|
||
Aggiornamento - Civile |
||
Cass civ., Sez. Un. 12/12/2014, n. 26242 la nullità negoziale, la
ricostruzione sistematica delle impugnativa negoziali ed i poteri
d’ufficio del giudice civile Le Sezioni Unite, a
composizione di contrasto (e a risoluzione di questione di massima di
particolare importanza nella seconda decisione), hanno affermato il principio
secondo il quale il giudice, innanzi al quale sia stata proposta una
qualsiasi impugnativa negoziale (di adempimento, risoluzione per qualunque
motivo, annullamento, rescissione, nonché in caso di impugnativa per la
declaratoria della nullità per altro motivo o solo parziale), sempreché non
rigetti la pretesa in base ad una individuata “ragione più
liquida”, ha l’obbligo di rilevare - e, correlativamente, di
indicare alle parti - l’esistenza di una causa di nullità negoziale,
pure se di natura speciale o “di protezione”, ed ha, di
conseguenza, ove le parti non ne abbiano chiesto l’accertamento in via
principale od incidentale in esito all’indicazione del giudice, la
facoltà (salvo per le nullità speciali che presuppongono una manifestazione
di interesse della parte) di dichiarare, in motivazione, la nullità del
negozio e, quindi, di rigettare, per tale ragione, la domanda originaria,
ovvero, in presenza di tale istanza, di dichiarare la nullità del negozio
direttamente in dispositivo, con effetto, in entrambi i casi, di giudicato in
assenza di impugnazione.
1.1. Con atto
di citazione del febbraio 1992, Ferdinando Sandi, procuratore generale di
Giovanna Miron, convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Padova Paola
Piatto e i coniugi Antonio Bettio e Adriana Schiano, chiedendo, in via
principale, la declaratoria di nullità - e in via subordinata l'annullamento,
sul presupposto che l'atto fosse il frutto di una fraudolenta macchinazione
in danno della cedente - del contratto di rendita vitalizia stipulato il 5
dicembre 1984 (atto con cui Si costituirono in giudizio i coniugi Bettio e Sopravvenuto, nel corso del processo, il decesso della Miron, la causa fu proseguita da Ferdinando Sandi, in qualità di successore universale della prima. Con sentenza n. 550 del 2003, il tribunale accolse la domanda proposta in via principale e dichiarò, quindi, la nullità del contratto di costituzione di rendita vitalizia per difetto del requisito essenziale dell'alea, e conseguentemente, la nullità del contratto di cessione della nuda proprietà stipulato il 20 novembre 1985, sul rilievo dell'assenza di titolarità, in capo alla cedente, del diritto trasferito ai cessionari. 1.2. All'esito
del giudizio di gravame, nel quale l'appellata reiterò (anche) la domanda di
restituzione dell'immobile, in relazione al quale nessuna statuizione era
stata emessa, nonostante la domanda in tal senso proposta dall'appellante, la
corte di appello di Venezia, con sentenza n. 878 del 2006: dichiarò l'estinzione del giudizio limitatamente all'impugnazione proposta dalla Piatto; rigettò l'appello principale formulato dai coniugi Bettio-Schiano; accolse l'appello incidentale del Sandi e condannò i
predetti alla restituzione dell'immobile ; 1.3. I coniugi
Bettio proposero ricorso per cassazione avverso la sentenza, che fu impugnata
con gravame incidentale anche dal Sandi. Questa Corte, con sentenza n. 10049 del 2008, rigettò il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, accogliendo, invece, il secondo motivo dell'impugnazione principale. Per quel che qui interessa, il giudice di legittimità accolse
la censura inerente alla omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale
i coniugi Bettio-Schiano avevano lamentato la erroneità della sentenza di
primo grado, là dove aveva dichiarato la nullità del contratto di rendita
vitalizia concluso tra 1.4. Con atto
di citazione notificato il 31 luglio 2008, Ferdinando Sandi riassunse il
giudizio dinanzi alla designata Corte di Brescia, che con sentenza del 13
gennaio 2011 respinse l'appello proposto dai coniugi Bettio avverso la
sentenza n. 550/2003 del Tribunale di Padova. Il giudice di secondo grado, preso atto in via preliminare del decisum della sentenza di legittimità (e considerato pregiudizialmente che, sulla pronuncia di estinzione, era ormai sceso il giudicato), riesaminò, avuto riguardo alle rispettive obbligazioni reciprocamente assunte dalla Miron e dalla Piatto e alla situazione obiettiva configurabile alla data di perfezionamento del contratto di rendita vitalizia - il precedente accertamento inerente al profilo della sussistenza dell'alea del contratto di rendita vitalizia. Valutati tutti gli elementi necessari, anche sotto il
profilo economico, all'individuazione delle prestazioni poste a carico della
vitaliziante, 1.5. Avverso la
sentenza di rinvio questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione
articolato in sette motivi, al quale ha resistito con controricorso
l'intimato Ferdinando Sandi, a sua volta ricorrente incidentale sulla base di
un unico motivo. 1.5.1. Sono
agli atti le memorie illustrative di entrambe le parti costituite. 1.6. Esaminando in limine il quarto motivo del ricorso principale, il collegio
della seconda sezione investito del ricorso ha rilevato come, con esso,
venissero prospettati: la violazione e falsa applicazione dell'art. 324 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 2909 cod. civ., 36, 112 e seg., 167 cod. proc. civ., e in relazione agli artt. 1325, 1350 n. 10, 2643, 2645, 1872 cod. civ. e 132 e 366 cod. proc. civ.; il vizio di omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi per il giudizio ex artt. 1325 e 1872 cod. civ., in combinato disposto con l'art. 112 cod. proc. civ. 1.6.1. In
particolare, i ricorrenti hanno denunziato l'erroneità della decisione
impugnata nella parte in cui la stessa contraddiceva la sentenza n. 1187 del
1992, pronunciata del Tribunale di Padova e divenuta irrevocabile, con la
quale era stata respinta la domanda di risoluzione di quello stesso
contratto di rendita vitalizia proposta, in data 9 dicembre 1984, da
Giovanna Miron nei confronti di Paola Piatto, ancorché la sopra indicata
pronuncia costituisse giudicato (sostanziale) implicito esterno rispetto
all'accertamento dei fatti/diritti costituiti dalla rendita vitalizia e dalla
cessione della nuda proprietà dell'immobile.
validità del contratto di rendita
vitalizia, ovvero sulle questioni e sugli accertamenti che avevano
costituito il necessario presupposto logico-giuridico della questione o
dell'accertamento oggetto della precedente sentenza del Tribunale di Padova. 2. 2.1. Gli atti
del procedimento, fissato per la trattazione all'udienza del 10 aprile 2013 e
assegnato alla seconda sezione civile della Corte, sono stati rimessi al Primo
Presidente, che ne ha disposto l'assegnazione a queste sezioni unite con ordinanza interlocutoria n. 16630/2013. Si è evidenziato come fosse preliminare all'esame dell'intero ricorso la decisione in ordine al motivo poc'anzi esposto, che poneva una questione di massima di particolare importanza afferente alla individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione dell'efficacia del c. d. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. Va altresì osservato
che, con la precedente ordinanza interlocutoria n. 21083, depositata il 27 novembre 2012, la stessa sezione aveva già rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite della ulteriore questione di massima di particolare importanza se la nullità del contratto possa essere rilevata d'ufficio non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento o di risoluzione del contratto ma anche nel caso in cui sia domandato l'annullamento del contratto stesso. 2.2. Nell'ordinanza
interlocutoria del 3 luglio 2013, n. 16630, che rimette all'esame delle
sezioni unite la prima delle due questioni di diritto, evocando il dictum di cui alla pronuncia di queste stesse sezioni unite n. 14828/2012 - avente ad oggetto, come è noto, la questione della compatibilità del rilievo officioso di una nullità negoziale con la proposizione di una domanda di risoluzione contrattuale
- si afferma come l'impostazione
argomentativa di fondo ed il
risultato sfociato nel principio di diritto enunciato con la richiamata
sentenza delle Sezioni Unite non siano pienamente condivisibili, richiedendosi un
approccio più problematico e più ampio sulla questione relativa alla
individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione
dell'efficacia del c. d. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza
dirigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di
nullità concernente lo stesso contratto 2.3. In
particolare, l'ordinanza muove dal rilievo, ritenuto problematico dal
collegio remittente, che Pertanto, alla stregua di tale situazione processuale, avrebbe dovuto trovare applicazione, nella fattispecie, il principio in base al quale l'autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i limiti rigorosi degli elementi costitutivi dell'azione e presuppone che tra la domanda giudiziale sulla quale è intervenuta la pronuncia passata in giudicato e quella tuttora pendente sussista identità di petitum e di causa petendi. Nella sentenza oggetto dell'attuale ricorso vi è un esplicito riferimento al precedente giurisprudenziale di questa Corte (Cass. sez. III n. 11356 del 2006), secondo il quale la rilevabilità officiosa della nullità del contratto ammissibile ai sensi dell'art. 1421 c.c. anche nell'ipotesi di domanda di risoluzione dello stesso - non comporta la necessaria declaratoria di tale invalidità con efficacia irretrattabile di cosa giudicata, posto che il giudicato deve intendersi riferito alle ragioni concretamente poste a fondamento della domanda e divenute materia della res litigiosa, non dovendo essere esteso sempre e comunque all'intero rapporto dedotto in giudizio. Sennonché, - prosegue l'ordinanza interlocutoria - la
difesa dei ricorrenti principali ha inteso confutare tale espressa
affermazione della decisione impugnata, sostenendo che l'accertamento
contenuto nella sentenza passata in giudicato, anche in ipotesi di pronuncia
di rigetto della domanda (come quella di risoluzione del contratto, nel caso
in esame), estende i suoi In altri termini, stando a questa impostazione, il c.d. principio del "dedotto e deducibile" - in virtù del quale l'efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti (giudicato esplicito), anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre (giudicato implicito) - concernere le ragioni non dedotte che si pongano come antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, così che deve ritenersi precluso alle stesse parti proporre, in altro giudizio, qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni giuridiche soggettive incompatibili con il diritto accertato. Con la censura cristallizzata nel Quarto motivo del ricorso principale si è, dunque, prospettato il problema concernente il se e il come tra la questione decisa in modo espresso (domanda di risoluzione del contratto respinta) e altre questioni (validità del contratto oggetto della domanda di risoluzione) che ne costituiscano antecedente logico-giuridico per rapporto di indissolubile dipendenza, il giudicato esterno esplicito si estenda alla questione ed agli accertamenti presupposti, senza i quali la prima decisione emessa non avrebbe potuto essere resa (con la formazione sul punto del c.d. giudicato implicito): di qui la conseguente inammissibilità di una successiva decisione sui secondi, in un diverso giudizio che investa direttamente gli stessi accertamenti, inammissibilità rilevabile d'ufficio, ove la questione sia stata dedotta nei gradi di merito e risulti documentalmente acquisita, o comunque verificabile ex actis, anche in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 24664 del 2007). 2.4. La
questione così prospettata, al pari di tutti i profili ad essa connessi e che
rilevino in tutte le azioni di impugnativa negoziale, va esaminata,
anzitutto, alla luce della recente pronuncia di queste sezioni unite (Cass.
