristallizzano gli obblighi
dell’intermediario che il legislatore ha inteso rendere trasparenti,
in primo luogo, con la predisposizione di un regolamento scritto. Tale
obbligo, come specificato nella recente sentenza delle S.U. n. 898 del 2018 ha
natura e contenuto funzionali e costituisce il primo, (ma non
l’unico) ineliminabile strumento di superamento dello squilibrio
contrattuale e dell’asimmetria informativa delle parti.
L’obbligo della forma scritta, nell’impostazione funzionale prescelta
dalle S.U., deve ritenersi assolto anche se il
contratto quadro è sottoscritto soltanto dall’investitore, essendo
destinato alla protezione effettiva del cliente senza tuttavia legittimare
l’esercizio dell’azione di nullità in forma abusiva, in modo da
trarne ingiusti vantaggi.
Deve, pertanto, rilevarsi, come già nella sentenza delle S.U. n. 898 del
2018, siano state adombrate le criticità applicative che possono derivare
dall’adozione del regime giuridico delle nullità di
protezione per forme d’invalidità che colpiscano l’intero testo
contrattuale. L’opzione, fortemente funzionalistica, adottata dalle S.U. nella
conformazione dell’obbligo della forma scritta, contenuto
nell’art. 23 T.U. n. 58 del 1998, è determinata dall’esigenza
di non trascurare l’applicazione dei principi di buona fede e
correttezza anche nell’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale.
Nell’affrontare il quesito posto dall’ordinanza di rimessione,
il Collegio ritiene di dover dare continuità al richiamo contenuto nei
principi elaborati nella sentenza n. 898 del 2018, al fine di verificare se
può configurarsi un esercizio del diritto a far valere, da parte
dell’esclusivo legittimato, le nullità di protezione in un modo
selettivo o se tale esercizio possa ed in quali
limiti qualificarsi abusivo o contrario al canone, costituzionalmente
fondato, della buona fede.
15.3 Per poter svolgere l’indagine sopra
delineata occorre in primo luogo definire l’ambito effettivo della
deroga ai principi generali riguardanti il regime d’invalidità dei
contratti desumibile dal peculiare regime giuridico delle nullità
protettive. Sarà necessario, inoltre, verificare se possa configurarsi una
disciplina generale comune a tutte le nullità di protezione, salvo
differenze di dettaglio ove previste da una normativa specifica di settore
o se vi sia la coesistenza di differenziate forme
di nullità di protezione, ciascuna dotata di un proprio statuto giuridico
autonomo eventualmente anche in relazione all’esercizio selettivo
dell’azione di nullità.
16. Il regime giuridico della legittimazione a far valere tale forma di
nullità contrasta con il disposto dell’art. 1421 c.c.: le nullità di
protezione, sia che investano singole clausole sia
che riguardino l’intero contratto non possono essere fatte valere che
da una sola parte, salvo il rilievo d’ufficio del giudice nei limiti
indicati dalle S.U. nella pronuncia n. 26442 del 2014, proprio in
applicazione del principio solidaristico e costituzionalmente fondato,
della buona fede. La legittimazione dell’altra parte è radicalmente
esclusa, trattandosi di nullità che operano al fine di ricomporre un
equilibrio quanto meno formale (S.U. 26442 del
2014) tra le parti. Tale esclusione è il frutto
della predeterminazione legislativa della posizione di squilibrio
contrattuale tra le parti in relazione ad alcune tipologie contrattuali.
