La servitù coattiva di passaggio per l’accesso a favore degli
invalidi
Con la sentenza di seguito trascritta la Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1052 del codice civile
nella parte in cui parte in cui non consente di costituire la servitù
di cui al primo comma in favore di
edifici di civile abitazione, al fine di garantire un adeguato accesso
alla via pubblica per mutilati ed invalidi con difficoltà di deambulazione
anche qualora il fondo non sia intercluso in assoluto. La norma, infatti,
secondo l’interpretazione prevalente condivisa anche da detta sentenza
della Corte Costituzionale consentirebbe l’ampliamento del passaggio coattivo
subordinandolo non solo alla inadeguatezza dell’accesso alla via pubblica
e alla sua non
ampliabilità, ma anche alla sussistenza di una ulteriore condizione,
rappresentata dalla circostanza che la domanda risponda "alle esigenze
della agricoltura o dell’industria. Pertanto si è reso necessario
l’intervento additivo della Corte Costituzionale per consentire il
passaggio coattivo quando ciò risponde alle esigenze di accessibilità
- di cui alla
legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati
ad uso abitativo.
Corte Costituzionale, 10 maggio 1999, n. 167
Omissis”
1. - Il Pretore di La Spezia dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile, in riferimento agli artt.
2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della Costituzione, "nella
parte in cui non consente di costituire la servitù di cui al primo
comma in favore di edifici di civile abitazione, al fine di garantire un
adeguato accesso alla via pubblica per mutilati ed invalidi con difficoltà
di deambulazione". La norma denunciata contrasterebbe infatti, ad avviso
del rimettente, con il principio di eguaglianza in senso sostanziale e
sarebbe altresì lesiva, nei confronti dei portatori di handicap,
sia del diritto inviolabile ad una normale vita di relazione, sia del diritto
alla salute, inteso omce interesse del singolo e della collettività
alla eliminazione delle discriminazioni dipendenti dalle situazioni invalidanti.
Essa inoltre, consentendo la costituzione di servitù coattiva di
passaggio a favore di fondo non intercluso solo per finalità produttive
e non anche in relazione alle esigenze di vita degli invalidi, si porrebbe
in contrasto con la funzione sociale del diritto di proprietà.
2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di irrilevanza e, quindi,
di inammissibilità della questione sollevata dall'Avvocatura generale
in base all'assunto che l'orto, su cui dovrebbe nella specie costituirsi
la servitù coattiva di passaggio, sarebbe, come le "case, i cortili,
i giardini e le aie ad esse attinenti", un bene esente da siffatta servitù
ai sensi
dell'ultimo comma dell'art. 1051 cod. civ.. Contrariamente a quanto
ritenuto dall'Avvocatura, l'esenzione stabilita da tale norma, essendo
intesa ad evitare l'eccessiva onerosità che, avuto riguardo alla
destinazione abitativa degli immobili, deriverebbe dall'imposizione del
passaggio a carico di essi, va, infatti, rigorosamente circoscritta alle
case e a quegli
immobili, come appunto i cortili, i giardini e le aie, che alle case
sono legati da un vincolo pertinenziale. Mentre del tutto estranei allo
scopo ed alla previsione della norma devono considerarsi gli orti, intendendosi
per tali, secondo il significato comune del termine, quei fondi agricoli,
di modeste dimensioni, destinati a soddisfare le esigenze alimentari del
coltivatore e dei suoi familiari e privi, in relazione alla loro vocazione
tipicamente agricola, del carattere di accessorietà alla casa di
abitazione. La qualificazione in concreto del fondo come orto nel senso
precisato, piuttosto che come giardino o aia, costituisce poi questione
di fatto rimessa alla esclusiva valutazione del giudice a quo. Sicché,
anche sotto tale aspetto, l'eccezione d'inammissibilità della questione
risulta priva di fondamento.
3. - Nel merito, la questione è fondata.
4. - L’art. 1052 cod. civ. disciplina l’ipotesi di costituzione di
passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso, che cioè abbia
un proprio accesso alla via pubblica, tuttavia inadatto o insufficiente
ai bisogni del fondo e non ampliabile.