n. 14828 del 4 settembre 2012), che ha affermato il seguente principio di
diritto: alla luce del ruolo che
l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore
dell'assetto negoziale, e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente
solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito
della domanda di risoluzione del E' stato così composto il contrasto emerso nella giurisprudenza di legittimità intorno alla questione della rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto da parte del giudice investito di una domanda di risoluzione del medesimo accordo negoziale. 2.5. La
soluzione adottata, che l'odierno collegio ritiene di dovere integralmente
confermare nella sua portata precettiva, vale a dire con riferimento alla ratio decidendi individuata in
relazione alla fattispecie in concreto esaminata , conforma il ruolo della
categoria della nullità alla natura di sanzione ordinamentale conseguente
all'irredimibile disvalore assegnato a un invalido assetto negoziale. Essa
muove, peraltro, dalla premessa che l'azione di risoluzione sia coerente
soltanto con l'esistenza di un contratto valido, ponendosi la nullità come prius logico della fattispecie
estintiva della risoluzione. L'operatività di tale assunto è, quindi, ammessa entro ben determinati limiti, nel senso che nell'ambito di un giudizio di risoluzione contrattuale, il giudice può rilevare d'ufficio la nullità: solo se questa emerge
dai fatti allegati e provati, o comunque ex
actis; esclusivamente previa attivazione del contraddittorio sulla questione, incorrendo altrimenti la decisione nel vizio della c.d. terza via; a condizione che
non operi un regime speciale, essendo le nullità di protezione espressamente
rimesse al rilievo del contraente "protetto" (il principio risulta,
peraltro, soltanto dalla massima ufficiale, ma non anche dalla motivazione
della sentenza);
qualora, dopo il rilievo officioso, sia stata formulata, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all'accertamento della nullità e ad eventuali effetti restitutori, la statuizione sul punto, se non impugnata, avrà effetto di giudicato; nel caso in cui sia omesso il rilievo officioso della nullità e l'omissione sia stata dedotta in appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in termini l'appellante; ove non sia formulata tale domanda, il rilievo della nullità determina il rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum della nullità, dunque senza effetto di giudicato sul punto. 2.7. Il
percorso argomentativo della sentenza si conclude con ulteriori, qui
rilevanti, affermazioni: Il giudicato implicito sulla validità del
contratto, secondo il paradigma
ormai invalso (cfr. Cass. S.U. 24883/08; 407/11; 1764/11), potrà formarsi
tutte le volte in cui la causa
relativa alla risoluzione sia stata decisa nel merito, con esclusione delle
sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione
della validità del contratto. Sarà compito della giurisprudenza indagare
circa la necessità di operare qualche dovuta ed opportuna distinzione
rispetto alle azioni volte a demolire il vincolo negoziale - talvolta accomunate con la domanda
risolutoria, quoad effecta, dalla
stessa giurisprudenza di legittimità, peraltro in modo generalizzante e non
del tutto consapevolmente critico; Le considerazioni svolte su di un piano
generale in ordine alla ratio della
nullità (tutela di interessi generali e sovraordinati) non possono
automaticamente estendersi alle fattispecie dí nullità speciali ((il
principio deve, peraltro, essere inteso nel senso che il giudice deve
rilevare di ufficio la nullità, salvo che il consumatore vi si opponga, come risulta
esplicitamente dalla lettura del folio 9 della motivazione della sentenza,
tale dovendo ritenersi il 2.8. L'ordinanza
interlocutoria assume a fondamento della richiesta di un nuovo intervento di
queste sezioni unite che, nella sua premessa logica, la sentenza 14828/2012
riposa sul presupposto della coerenza
dell'azione di risoluzione per inadempimento con la sola esistenza di un contratto
valido. Ragion per cui dovrebbe ritenersi che la nullità del contratto
sia un evento impeditivo destinato a porsi prioritariamente rispetto alla
vicenda estintiva della risoluzione, sicché il giudice chiamato a
pronunciarsi sulla domanda di risoluzione di un contratto, del quale emerga
la nullità dai fatti allegati e provati ex
actis, non potrebbe sottrarsi all'obbligo del rilievo, senza che ciò
conduca ad una sorta di sostituzione della domanda proposta. La regola dell'art. 1421 cod. civ. sarebbe, quindi, applicabile ogniqualvolta l'accoglimento ovvero il rigetto della domanda giudiziale presupponga l'esame della questione inerente alla efficacia del contratto in realtà nullo, e ciò anche nell'ipotesi in cui l'azione abbia ad oggetto la domanda di risoluzione, così che la sua portata sostanziale risulterebbe consonante con la prospettazione della censura di cui al motivo del ricorso principale. 2.9. La
soluzione di cui si è detto finora non
è pienamente condivisa dal collegio remittente, che invoca un approccio più problematico e più ampio
alla questione relativa alla individuazione delle condizioni per la
formazione e l'estensione dell'efficacia del c. d. giudicato implicito
esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto
alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto.
L'affermazione trasparente dalla sentenza n. 14828 del 2012 - secondo la
quale, nel caso in cui sia rilevata d'ufficio la questione di nullità del
contratto, la decisione su di essa non dà luogo a giudicato se non su
esplicita richiesta delle parti - conclude il provvedimento interlocutorio - non
pare conciliabile con occorre distinguere
quelle che sono tali soltanto in senso logico, in quanto investono
circostanze che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa e devono essere necessariamente decise incidenter tantum, e questioni
pregiudiziali in senso tecnico, che concernono circostanze distinte ed
indipendenti dal detto fatto costitutivo, del quale, tuttavia, rappresentano un presupposto giuridico, e che possono dar
luogo ad un giudizio autonomo, con la conseguenza che la formazione della
cosa giudicata sulla pregiudiziale in senso tecnico può aversi, unitamente a
quella sul diritto dedotto in lite, solo in presenza di espressa domanda di
parte di soluzione della questione stessa. 2.10. Si è già avuto modo di rilevare come con altra ordinanza
interlocutoria, di poco precedente a quella relativa al caso in esame, sia stato posta a queste
sezioni unite - la questione ha formato oggetto di esame e di pronuncia depositata contestualmente alla presente decisione l'ulteriore quesito della compatibilità di un'azione cd. "demolitoria", quale quella di annullamento (e tuttavia l'indagine è suscettibile di estensione all'azione di rescissione) con la rilevazione di ufficio di una causa di nullità negoziale da parte del giudice investito di quella specifica (ed esclusiva) domanda di annullamento (ovvero di rescissione) del contratto. 2.11. Si pone
così oggi al collegio, sia pure diacronicamente, la delicata questione dei rapporti fra (tutte) le azioni di
impugnativa negoziale e il disposto dell'art. 1421 c.c., e dell'idoneità delle relative decisioni a formare oggetto di giudicato implicito esterno rispetto a successivi procedimenti che abbiano ad oggetto questioni attinenti alla validità ed efficacia della medesima convenzione negoziale, già vagliata nel primo procedimento. Le molte (e molto autorevoli) voci della dottrina levatesi a commento della sentenza 14828/201 hanno talora rimarcato una sorta di "timidezza" argomentativa della stessa, per non avere colto questa corte l'occasione per risolvere in modo
esaustivo il problema della rilevabilità officiosa della nullità. Si è
peraltro tralasciato di considerare che l'estensione della decisione a tale più ampia tematica avrebbe costituito null'altro che un palese obiter dictum, attesa l'estraneità di molte delle problematiche in parola all'oggetto della decisione stessa.
