Aggiornamento - Civile |
Cassazione, Sez, Un.
Civ., Sentenza 24 giugno - 11 novembre
2008, n. 26972, sul danno esistenziale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L.A.,
sottoposto nel maggio
del 1989 ad intervento chirurgico per ernia inguinale sinistra,
subì la
progressiva atrofizzazione del testicolo sinistro che gli fu asportato
nel
giugno del Nel marzo
del 1992 convenne
in giudizio il dott. F.S. e Il
Tribunale di Vicenza, con
sentenza del 9.7.1998, riconosciuto il danno biologico, condannò
i convenuti a
versare all'attore la somma ulteriore di £ Con
sentenza n. 1933/04 la
corte d'appello di Venezia ha rigettato il gravame dell'A. in punto di
liquidazione del danno sui rilievi: che dalla espletata consulenza
tecnica era
inequivocamente emerso che la perdita del testicolo non aveva inciso
sulla
capacità riproduttiva, rimasta integra, provocando soltanto un
limitato danno
permanente all'integrità fisica dell'A., apprezzato nella misura
del 6%; che la
richiesta di liquidazione del danno esistenziale, in quanto formulata
per la
prima volta in grado di appello, costituiva domanda nuova, come tale
inammissibile ex art. 345 c.p.c. nella previgente formulazione; e che
del pari
inammissibili erano le richieste istruttorie di prove orali articolate
per
supportare la relativa domanda. Avverso
detta sentenza
ricorre per cassazione l'A., affidandosi a due motivi, illustrati anche
da
memoria, cui resiste con controricorso F.S. L'intimata
U.L.S.S. n. 6 di
Vicenza non ha svolto attività difensiva. All'udienza
del 19.12.2007,
la terza sezione, rilevato che il ricorso investe questione di
particolare
importanza, in relazione al ed. danno esistenziale, ha rimesso la causa
al
Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, in
base alle
considerazioni svolte con l'ordinanza resa nel ricorso n. 10517/2004,
trattato
nella medesima udienza, che ha assunto il n. 4712/2008. Il Primo
Presidente ha
disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite. MOTIVI DELLA DECISONE A)
Esame della questione
di particolare importanza Osserva
l'ordinanza che le
sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 hanno ridefinito rispetto alle opinioni
tradizionali presupposti e contenuti del risarcimento del danno non
patrimoniale. Quanto ai presupposti hanno affermato che il danno non
patrimoniale è risarcibile non solo nei casi espressamente
previsti dalla
legge, secondo la lettera dell'art. 2059 c.c., ma anche in tutti i casi
in cui
il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di
rilievo
costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Quanto ai
contenuti,
hanno ritenuto che il danno non patrimoniale, pur costituendo una
categoria
unitaria, può essere distinto in pregiudizi di tipo diverso:
biologico, morale
ed esistenziale. A questo
orientamento,
prosegue l'ordinanza di rimessione, ha dato continuità Ricorda
ancora l'ordinanza
di rimessione che altre decisioni di legittimità hanno ritenuto
ammissibile la
configurabilità di un tertium genus di danno non patrimoniale,
definito
"esistenziale": tale danno consisterebbe in qualsiasi compromissione
delle attività realizzatrici della persona umana (quali la
lesione della
serenità familiare o del godimento di un ambiente salubre), e si
distinguerebbe
sia dal danno biologico, perché non presuppone l'esistenza di
una lesione in
corpore, sia da quello morale, perché non costituirebbe un mero
patema d'animo
interiore di tipo soggettivo. Tra le decisioni rilevanti in tal senso
l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 7713/2000, n.
9009/2001, n.
6732/2005, n. 13546/2006, n. 2311/2007, e, soprattutto, la sentenza
delle
Sezioni unite n. 6572/2006, la quale ha dato una precisa definizione
del danno
esistenziale da lesione del fare areddittuale della persona, ed una
altrettanto
precisa distinzione di esso dal danno morale, in quanto, al contrario
di
quest'ultimo, il danno esistenziale non ha natura meramente emotiva ed
interiore. L'ordinanza
di rimessione
osserva poi che al richiamato orientamento, favorevole alla
configurabilità del
danno esistenziale come categoria autonoma di danno non patrimoniale,
si è
contrapposto un diverso orientamento, il quale nega dignità
concettuale alla
nuova figura di danno. Secondo
questo diverso
orientamento il danno non patrimoniale, essendo risarcibile nei soli
casi
previsti dalla legge, tra i quali rientrano, in virtù della
interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. fornita dalle sentenze
n. 8827
e n. 8828/2003, i casi di lesione di valori della persona
costituzionalmente
garantiti, manca del carattere della atipicità, che invece
caratterizza il
danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. Di
conseguenza non
sarebbe possibile concepire categorie generalizzanti, come quella del
danno
esistenziale, che finirebbero per privare il danno non patrimoniale del
carattere della tipicità. Tra le decisioni espressione di questo
orientamento
l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 15760/2006, n.