Con riferimento ai contratti d’investimento, lo squilibrio che viene ad emersione giuridica ha carattere prevalentemente conoscitivo-informativo, fondandosi sull’elevato
grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell’ambito degli
investimenti finanziari. I rimedi volti a limitare od
a colmare l’asimmetria informativa, riconosciuta come elemento
caratterizzante l’intervento correttivo del legislatore, non sono
riconducibili soltanto alle nullità di protezione. Proprio in funzione
dell’effettiva attuazione del principio di buona fede, la nullità di
protezione, applicata in via generale ed
indifferenziata ad esclusivo vantaggio del cliente, opera sul requisito
della forma (peraltro in chiave funzionale, come chiarito da S.U. 898 del
2018) del contratto quadro ma non in relazione a tutti gli obblighi
informativi dell’intermediario, essendo la gran parte di essi
conformati sul profilo del cliente e sul grado di rischiosità
contrattualmente assunto. Ristabilito l’equilibrio formale con il
testo contrattuale scritto, la condizione soggettiva dell’investitore
e le scelte d’investimento connotano peculiarmente gli obblighi
informativi dell’intermediario ed incidono
sullo scrutinio dell’adempimento dell’intermediario ai fini del
risarcimento del danno o della risoluzione del contratto, tenendo conto in
concreto della buona fede del cliente al momento della discovery
delle sue caratteristiche d’investitore e del suo grado di conoscenza
delle dinamiche degli investimenti finanziari (S.U. 26724 del 2007). Deve,
pertanto, ritenersi che il principio di buona fede e correttezza
contrattuale, così come sostenuto dai principi solidaristici di matrice
costituzionale, operi, in relazione agli interessi
dell’investitore, mediante la predeterminazione legislativa delle
nullità di protezione predisposte a suo esclusivo vantaggio, in funzione di
riequilibrio generale ed astratto delle condizioni negoziali garantite
dalla conoscenza del testo del contratto quadro, nonché in concreto
mediante la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a
carico dell’intermediario. Tuttavia, non può escludersi la
configurabilità di un obbligo di lealtà dell’investitore
in funzione di garanzia per l’intermediario che abbia correttamente
assunto le informazioni necessarie a determinare il profilo soggettivo del
cliente al fine di conformare gli investimenti alle sue caratteristiche,
alle sue capacità economiche e alla sua propensione al rischio.
Può, pertanto, rilevarsi che anche nei contratti, quali quello dedotto nel
presente giudizio, caratterizzati da uno statuto di norme non derogabili
dall’autonomia contrattuale volte a proteggere il contraente che
strutturalmente è in una posizione di squilibrio rispetto all’altro,
il principio di buona fede possa avere un ambito di operatività trasversale
non limitata soltanto alla definizione del sistema di protezione del
cliente, in particolare se gli strumenti normativi di riequilibrio possono
essere utilizzati, anche in sede giurisdizionale, non soltanto per
rimuovere le condizioni di svantaggio di una parte
derivanti dalla violazione delle regole imposte al contraente
"forte" ma anche per arrecare un ingiustificato pregiudizio
all’altra, pur se applicate conformemente al paradigma legale.
17. Ritiene, pertanto, il Collegio, che la
questione della legittimità dell’uso selettivo delle nullità di
protezione nei contratti aventi ad oggetto servizi
d’investimento debba essere affrontata assumendo come criterio
ordinante l’applicazione del principio di buona fede, al fine di
accertare se sia necessario alterare il regime giuridico peculiare di tale
tipologia di nullità, sotto il profilo della legittimazione e degli
effetti, per evitare che l’esercizio dell’azione in sede
giurisdizionale possa produrre effetti distorsivi
ed estranei alla ratio riequilibratrice
in funzione della quale lo strumento di tutela è stato introdotto.
17.1. Per svolgere in modo esauriente tale indagine è necessario,
in primo luogo, illustrare le opzioni alternative che si confrontano in
dottrina e sono rappresentate in due pronunce della prima sezione civile,
la n. 8395 del 2016 e la n. 6664 del 2018.
17.1.1. Il nucleo centrale della divergenza risiede proprio nella diversa
declinazione dell’ambito di operatività delle nullità di protezione, in relazione alla correlazione tra legittimazione e
propalazione degli effetti. Ove si ritenga che il regime di protezione si
esaurisca nella legittimazione esclusiva del cliente (o nella rilevabilità
d’ufficio, nei limiti precisati nel par.15.2) a far valere la nullità
per difetto di forma, una volta dichiarata l’invalidità del contratto
quadro, gli effetti caducatori e restitutori che
ne derivano possono essere fatti valere da entrambe le parti. Il principio,
posto a base dell’accurata requisitoria dell’Avvocato Generale,
è stato così espresso in Cass. n. 6664 del 2018: "una volta che sia
privo di effetti il contratto d’intermediazione finanziaria destinato
a regolare i successivi rapporti tra le parti in quanto
esso sia dichiarato nullo, operano le regole comuni dell’indebito
(art. 2033 c.c.) non altrimenti derogate. La disciplina del pagamento
dell’indebito è invero richiamata dall’art. 1422 c.c.:
accertata la mancanza di una causa adquirendi- in
caso di nullità (...) l’azione accordata dalla legge per ottenere la
restituzione di quanto prestato in esecuzione dello stesso è quella di ripetizione dell’indebito oggettivo; la pronuncia
del giudice è l’evenienza che priva di causa giustificativa le
reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del solvens di restituzione della prestazione rimasta senza
causa".