I rapporti tra l'azione di risoluzione e la rilevabilità d'ufficio
della nullità del negozio nell'ipotesi tanto di accoglimento, quanto di
rigetto della domanda risolutoria. I rapporti tra le
azioni di annullamento e di rescissione (alle quali non è estranea la facoltà
riservata alla curatela fallimentare ex art. 72 I. fall.) e la rilevabilità
d'ufficio di una nullità negoziale. La rilevabilità d'ufficio delle fattispecie di nullità speciali. I rapporti tra l'azione di nullità esperita dalla parte e la
rilevabilità officiosa di una nullità negoziale diversa da quella prospettata
(cui può potrebbe essere aggiunta, per completezza di indagine, la questione
della rilevabilità d'ufficio della simulazione assoluta). L'efficacia del giudicato in successivi processi, instaurati tra le
stesse parti,
dell'accertamento della nullità oggetto del primo giudizio. 2.13. L'esame
delle questioni sopra indicate non può, peraltro, prescindere da una duplice
indagine, che investe la fattispecie della nullità negoziale e quella dell'oggetto del processo. E' pressoché superfluo premettere che in nessun modo il collegio
intende né tampoco con pretese di completezza - esaminare e scrutinare
tematiche che per la loro complessità hanno costituito oggetto di studi e
riflessioni assai risalenti. Il fine che
a identificare la primaria funzione dell'attività giurisdizionale nella mera composizione delle liti (e cioè nella risoluzione secondo giustizia di un contrasto tra due o più parti), ovvero, piuttosto, nella attuazione della legge, ovvero in un concretamento dell'ordinamento, inteso quale attuazione del diritto sostanziale nel processo, quando cioè sorge l'esigenza di valutare la fondatezza dell'azione esperita dalla parte e di affermare in ordine ad essa l'ordinamento nel momento della giurisdizione e, non dissimilmente, nell'essere la sentenza il mezzo offerto al giudice per applicare la legge nel caso concreto, così che, "se per legge un atto è nullo, anche nel silenzio delle parti il magistrato adito deve provvedere secundum ius pronunciando la nullità, perché altrimenti violerebbe doppiamente la legge applicando ad un atto nullo una norma che postula invece l'esistenza di un atto valido, e perciò venendo meno al primo ed essenziale dei suoi doveri, di giudicare alla stregua del diritto positivo quale esso è e non quale gli interessati, o per ignoranza o per negligenza, immaginano che sia". L'evidente irriducibilità della ricostruzione di una teoria della nullità negoziale entro i ben precisi limiti di una pronuncia giurisdizionale comporta che l'indagine demandata al collegio non potrà che volgere al solo scopo di operare una scelta (anch'essa senza pretese di definitività, in ragione del carattere storicamente determinato che ne andrà a permeare il fondamento teorico), sì da offrire una plausibile risposta "di sistema" agli interrogativi posti poc'anzi, con riguardo, in particolare, al problema della rilevabilità officiosa della nullità, profilo distinto, come meglio in seguito si vedrà, tanto da quello della sua dichiarazione in una pronuncia, quanto da quello della attitudine al giudicato della dichiarazione di nullità conseguente alla rilevazione officiosa di tale vizio del negozio. 3.2. Il tema coinvolge, all'evidenza, istituti di diritto sostanziale (la patologia negoziale, le diverse forme di sanatoria del negozio invalido, la risoluzione del rapporto contrattuale, la conversione del negozio nullo, solo per citarne alcuni), quanto fondamentali principi di diritto processuale, dei quali è ora superflua ora l'indicazione, donde la estrema difficoltà di raggiungere un equilibrio tra poteri officiosi del giudice e principio della domanda, volta che qualsiasi pretesa di stabilità in questa materia pare ab origine destinata a cedere ad una inevitabile precarietà, tutte le volte che la soluzione offerta coincida con uno dei due opposti estremi, e cioè tanto che si neghi in radice, quanto che si affermi tout court (come nel caso della sentenza n. 6170 del 2005 di questa corte), l'incidenza nel processo della rilevabilità officiosa di un vizio di nullità e la conseguente idoneità del relativo accertamento a divenire cosa giudicata. 3.3. Si
comprende allora come la scelta di un definitivo assetto processuale delle
azioni di impugnativa negoziale risulti senza dubbio influenzata dall'approdo
ad una soluzione predicativa di una dimensione riduttiva ovvero estensiva
dei poteri del giudice, proprio in relazione alla natura ed alla
funzione che, hic et nunc, la
giurisprudenza intende riconoscere alla categoria della nullità negoziale e,
conseguentemente - come meglio si dirà in seguito - alla nozione di
"oggetto del processo". E nell'accostarsi al problema sin qui delineato non può non immaginarsi che una scelta volta all'eccessiva frammentazione della categoria della nullità risulterebbe insormontabile ostacolo a una ricostruzione unitaria e coerente dell'estensione dei poteri officiosi riconosciuti al giudice ex art. 1421 c.c. 3.4. Nelle sue linee generali il tema è quello della relazione che lega il
diritto sostanziale e il processo, tema a ragione ritenuto tra i più
complessi ed affascinanti tanto per il civilista quanto per il
processualista, come di recente ha osservato un autorevole studioso dei
rapporti tra il contratto e il processo. Difatti, se l'art. 1421 c.c. enuncia un principio apparentemente inequivoco, sancendo la rilevabilità officiosa della nullità del contratto senza apparenti limiti e condizioni, il successivo approdo della norma sostanziale nel territorio del processo finisce per essere condizionato dalle disposizioni del codice di rito che segnano i confini posti ai poteri officiosi del giudice Peraltro, non è seriamente contestabile che il legislatore
abbia già compiuto un giudizio di valore sul piano
sostanziale, disponendo (il "può" dell'art. 1421 è
comunemente e condivisibilmente letto come un "deve") il rilievo ex 3.5. Come è stato acutamente osservato, i due profili del tema della
impugnative negoziali - quello sostanziale e quello processuale - non sempre
sono destinati a convergere virtuosamente, ma la griglia di valutazione degli
interessi tutelati dalla norma che sancisce la nullità si pone come punto di
partenza per un distinguo tra le diverse fattispecie di patologia del
negozio, ai fini della rilevabilità officiosa o meno del vizio, onde la
conclusione nel senso della estensibilità o meno alla singola ipotesi del
modello classico delineato dall'art. 1421 deve essere evinta da un'attenta
analisi delle diverse tipologie di nullità (speciale, parziale, relativa,
"di protezione") incentrata sulla funzione della sanzione di volta
in volta prevista dalla norma. Nel motivare la
soluzione adottata in tema di rapporti tra nullità officiosa e azione di
risoluzione contrattuale, questa Corte, con la citata sentenza 14828/2012, ha
dichiaratamente prestato adesione alla tesi tradizionalmente affermata in
dottrina, secondo la quale la ratio del
rilievo officioso, in capo al giudice, della più grave tra le patologie
dell'atto negoziale consiste (anche) nella tutela di interessi generali
sovra-individuali. Questa opinione è stata di recente vivificata da
persuasivi argomenti di tipo comparatistico, volta che si è opportunamente
osservato come anche in ordinamenti che non disciplinano espressamente il
rilievo officioso della nullità il connesso potere-dovere del giudice sia
tradizionalmente ammesso, in quanto posto a tutela di interessi superindividuali.
D'altronde, proprio la natura superindividuale dell'interesse protetto
giustifica la reazione dell'ordinamento nell'ambito del processo, comportando
che una convenzione affetta di sì grave patologia imponga al giudice di
negare efficacia giuridica a un atto nullo. 3.6. Una siffatta ricostruzione della ratio e della funzione del rilievo officioso della nullità contrattuale - pur se recentemente e assai persuasivamente sottoposte a revisione critica, con argomentazioni non prive di suggestioni, da parte di quelle dottrine che ne hanno tra l'altro evidenziato "il debole supporto logico e normativo" - deve essere in questa sede confermata, sia pure al limitato fine di esplorare il territorio della rilevabilità officiosa ex art. 1421 c.c.. 3.7. La
sistematica della patologia del contratto che individua la ratio della nullità nella tutela di
interessi generali dell'ordinamento è certamente coerente con la nullità per
contrarietà a norme imperative ovvero a principi fondamentali
dell'organizzazione sociale, come nel caso di negozio contrario al buon
costume, all'ordine pubblico o a causa illecita. L'obiezione secondo cui non sarebbe corretto attribuire in toto al rilievo officioso della nullità "la funzione di elidere il disvalore regolamentare espresso dal contratto nullo", per la non pertinenza di tale aspetto funzionale rispetto alle ipotesi di c.d. nullità strutturali, non è del tutto convincente. Si assume, infatti, che tali ipotesi di nullità presuppongono il difetto di un elemento essenziale del contratto, come la forma o l'accordo, mentre altre sono poste a tutela di un interesse privato, o si connotano come meramente prescrittive di un onere che resta inadempiuto: rispetto ad esse - si afferma - l'ordinamento non manifesta un giudizio di disvalore o di immeritevolezza, quanto, piuttosto, di inutilità. A tale argomento sembra potersi replicare - salvo quanto si dirà tra poco in tema di nullità di protezione - che, in tali ipotesi, insieme con il particulare, si tutela comunque un interesse generale, seppur in via indiretta: l'interesse "proprio dell'ordinamento giuridico a che l'esercizio dell'autonomia privata sia corretto, ordinato e ragionevole". In altri termini, è come se il legislatore, predisposta una struttura normativa "significante", destinata espressamente alla tutela del singolo soggetto, abbia poi voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore e diverso "significato", non espresso (ma non per questo meno manifesto), costituito, appunto, dall'interesse dell'ordinamento a che certi suoi principi-cardine (tra gli altri, la buona fede, la tutela del contraente debole, la parità di condizioni quantomeno formale nelle asimmetrie economiche sostanziali) non siano comunque violati. Il carattere di specialità della nullità non elide l'essenza della categoria della nullità stessa, coniugandosi entrambe in un sinolo di tutela di interessi eterogenei - in guisa da evitare la eccessiva frammentazione tipica dell'esperienza francese, di tal che quella funzione di tutela di un interesse generale non appare più "fantomatica", come una autorevole dottrina ha
Le nullità speciali, pertanto, non hanno "fatto implodere il sistema originario delineato dal legislatore del 1942". Se è vero che i fenomeni economico- sociali non si lasciano
imprigionare in schematismi troppo rigidi, è altrettanto vero che una
equilibrata soluzione che ricostruisca le diverse vicende di nullità negoziale in termini e in rapporti di genus a species appare del tutto predicabile ancor oggi, così come solidamente confortata dalla stessa giurisprudenza comunitaria. 3.8. La chiave
interpretativa prescelta appare, del resto, in sintonia con la storia stessa
dell'istituto, che, come si ricorderà, solo con il codice del 1942 approdò per via
normativa a una diversificazione della nullità dalla fattispecie
dell'annullabilità, creando un sistema affatto speculare sulla scorta
dell'esperienza (non più solo francese, ma anche) tedesca, cristallizzata nel BGB
(testo normativo che, nel distinguere tra Nichtigkeit
e Anfechtbarkeit, avrebbe
peraltro conservato la figura normativa del Rechtsgeschaeft, apparentemente accantonato dal codice italiano:
vale la pena rammentare, in
proposito, come non esista nel nostro ordinamento una norma corrispondente al § 143 del BGB, secondo la quale l'effetto di annullamento è ricollegato all'atto di parte anziché a quello del giudice, anche se, al di fuori del processo, l'effetto sostanziale di tale atto si manifesta solo dopo l'emanazione del provvedimento del giudice, onde, di quest'ultimo, la innegabile natura di elemento costitutivo della fattispecie che produce quell'effetto sul piano sostanziale). Il codice
civile del 1865, difatti, non disciplinava espressamente la fattispecie
dell'annullabilità e trattava unitariamente quelle della nullità e della rescissione (artt.