23918/2006,
n. 9510/2006, n. 9514/2007, n. 14846/2007. Così
riassunti i
contrapposti orientamenti, l'ordinanza di rimessione conclude invitando
le
Sezioni unite a pronunciarsi sui seguenti otto "quesiti". 1. Se sia
concepibile un
pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto dal danno morale quanto dal
danno
biologico, consistente nella lesione del fare areddituale della vittima
e
scaturente dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti. 2. Se sia
corretto ravvisare
le caratteristiche di tale pregiudizio nella necessaria sussistenza di
una
offesa grave ad un valore della persona, e nel carattere di
gravità e
permanenza delle conseguenze da essa derivate. 3. Se sia
corretta la teoria
che, ritenendo il danno non patrimoniale "tipico", nega la
concepibilità del danno esistenziale. 4. Se sia
corretta la teoria
secondo cui il danno esistenziale sarebbe risarcibile nel solo ambito
contrattuale e segnatamente nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero
debba
affermarsi il più generale principio secondo cui il danno
esistenziale trova
cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell'illecito
contrattuale
quanto in quello del torto aquiliano. 5. Se sia
risarcibile un
danno non patrimoniale che incida sulla salute intesa non come
integrità psicofisica,
ma come sensazione di benessere. 6. Quali
debbano essere i
criteri di liquidazione del danno esistenziale. 7. Se
costituisca peculiare
categoria di danno non patrimoniale il ed. danno tanatologico o da
morte
immediata. 8. Quali
siano gli oneri di
allegazione e di prova gravanti sul chi domanda il ristoro del danno
esistenziale. 2. Il
risarcimento del danno
non patrimoniale è previsto dall'art. 2059 c.c. ("Danni non
patrimoniali") secondo cui "Il danno non patrimoniale deve essere
risarcito solo nei casi determinati dalla legge ". All'epoca
dell'emanazione
del codice civile l'unica previsione espressa del risarcimento del
danno non
patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 del codice penale del 1930. La
giurisprudenza, nel dare
applicazione all'art. 2059 c.c., si consolidò nel ritenere che
il danno non
patrimoniale era risarcibile solo in presenza di un reato e ne
individuò il
contenuto nel ed. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza
contingente,
turbamento dell'animo transeunte. 2.1.
L'insostenibilità di
siffatta lettura restrittiva è stata rilevata da questa Corte
con le sentenze
n. 8827 e n. 8828/2003, in cui si è affermato che nel vigente
assetto
dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente Sorreggono
l'affermazione i
seguenti argomenti: a) il
cospicuo incremento,
nella legislazione ordinaria, dei casi di espresso riconoscimento del
risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi
di
reato, in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 1.
n.
117/1998; art 29, comma 9, 1. n. 675/1996; art. 44, comma 7, d.lgs. n.
286/1998; art. 2 1. n. 89/2001, con conseguente ampliamento del rinvio
effettuato dall'art. 2059 c.c. ai casi determinati dalla legge; b) il
riconoscimento nella
giurisprudenza della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 3675/1981)
di
quella peculiare figura di danno non patrimoniale, diverso dal danno
morale
soggettivo, che è il danno biologico, formula con la quale si
designa la
lesione dell'integrità psichica e fisica della persona; c)
l'estensione
giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale,
evidentemente
inteso come pregiudizio diverso dal danno morale soggettivo, anche in
favore
delle persone giuridiche (sent. n. 2367/2000); d)
l'esigenza di assicurare
il risarcimento del danno non patrimoniale, anche in assenza di reato,
nel caso
di lesione di interessi di rango costituzionale, sia perché in
tal caso il
risarcimento costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela
minima non è
assoggettabile a limiti specifici, poiché ciò si risolve
in rifiuto di tutela
nei casi esclusi, sia perché il rinvio ai casi in cui la legge
consente il
risarcimento del danno non patrimoniale ben può essere riferito,
dopo l'entrata
in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge
fondamentale,
atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili
inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma
necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso
determinato
dalla legge, al massimo livello, di risarcimento del danno non
patrimoniale. 2.2.
Queste Sezioni unite
condividono e fanno propria la lettura, costituzionalmente orientata,
data
dalle sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 all'art. 2059 c.c. e la
completano nei
termini seguenti. 2.3. Il
danno non
patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art. 2059 c.c.,
si
identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti
la
persona non connotati da rilevanza economica. Il suo
risarcimento postula
la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola
l'illecito
civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c. L'art.
2059 c.c. non delinea
una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non
patrimoniale, ma
consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi
determinati
dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi
costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano
dall'art.
2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di
responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella
condotta, nel nesso
causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo
dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di
interessi
meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (danno-conseguenza,
secondo
opinione ormai consolidata: Corte cost. n. 372/1994; S.u. n. 576, 581,
582,
584/2008). 2.4.
L'art. 2059 c.c. è
norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi
di risarcibilità
del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del
danno non
patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono
siffatta
tutela. 2.5. Si
tratta, in primo
luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del
danno patrimoniale
conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno
patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e
le
persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il
fatto di
lui"). 2.6. Altri
casi di
risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi
ordinarie
in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 1. n.
117/1998:
danni derivanti dalla privazione della libertà personale
cagionati
dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art 29, comma 9, 1. n.
675/1996:
impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali;
art. 44, comma
7, d.lgs. n. 286/1998: adozione di atti discriminatori per motivi
razziali,
etnici o religiosi; art. 2 1. n. 89/2001: mancato rispetto del termine
ragionevole
di durata del processo). 2.7. Al di
fuori dei casi
determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela
minima
risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela
è
estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di
diritti
inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per
effetto di tale
estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c., il danno da
lesione
del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno
biologico,
del quale è data, dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005,
specifica
definizione normativa (sent. n. 15022/2005; n. 23918/2006). In
precedenza, come
è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata
grazie al
collegamento tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da
Corte
cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art. 2059 c.c.,
norma
nella quale avrebbe ben potuto sin dall'origine trovare collocazione
(come
ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno
biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima
primaria). Trova
adeguata collocazione
nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto
lesi i
diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n.
8827 e n.
8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o
compromissione del
rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave
invalidità del
congiunto). Eguale
sorte spetta al danno
conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine,
al
nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella
sua
dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n.
25157/2008). 2.8. La
rilettura
costituzionalmente orientata dell'art. 2959 c.c., come norma deputata
alla
tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua
più ampia
accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana
nell'ambito della
bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno
patrimoniale (art. 2043
c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (sent. n.8827/2003; n.
15027/2005; n. 23918/2006). Sul piano
della struttura
dell'illecito, articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal
nesso
causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello
consegue
(danno-conseguenza), le due ipotesi risarcitorie si differenziano in
punto di
evento dannoso, e cioè di lesione dell'interesse protetto. Sotto tale
aspetto, il
risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è
connotato da atipicità,
postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c. la lesione
di
qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre
quello
del danno non patrimoniale è connotato da tipicità,
perché tale danno è
risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia
cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici
diritti
inviolabili della persona (sent. n. 15027/2005; n. 23918/2006). 2.9. La
risarcibilità del
danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno,
la
selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno.
