Cassazione civile,
sez. un., 7 luglio 2011, n. 14953, in materia di
distanze legali e pareti finestrate
SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO
Con sentenza del 1 aprile 2003
il Tribunale di Lucca - adito da Ro.Si. e in via riconvenzionale
subordinata da R. R., G.A., P.M. e R.A.M. - respinse la domanda che era
stata proposta dall'attore, quale proprietario di un fabbricato in
(OMISSIS), per ottenere la condanna dei convenuti all'arretramento di un
loro limitrofo edificio fino alla distanza legale.
Impugnata in via principale da Ro.Si. e in via
incidentale da R.R., G.A., P.M. e R.A.M., la
decisione è stata riformata dalla Corte d'appello di Firenze, che con
sentenza del 30 marzo 2006
ha accolto la domanda di Ro.Si. e ha rigettato la
riconvenzionale.
Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione R.R., G.A., P.M. e R.A.M., in base a
quattro motivi. Ro.Si.
si è costituito con
controricorso, formulando a sua volta un motivo di impugnazione in via
incidentale, cui R.R., G.A., P.M. e R.A.M. hanno opposto un proprio
controricorso. Sono state presentate memorie dall'una parte e dall'altra.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In quanto proposte contro la
stessa sentenza, le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo,
in applicazione dell'art. 335 c.p.c..
Con i primi tre motivi del ricorso principale R.R., G.A., P.M. e R.A.M. lamentano di essere stati
erroneamente condannati ad arretrare il proprio edificio fino alla distanza
di 10 metri
dall'altro.
Sostengono, gradatamente, che:
- la costruzione è conforme alle previsioni dell'art. 52 delle norme tecniche di attuazione del piano
regolatore di Viareggio;
- tale disposizione non si discosta da quanto è
prescritto dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, n. 2;
- quest'ultimo non è comunque applicabile nella specie.
In sede di merito è stato accertato, in fatto, che il
fabbricato di Ro.Si. e quello di R.R., G.A., P.M.
e R.A.M. distano dal confine, rispettivamente, 3,15 e 3,00 metri, salvo
che in corrispondenza delle due finestre del primo edificio, da cui in quel
tratto il secondo, costruito successivamente, si distacca fino a 10.04 metri, in
modo da formare un "semicavedio", come risulta dalla seguente
planimetria, riprodotta nel controricorso e tratta dalla consulenza tecnica
di ufficio, sulla cui corrispondenza alla situazione dei luoghi non vi è
contrasto tra le parti. (vedi pdf).
La norma dello strumento urbanistico richiamata dai
ricorrenti stabilisce: "In tutte le zone di P.R.G.,
la distanza minima fra le pareti finestrate dei nuovi edifici e quelle di
edifici preesistenti antistanti, anche se cieche, è di mt. 10 ... . La distanza minima di mt. 10 sopra indicata va sempre
misurata ortogonalmente alle pareti finestrate, a partire
dal primo spigolo della prima finestra ...".
Secondo R.R., G.A., P.M. e
R.A.M. la loro costruzione è rispettosa di questa disposizione, la quale
impone di osservare la distanza in questione con riferimento non all'intera
parete, ma soltanto a quella sua porzione che sia dotata di finestre, come
infatti ha ritenuto anche il Comune di Viareggio, nel rilasciare loro la
concessione edilizia alla quale si sono conformati.
La tesi è fondata. La regola dettata a proposito del
metodo di misurazione chiaramente implica, poichè altrimenti sarebbe priva
di ogni concreto e specifico significato precettivo, che il distacco di 10 metri è prescritto
soltanto per i tratti di parete compresi tra i limiti esterni della prima e
dell'ultima finestra, mentre ne sono esonerati i segmenti
ulteriori, in cui le facciate che si fronteggiano sono entrambe
cieche. Non è quindi esatta l'interpretazione data dalla Corte d'appello
dell'art. 52 delle norme tecniche di attuazione
del piano regolatore di Viareggio, dovendosi ritenere che in effetti essa
consente di costruire con le modalità attuate da R.R., G.A., P.M. e R.A.M..