1300-1311), accomunate da una medesima dimensione morfologica (quella della patologia genetica dell'atto), e funzionale (le relative azioni "duravano 5 anni", ferma la imprescrittibilità delle relative eccezioni). Il regime dettato per la nullità era, nei fatti, non dissimile da quello oggi vigente per l'annullabilità, tanto che le cause di nullità contrattuale si estendevano dalla carenza dei requisiti formali all'errore, alla violenza e al dolo incidenti (art. 1111 c.c. 1865).
3.9. Le
ricostruzioni più vicine nel tempo impronteranno, come già accennato, la
comprensione delle differenze di regime alle diverse finalità perseguite dal
legislatore: mentre l'annullabilità tutela interessi qualificati ma
particolari, la nullità è volta alla protezione di interessi prettamente
generali dell'ordinamento, afferenti a valori ritenuti fondamentali per
l'organizzazione sociale, piuttosto che per i singoli (non a caso, e proprio
per questo, si è parlato incisivamente di nullità «politiche» rimarcandone la
valenza pubblicistica e rammentandosi, nel contempo, come tanto in
ordinamenti a noi vicini - quale quello francese e tedesco - quanto in seno
al diritto anglosassone la rilevabilità d'ufficio della nullità sia
pacificamente ammessa; in Inghilterra e negli Stati Uniti, in particolare,
tutte le volte in cui il contratto risulti illegal). Di qui la diversa valutazione giuridica della nullità in chiave di inefficacia originaria e non "precaria", come per l'annullabilità; e, soprattutto, di qui il potere officioso di rilievo giudiziale, non previsto dal codice del 1865. 3.10. Queste
considerazioni possono ancora mantenere immutati valore e sostanza - anche
se, giova ribadirlo, agli specifici fini della valutazione e
dell'interpretazione dell'art. 1421 c.c. - pur alla luce della
innegabile trasformazione dell'istituto della nullità in uno specifico
presidio di specifici soggetti, attraverso la sempre più frequente
introduzione di figure di invalidità cd. relative. Parte della dottrina osserva criticamente che le recenti fattispecie di nullità negoziale mutano la vocazione generale di tale categoria, offrendo protezione a interessi particolari e seriali, facenti capo a soggetti singoli e/o gruppi specifici. Ma è stato incisivamente fatto notare, in senso opposto, che queste nullità cd. di protezione sono anch'esse volte a tutelare interessi generali, quali il complessivo equilibrio contrattuale (in un'ottica di microanalisi economica), ovvero le stesse regole di mercato ritenute corrette (in ottica di macroanalisi), secondo quanto chiaramente mostrato dalla disciplina delle nullità emergenti dalla disciplina consumeristica, specie di derivazione comunitaria, per le quali si discorre sempre più spesso, e non a torto, di «ordine pubblico di protezione». Non è questa né la sede per aderire, sul più generale piano dei principi, all'una o all'altra teoria, entrambe sostenute, in dottrina, con dovizia e solidità di argomenti. Tuttavia, per quel che qui interessa - la rilevabilità officiosa della nullità -, la tesi dell'interesse generale va riaffermata. L'analisi prende le mosse, traendo linfa argomentativa, dalla legittimità di una ricostruzione del rilievo officioso della nullità in funzione della tutela di interessi superindividuali alla luce della sua asserita inattualità, avuto riguardo all'ampio numero di nullità c.d. speciali poste funzionalmente a tutela della parte debole del contratto. 3.12. Sebbene
non si rinvengano disposizioni normative che espressamente escludano la
rilevabilità d'ufficio di casi nullità, non pochi autori hanno sostenuto che
le nuove fattispecie di nullità c.d. protettive, poste al confine fra le due
categorie della nullità e dell'annullabilità, sarebbero incompatibili con la
rilevabilità d'ufficio e porrebbero un limite di carattere sostanziale ad una
tale rilevabilità. E la scelta
legislativa di rendere una delle parti arbitra della sorte del contratto
parrebbe prima facie porsi in insanabile
contrasto logico con l'attribuzione al giudice del potere di sostituirsi ad
essa nella valutazione circa la caducazione o la conservazione del vincolo.
Ammettere una soluzione diversa creerebbe, dunque, un'insanabile antinomia:
da un lato, frusterebbe la ratio della
nullità relativa di riservare alla parte protetta la scelta tra conservazione
e invalidazione del contratto, dall'altro, porrebbe seri problemi in
relazione al principio della disponibilità delle prove.
3.12.1. La tesi che esclude la compatibilità tra poteri officiosi e la
disciplina delle nullità protettive, pur nella sua indiscutibile suggestione,
non è, peraltro, immune da alcune fragilità argomentative, tanto da essere
efficacemente contrastata da altra dottrina, favorevole a estendere l'ambito
di applicazione dell'art. 1421 cod. civ. anche a quelle nuove invalidità
sancite per la violazione di norme poste a tutela di soggetti ritenuti dalla
legge economicamente più deboli, di fronte a situazioni di squilibro
contrattuale, sulla scorta del piano quanto efficace rilievo che la legittimazione
ad agire ristretta ai soli soggetti indicati dalla norma non si riverbera ipso facto in una consequenziale esclusione del potere di
rilievo officioso delle nullità in
questione ex art. 1421 c.c. Si è detto
"indiscutibile" lo scopo della nullità relativa volto anche alla
protezione di un interesse generale tipico della società di massa, così che
la legittimazione ristretta non comporterebbe alcuna riqualificazione in
termini soltanto privatistici e personalistici dell'interesse (pubblicistico)
tutelato dalla norma attraverso la previsione della invalidità. Il potere del
giudice di rilevare la nullità, anche in tali casi, è essenziale al
perseguimento di interessi che possono addirittura coincidere con valori
costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato
(art. 41 Cost.) e l'uguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e
deboli (art. 3 Cost.: si pensi alla disciplina antitrust, alle norme sulla subfornitura che sanzionano con la
nullità i contratti stipulati con abuso di dipendenza economica, alle
disposizioni sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che
stabiliscono la nullità di ogni accordo sulla data del pagamento che risulti
gravemente iniquo in danno del creditore, ex Dlgs. 231/2002), poiché lo
squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti
dell'autonomia negoziale, ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese.
La pretesa contraddizione fra legittimazione riservata e rilevabilità
d'ufficio risulta soltanto apparente, se l'analisi resta circoscritta al
profilo della rilevazione della causa di nullità.
Va pertanto rivista e precisata in parte qua l'affermazione, contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietato al giudice l'indagine in ordine a una nullità protettiva. Tale affermata esclusione, che ha prestato il fianco alle critiche di chi, in dottrina, lamenta che sostenere l'inammissibilità del rilievo officioso di una nullità speciale, in difetto di una espressa disposizione legislativa in tal senso, condurrebbe a conseguenze incongrue (come, ad esempio, nel caso del preliminare di un acquisto di immobile da costruire nullo perchè carente della fideiussione prevista dalla legge a pena di nullità, ex art. 2, primo comma, del d.leg. 20 giugno 2005, n. 122), merita, peraltro, una ulteriore precisazione. 3.13. Difatti,
la quaestio nullitatis, intesa
nella sua più generale portata, si presta a differenti valutazioni a seconda
che di essa ci si limiti alla semplice rilevazione, ovvero si proceda
alla sua dichiarazione a seguito di accertamento giudiziale (senza
affrontare, al momento, la questione dell'idoneità all'effetto di giudicato). 3.13.1. Limitando
l'indagine alla sola rilevazione
d'ufficio, la stessa sentenza 14828 del 2012 non manca di osservare
come la giurisprudenza comunitaria sia univocamente orientata nel senso della sua necessità (e ciò è a
dirsi del tutto a prescindere dalla questione se, sul piano del diritto
interno, il carattere di rilevabilità officiosa delle nullità speciali sia o
meno predicabile sulla base di un'interpretazione estensiva dell'art. 36 del
codice del consumo, inteso come norma a carattere generale del sistema delle
nullità di matrice consumeristica). D'altronde, non va dimenticato che queste Sezioni Unite
non erano state illo tempore chiamate
a pronunciarsi su di una generale reimpostazione del sistema delle nullità
speciali (sistema che, comunque, sembrerebbe più adatto ad una valutazione
caso per caso, attesa la molteplicità delle ipotesi 3.13.2. Le indicazioni provenienti dalla stessa Corte di
Giustizia in tema di rilievo officioso (nella specie, delle clausole abusive
nei contratti relativi alle ipotesi di cd. commercio business-to-consumer) consentono di desumere un chiaro rafforzamento del potere-dovere
del giudice di rilevare d'ufficio la
nullità. (nella sentenza Pannon
del 4 giugno Nullità che non a torto è stata definita, all'esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull'assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e di valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo. Si è così osservato che, se le nullità di protezione si caratterizzano per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l'integrità e l'efficienza del mercato, secondo l'insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti), la omessa rilevazione officiosa della nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole.