Va premesso che l’"ampliabilità" di cui alla citata disposizione
deve essere intesa, secondo la giurisprudenza di legittimità, non
in senso letterale, cioè con riferimento alla sola larghezza del
passaggio, ma nel più ampio e generico significato di riducibilità
a sufficienza e adeguatezza. L’accesso alla pubblica via va, d’altro canto,
considerato non ampliabile non soltanto quando il suo adeguamento sia materialmente
impossibile, ma anche quando risulti eccessivamente oneroso o difficoltoso,
secondo la disposizione di cui al primo comma dell’art. 1051 cod. civ.,
ritenuta dalla giurisprudenza applicabile alla fattispecie disciplinata
dall’art. 1052 in virtù dell’espresso richiamo contenuto
in quest’ultima norma e della evidente identità di situazione
e di ratio giustificatrice. La concessione del passaggio coattivo è
subordinata, dalla norma denunciata, non solo alla inadeguatezza dell’accesso
alla via pubblica e alla sua non
ampliabilità, ma anche alla sussistenza di una ulteriore condizione,
rappresentata dalla circostanza che la domanda risponda "alle esigenze
della agricoltura o dell’industria". Con tale disposizione - ignota al
codice civile previgente - il legislatore, per il caso di fondo non intercluso,
ha inteso ricollegare la costituzione della servitù coattiva di
passaggio non soltanto alle necessità del fondo (come nel caso di
costituzione di servitù a favore di fondo intercluso), ma anche
alla sussistenza in concreto di un interesse generale, all'epoca identificato
nelle esigenze dell'agricoltura o dell'industria. Mentre estranee alla
previsione della norma e prive, pertanto, di ogni rilievo ai fini della
costituzione del passaggio coattivo risultano le esigenze abitative, pur
se riferibili a quegli interessi fondamentali della persona la cui tutela
è
indefettibile. Ed è in relazione a quest'ultimo aspetto che
la norma si pone, come si vedrà, in contrasto con i principi
costituzionali evocati dal rimettente.
5. - Va in proposito ricordato che la più recente legislazione
relativa ai portatori di handicap – in particolare la legge 9 gennaio 1989,
n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle
barriere architettoniche negli edifici privati), e la legge 5 febbraio
1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate) - non si è limitata ad innalzare
il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato, come la
dottrina non ha mancato di sottolineare, un radicale mutamento di prospettiva
rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette
da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali,
ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività. Di tale
mutamento di prospettiva è segno evidente l’introduzione di disposizioni
generali per la
costruzione degli edifici privati e per la ristrutturazione di quelli
preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche,
indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da
parte delle persone handicappate.
Risulta, allora, chiaro come la tutela di queste ultime sia potuta
divenire uno dei motivi di fondo della vigente legislazione abitativa attraverso
anche (ma non esclusivamente) la fissazione delle caratteristiche necessarie
all'edificio abitativo considerato nella sua oggettività ed astraendo
dalla condizione personale del singolo utilizzatore. Così, l’accessibilità
- che l’art. 2 del d.m. 14 giugno 1989, n. 236 (Prescrizioni tecniche necessarie
a garantir l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità
degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata
e agevolata, ai fini
del superamento e della eliminazione delle barriere architettoniche),
definisce come "la possibilità, anche per persone con ridotta o
impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio
e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente
e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e
autonomia" - è divenuta una qualitas essenziale degli edifici privati
di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi,
nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente,
ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle
persone affette da handicap fisici. Per quanto riguarda poi gli edifici
privati già esistenti, vengono in considerazione, come espressione
dello stesso indirizzo legislativo, gli interventi previsti dall’art. 2
della citata legge n. 13 del 1989, in virtù dei quali è possibile
apportare all’immobile condominiale, a spese dell’interessato ed anche
in deroga alle norme sul condominio negli edifici, le modifiche necessarie
per renderlo più comodamente accessibile. E’ peraltro evidente come
la citata normativa possa in concreto risultare del tutto insufficiente
rispetto al fine perseguito, ove le innovazioni necessarie alla piena accessibilità
dell’immobile risultino in concreto impossibili o, come nella specie, eccessivamente
onerose o comunque di difficile realizzazione.