Selezione che
avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla
legge, o in
via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la
sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto
inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima
tutela
risarcitoria. 2.10.
Nell'ipotesi in cui il
fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.u. n.
6651/1982) come reato,
è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona
offesa e dagli
ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo:
sent. n.
4186/1998; S.u. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di
danno
determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non
connotati da
rilevanza economica. La
limitazione alla
tradizionale figura del ed. danno morale soggettivo transeunte va
definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla
pratica
giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio,
poiché né l'art.
2059 c.c. né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e
tantomeno lo dicono
rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della
adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata
dal reato non è
necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi
anche per
lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di
morte del
soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il
risarcimento sia
del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza.
al tempo
di vita effettiva: n.19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005) . Va
conseguentemente
affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non
patrimoniale,
la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria
di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non
patrimoniali, un
tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata
dal reato
in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata
nel tempo non assumono
rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della
quantificazione del
risarcimento. In ragione
della ampia
accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato é
risarcibile non
soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti
costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato
di lesioni
colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di
uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la
compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente
alla
lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti
diritti, ma
meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio
dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità,
in questo caso, non è
determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione
della
scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali
cagionati
da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza
dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela
penale. 2.11.
Negli altri casi
determinati dalla legge la selezione degli interessi è
già compiuta dal
legislatore. Va notato che, nei casi previsti da leggi vigenti
richiamati in
precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione di diritti
inviolabili
della persona: alla libertà personale, alla riservatezza, a non
subire
discriminazioni. Non
può tuttavia ritenersi
precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla
legge
ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in
relazione
ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di
diritti
inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte cost. n.
87/1979). Situazione
che non ricorre
in relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la
salvaguardia
dei diritti dell'uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955, quale
risulta
dai vari Protocolli susseguitisi, ai quali non spetta il rango di
diritti
costituzionalmente protetti, poiché 2.12.
Fuori dai casi
determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non
patrimoniale
solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della
persona: deve
sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. 2.13. In
tali ipotesi non
emergono, nell'ambito della categoria generale "danno non
patrimoniale", distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto
specifici
casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla
Costituzione,
di riparazione del danno non patrimoniale. E' solo a
fini descrittivi
che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione
del
diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di
danno
biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto
espresso
riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005,
recante il
Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico
nella
"lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della
persona
suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza
negativa
sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali
della vita del
danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua
capacità di
reddito", e ne danno una definizione suscettiva di generale
applicazione,
in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una
lunga
elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Ed
è ancora a fini
descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt.
2, 29 e
30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del
rapporto parentale. In tal
senso, e cioè come
mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno
morale,
danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate
dalle
sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza, n. 233/2003 della
Corte
costituzionale. Le
menzionate sentenze,
d'altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo
ritagliare
all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale
specifiche
figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003) , e di
rilevare
che la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. doveva
essere
riguardata non già come occasione di incremento delle poste di
danno (e mai
come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi
pregiudizi), ma
come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della
persona (n.
8827/2003) . Considerazioni che le Sezioni unite condividono. 2.14. Il
catalogo dei casi
in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela
non è ristretta ai
casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti
dalla
Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù
dell'apertura dell'art.
2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito
all'interprete
rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano
idonei a
valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano,
non
genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale
attenendo
a posizioni inviolabili della persona umana. 3. Si pone
ora la questione
se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale,
possa
inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale. 3.1.
Secondo una tesi
elaborata in dottrina nei primi anni '90 il danno esistenziale era
inteso come
pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico (all'epoca
risarcito
nell'ambito dell'art. 2043 c.c. in collegamento con l'art. 32 Cost.),
in
assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal ed. danno
morale
soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza di
reato,
secondo la tradizionale lettura restrittiva dell'art. 2059 c.c. in
collegamento
all'art. 185 c.p.), in quanto non attinente alla sfera interiore del
sentire,
ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto. Tale
figura di danno nasceva
dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i
pregiudizi di
natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai
limiti
dell'art. 2059 c.c., e seguendo la via, già percorsa per il
danno biologico, di
operare nell'ambito dell'art. 2043 c.c. inteso come norma regolatrice
del
risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non
patrimoniale concernente la persona. Si
affermava che, nel caso
in cui il fatto illecito limita le attività realizzatrici della
persona umana,
obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti
diversi da
quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno
morale
soggettivo ed al danno biologico) definito con l'espressione "danno
esistenziale" Il
pregiudizio era
individuato nella alterazione della vita di relazione, nella perdita
della
qualità della vita, nella compromissione della dimensione
esistenziale della
persona. Pregiudizi diversi dal patimento intimo, costituente danno
morale
soggettivo, perché non consistenti in una sofferenza, ma nel non
poter più fare
secondo i modi precedentemente adottati, e non integranti danno
biologico, in
assenza di lesione all'integrità psicofisica. 3.2. Va
rilevato che, già
nel quadro dell'art. 2043 c.c. nel quale veniva inserito, la nuova
figura di
danno si risolveva nella descrizione di un pregiudizio di tipo
esistenziale (il
peggioramento della qualità della vita, l'alterazione del fare
non reddituale),
non accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito
dell'ingiustizia del danno, di quale fosse l'interesse giuridicamente
rilevante
leso dal fatto illecito, e l'insussistenza della lesione di un
interesse
siffatto era ostativa all'ammissione a risarcimento. Di
siffatta carenza, non
percepita dalla giurisprudenza di merito, mostratasi favorevole ad
erogare
tutela risarcitoria al danno così descritto (danno-conseguenza)
senza svolgere
indagini sull'ingiustizia del danno (per lesione dell'interesse),
è stata
invece avvertita questa Corte, in varie pronunce precedenti alle
sentenze
gemelle del 2003. La
sentenza n. 7713/2000,
pur discorrendo di danno esistenziale, ed impiegando il collegamento
tra art.