Il potere del giudice
di rilevarle tout court appare
essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura
coincidere con valori costituzionalmente rilevanti - quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica - , con l'unico limite di riservare il
rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del
contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di
nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia
interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo
proprio, destinato a rimanere fuori dall'orbita della tutela. 3.13.4. Senza
dire, poi, come le nuove species di
nullità esemplifichino casi totalmente ignoti al legislatore del 1942, onde
l'interrogativo sul quanto sia (poco) razionale invocare la nominatività dell'incipit dell'art. 1421 al fine di escludere un non certo irragionevole ricorso al procedimento di integrazione analogica. La riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità - lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico - consente di riaffermare a più forte ragione l'esigenza di conferire al rilievo d'ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell'organizzazione sociale. La soluzione della rilevabilità officiosa tout court apparirà ulteriormente confermata dalla considerazioni che si andranno di qui a poco a svolgere, alle quali va sin d'ora premesso che il mantenimento dell'unità funzionale della categoria e la conferma della sua ratio super-individuale determinano ricadute non marginali sulle successive scelte dell'interprete quanto agli effetti della rilevazione ex officio iudicis. 3.15. Le questioni di diritto poste in concreto dal tema dei rapporti tra nullità e azioni di impugnativa negoziale che impegnano oggi il collegio sono le seguenti :• Tali rapporti appaiono così strutturati: La
rilevazione (necessariamente
obbligatoria) della nullità
ex art. 1421 deve più propriamente intendersi come limitata all'attività di rilevazione/indicazione
alle parti, ad opera del giudice. Si è opportunamente osservato come tutto ciò che in base alla legge può dirsi è che la nullità deve essere rilevata d'ufficio tutte le volte che la parte vuole utilizzare nel processo come valido il contratto nullo. Non v'è dubbio, infatti, che la parte che chieda l'annullamento, la risoluzione o la rescissione di un contratto intenda utilizzare come valido e/o come efficace quel contratto. Tale rilevazione potrà, peraltro, non trasformarsi necessariamente in una dichiarazione di nullità. Costituiscono dimostrazione di tale assunto proprio le fattispecie delle nullità di protezione: se il giudice rileva la nullità di una singola clausola (si pensi a una illegittima deroga al principio del foro del consumatore), e la indica come possibile fonte di nullità alla parte interessata, quest'ultima conserva pur sempre la facoltà di non avvalersene, chiedendo che la causa sia decisa nel merito (perché, ad esempio, ha valutato la clausola stessa in termini di maggior convenienza, nonostante la sua invalidità). In questo caso il giudice, dopo averla (obbligatoriamente) rilevata, non potrà dichiarare in sentenza, nemmeno in via incidentale, la relativa nullità. La dichiarazione della
nullità va conseguentemente intesa come pronuncia
(previo accertamento) del
rilevato vizio di invalidità, accertamento contenuto nella motivazione e/o nel dispositivo della sentenza (amplius, infra sub 5). Tale pronuncia non risulterà sempre obbligatoria, a differenza della già compiuta rilevazione, vero quanto detto poc'anzi in tema di nullità speciali, nonché, come meglio si specificherà in seguito, in materia di decisioni fondate sulla cd. ragione più liquida (non potendo, in proposito, convenirsi tout court con quella pur autorevole dottrina che costruisce la rilevazione come "sempre e comunque funzionale allo svolgimento di un'attività indirizzata ad una conseguente pronuncia"); c) L'idoneita'
all'effetto di giudicato Premessa la necessità che la nullità emerga ex actis, vanno in rilevata senza (possibili) effetti di giudicato, attesa la valutazione normativa -di tipo sostanziale- dell'estremo disvalore giuridico dell'atto nullo, ex se improduttivo di effetti al di là e a prescindere dall'intervento del giudice, che, quand'anche sollecitato, avrebbe portata soltanto ricognitivo/dichiarativa dell'inefficacia del negozio. La nullità, sul piano sostanziale, non necessita di alcuna fase attuativa per divenire effettiva, poiché la norma che la sancisce rifiuta ab origine la tutela e nega ogni possibile effetto al negozio nullo. Al fine di evidenziare i rischi connessi al mancato effetto di giudicato di una nullità dapprima rilevata e poi dichiarata dal giudice in un
provvedimento, si fa, tra le tante - a tacere dell'icastico esempio della vendita dell'ippogrifo, destinata alla scure invalidante dell'intervento giudiziale indipendentemente da qualsivoglia attività
delle parti, "con o senza nomina di un consulente tecnico zoologo"), l'ipotesi non del tutto teorica del venditore di un immobile che domandi la condanna dell'acquirente alla corresponsione del
prezzo convenuto e veda la sua istanza rigettata perché il
giudice ha rilevato la nullità del contratto, senza peraltro conseguire un
titolo restitutorio nel caso in cui l'acquirente abbia, medio tempore, alienato il bene a terzi. In tal caso, la nullità, rilevata ma non dichiarata, potrà fondare una successiva domanda ex art. 2033 c.c., senza che peraltro si formi, nell'originario giudizio, alcun titolo trascrivibile ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c. Per converso, l'incidenza del giudizio non può restare priva di conseguenze, in relazione ai principi-cardine (ivi comprese le preclusioni temporali) che ne disciplinano il fisiologico dipanarsi sino all'emanazione della decisione. Il problema sembra destinato a ricevere soluzione a seguito della disamina delle disposizioni di cui agli artt. 183 IV comma, 101 II comma, 34 (ed eventualmente 153) del codice di rito, alla luce del tipo di accertamento che l'attore può invocare in seno al processo, in continenti ovvero ex intervallo. Valga per il momento osservare come la vera ratio della rilevabilità officiosa della nullità non sia quella di eliminare, sempre e comunque, il contratto nullo dalla sfera del rilevante giuridico (ché, altrimenti, l'art. 1421 sarebbe stato scritto diversamente, e sarebbe stata attribuita la relativa legittimazione ad agire anche al pubblico ministero, come avviene nell'ordinamento francese ex art. 423 NCPC), ma quella di impedire che esso costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o comunque la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici. Si intende, allora, come da un lato l'esigenza di preservare la sostanziale unitarietà della categoria della nullità negoziale si coniughi con l'obbligo di rilevazione d'ufficio sempre e comunque imposto al giudice, dall'altro come tale obbligo contemperi in modo equilibrato il duplice valore della tutela degli interessi generali sottesi alla nullità e della salvaguardia dell'iniziativa di parte nel processo (si rammenti che un esplicito riferimento ai valori fondamentali dell'ordinamento si legge nella sentenza n. 21095 del 2004 di queste stesse sezioni unite, ove si stabilì, in tema di usi bancari e di anatocismo, che l'eventuale difesa del convenuto finalizzata a rilevare determinati profili di nullità o a non individuarne affatto non preclude il potere officioso del giudice di indagare e dichiarare, sotto qualsiasi profilo, la nullità del negozio). Ne consegue che, mentre tra rilevazione e dichiarazione di una nullità negoziale esiste un rapporto di collegamento (i.e. di inclusione), tra dichiarazione ed idoneità al giudicato appare predicabile una relazione di sostanziale identità, come meglio si avrà modo di osservare in seguito. 4. LE IMPUGNATIVE
NEGOZIALI E L'OGGETTO DEL GIUDIZIO 4.1. E' noto
come la questione della individuazione dell'oggetto del processo sia, da
sempre, tra le più dibattute nel panorama dottrinario e giurisprudenziale. Le complesse e delicate problematiche che essa pone, ben lungi dal trovare risposte certe nel diritto positivo, risultano tutte e allo stesso modo condizionate dalla necessità di operare una scelta tra valori talora contrastanti. Da un lato, il "valore" della definitiva
indicazione alle parti, all'esito di un processo lungo costoso faticoso,
delle condotte da tenere in futuro in ordine al rapporto sostanziale che le
vincola. La scelta, in definitiva, tra Recht e Rechtsfrage. Tra diritto (sostanziale) e domanda (giudiziale) di diritto. Esula dai compiti di questa Corte la ricerca di risposte definitive da offrire a tale delicatissima questione, poiché il perimetro dell'indagine ad essa riservata è quello delle azioni di impugnativa negoziale. E tuttavia la risposta al quesito, lungi dal costituire vieto esercizio di retorica, appare decisiva per la scelta della soluzione da adottare sul tema dei rapporti tra nullità negoziale ed azioni di impugnativa contrattuale. 4.2. E' necessario muovere dall'analisi del rapporto tra il processo e il diritto potestativo cd. sostanziale - qualificato da
autorevole dottrina come vero e proprio diritto soggettivo - , che di ogni
processo di impugnativa negoziale costituirebbe il vero oggetto, in guisa di diritto fatto valere in giudizio (artt.