A costoro tuttavia ciò non giova, poichè è sufficiente
correggere la motivazione sul punto della sentenza impugnata, il cui
dispositivo risulta comunque conforme al diritto.
Vanno infatti disattesi gli
ulteriori assunti addotti a sostegno del ricorso principale.
Quello relativo all'affermata
conformità del citato art. 52, inteso come sopra si è detto, al D.M. n.
1444, art. 9, n. 2 pone una questione di massima, la cui ritenuta
particolare importanza ha dato luogo all'assegnazione di questa causa alle
sezioni unite.
Si tratta di decidere se ai Comuni sia consentito
disporre, come appunto ha fatto quello di Viareggio, che la distanza di 10 metri debba essere
rispettata soltanto per quei tratti di parete che sono effettivamente
dotati di finestre. Questa tesi è propugnata dai ricorrenti principali, i
quali sostengono che è in facoltà degli enti locali deputati al governo del
territorio, in considerazione dei particolari interessi urbanistici locali,
attuare e integrare le previsioni della norma statale, la
quale si limita a stabilire genericamente che nei nuovi edifici
ricadenti in zone diverse dalla A) "è prescritta in tutti i casi la
distanza minima assoluta di m.
10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti", senza alcuna ulteriore
specificazione.
In tali precisi termini, per quanto consta, la questione
non è stata ancora affrontata da questa Corte, che con le sentenze 28 agosto 1991 n. 9207 e 22 luglio 2010 n. 17242 ha bensì ritenuto
che il D.M., art. 9, n. 2 si riferisce all'intera parete e non solo alla
sua zona dotata di finestre, ma con riguardo a regolamentazioni
diverse da quella ora in considerazione: il piano regolatore di Massa, il
quale semplicemente riproduceva le prescrizioni del decreto ministeriale, e
il regolamento edilizio di Caserta, il quale fissava le distanze degli
edifici di nuova costruzione dal confine anzichè dai fabbricati antistanti.
Non vi era stata quindi ragione di prendere in considerazione la tesi
secondo cui non sarebbe inibito ai Comuni precisare e concretizzare
la nozione di "pareti finestrate", limitandola in ipotesi ai soli
tratti in cui almeno una delle facciate fronteggiantisi sia munita di
aperture.
La questione va risolta nel senso che il decreto
ministeriale non consenta l'adozione di regole di tal genere da parte dei
Comuni, in quanto ne risulterebbe una disciplina
contrastante con la lettera e lo scopo della norma di cui dovrebbe
costituire l'attuazione. Questa esige in maniera assoluta l'osservanza di
un distacco di almeno 10
metri per il caso di "pareti finestrate",
senza alcuna distinzione tra i settori di esse,
secondo che siano o non dotati di finestre:
distinzione estranea al testo
della norma, che si riferisce complessivamente alle "pareti" e
non alle finestre. E' destinata infatti a
disciplinare le distanze tra le costruzioni e non tra queste e le vedute,
in modo che sia assicurato un sufficiente spazio libero, che risulterebbe
inadeguato se comprendesse soltanto quello direttamente antistante alle
finestre in direzione ortogonale, con esclusione di quello laterale: ne
conseguirebbe la facoltà per i Comuni di permettere edificazioni incongrue,
con profili orizzontali dentati a rientranze e sporgenze, in corrispondenza
rispettivamente dei tratti finestrati e di quelli ciechi delle facciate.
Nè si può aderire all'ulteriore
tesi di R.R., G.A., P.M. e R.A.M., relativa alla non immediata efficacia
nei rapporti tra privati e quindi all'inapplicabilità nella specie del D.M.
n. 1444, in
luogo delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore.