2043 c.c. e norme della Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30),
analogamente a quanto all'epoca avveniva per il danno biologico,
ravvisò il fondamento
della tutela nella lesione del diritto costituzionalmente protetto del
figlio
all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento. La decisione
non
sorregge quindi la tesi che vede il danno esistenziale come categoria
generale
e lo dice risarcibile indipendentemente dall'accertata lesione di un
interesse
rilevante. La
menzione del danno
esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha
definito
esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni
fisiche (e
quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo
la morte,
ed era rimasta lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento
del
danno agli eredi della vittima. La decisione non conforta la teoria del
danno
esistenziale. Nel quadro di una costante giurisprudenza di
legittimità che
nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza
dall'evento
lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita
(sent. n.
1704/1997, n. 491/1999, n. 13336/1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo
ammette
per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per
un
tempo apprezzabile (sent. n. 6404/1998, n. 9620/2003, n. 4754/2004, n.
15404/2004), ed a questo lo commisura, la sentenza persegue lo scopo di
riconoscere
il risarcimento, a diverso titolo, delle sofferenze coscientemente
patite in
quel breve intervallo. Viene qui in considerazione il tema della
risarcibilità
della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di
durata contenuta,
nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza
che, non
essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del
limitato
intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere
risarcita come
danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Né,
d'altra parte, può in
questa sede essere rimeditato il richiamato indirizzo
giurisprudenziale, non
essendosi manifestato in questa Corte un argomentato dissenso. In tema di
danno da
irragionevole durata del processo (art. 2 della legge n. 89/2001) la
sentenza
n. 15449/2002, ha espressamente negato la distinta risarcibilità
del
pregiudizio esistenziale, in quanto costituente solo una "voce" del
danno non patrimoniale, risarcibile per espressa previsione di legge. Altre
decisioni hanno
riconosciuto, nell'ambito del rapporto di lavoro (e quindi in tema di
responsabilità contrattuale, ponendo questione sulla quale si
tornerà più
avanti), il danno esistenziale da mancato godimento del riposo
settimanale
(sent. n. 9009/2001) e da demansionamento (sent. n. 8904/2003),
ravvisando nei
detti casi la lesione di diritti fondamentali del lavoratore, e quindi
ricollegando la risarcibilità ad una ingiustizia
costituzionalmente
qualificata. Al danno
esistenziale era
dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più
fantasiose, ed a
volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il
modo di
esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa,
l'errato
taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di
un
ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte
dell'animale
di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della
partita
di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal
modo si
risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere
dall'individuazione
dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia. 3.3.
Questi erano dunque i
termini nei quali viveva, nelle opinioni della dottrina e nelle
applicazioni
della giurisprudenza, la figura del danno esistenziale. Dopo che
le sentenze n. 8827
e n. 8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso da queste Sezioni
unite,
secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente
orientata dell'art.
2059 c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non
patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è data,
oltre che nei casi
determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti
inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia
costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma
categoria
di danno non è più dato discorrere. 3.4. Come
si è ricordato, la
figura del danno esistenziale era stata proposta nel dichiarato intento
di
supplire ad un vuoto di tutela, che ormai più non sussiste. 3.4.1. In
presenza di reato,
superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al
solo
danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte,
ed
affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua
più ampia
accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non
poter fare
(ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non
poter
fare) è risarcibile. La tutela
risarcitoria sarà
riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di
un
interesse giuridicamente protetto, desunto dall'ordinamento positivo,
ivi
comprese le convenzioni internazionali (come la già citata
Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la legge n.
88 del 1955),
e cioè purché sussista il requisito dell'ingiustizia
generica secondo l'art.
2043 c.c. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice
della
rilevanza dell'interesse leso. 3.4.2. In
assenza di reato,
e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo
esistenziale
sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto
inviolabile
della persona. Ipotesi
che si realizza, ad
esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato
dalla
perdita di congiunto (ed. danno da perdita del rapporto parentale),
poiché il
pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti
inviolabili
della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). In questo
caso, vengono in
considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della
persona,
per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come
esistenziali,
senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno. Altri
pregiudizi di tipo
esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non
conseguenti
a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno
biologico
(comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del ed.
"danno
estetico" che del ed. "danno alla vita di relazione"), saranno
risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un diritto
inviolabile
della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica. Ipotesi
che si verifica nel
caso (esaminato dalla sentenza n. 6607/1986) dell'illecito che,
cagionando ad
una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali
è immediatamente e
direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti,
quale
diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme
agli
altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio. Nella
fattispecie il
pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti
inviolabili della
famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua
integrità
psicofisica. 3.5. Il
pregiudizio di tipo
esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile
solo entro il limite
segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di
danno.
Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili
della
persona non è data tutela risarcitoria. Per
superare tale
limitazione, è stata prospettata la tesi secondo cui la
rilevanza
costituzionale non deve attenere all'interesse leso, bensì al
pregiudizio
sofferto. Si sostiene che, incidendo il pregiudizio di tipo
esistenziale,
consistente nell'alterazione del fare non reddituale, sulla sfera della
persona, per ciò soltanto ad esso va riconosciuta rilevanza
costituzionale,
senza necessità di indagare la natura dell'interesse leso e la
consistenza
della sua tutela costituzionale. La tesi
pretende di vagliare
la rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio,
cioè al
danno-conseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento
dannoso, in tal modo
confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello
dell'ingiustizia da
dimostrare, e va disattesa. Essa si
risolve sostanzialmente
nell'abrogazione surrettizia dell'art. 2059 c.c. nella sua lettura
costituzionalmente orientata, perché cancella la persistente
limitazione della
tutela risarcitoria (al di fuori dei casi determinati dalla legge) ai
casi in
cui il danno non patrimoniale sia conseguenza della lesione di un
diritto
inviolabile della persona, e cioè in presenza di ingiustizia
costituzionalmente
qualificata dell'evento dannoso. 3.6.