81, 99 c.p.c., 2907, 2697 c.c., 24 Cost.), in luogo delle situazioni
soggettive sostanziali (pretesa, facoltà, obbligo, soggezione) generate dall'atto negoziale (fatto
storico/fattispecie programmatica) e dal
rapporto intersoggettivo da esso scaturente. Con la rilevante conseguenza
di escludere dall'oggetto del processo, e quindi del giudicato qualsiasi
accertamento definitivo in ordine alla situazioni soggettive sostanziali che
connotano il contenuto del rapporto obbligatorio. Nell'ambito della tutela costitutiva - non rileva in questa sede stabilirne i pur discussi confini - invocata con le azioni di impugnativa negoziale, il processo di cognizione (rectius, l'accertamento che ne scaturisce) diverrebbe così elemento della fattispecie sostanziale cui il legislatore ricollega la produzione di effetti giuridici. 4.2.1. Appare decisiva l'obiezione di chi ha sostenuto che ricondurre l'oggetto del processo alla fattispecie del diritto potestativo (sostanziale tout court, ovvero "a necessario esercizio giudiziale") risulta viziata da un eccesso di concettualismo, destinato, anziché aiutare a spiegare la realtà, i.e. a identificare quale sia il bene della vita oggetto della disputa tra le parti, ad offuscarla inutilmente, volta che il diritto potestativo civilistico inteso quale autonoma situazione soggettiva potrebbe al più costituire oggetto del processo prima del suo esercizio, e mai dopo: una volta esercitato, in via giudiziale o stragiudiziale, il diritto potestativo è destinato a estinguersi per consumazione, mentre, a seguito del suo esercizio, la contesa delle parti nel processo non è più sull'esistenza o meno del diritto potestativo, bensì sull'esistenza o meno dei fatti modificativi-impeditivi-estintivi ai quali l'esercizio di quel diritto ha preteso di dare rilevanza, ossia le situazioni soggettive sostanziali. Mutando la visione
prospettica, dunque, l'oggetto del processo andrebbe così a identificarsi con
la situazione soggettiva sostanziale e con il suo effetto giuridico, mai con fatti o con norme. Peraltro, se il diritto potestativo sostanziale riveste la
sola funzione di attribuire, tramite il suo esercizio, rilevanza ai fatti
modificatici-impeditivi-estintivi, esso si pone inevitabilmente al medesimo
livello dei fatti e delle norme, in guisa di co-elemento di una più complessa
fattispecie, in funzione di "interruttore" destinato ad attivare un
più vasto "circuito" ad esso
preesistente, in conseguenza di una vera e propria "crisi di
cooperazione" che ha diviso le parti sul piano del diritto sostanziale, in una (eccezionale) dimensione patologica
del libero potere di autodeterminazione che costituisce l'essenza e il
fondamento dell'autonomia privata. 4.3. L'indagine
volta alla corretta individuazione dell'oggetto del processo, da condursi
secondo i consueti canoni ermeneutici di analisi delle fattispecie giuridiche
nel loro duplice aspetto struttura/funzione,
postula, in questa sede, la necessità di una Inversion-Methode,che muova dall'analisi (prioritaria) dei valori funzionali del processo. Tali valori possono, hic et nunc, essere individuati: Nel principio di corrispettività sostanziale, da preservare tout court come valore che lo strumento processuale non può cancellare, incrinare, disarticolare o deformare, ma soltanto rispecchiare e attuare, attesane la sua dimensione essenzialmente strumentale, come espressamente evidenziato (sia pure con riferimento ai rapporti tra gli artt. 2909 e 2932 c.c. e 282 c.p.c.) da queste stesse sezioni unite con la sentenza n. 4059 del 2010: si pensi al caso del locatore che agisca per il pagamento del canone, del giudice che rilevi la nullità della locazione, del conduttore che (intenzionato a restare nell'immobile in assenza momentanea di alternative abitative) si limiti provare documentalmente l'avvenuto adempimento, così che il giudicante debba limitarsi a rigettare la domanda dichiarando la nullità del contratto soltanto nella motivazione del provvedimento decisorio. Sarebbe arduo sostenere che sulla quaestio nullitatis possa nuovamente instaurarsi un successivo giudizio, tanto da parte del locatore quanto del conduttore, salvo implicitamente avallare un evidente abuso dello strumento del processo; - Nel principio di stabilità
delle decisioni giudiziarie (predicato con dovizia di argomenti, di
recente, ancora da queste sezioni unite con la sentenza n.15295 del - Nel principio di armonizzazione delle decisioni, così da evitare la scomposizione della unità della situazione sostanziale in una indefinita molteplicità rappresentata da tante "minime unità decisorie"; Nel principio di concentrazione delle decisioni, ad
onta di poco meditati interventi legislativi (si consideri, in materia
locatizia, la nullità della clausola di determinazione dell'importo del
canone per contrasto con norma imperativa che ne prevede la sostituzione ipso iure - nullità che, a norma di
legge, non potrebbe essere opposta in via di eccezione per impedire
l'accoglimento della domanda fondata sull'inadempimento dell'obbligo di
pagamento del canone derivante dalla clausola stessa, prima che sia stato
accertato in autonomo giudizio il contenuto dell'obbligo derivante dalla
clausola legale deputata a sostituire quella affetta da nullità); Nel
principio di effettività della tutela, ostacolo insuperabile come di
recente affermato da questa Corte con la sentenza n.21255 del 2013 - per ogni
interpretazione di tipo formalistico e Nel principio di giustizia delle decisioni,
espressione assai meno declamatoria oggi che in passato, alla luce degli
artt. 111 Cost. e 6 CEDU. Di tale giustizia decisionale è traccia sensibile
la decisione resa da queste sezioni unite con la sentenza n. 18128 del Nel principio di economia (extra)processuale, declinazione del giusto processo inteso (anche) come esigenza di evitare la eventualità di moltiplicazione seriale dei processi e di offrire alle parti una soluzione "complessiva" già entro il primo, sovente assai lungo procedimento; Nel principio del rispetto della non illimitata
risorsa-giustizia : sarebbe un fuor d'opera riproporre le consuete,
innumerevoli esemplificazioni delle conseguenze, talvolta paradossali,
riconducibili al mancato riconoscimento di un possibile effetto di giudicato
all'accertamento giudiziale della nullità negoziale, pur nei limiti imposti
dalle norme processuali, sia pure prendendo le distanze da una incondizionata
adesione alla teoria dell'effetto espansivo pressoché illimitato
dell'accertamento contenuto nella sentenza. E proprio il principio della
limitatezza della risorsa giustizia è stato in più occasioni evocato, sia
pure indirettamente, da questa Corte regolatrice, come nel caso della
ritenuta infrazionabilità del credito in sede giudiziale (Cass. ss.uu. n.
23726 del Nel principio di lealtà
e probità processuale, valore cui andrebbe costantemente improntata
la condotta delle parti nel processo; Nel principio di uguaglianza formale tra le parti, rendendo così deducibile tout court anche per l'attore ciò che è sempre opponibile dal convenuto.
4.4.1. Poste
tali premesse, appare inevitabile l'opzione strutturale verso una decisione
tendenzialmente volta al definitivo consolidamento della
situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in
giudizio. Una decisione tendenzialmente caratterizzata da stabilità, certezza, affidabilità
temporale, coniugate con valori di sistema della celerità e giustizia. Un sistema che eviti di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all'infinito. 4.5. Anteposta
la disamina funzionale all'indagine
strutturale sull'oggetto del processo, si è già osservato come
quest'ultima sia stata fonte, da sempre, di contrapposte interpretazioni,
tutte dotate di indiscusso spessore teorico - e tutte egualmente sostenibili,
ispirate da opposte visioni che investono la funzione stessa della
giurisdizione. Viceversa, non appare di conforto il dato normativo, anzitutto perché l'art. 2909 c.c. non chiarisce quale sia l'oggetto dell'accertamento giudiziale e l'art. 34 c.p.c. non specifica la nozione di "questione pregiudiziale". Non è certo questa la sede per rievocare il defatigante dibattito sviluppatosi sul tema della pregiudizialità logica (e sulla sua presunta fuoriuscita dal campo di applicazione dell'art. 34), della pregiudizialità tecnica e del punto pregiudiziale. E ancora, gli artt. 12 e 13 c.p.c. appaiono dettati con riferimento a problematiche endo-processuali sicuramente eterogenee rispetta al tema in questione. Si contendono il campo, alla ricerca dell'individuazione dell'oggetto del processo, due contrastanti orientamenti. 4.6. Una prima
ricostruzione accentua il profilo privatistico, pur nella
consapevolezza delle distonie cui essa conduce in punto di economia del
processo e di contraddittorietà delle decisioni. Si evidenzia, in particolare, come niente impedisca all'esperienza processuale di avere proprie e peculiari esigenze, che implicano il superamento di una visione sostanzialistica pura dei fenomeni giuridici, viziata da un semplicismo non dinamico, volta che la domanda opererebbe un'astrazione dal rapporto, deducendo in giudizio una situazione elementare e così determinando essa stessa i limiti della controversia.
Non il rapporto giuridico nella sua integrità. Un diverso indirizzo valorizza le esigenze pubblicistiche che si vogliono pur sempre sottese alla tutela dei diritti dei privati. Si esclude che il processo possa scindere, motu proprio, il rapporto fondamentale (e fondamentalmente unitario) che lega le parti, frammentandolo in segmenti autonomi, così che il pericolo di soluzioni disomogenee e non coordinate andrebbe scongiurato attraverso un meccanismo di armonizzazione tra giudicati, frutto dell'estensione dell'efficacia della sentenza all'accertamento del rapporto sostanziale (in seno alle stesse teorie sostanzialiste, è stato, peraltro, di recente operato un opportuno distinguo tra sentenze di accoglimento della domanda di impugnativa negoziale e sentenze di rigetto, su cui si tornerà funditus nel prosieguo della motivazione). 4.7. Ritiene il
collegio che anche sul piano strutturale l'adesione a una
delle teorie dell'oggetto del processo sia destinata ad essere
inevitabilmente condizionata dalla sua speculare analisi funzionale. 4.7.1. Si rende
così necessario dare ingresso a una più ampia visione che tenga nella dovuta
considerazione gli inconvenienti della frammentazione di una originaria (ed
unitaria) sorgente di rapporti sostanziali in tanti separati rivoli
processuali, e delle conseguenze dell'accertamento soltanto incidentale di
una più complessa dinamica negoziale, pur non negandosi - come di qui a breve
si vedrà - quelli derivanti dell'indiscriminato e incondizionato ampliamento
della domanda originaria (si ricorderà come in uno dei tanti progetti di
riforma del processo civile si ebbe opportunamente a proporre una radicale
riscrittura dell'art. 34 nel senso che "in ipotesi di rapporti
complessi, qualora sia fatto valere in giudizio uno dei diritti principali
derivanti dal rapporto stesso, l'autorità della cosa giudicata si estende al
rapporto fondamentale", con chiaro riferimento al concetto della
regiudicata sostanziale ed alla teorica della pregiudizialità soltanto
logico-giuridica). 4.7.2. Visione
volta ad un approdo che finisce per attrarre nella propria orbita, rendendola
oggetto tendenzialmente necessario di inevitabile scrutinio, la
situazione di diritto soggettivo fatta valere dall'attore e valutata
nella sua interezza, e cioè in relazione alla sua totale ed effettiva consistenza
sostanziale.