17.1.2. L’opinione radicalmente contraria si fonda invece
sull’operatività piena, processuale e sostanziale, del regime
giuridico delle nullità di protezione esclusivamente
a vantaggio del cliente (nella specie dell’investitore), anche ove
l’invalidità riguardi l’intero contratto. L’intermediario
non può avvalersi della dichiarazione di nullità in
relazione alle conseguenze, in particolare restitutorie, che ne possono
scaturire a suo vantaggio, dal momento che il regime delle nullità di
protezione opera esclusivamente in favore dell’investitore. Il
contraente privo della legittimazione a far valere le nullità di protezione
può, di conseguenza, subire soltanto gli effetti della dichiarazione di
nullità selettivamente definiti nell’azione proposta dalla parte
esclusiva legittimata, non potendo far valere qualsiasi effetto
"vantaggioso" che consegua a tale declaratoria. L’indebito,
così come previsto nell’art. 1422 c.c., può operare solo ove la legge
non limiti con norma inderogabile la facoltà di far valere la nullità ed i suoi effetti in capo ad uno dei contraenti, essendo
direttamente inciso dallo "statuto" speciale della nullità cui si
riferisce. Le nullità di protezione sono poste a presidio esclusivo del
cliente. Egli ex lege ne può trarre i vantaggi
(leciti) che ritiene convenienti. La selezione degli ordini sui quali
dirigere la nullità è una conseguenza dell’esercizio di un diritto
predisposto esclusivamente in suo favore. Una diversa interpretazione del
sistema delle nullità di protezione condurrebbe all’effetto,
certamente non voluto dal legislatore, della sostanziale abrogazione dello
speciale regime d’intangibilità ed
impermeabilità proprio delle nullità di protezione (Cass. 8395 del 2016).
In particolare, con riferimento alla tipologia contrattuale oggetto del
presente giudizio, l’investitore, ove fosse consentito
all’intermediario di agire ex art. 2033 c.c., non potrebbe mai far
valere il difetto di forma di alcuni ordini in relazione ad un rapporto di
lunga durata che abbia avuto parziale esecuzione, perché le
conseguenze economico patrimoniali sarebbero per lui verosimilmente
quasi sempre pregiudizievoli, così vanificandosi la previsione legale di un
regime di protezione destinato ad operare a suo esclusivo vantaggio.
18. Vi è una terza opzione che rinviene nel
principio della buona fede, variamene declinato, lo strumento più adeguato,
per affrontare il tema dell’uso eventualmente distorsivo
dello strumento delle nullità di protezione in funzione selettiva, perché,
senza alterarne il regime giuridico ed in particolare l’unilateralità
dello strumento di tutela legislativamente previsto, consente, per la sua
adattabilità al caso concreto, di ricostituire l’equilibrio effettivo
della posizione contrattuale delle parti, impedendo effetti di azioni
esercitate in modo arbitrario o nelle quali può cogliersi l’abuso
dello strumento di "protezione" ad esclusivo detrimento
dell’altra parte. Già nelle ordinanze interlocutorie
n. 12388, 12389 e 12390 del 2017, nelle quali la questione della
legittimità dell’uso selettivo della nullità era subordinata a quella
principale relativa alla validità, sotto il profilo del requisito di forma,
del contratto quadro sottoscritto dal solo investitore, era stata
prospettata l’esperibilità dell’exceptio doli generalis, al
fine di paralizzare l’uso selettivo della nullità, ritenendo centrale
nell’esaminare la questione, il rilievo della buona fede "come
criterio valutativo della regola contrattuale". Nell’ordinanza interlocutoria n. 23927 del 2018, dalla quale è
scaturito il presente giudizio, anche alla luce degli orientamenti,
ancorché non univoci che sono intervenuti medio tempore (Cass. 6664 e 10116
del 2018) è stata posta in evidenza la questione della compatibilità tra il
peculiare regime delle nullità protettive nei contratti
d’intermediazione finanziaria e l’opponibilità
della "eccezione di correttezza e di buona fede", in funzione
della individuazione di un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia
degli investimenti dei privati in relazione alla collocazione dei propri
risparmi (art. 47 Cost.) e la tutela dell’intermediario anche in
funzione della certezza dei mercati in materia d’investimenti
finanziari.