Ulteriore tentativo di
superamento dei limiti segnati dalla lettura costituzionalmente
orientata
dell'art. 2059 c.c. è incentrato sull'assunto secondo cui il
danno esistenziale
non si identifica con la lesione di un bene costituzionalmente
protetto, ma può
scaturire dalla lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante. La tesi
è inaccettabile, in
quanto si risolve nel ricondurre il preteso danno sotto la disciplina
dell'art.
2043 c.c., dove il risarcimento è dato purché sia leso un
interesse
genericamente rilevante per l'ordinamento, contraddicendo l'affermato
principio
della tipicità del danno non patrimoniale. E non
è prospettabile
illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., come
rinvigorito da questa
Corte con le sentenze gemelle del 3.7. Il
superamento dei
limiti alla tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali, che
permangono, nei
termini suesposti, anche dopo la rilettura conforme a Costituzione
dell'art.
2059 c.c., può derivare da una norma comunitaria che preveda il
risarcimento
del danno non patrimoniale senza porre limiti, in ragione della
prevalenza del
diritto comunitario sul diritto interno. Va
ricordato che l'effetto
connesso alla vigenza di norma comunitaria è quello non
già di caducare,
nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile,
bensì di
impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della
controversia
innanzi al giudice nazionale (Corte cost. n. 170/1984; S.u. n.
1512/1998; Cass.
n. 4466/2005). 3.8.
Queste Sezioni unite,
con la sentenza n. 6572/2006, trattando il tema del riparto degli oneri
probatori in tema di riconoscimento del diritto del lavoratore al
risarcimento
del danno professionale biologico o esistenziale da demansionamento o
dequalificazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, hanno definito il
danno
esistenziale, come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare
areddituale del
soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali
che gli
erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla
espressione e
realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. La
pronuncia è stata
seguita da altre sentenze (n. 4260/2007; n. 5221/2007; n. 11278/2007;
n. 26561/2007). Non sembra
tuttavia che tali
decisioni, che si muovono nell'ambito della affermata natura
contrattuale della
responsabilità del datore di lavoro (così ponendo la
più ampia questione della
risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento di
obbligazioni, che
sarà trattata più avanti e positivamente risolta),
confortino la tesi di quanti
configurano il danno esistenziale come autonoma categoria, destinata ad
assumere rilievo anche al di fuori dell'ambito del rapporto di lavoro. Le
menzionate sentenze
individuano specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di
obblighi
contrattuali nell'ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla
violazione dell'obbligo dell'imprenditore di tutelare
l'integrità fisica e la
personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.). Vengono in
considerazione
diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal
codice del 1942,
sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32
Cost., quanto alla
tutela dell'integrità fisica, ed agli art. 1, 2, 4 e 35 Cost.,
quanto alla
tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti
inviolabili, la cui
lesione dà luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali,
di tipo
esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in
una
ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito
contrattuale
legislativamente prevista. 3.9.
Palesemente non
meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno
esistenziale,
sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed
in ogni
altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più
disparati della vita
quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha
prestato
invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli
risarcibili, invocare
diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della
vita, allo
stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad
essere felici.
Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione
di un
diritto inviolabile della persona concretamente individuato è
fonte di
responsabilità risarcitoria non patrimoniale. In tal
senso, per difetto
dell'ingiustizia costituzionalmente qualificata, è stato
correttamente negato
il risarcimento ad una persona che si affermava "stressata" per
effetto dell'istallazione di un lampione a ridosso del proprio
appartamento per
la compromissione della serenità e sicurezza, sul rilievo che i
menzionati
interessi non sono presidiati da diritti di rango costituzionale (sent.
n.
3284/2008). [NdR Vedi BUFFONE - Diritto alla
salute e danno
esistenziale in Altalex] E per
eguale ragione non è
stato ammesso a risarcimento il pregiudizio sofferto per la perdita di
un
animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra
l'uomo e
l'animale, privo, nell'attuale assetto dell'ordinamento, di copertura
costituzionale (sent. n.14846/2007). 3.10. Il
risarcimento di
pretesi danni esistenziali è stato frequentemente richiesto ai
giudici di pace
ed ha dato luogo alla proliferazione delle ed. liti bagatellari. Con tale
formula si
individuano le cause risarcitorie in cui il danno conseguenziale
è futile o
irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia,
secondo la
coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello
raggiunto. In
entrambi i casi deve
sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia
costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice
(al dei
fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art.
2059 c.c. La
differenza tra i due casi
è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area del
danno-conseguenza del
quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio
esistenziale futile, non
serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere
alcolici), mentre nel
secondo è l'offesa arrecata che è priva di
gravità, per non essere stato inciso
il diritto oltre una soglia minima: come avviene nel caso del graffio
superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata
conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore
cagionato
dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori
stradali di
pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto
inviolabile, non spettando
tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16
Cost., che
può essere limitato per varie ragioni). 3.11. La
gravità dell'offesa
costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei
danni non
patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti
costituzionali
inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia
minima,
cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa
soglia di
offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere
meritevole di tutela
in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro
della gravità
della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento
tra il principio
di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la
conseguenza che
il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel
caso in cui sia
superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia
futile.
Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel
complesso contesto
sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza
che la
convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i
requisiti devono
essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla
coscienza
sociale in un determinato momento storico (criterio sovente utilizzato
in
materia di lavoro, sent. n. 17208/2002; n. 9266/2005, o disciplinare,
S.u. n.
16265/2002). 3.12. I
limiti fissati
dall'art. 2059 c.c. non possono essere ignorati dal giudice di pace
nelle cause
di valore non superiore ad euro millecento, in cui decide secondo
equità. La norma,
nella lettura
costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto
pone le
regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce
principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno
non
patrimoniale, che il giudice di pace, nelle questioni da decidere
secondo
equità, deve osservare (Corte cost. n. 206/2004). 3.13. In
conclusione, deve
ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non
suscettiva di
suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare,
non può
farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno
esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare
anche il
danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso
l'individuazione
della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in
cui
tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla
norma ai
fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale
situazione non è voluta
dal legislatore ordinario né è necessitata
dall'interpretazione costituzionale
dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria
di
specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili
secondo
Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n. 15022/2005, n.