4.8. Nelle
azioni di impugnativa negoziale l'oggetto del giudizio è dunque costituito
dal negozio, nella sua duplice accezione di fatto storico e di fattispecie
programmatica, e (con esso) dal rapporto giuridico sostanziale che
ne scaturisce. 4.8.1. Da tale
realtà sostanziale il giudizio non potrà prescindere, in funzione quanto meno
tendenziale di un definitivo
accertamento dell'idoneità della convenzione contrattuale a produrre
tanto l'effetto negoziale suo proprio quanto i suoi effetti finali. Questa soluzione è stata criticamente e suggestivamente definita come "un vero e proprio chiasmo", poiché, si sostiene che, in tal modo, il giudicato, rifuggendo il discorso processuale, verrebbe a generarsi nel (e dal) silenzio. La soluzione, di converso, nei termini e con i temperamenti che di qui a breve si individueranno, appare rispettosa proprio delle esigenze funzionali dianzi descritte. 4.8.2. Il
riferimento alla struttura negoziale
originaria (negozio/fatto storico) non meno che alla fattispecie programmatica in essa contenuta è conseguenza
del potere di indagine del giudice su qualsivoglia ragione, tanto morfologica quanto funzionale, di
nullità contrattuale: così, il difetto di forma atterrà alla valutazione del
negozio/fatto storico, mentre l'impossibilità dell'oggetto sarà predicabile a
seguito dell'individuazione del momento programmatico della convenzione
negoziale, che dell'oggetto contiene soltanto la rappresentazione ideale come tale neutra rispetto alla
categoria dell'invalidità, mentre la sua impossibilità/illiceità sarà
riferibile soltanto alla res nella
sua dimensione materiale, quale oggetto reale del programma negoziale. Il riferimento al rapporto negoziale è poi naturale conseguenza del tipo di azione esperita dall'attore: nelle domande di risoluzione e di adempimento, oggetto di contesa è la distonia funzionale del sinallagma, onde la necessità di valutare insieme la dimensione statica (negozio) e dinamica (rapporto) della fattispecie, mentre le domande di annullamento e di rescissione
4.8.3. La
necessità del riferimento al rapporto scaturente dal negozio, oltre che a
quest'ultimo, emerge da vicende processuali in cui il delicatissimo compito
cui è chiamato il giudice in materia di impugnative negoziali è rappresentato
proprio dalla capacità di valutazione unitaria di entrambe le fattispecie. Emblematica è una vicenda sottoposta all'esame della Corte di appello di Cagliari (sentenza n. 179 del 1991), che si trovò di fronte ad un singolare caso di domande incrociate di risoluzione contrattuale e di esatto adempimento in relazione ad un contratto il cui contenuto negoziale era affetto da nullità per ritenuta indeterminabilità dell'immobile alienato e del relativo prezzo. Le parti non solo non avevano posto alcuna questione circa l'individuazione dell'oggetto della compravendita e del suo corrispettivo, essendosi limitate a chiedere, l'attore, la risoluzione del contratto per essere stato estromesso dall'appartamento acquistato, la convenuta alienante, in via riconvenzionale, l'eliminazione dei difetti dell'opera (insufficienza statica di una scala e di un balcone) che, insieme con una somma di denaro non precisata, costituiva il corrispettivo della vendita Esaminando la sola scheda negoziale, il giudice pronunciò la nullità dell'alienazione per indeterminabilità dell'oggetto e del prezzo, non avendo tenuto in considerazione il rapporto dipanatosi tra le parti, come rappresentato negli atti processuali. Una corretta trasposizione in sede processuale della teoria della cd. Geschaefstgrundlage (e cioè della "comune base negoziale", anche implicita, che consentì la nascita e al contempo decretò i limiti della teoria negoziale della presupposizione) consente, in definitiva, di affermare che, anche in sede processuale, una comune Grundiage, anche implicita, del processo e del provvedimento di merito che lo definisce consente la prioritaria disamina, da parte del giudice, dei vizi negoziali che decretino la eventuale nullità della convenzione. 4.9. Non può
pertanto condividersi, oggi, la tesi che individua l'oggetto del processo in
una Rechtsfrage, il cui oggetto è
rappresentato dal diritto 4.9.1. Essa
appare, difatti, in contrasto con gli stessi valori predicati da questa Corte
con la più volte ricordata sentenza di cui a Cass. 23726/2007, che calò definitivamente la scure dell'inammissibilità sulla domanda frazionata di un credito anche non risarcitorio dell'attore, derivante da un unico rapporto obbligatorio. Valori a suo tempo individuati nelle regole oggettive di correttezza e buona fede, nei doveri di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione, nel canone del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost. Anche il diritto potestativo (all'annullamento, alla rescissione, alla risoluzione del contratto) postula come oggetto necessario l'esistenza (degli effetti) dell'atto (il che, come si dirà, non consente di ritenere ammissibile la coesistenza della nullità e dell'annullabilità rispetto a una medesima fattispecie). E ciò è a dirsi tanto se di diritto potestativo si discorra nella sua forma sostanziale quanto se con riferimento
a quella del suo necessario esercizio giudiziale:
la ricostruzione della tutela costitutiva nella ristretta dimensione del
diritto alla modificazione giuridica, ipotizzata come situazione soggettiva
rivolta verso lo Stato-giudice, piuttosto che nei confronti della controparte, è destinata a infrangersi sulla più ampia linea di orizzonte rappresentata dalla necessità che il giudice dichiari, in sede tutela costitutiva e non solo, e in modo vincolante per il futuro, il modo d'essere (o di non essere) del rapporto sostanziale che, con la sentenza, andrà a costituirsi, modificarsi, estinguersi. 4.10. Non si
intende in tal guisa pervenire a un incondizionato accoglimento del principio
del giudicato implicito sul dedotto e deducibile, sempre e comunque
predicabile, quoad effecta, in
relazione a qualsiasi vicenda di impugnativa negoziale. Il correttivo
fondamentale di tale opzione ermeneutica è difatti rappresentato, tra l'altro (e non solo), dal dovere del giudice di rilevare una causa di nullità negoziale, e di indicarla alle parti, lungo tutto il corso del processo, fino alla sua
conclusione, attivando tale speculare potere rispetto a quello delle
stesse parti di decidere della sorte del rapporto fondamentale, con scelte
che non risulteranno prive di conseguenze 5.
I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO — L'ORDINE LOGICO DELLE QUESTIONI 5.1.
La questione dell'oggetto del processo è strettamente connessa a
quella dell'oggetto del giudicato e dei suoi limiti. E' espressa la segnalazione in tal senso contenuta in una delle due ordinanze di rimessione, che chiede al collegio di pronunciarsi in ordine alla individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione dell'efficacia del c. d. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. 5.2.
Il tema dell'oggetto del giudicato si estende, come noto, a quello
del
giudicato implicito, i cui problematici confini non possono essere
analiticamente esaminati in questa sede. 5.2.1.
Per quanto qui di rilievo, va osservato come, al di là delle varie
posizioni assunte dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza di questa
Corte, il nostro ordinamento positivo non riconosca cittadinanza all'idea di
un giudicato implicito che postuli il rigoroso e ineludibile rispetto
dell'ordine logico-giuridico delle questioni. 5.2.2.
L'ordinanza interlocutoria n. 16630/2013 ritiene, difatti, di non
prestare piena adesione al principio di diritto affermato nella sentenza n.
14828 del 4 settembre 2012, ove, per un verso, si sostiene che, poiché la
risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto
valido, il giudice di merito investito della domanda di risoluzione del contratto
ha il potere-dovere di rilevare, previa instaurazione del contraddittorio
sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso; e, per altro
verso, si opina che il medesimo giudice di merito possa accertare la nullità incidenter tantum senza effetto di
giudicato, a meno che non sia stata proposta la relativa domanda, pervenendo,
tuttavia, alla conclusione che il giudicato implicito sulla validità del
contratto si forma tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione
sia stata decisa nel merito.