19. La dottrina non ha prospettato soluzioni univoche, formulando
indicazioni variamente assimilabili a quelle che hanno caratterizzato gli
orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati. Come riscontrato anche nel
confronto tra le due ordinanze interlocutorie che
hanno posto alle S.U. la questione della legittimità dell’uso
selettivo delle nullità di protezione, il principio di buona fede non è
stato preso in considerazione in modo univoco. Si è affermato che
attraverso la formulazione dell’exceptio
doli generalis si possa impedire in via generale
l’uso selettivo delle nullità di protezione, in
quanto dettato esclusivamente dall’intento di colpire gli
investimenti non redditizi (la tesi viene prospettata seppure in via
ipotetica nelle ordinanze interlocutorie n. 12388,12389 12390 del 2017). In
questa lettura l’azione di nullità, ove sia diretta a colpire alcuni
soltanto degli ordini eseguiti, viene ritenuta
intrinsecamente connotata da un intento opportunistico che va oltre la
funzione di protezione voluta dal legislatore. Rispetto alla tesi
illustrata nel par. 17.1.1, la differenza si può cogliere
nell’effetto esclusivamente paralizzante conseguente alla
formulazione dell’eccezione, rimanendo preclusa
all’intermediario l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito.
La tesi esposta postula che l’uso selettivo delle nullità di
protezione determini sempre la violazione del canone di buona fede.
L’investitore, ove intraprenda l’azione, si pone nella
condizione di produrre un pregiudizio economico ingiustificato
all’altra parte dovuto alla natura potestativa ed
unilaterale della selezione operata. L’exceptio
doli, così configurata, ricorrerebbe sempre in via generale ed astratta e deriverebbe dall’uso della nullità
selettiva, ancorché astrattamente lecito. La tesi viene
criticata per la sua assolutezza perché, pur non escludendo la formale
applicazione dello statuto normativo delle nullità di protezione, ne
trascura la funzione di reintegrazione di una preesistente condizione di
squilibrio strutturale che permea le fattispecie contrattuali nelle quali
trova applicazione e d’inveramento del
sistema assiologico fondato sui principi di
uguaglianza, solidarietà e tutela del risparmiatore ritraibili dalla
Costituzione. Inoltre, con tale impostazione, si trascura la strutturale
vocazione delle nullità protettive ad un uso
selettivo, ancorché non arbitrario, in quanto correlato alla operatività a
vantaggio esclusivo di uno dei contraenti.
20. Nel solco dell’applicazione in chiave riequilibratrice
del principio di buona fede si collocano posizioni intermedie che, partendo
dalla legittimità dell’azione di nullità cd.
selettiva da parte del cliente, ovvero di una domanda formulata in
relazione ad alcuni ordini d’investimento, ritengono che da parte
dell’intermediario possa essere fatta valere l’exceptio doli generalis ove
l’esercizio del diritto da parte dell’investitore sia avvenuto
in malafede attraverso una valutazione che deve essere svolta in concreto
secondo parametri oggettivi e soggettivi sui quali, tuttavia, non si
riscontra unitarietà di vedute.
Viene escluso, al riguardo, che il possibile
conflitto tra la specifica istanza di solidarietà costituita dal regime
peculiare delle nullità di protezione e quella che scaturisce dal principio
di affidamento, possa trovare una soluzione, stabilendo un criterio di
prevalenza applicabile in ogni ipotesi, tenuto conto che la dinamica
selettiva è ipotizzabile esclusivamente nelle nullità di protezione.