11761/2006,
n. 23918/2006, che queste Sezioni unite fanno propri). 3.14. Le
considerazioni
svolte valgono a dare risposta negativa a tutti i quesiti, in quanto
postulanti
la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale. 4. 11
danno non patrimoniale
conseguente all'inadempimento delle obbligazioni, secondo l'opinione
prevalente
in dottrina ed in giurisprudenza, non era ritenuto risarcibile. L'ostacolo
era ravvisato
nella mancanza, nella disciplina della responsabilità
contrattuale, di una
norma analoga all'art. 2059 c.c., dettato in materia di fatti illeciti. Per
aggirare l'ostacolo, nel
caso in cui oltre all'inadempimento fosse configurabile lesione del
principio
del neminem laedere, la giurisprudenza aveva elaborato la teoria del
cumulo
delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968,
seguita
dalla n. 8656/1996, nel caso del trasportato che abbia subito lesioni
nell'esecuzione del contratto di trasporto; sent. n. 8331/2001, in
materia di
tutela del lavoratore). A parte il
suo dubbio
fondamento dogmatico (contestato in dottrina), la tesi non risolveva la
questione del risarcimento del danno non patrimoniale in senso lato,
poiché lo
riconduceva, in relazione all'azione extracontrattuale, entro i
ristretti
limiti dell'art. 2059 c.c. in collegamento con l'art. 185 c.p.,
sicché il
risarcimento era condizionato alla qualificazione del fatto illecito
come reato
ed era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo. Dalle
strettoie dell'art.
2059 c.c. si sottraeva il danno biologico, azionato in sede di
responsabilità
aquiliana, grazie al suo inserimento nell'art. 2043 c.c. (Corte cost.
n.
184/1986) . 4.1.
L'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. consente ora di
affermare che
anche nella materia della responsabilità contrattuale è
dato il risarcimento
dei danni non patrimoniali. Dal
principio del necessario
riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima
tutela
costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti
inviolabili
della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta
l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della
responsabilità,
contrattuale o extracontrattuale. Se
l'inadempimento dell'obbligazione
determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica
assunti
con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della
persona del
creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale
potrà essere
versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza
ricorrere
all'espediente del cumulo di azioni. 4.2. Che
interessi di natura
non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle
obbligazioni
contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art. 1174 c.c.,
secondo cui la
prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere
suscettibile di
valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non
patrimoniale, del creditore. L'individuazione,
in
relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi
nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale,
presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa
concreta
del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il
contratto
stesso è diretto a realizzare, al di là del modello,
anche tipico, adoperato;
sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale (come
condivisibilmente affermato dalla sentenza n. 10490/2006). 4.3.
Vengono in
considerazione, anzitutto, i ed. contratti di protezione, quali sono
quelli che
si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da
realizzare
attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che
l'inadempimento
del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della
persona
cagionando pregiudizi non patrimoniali. In tal
senso si esprime una
cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di
inquadrare
nell'ambito della responsabilità contrattuale la
responsabilità del medico e
della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi,
che, quanto
alla struttura, hanno applicato il principio della
responsabilità da contatto
sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a
soggetti
terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e
quindi,
oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent.
n.
11503/1003; n. 5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di
malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n.
6735/2002;
n. 14488/2004; n. 20320/2005). I
suindicati soggetti, a
seconda dei casi, avevano subito la lesione del diritto inviolabile
alla salute
(art. 32, comma 1, Cost.), sotto il profilo del danno biologico sia
fisico che
psichico (sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabile
all'autodeterminazione
(artt. 32, comma 2, e 13 Cost.), come nel caso della gestante che, per
errore
diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere se
interrompere la
gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate), e nei casi di
violazione
dell'obbligo del consenso informato (sent. n. 544/2006); dei diritti
propri
della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), come nel caso di cui alle
sentenze n.
6735/2002 e conformi citate. 4.4.
Costituisce contratto
di protezione anche quello che intercorre tra l'allievo e l'istituto
scolastico. In esso, che trova la sua fonte nel contatto sociale (S.u.
n.
9346/2002; sent. n. 8067/2007), tra gli interessi non patrimoniali da
realizzare rientra quello alla integrità fisica dell'allievo,
con conseguente
risarcibilità del danno non patrimoniale da autolesione
(sentenze citate). 4.5.
L'esigenza di accertare
se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di
interessi non
patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della
persona,
viene meno nel caso in cui l'inserimento di interessi siffatti nel
rapporto sia
opera della legge. E' questo
il caso del
contratto di lavoro. L'art. 2087 c.c. ("L'imprenditore è tenuto
ad
adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la
particolarità
del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l'integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro"),
inserendo
nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di
valutazione
economica (l'integrità fisica e la personalità morale)
già implicava che, nel
caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era
dovuto il
risarcimento del danno non patrimoniale. Il
presidio dei detti
interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati
a
diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela. Con la conseguenza
che la
loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei
danni conseguenza,
sotto il profilo della lesione dell'integrità psicofisica (art.
32 Cost.) secondo
le modalità del danno biologico, o della lesione della
dignità personale del
lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi
alla
professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella
compromissione
delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore
che si svolge
nella formazione sociale costituita dall'impresa. Nell'ipotesi
da ultimo
considerata si parla, nella giurisprudenza di questa Corte (sent. n.
6572/2006), di danno esistenziale. Definizione che ha valenza
prevalentemente
nominalistica, poiché i danni-conseguenza non patrimoniali che
vengono in
considerazione altro non sono che pregiudizi attinenti alla svolgimento
della
vita professionale del lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale,
ammessi
a risarcimento in virtù della lesione, in ambito di
responsabilità
contrattuale, di diritti inviolabili e quindi di ingiustizia
costituzionalmente
qualificata. 4.6.