La giurisprudenza di legittimità - dalla quale non vi
sono ragioni per discostarsi, nè del resto i ricorrenti ne hanno indicata
alcuna, essendosi limitati a richiamare precedenti non pertinenti, perchè
relativi al caso di assenza di norme in materia di distanze nei regolamenti
locali - si è univocamente orientata, sulla scorta della sentenza delle sezioni unite 1 luglio 1997 n. 5889,
nel senso che il decreto ministeriale, in quanto
emanato su delega dell'art. 41- quinquies inserito nella L. 17 agosto 1942, n. 1150, dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17 ha
efficacia di legge, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i
fabbricati, cui i Comuni sono tenuti a conformarsi nella redazione o
revisione dei loro strumenti urbanistici, prevalgono sulle contrastanti
previsioni dei regolamenti locali successivi, alle quali si sostituiscono
per inserzione automatica, con
conseguente loro diretta operatività nei rapporti tra privati (v., tra
le più recenti, le sentenze 19 novembre 2004 n. 21899, 30 marzo 2006 n. 7563, 11 febbraio 2008 n. 3199).
Il principio da enunciare è dunque: "L'art. 52 delle norme tecniche di attuazione del piano
regolatore di Viareggio, che impone il rispetto della distanza minima di 10 metri tra pareti
finestrate soltanto per i tratti di esse dotati di finestre, con esonero
per quelli ciechi, contrasta con le prescrizioni del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, n. 2 il
quale prescrive l'osservanza di tale distacco con riferimento all'intera
estensione della parete, sicchè va disapplicato e sostituito per inserzione
automatica con la diversa previsione della norma statale, che è
direttamente applicabile nei rapporti tra privati".
Con il quarto motivo del ricorso principale R.R., G.A., P.M. e R.A.M. si dolgono del rigetto della loro
domanda riconvenzionale subordinata di risarcimento di danni, formulata per
il caso di accoglimento di quella dell'attore e basata sul presupposto che
Ro.Si.
avesse realizzato illegittimamente
il proprio fabbricato, su un lotto di estensione inferiore al minimo
prescritto dal piano regolatore e a distanza minore di quella di 5 metri dal confine,
implicitamente prescritta dal D.M. n. 1444, dando così causa alla ritenuta
irregolarità dell'edificio poi costruito dai vicini: irregolarità che non
sarebbe stata configurabile se egli in precedenza non avesse violato
suddetti limiti.
Neppure questa censura può essere accolta, per
l'assorbente ragione che la
Corte d'appello, oltre a ritenere che la costruzione di
Ro.Si. era stata ab initio pienamente legittima
secondo la normativa vigente nel 1970, quando era stata realizzata, ha
altresì osservato - e la decisione sul punto non è stata impugnata - che
comunque il diritto a mantenerla così come edificata era stato ormai da lui
usucapito, allorchè l'altro edificio è stato costruito. Il che
correttamente è stato reputato preclusivo di ogni ragione di danno, stante
il sopravvenuto venire meno dell'illecito in ipotesi ravvisabile nell'operato dello stesso Ro.Si., con conseguente cessazione
anche del carattere di "permanenza" che i ricorrenti affermano
doverglisi attribuire.
Con il motivo addotto a sostegno del ricorso incidentale viene lamentata la mancata pronuncia, da
parte della Corte d'appello, in ordine alla domanda, formulata da Ro.Si.
nei confronti di R.R., G.A., P.M. e R.A.M., di condanna all'arretramento
del loro edificio fino a cinque metri dal confine, nella parte antistante
all'area aperta posta lateralmente al fabbricato di Ro.Si..
La doglianza è fondata, poichè in
effetti il giudice di secondo grado ha provveduto solo parzialmente
sulla domanda dell'originario attore, riproposta anche in appello: l'ha
accolta limitatamente a quella porzione dello stabile dei convenuti che
fronteggia l'altro, mentre riguardava anche la sua prosecuzione in
corrispondenza dello spazio libero de fondo confinante.
Non sussistono le condizioni perchè sul punto la causa
possa essere decisa nel merito in questa sede, come il ricorrente
incidentale ha chiesto.
Rigettato pertanto il ricorso
principale e accolto l'incidentale, la sentenza impugnata va cassata in
relazione alla censura accolta, con rinvio della causa ad altro giudice,
che si designa nella Corte d'appello di Firenze in diversa composizione,
cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte
riunisce i ricorsi; rigetta il principale; accoglie l'incidentale; cassa la
sentenza impugnata in relazione alla censura
accolta; rinvia la causa alla Corte d'appello di Firenze in diversa
composizione, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2011
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