Ed è appunto in relazione a tali ipotesi che la non inclusione
della accessibilità dell’immobile tra le esigenze che, ai sensi
dell’art. 1052, secondo comma, cod. civ., possono legittimare la costituzione
della servitù coattiva di passaggio, risulta lesiva di quei principi
costituzionali che, come si è accennato, l'accessibilità
dell'abitazione è intesa a realizzare.
6. - Più specificamente, la impossibilità di accedere
alla pubblica via, attraverso un passaggio coattivo sul fondo altrui, si
traduce nella lesione del diritto del portatore di handicap ad una normale
vita di relazione, che trova espressione e tutela in una molteplicità
di precetti costituzionali: evidente essendo che l'assenza di una vita
di relazione, dovuta alla mancanza di accessibilità abitativa, non
può non determinare quella disuguaglianza di fatto impeditiva dello
sviluppo della persona che il legislatore deve, invece, rimuovere. L'omessa
previsione della esigenza di accessibilità, nel
senso già precisato, della casa di abitazione, accanto a quelle,
produttivistiche, dell'agricoltura e dell'industria rende, pertanto, la
norma denunciata in contrasto sia con l'art. 3 sia con l'art. 2 della Costituzione,
ledendo più in generale il principio personalista che ispira la
Carta costituzionale e che pone come fine ultimo dell'organizzazione sociale
lo
sviluppo di ogni singola persona umana.
7. - Sotto un diverso aspetto, poi, questa Corte ha già avuto
modo di affermare come debba ritenersi ormai superata la concezione di
una radicale irrecuperabilità dei portatori di handicap e come la
socializzazione debba essere considerata un elemento essenziale per la
salute di tali soggetti sì da assumere una funzione sostanzialmente
terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione (sentenza
n. 215 del 1987). S'intende allora come la norma denunciata, impedendo
od ostacolando la accessibilità dell'immobile abitativo e, quale
riflesso necessario, la socializzazione degli handicappati, comporti anche
una lesione del fondamentale diritto di costoro alla salute intesa quest'ultima
nel significato, proprio dell'art. 32 della Costituzione, comprensivo anche
della salute psichica la cui tutela deve essere di grado pari a quello
della salute fisica.
8. - Avverso l'affermata incostituzionalità della norma denunciata,
non vale opporre, come fa l'Avvocatura, che
l’accessibilità propria degli edifici abitativi farebbe riferimento
alla persona dei proprietari più che ad una qualitas dei fondi,
cosicché difetterebbe, nella specie, il carattere della predialità,
proprio delle servitù. Si è già visto, infatti, che
la legislazione in tema di eliminazione delle barriere architettoniche
ha configurato la possibilità di agevole accesso agli
immobili, anche da parte di persone con ridotta capacità motoria,
come requisito oggettivo quanto essenziale degli edifici privati di nuova
costruzione, a prescindere dalla loro concreta appartenenza a soggetti
portatori di handicap. Mentre dottrina e giurisprudenza hanno, per altro
verso, chiarito come la predialità non sia certo incompatibile con
una nozione di utilitas che abbia riguardo - specie per gli edifici di
civile abitazione - alle condizioni di vita dell'uomo in un
determinato contesto storico e sociale, purché detta utilitas
sia inerente al bene così da potersi trasmettere ad ogni successivo
proprietario del fondo dominante. Né, d'altronde, la previsione
della servitù in parola può trovare ostacolo nella garanzia
accordata al diritto di proprietà dall'art. 42 della Costituzione.
Come osservato dal rimettente, infatti, il peso che in tal modo si viene
ad imporre sul fondo altrui può senz'altro ricomprendersi tra quei
limiti della proprietà privata determinati dalla legge, ai sensi
della citata norma costituzionale, allo scopo di assicurarne la funzione
sociale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo
comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il passaggio
coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità
giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze
di accessibilità - di cui alla legislazione relativa ai portatori
di handicap - degli
edifici destinati ad uso abitativo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.
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