Quanto al contratto di
trasporto, la tutela dell'integrità fisica del trasportato
è compresa tra le obbligazioni
del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del
viaggiatore durante il viaggio (art. 1681 c.c.) . Il vettore
è quindi
obbligato a risarcire a titolo di responsabilità contrattuale il
danno
biologico riportato nel sinistro dal viaggiatore. Ove ricorra ipotesi
di
inadempimento-reato (lesioni colpose), varranno i principi enunciati
con
riferimento all'ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anche in
relazione
all'ipotesi dell'illecito plurioffensivo, e sarà dato il
risarcimento del danno
non patrimoniale nella sua ampia accezione. 4.7.
Nell'ambito della
responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato
dalle norme dettate
in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato. L'art.
1218 c.c., nella
parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la
prestazione
dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi
essere riferito al
solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non
patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di
diritti
inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va
individuato
nell'art. 1223 c.c., secondo cui il risarcimento del danno per
l'inadempimento
o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal
creditore come il
mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta,
riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i
pregiudizi non
patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. D'altra
parte, la tutela
risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall'inadempimento di
obbligazioni,
sarà soggetta al limite di cui all'art. 1225 c.c. (non operante
in materia di
responsabilità da fatto illecito, in difetto di richiamo
nell'art. 2056 c.c.),
restando, al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento al
danno che
poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione è sorta. Il rango
costituzionale dei
diritti suscettivi di lesione rende nulli i patti di esonero o
limitazione
della responsabilità, ai sensi dell'art. 1229, comma 2, c.c.
(E'nullo qualsiasi
patto preventivo di esonero o di limitazione della
responsabilità per i casi in
cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione
di
obblighi derivanti da norme di ordine pubblico). Varranno
le specifiche regole
del settore circa l'onere della prova (come precisati da Sez. un. n.
13533/2001), e la prescrizione. 4.8. Il
risarcimento del
danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare
interamente il pregiudizio, ma non oltre. Si
è già precisato che il
danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con
il danno
determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non
connotati da
rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di
suddivisione in sottocategorie. Il
riferimento a determinati
tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno
biologico,
danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze
descrittive, ma
non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E' compito
del giudice
accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a
prescindere dal
nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul
valore-uomo
si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Viene in
primo luogo in
considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la
sofferenza
morale. Definitivamente accantonata la figura del ed. danno morale
soggettivo,
la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di
durata, integra
pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza
soggettiva
in sé considerata, non come componente di più complesso
pregiudizio non
patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento
dell'animo,
il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa
nella
identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche
della sofferenza.
Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno
biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura
intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di
risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno
morale
nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un
terzo
alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale
operazione, dovrà il
giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata
personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando
nella loro
effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal
soggetto
leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Egualmente
determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del
danno
morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del
rapporto
parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la
perdita è
percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha
subita
altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va
integralmente
ed unitariamente ristorato. Possono
costituire solo
"voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per
consolidata opinione, è ormai assorbito il ed. danno alla vita
di relazione, i
pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della
vita,
conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché
darebbe luogo a
duplicazione la loro distinta riparazione. Certamente
incluso nel danno
biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica,
è il pregiudizio
da perdita o compromissione della sessualità, del quale non
può, a pena di
incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo
(diversamente
da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno
esistenziale autonomo). Ed
egualmente si avrebbe
duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella
alterazione
fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come
"voce" del danno biologico, che il ed. danno estetico pacificamente
incorpora. Il giudice
potrà invece
correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro
della
sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle
quali sia
seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante
l'agonia in
consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di
tutela
determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel
caso di morte
immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il
risarcimento
del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e
successive
conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto
sia
rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent.
n.
6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di
massima
intensità anche se di durata contenuta, non essendo
suscettibile, in ragione
del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in
patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno
morale, nella
sua nuova più ampia accezione. 4.10. Il
danno non
patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti
inviolabili
della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n.
8828/2003; n.
16004/2003), che deve essere allegato e provato. Va
disattesa, infatti, la
tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno
evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza
n.
184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n.
372/1994,
seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003. E del pari
da respingere è
la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di
valori
della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi
snatura la funzione
del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza
dell'effettivo
accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento
lesivo. Per quanto
concerne i mezzi
di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139
d. lgs.
n. 209/2005) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo
di
indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a
strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri
del giudice
disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del
pari il
giudice potrà non disporre l'accertamento medico- legale, non
solo nel caso in
cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè
deceduta o per
altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e
porre a
fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti
al processo
(documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune
esperienza e
delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali
potrà farsi
ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il
pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla
prova
presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e
potrà costituire
anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice,
non
trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le
tante,
sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare
tutti gli elementi
che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie
concatenata di
fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto. B) Ricorso
n. 734/06 1. Con il
primo motivo di
ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 345,
comma 1,
c.p.c, nel testo vigente prima del 30.4.1995, e vizio di motivazione su
punto
decisivo, in riferimento alla affermata inammissibilità della
domanda di
risarcimento del danno esistenziale. Il
ricorrente si duole
anzitutto che la corte d'appello abbia ritenuto che la richiesta di
risarcimento del danno esistenziale integrasse una domanda nuova senza
considerare che essa costituiva la mera riproposizione di richieste
già
formulate in primo grado. Afferma che, in quella sede, ci si era
specificamente
riferiti alle singole voci di danno (estetico, alla vita di relazione,
alla
vita sessuale) che sarebbero state poi ricompresse nella nozione di
danno
esistenziale, all'epoca non ancora elaborata, e censura la sentenza per
aver
dato rilievo alla qualificazione giuridica data alla richiesta,
piuttosto che
alle circostanze di fatto poste a fondamento della domanda originaria:
circostanze identiche, come poteva rilevarsi dalla lettura dell'atto di
citazione e di quello di appello (i cui passi sono riportati in
ricorso), e
concernenti lo stato di disagio in cui versava nel mostrarsi privo di
un
testicolo, con conseguenti ripercussioni negative nella sfera relativa
ai
propri rapporti sessuali. Sostiene
poi che
erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto che la nozione di
danno alla
salute ricomprenda i concreti pregiudizi alla sfera esistenziale, che
concerne
invece la lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti
alla
persona (che nella specie potevano ritenersi provati anche mediante
ricorso a
presunzioni). 2. Con il
secondo motivo è
denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 345, comma 1 e 2,
c.p.c.