L’affidamento, che costituisce il nucleo costitutivo della nozione di
buona fede, ha un sicuro ancoraggio costituzionale nell’art. 2 Cost.. Le nullità di
protezione, come evidenziato da S.U. 26242 del 2014, fondano
l’inderogabilità del loro statuto, contrassegnato
dall’operatività a "vantaggio" del cliente, non solo
sull’art. 2 ma anche sull’art. 3 (essendo finalizzate a
rimuovere il primo grado dell’asimmetria informativa) e
sull’art. 41 cui si aggiunge, per l’intermediazione
finanziaria, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.). Poiché le nullità di
protezione costituiscono, dunque, una diretta attuazione di principi
costituzionali, tale qualificazione non è priva di conseguenze in relazione alla concorrente operatività del principio
di buona fede come criterio arginante l’uso arbitrario dello
strumento di tutela. Ne consegue che la mera invocazione di effetti
selettivi da parte del cliente non può giustificare di per sé - pena lo
svuotamento e la vanificazione della funzione delle nullità di protezione e
della connessa tutela giurisdizionale,-l’automatica opponibilità
da parte dell’intermediario dell’exceptio
doli generalis. L’eccezione, secondo una
delle tesi in campo, può essere proposta per paralizzare l’azione
volta a far valere le nullità di protezione in funzione selettiva, tutte le
volte che l’investitore ponga in essere una condotta soggettivamente
connotata da malafede o frode ovvero preordinata alla produzione di un
pregiudizio per l’intermediario, non ravvisandosi alcuna
incompatibilità tra l’esercizio dell’azione di nullità e la
predetta eccezione ma solo la necessità di un adeguato bilanciamento da
svolgersi secondo il paradigma contenuto nell’art. 1993 c.c., comma 2, e art. 2384 c.c., comma 2, individuabile nel non
potere agire, neanche attraverso l’esercizio di un proprio diritto,
arrecando intenzionalmente danno all’altra parte. Lo statuto
protettivo dell’investitore non può determinare a suo vantaggio, un
regime di sostanziale irresponsabilità ed esonerarlo dal controllo della
conformità del suo agire, in quanto la regola di
buona fede, assiologicamente espressiva del
dovere di solidarietà costituzionale e costituente il tessuto connettivo
dei rapporti contrattuali, impone tale verifica di conformità purché svolta
in concreto.
In conclusione, secondo questa prospettazione,
occorre verificare se l’azione è stata preordinata alla produzione di
un pregiudizio per l’altro contraente.
21. La tesi sopra illustrata si espone a rilievi critici per aver limitato
l’opponibilità dell’exceptio doli alla valutazione della buona fede
soggettiva così da escludere ogni rilevanza alla oggettiva
determinazione di un ingiustificato e sproporzionato sacrificio di una sola
controparte contrattuale. Al fine di poter svolgere un giudizio comparativo
che tenga conto anche della eventuale violazione
della buona fede sotto il profilo oggettivo del pregiudizio arrecabile ad
una sola delle parti, si è fatto ricorso alla categoria dell’abuso
del diritto, in relazione al quale non è sufficiente che una parte del
contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli
interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato
lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché
il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo
eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di
correttezza e buona fede, al fine di conseguire risultati diversi ed
ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono
attribuiti (Cass. 15885 del 2013; 10568 del 2018). Non è configurabile un
abuso che derivi soltanto dall’aver voluto conseguire un proprio
vantaggio economico mediante uno strumento di tutela previsto
dall’ordinamento che, peraltro, deriva, dall’attivazione di uno
statuto di tutela inderogabile, essendo necessario che il fine
dell’azione sia incoerente rispetto a quello legale in funzione del
quale è stato attribuito il diritto di agire (Cass.29792 del 2017, in relazione alla configurabilità dell’abuso del
diritto potestativo dei soci di una società di capitali che rappresentino
un terzo del capitale sociale, di chiedere il differimento dell’assemblea
ove dichiarino di non essere stati sufficientemente informati) o determini
effetti del tutto sproporzionati rispetto al fine di tutela per cui si è
agito.
22. Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio, in risposta al quesito formulato nel par. 17, di dovere,
preliminarmente, escludere entrambe le opzioni che prescindono del tutto
dalla considerazione del principio di buona fede o perché negano la
legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione fino al
riconoscimento del diritto a richiedere la ripetizione dell’indebito
in relazione agli investimenti non selezionati dall’investitore ma
travolti dalla nullità del contratto quadro, o perché ne considerano
legittima l’azione senza alcun limitazione, ritenendo tale soluzione
l’unica coerente con l’operatività ad esclusivo vantaggio del
cliente delle nullità di protezione. In contrasto con le tesi criticate, il
Collegio reputa che la questione della legittimità dell’uso selettivo
delle nullità di protezione nei contratti aventi ad
oggetto servizi d’investimento, possa essere risolta ricorrendo, come
criterio ordinante, al principio di buona fede, da assumere, tuttavia, in
modo non del tutto coincidente con le illustrate declinazioni dell’exceptio doli generalis e
dell’abuso del diritto.
22.1 Al riguardo si ritiene di dover ribadire che,
in relazione ai contratti d’investimento che costituiscono
l’oggetto del presente giudizio, della dichiarata invalidità del
contratto quadro, ancorché accertata con valore di giudicato, come già
rilevato nei par.13 e 13.1, può avvalersi soltanto l’investitore, sia
sul piano sostanziale della legittimazione esclusiva che su quello
sostanziale dell’operatività ad esclusivo vantaggio di esso.
22.2 L’uso selettivo del
rilievo della nullità del contratto quadro non
contrasta, in via generale, con lo statuto normativo delle nullità di
protezione ma la sua operatività deve essere modulata e conformata dal
principio di buona fede secondo un parametro da assumersi in modo univoco e
coerente. Ove si ritenga che l’uso selettivo delle nullità di
protezione sia da stigmatizzare ex se, come
contrario alla buona fede, solo perché limitato ad alcuni ordini di
acquisto, si determinerà un effetto sostanzialmente abrogativo del regime
giuridico delle nullità di protezione, dal momento che si stabilisce
un’equivalenza, senza alcuna verifica di effettività, tra uso
selettivo delle nullità e violazione del canone di buona fede. Deve
rilevarsi, tuttavia, l’insufficienza anche della esclusiva
valorizzazione della buona fede soggettiva, ove ravvisabile solo se si
dimostri un intento dolosamente preordinato a determinare effetti
pregiudizievoli per l’altra parte.
22.3 Al fine di modulare correttamente il meccanismo di riequilibrio
effettivo delle parti contrattuali di fronte all’uso
selettivo delle nullità di protezione, non può mancare un esame degli
investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli
oggetto dell’azione di nullità, derivata dal vizio di forma del
contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, al fine di verificare se
permanga un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum azionato. In questa
ultima ipotesi deve ritenersi che l’investitore abbia agito
coerentemente con la funzione tipica delle nullità protettive, ovvero
quella di operare a vantaggio di chi le fa valere. Pertanto, per accertare
se l’uso selettivo della nullità di protezione sia stato
oggettivamente finalizzato ad arrecare un
pregiudizio all’intermediario, si deve verificare l’esito degli
ordini non colpiti dall’azione di nullità e, ove sia stato
vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione
di nullità. Può accertarsi che gli ordini non colpiti dall’azione di
nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio
confluito nel petitum. In tale ipotesi, può
essere opposta, ed al solo effetto di paralizzare
gli effetti della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati,
l’eccezione di buona fede, al fine di non determinare un ingiustificato
sacrificio economico in capo all’intermediario stesso. Può, tuttavia,
accertarsi che un danno per l’investitore, anche al netto dei
rendimenti degli investimenti relativi agli ordini
non colpiti dall’azione di nullità, si sia comunque determinato.