nel testo vigente prima del 30.4.1995, con riferimento alla affermata
inammissibilità della prova richiesta in appello in punto di
disagio del leso
nel mostrare i propri organi genitali e delle conseguenti limitazioni
dei suoi
rapporti sessuali. La
sentenza è censurata per
aver ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata in appello
sul
senso di "vergogna" provato dal ricorrente nei momenti di
intimità
interpersonale e sul suo conseguente desiderio di limitare nel numero e
nel
tempo i rapporti sessuali. Si
sostiene che, una volta
escluso che fosse stata proposta una domanda nuova, l'art. 345, comma
2, c.p.c,
nella previgente formulazione, non sarebbe stato d'ostacolo
all'ammissione
della prova testimoniale, invece ritenuta inammissibile proprio
perché vertente
su una domanda erroneamente qualificata come nuova, e come tale
inammissibile. 2.1. Il
primo motivo è
fondato nei sensi che seguono. Le
considerazioni svolte in
sede di esame della questione di particolare importanza consentono di
affermare
che il pregiudizio della vita di relazione, anche nell'aspetto
concernente i
rapporti sessuali, allorché dipenda da una lesione
dell'integrità psicofisica
della persona, costituisce uno dei possibili riflessi negativi della
lesione
dell'integrità fisica del quale il giudice deve tenere conto
nella liquidazione
del danno biologico, e non può essere fatta valere come distinto
titolo di
danno, e segnatamente a titolo di danno "esistenziale" (punto 4.9). Al danno
biologico va
infatti riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva confermata
dalla
definizione normativa adottata dal d. lgs. n. 209/2005, recante il
Codice delle
assicurazioni private ("per danno biologico si intende la lesione
temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della
persona, suscettibile
di valutazione medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle
attività
quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del
danneggiato,
indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità
di produrre
reddito"), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in
campi
diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata
dettata, avendo il
legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente
acquisiti e
condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In
esso
sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli "aspetti
dinamico-relazionali della vita del danneggiato". Ed al
danno esistenziale non
può essere riconosciuta dignità di autonoma
sottocategoria del danno non
patrimoniale (punto 3.13) . Nella
specie, in primo
grado, l'attore aveva fatto valere, tra i pregiudizi denunciati, quello
concernente la limitazione dell'attività sessuale nei suoi
rapporti
interpersonali, qualificandolo come pregiudizio di tipo esistenziale.
Il primo
giudice aveva riconosciuto il danno biologico, senza considerare il
segnalato
aspetto attinente alla vita relazionale. Di ciò si era
lamentato, con
l'appello, l'attore ed aveva richiesto prove a sostegno del dedotto
profilo di
danno, qualificandolo come esistenziale (prove che potevano essere
richieste in
secondo grado, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. nel testo previgente,
trattandosi
di giudizio introdotto prima del 30.4.2005). Ma la corte territoriale
ha
ritenuto nuova tale domanda e conseguentemente inammissibili le prove. La
decisione non è corretta. La domanda
risarcitoria
relativa ai pregiudizi subiti per la limitazione dell'attività
sessuale del
leso non era nuova, come è univocamente evincibile dalla
sostanziale identità
di contenuto delle deduzioni del primo e del secondo grado, al di
là della richiesta
di risarcimento del "danno esistenziale" subordinatamente formulata
col terzo motivo di appello; appello col quale l'attuale ricorrente
s'era
doluto della inadeguata considerazione delle conseguenze del tipo di
lesione
subita in relazione alla sua età all'epoca del fatto (45 anni)
ed al suo stato
civile di celibe. La corte
territoriale ha,
dunque, impropriamente fatto leva sul nomen iuris assegnato
dall'appellante
alla richiesta di risarcimento del pregiudizio che viene in
considerazione e
che era stato già puntualmente prospettato in primo grado, dove
era stato anche
correttamente inquadrato nell'ambito del danno biologico. 3.
All'accoglimento del
primo motivo per quanto di ragione consegue quello del secondo, avendo
la corte
d'appello escluso che la prova testimoniale fosse ammissibile per la
sola
ragione che essa si riferiva ad una domanda erroneamente ritenuta nuova. 4. La
sentenza va dunque
cassata. 5. Il
giudice del rinvio,
che si designa nella stessa corte d'appello in diversa composizione,
non dovrà
necessariamente procedere all'ammissione della prova testimoniale, non
essendogli precluso di ritenere vero - anche in base a semplice
inferenza
presuntiva - che la lesione in questione abbia prodotto le conseguenze
che si
mira a provare per via testimoniale e di procedere, dunque,
all'eventuale
personalizzazione del risarcimento (nella specie, del danno biologico);
la
quale non è mai preclusa dalla liquidazione sulla base del
valore tabellare
differenziato di punto, segnatamente alla luce del rilievo che il
consulente
d'ufficio ha dichiaratamente ritenuto di non attribuire rilevanza,
nella
determinazione del grado percentuale di invalidità permanente,
al disagio che
la menomazione in questione provoca nei momenti di intimità (ed
ai suoi
consequenziali riflessi). 6. Il
giudice del rinvio
liquiderà anche le spese del giudizio di cassazione. 7.
Ricorrono i presupposti
di cui all'art. 52, comma 2, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. P.Q.M. dispone
che, in caso di
diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per
finalità di
informazione giuridica, su riviste, supporti elettronici o mediante
reti di
comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle
generalità e degli
altri dati identificativi degli interessati. Roma, 24
giugno 2008 L'estensore Il
Presidente IL
CANCELLIERE DEPOSITATA
OGGI 11 NOVEMBRE
2008 |
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