Entro il limite del pregiudizio per l’investitore accertato in
giudizio, l’azione di nullità non contrasta con il principio di buona
fede. Oltre tale limite, opera, ove sia oggetto di
allegazione, l’effetto paralizzante dell’eccezione di buona
fede. Ne consegue che, se, come nel caso di specie, i rendimenti
degli investimenti non colpiti dall’azione di nullità superino il petitum, l’effetto impeditivo
è integrale, ove invece si determini un danno per l’investitore,
anche all’esito della comparazione con gli altri investimenti non
colpiti dalla nullità selettiva, l’effetto paralizzante
dell’eccezione opererà nei limiti del vantaggio ingiustificato
conseguito.
23. La soluzione della questione sottoposta all’esame del Collegio
può, in conclusione, così essere sintetizzata.
Anche in relazione al D.Lgs.
n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, il regime giuridico delle nullità di
protezione opera sul piano della legittimazione processuale e degli effetti
sostanziali esclusivamente a favore dell’investitore, in deroga agli
artt. 1421 e 1422 c.c. L’azione rivolta a far valere la nullità di
alcuni ordini di acquisto richiede l’accertamento
dell’invalidità del contratto quadro. Tale accertamento ha valore di
giudicato ma l’intermediario, alla luce del peculiare regime giuridico
delle nullità di protezione, non può avvalersi degli effetti diretti di
tale nullità e non è conseguentemente legittimato ad agire in via
riconvenzionale od in via autonoma ex artt. 1422 e
2033 c.c.. I principi di solidarietà ed
uguaglianza sostanziale, di derivazione costituzionale (artt. 2, 3, 41 e 47
Cost., quest’ultimo con specifico riferimento ai contratti
d’investimento) sui quali le S.U., con la pronuncia n. 26642 del
2014, hanno riposto il fondamento e la ratio
delle nullità di protezione operano, tuttavia, anche in funzione di
riequilibrio effettivo endocontrattuale quando l’azione di nullità, utilizzata,
come nella specie, in forma selettiva, determini esclusivamente un
sacrificio economico sproporzionato nell’altra parte.
Limitatamente a tali ipotesi, l’intermediario può opporre
all’investitore un’eccezione, qualificabile come di buona fede,
idonea a paralizzare gli effetti restitutori dell’azione di nullità
selettiva proposta soltanto in relazione ad alcuni ordini.
L’eccezione sarà opponibile, nei limiti del petitum
azionato, come conseguenza dell’azione di nullità, ove gli
investimenti, relativi agli ordini non coinvolti dall’azione, abbiano
prodotto vantaggi economici per l’investitore. Ove il petitum sia pari od inferiore
ai vantaggi conseguiti, l’effetto impeditivo
dell’azione restitutoria promossa dall’investitore sarà
integrale. L’effetto impeditivo sarà,
invece, parziale, ove gli investimenti non colpiti dall’azione di
nullità abbiano prodotto risultati positivi ma questi siano di entità
inferiore al pregiudizio determinato nel petitum.
L’eccezione di buona fede operando su un piano diverso da quello
dell’estensione degli effetti della nullità dichiarata, non è
configurabile come eccezione in senso stretto non agendo sui fatti costitutivi
dell’azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli effetti
restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei
poteri endocontrattuali delle parti. Deve essere,
tuttavia, oggetto di specifica allegazione.
24. La soluzione della questione di massima di
particolare importanza rimessa all’esame delle S.U. può essere
risolta alla luce del seguente principio di diritto:
"La nullità per difetto di
forma scritta, contenuta nel D.Lgs. n. 58 del
1998, art. 23, comma 3, può essere fatta valere
esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti
processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo
vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto,
può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità
determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce
della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del
contratto quadro".
25. Ne consegue, in relazione al secondo motivo di
ricorso, che deve essere confermata, con correzione della motivazione ex
art. 384 c.p.c., u.c., la statuizione contenuta
nella pronuncia impugnata, alla luce del principio di diritto di cui al
par. 24. Rigettati il secondo e terzo motivo, è
rimesso all’esame della prima sezione civile l’esame dei
rimanenti e la statuizione sulle spese processuali del presente
procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il secondo e terzo motivo. Rimette
l’esame degli altri alla sezione semplice, anche in
relazione alle spese del presente procedimento.
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