L'ordinanza interlocutoria sollecita invece una ulteriore e più attenta riflessione sul problema se sia o meno possibile rimettere in discussione la validità di un contratto dopo che, in una precedente causa promossa per ottenerne la sua risoluzione (ma analogo quesito è da porsi per le ipotesi di annullamento e di rescissione), il giudice si sia comunque pronunciato nel merito, in assenza di qualsivoglia indagine su un'eventuale invalidità del contratto stesso, senza che la relativa sentenza sia successivamente impugnata. 5.2.3. Si
ritiene di generale applicazione il principio secondo il quale l'autorità del
giudicato, tendente a impedire un bis
in idem e un eventuale contrasto di pronunce, copre il dedotto e il
deducibile, vale a dire non solo le ragioni giuridiche dedotte in quel
giudizio, ma anche tutte le altre, proponibili in via di azione o di
eccezione, le quali, benché non dedotte specificamente, si caratterizzano per
la loro inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente fatte
valere. Questo principio di creazione giurisprudenziale rispetta in modo rigoroso l'ordine logico-giuridico delle questioni, portandolo alle sue conseguenze estreme. Esso poggia sul seguente
argomento logico: se il giudice si è pronunciato su di un determinato punto,
ha evidentemente risolto in senso non ostativo tutti quelli il cui esame
doveva ritenersi preliminare a quello esplicitamente deciso. 5.2.4. La
dottrina offre del fenomeno una lettura parzialmente diversa. Quanto alle questioni pregiudiziali di merito, si osserva da più parti che esse sono coperte dal giudicato solo se, per legge o per volontà delle parti, il giudice vi abbia esteso la sua diretta cognizione: diversamente, si tratterebbe di valutazioni rilevanti incidenter tantum. Secondo altra impostazione, sarebbe sempre e comunque
coperta dal giudicato la cd. "pregiudizialità logica" (distinta da
quella c.d. "tecnica"), che comprende tutte le questioni le cui
soluzioni non coerenti con la decisione sul merito ne avrebbero impedito la
pronuncia. L'argomento logico per il quale se il giudice si è pronunciato su un determinato punto ha evidentemente risolto in senso non ostativo tutti quelli il cui esame doveva ritenersi preliminare a quello esplicitamente deciso, pur apparendo persuasivo, va opportunamente temperato. Non sempre il rispetto dell'ordine logico nella trattazione delle questioni esprime una scelta di efficienza e di coerenza processuale: l'efficienza, la stabilità e la definitiva strutturazione di una decisione dipende invece dal tipo di controversia e dal tipo di decisione che il giudice intende adottare, e costituisce un valore pregnante, ma non assoluto, delle decisioni stesse. 5.2.5. Non bisogna, pertanto, sovrapporre la successione cronologica delle attività di cognizione del giudice con il quadro logico della decisione complessivamente adottata in esito ad esse, all'interno delle quali si collocano i passaggi che portano alla decisione finale. L'ordine di trattazione delle questioni va infatti distinto dall'ordine di decisione delle stesse. Il principio trova
conferma nel diritto positivo: sia l'art. 276, secondo comma c.p.c., sia
l'art. 118, secondo comma delle disposizioni di attuazione - del quale le
modifiche originariamente apportate dall'art. 79 del D.L. 69/2009 sono state
poi soppresse in sede di conversione - disciplinano rispettivamente
l'attività del collegio e la struttura della motivazione del provvedimento
decisorio finale, a conferma della correlazione tra ordine delle questioni e
struttura della decisione.
Le questioni preliminari di merito si modulano, invece, assai diversamente dalle pregiudiziali di rito, sempre avuto riguardo al tema dell'ordine logico-giuridico delle questioni, nel senso che non sempre soggiacciono a una rigorosa sequenza logica di trattazione e decisione. L'ordine col quale il giudice ritiene di esaminare e decidere ciascuna di esse in rapporto al medesimo petitum (inteso come bene della vita) deve essere stabilito caso per caso, alla ricerca di un equilibrio tra la discrezionalità di scegliere le questioni da trattare anche in ragione della necessità o meno di istruttoria (e quindi in funzione del principio di economia processuale che sostiene il c.d. canone della ragione più liquida) e il principio dispositivo che permea di sé il processo civile. Pertanto, il giudice deve rigettare sic et simpliciter la domanda se la ragione che fonda la decisione non esige alcuna attività istruttoria. 5.3. Alla luce
di tali considerazioni, la questione dei limiti oggettivi del giudicato va
affrontata escludendo in limine la
bontà della tesi, pur suggestiva, che individua nel collegamento dell'art.
1421 con l'art. 2907 c.c. la chiave interpretativa dei rapporti tra nullità e
azioni di impugnativa negoziale. Si sostenuto, con argomentazioni assai persuasivi, che proprio la norma di cui all'art. 2907 primo comma c.c., nel prevedere una deroga al principio della domanda e nell'imporre al giudice l'obbligo di pronunziare (nei casi tassativamente previsti dalla legge) senza impulso di parte, e al di là dei limiti della domanda stessa, consentirebbe, in considerazione degli interessi superindividuali protetti dalla nullità, una pronuncia ex officio di quel vizio genetico, pur in assenza di espressa domanda. Si eviterebbe così la dissonanza logica e cronologica tra rilevazione, dichiarazione della nullità ed effetto di giudicato della relativa pronuncia. 5.3.1. Ma si è altrettanto efficacemente replicato in proposito che la
statuizione dell'art. 2907 c.c. riconduce la rilevazione officiosa ai casi in
cui il giudice può prendere l'iniziativa per una pronuncia estranea al
processo in corso (com'era previsto per l'art. 8 I. fall. ante riforma del 2006), quando, Essa non è dunque riferibile al distinto problema dei poteri del giudice relativi alla controversia promossa dalla parte. Inoltre, sul piano degli strumenti processuali, altro è rilevare la nullità, altro è dichiararla con effetto di giudicato. 5.3.2. Il
legislatore, configurando la nullità come oggetto di un'eccezione in senso
lato ("il giudice può rilevare d'ufficio"), non l'ha ritenuta meritevole di un'autonoma iniziativa officiosa
volta ad un suo pieno accertamento sempre e comunque con effetto di
giudicato, pur nel silenzio delle parti, anche se ha nel contempo
escluso ogni diretta e immediata correlazione tra l'art. 1421 c.c. e gli
artt. 99 e 112 c.p.c. 5.4. Oggetto
del processo, oggetto della domanda giudiziale e oggetto del giudicato
risultano allora cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono
sempre perfettamente sovrapponibili. Gli stessi autori che ne propugnano l'assoluta identità convengono poi con l'affermazione secondo cui la reale portata del giudicato, soprattutto in caso di pronuncia di rigetto, è determinata dai motivi della decisione, ove la controversia abbia riguardato esclusivamente un segmento del più ampio rapporto sostanziale (l'esemplificazione più significativa è quella della domanda di condanna al pagamento di una singola rata, pur oggetto di un più ampio rapporto contrattuale). La pronuncia di rigetto fondata esclusivamente su motivi attinenti a tale limitata frazione del rapporto (rata non scaduta ovvero non dovuta o prescritta) induce anche i fautori dell'assoluta corrispondenza tra oggetto della domanda, oggetto del processo ed oggetto del giudicato a ritenere che non si sia in presenza di alcuna statuizione vincolante sulla esistenza/inesistenza del rapporto sostanziale, restando tale più vasta questione "assorbita" nel limitato decisum del caso di specie. 5.4.1 L'affermazione
va condivisa, con la conseguenza che la perfetta corrispondenza, sempre e
comunque, tra gli oggetti, rispettivamente, della domanda, del processo e del
giudicato, non appare, ancor oggi, predicabile tout court in assenza di una esplicita previsione legislativa in
tal senso. Se oggetto della domanda (e del processo) sarà sempre il petitum sostanziale e processuale dedotto dall'attore (il pagamento della singola rata dell'obbligazione), anche se ab initio riferito, ipso facto, alla sua causa petendi (il negozio sottostante) - il che obbliga il giudice, pur in assenza di eccezione di parte, a rilevare ex officio eventuali profili di nullità della situazione giuridica sostanziale sottesa alla domanda stessa, valutata nella sua interezza (e cioè del negozio/rapporto sottostante) - non può escludersi che, proprio in forza dei ricordati principi di speditezza, economia e celerità delle decisioni, quel processo abbia termine, senza che la nullità sia dichiarata nel provvedimento decisorio finale, con una pronuncia fondata sulla ragione più liquida di rigetto della domanda (prescrizione, adempimento, mancata scadenza dell'obbligazione), nella consapevolezza di non dovere affrontare, nell'esplicitare le ragioni della decisione, il più vasto tema della validità del negozio, che avrebbe eventualmente imposto una troppo lunga e incerta attività istruttoria. Proprio la facoltà del giudicante di definire il processo celermente, sulla base della ragione più liquida (criterio di cui meglio si dirà in prosieguo) impedisce di affermare la perfetta sovrapponibilità dell'oggetto del processo all'oggetto del giudicato. 5.5. Su tali
premesse riposa la risposta alla questione del giudicato implicito sulla
"non nullità" negoziale, di cui si rintraccia un sintetico
riferimento nella sentenza 14828/2012. Si è rilevato nell'ordinanza di remissione come non appaia del tutto coerente ritenere nel contempo che, in caso di rilevazione e trattazione della questione pregiudiziale sulla nullità del contratto, su di essa non si possa formare il giudicato "a tutti gli effetti", se non quando sia stata all'uopo proposta espressa domanda di accertamento incidentale ex art. 34, ma che, in caso di rigetto della domanda di risoluzione riconducibile all'accertamento in ordine alla insussistenza dell'inadempimento (o della sua gravità), ciò precluda irrimediabilmente successive azioni volte a far dichiarare la nullità di quel medesimo contratto. L'aporia potrebbe, peraltro, risultare soltanto apparente. Si legge al punto 2.4 della sentenza del 2012, che il giudicato implicito sulla validità del contratto, secondo
il paradigma ormai invalso (cfr. Cass. S.U. 24883/08; 407/11; 1764/11), potrà
formarsi tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione sia stata
decisa nel merito, con esclusione delle
sole decisioni che non contengano
statuizioni che implicano l'affermazione
della validità del contratto. 5.6. Il
principio di diritto così esposto è stato interpretato da autorevole dottrina
nel senso che, ove la motivazione sulla nullità, pur potendo, nessun problema
si ponga e nulla dica (accogliendo o respingendo per altre ragioni la domanda
proposta), ebbene allora e solo allora essa avrebbe l'attitudine a un giudicato
di merito "a monte" sulla questione pregiudiziale del rapporto
fondamentale, risultandone così accertata la non nullità del contratto nel
suo complesso, anche in vista di ogni successiva e diversa lite e vicenda
processuale. La locuzione finale che
si legge al punto 2.4. della sentenza poc'anzi ricordata (forse poco
esplicita, perché permeata dell'eco della giurisprudenza formatasi sul
giudicato implicito sulla giurisdizione, e dunque su di un giudicato
processuale e non di merito), scomposta e semplificata, sembra invece
significare che la formazione del giudicato implicito sulla validità del
contratto è esclusa per quelle decisioni prive di statuizioni
implicanti (e cioè dalle quali implicitamente desumere) l'affermazione della
validità del contratto. Dunque, il giudicato implicito sulla non nullità andrebbe a formarsi con riferimento a quelle sole decisioni contenenti statuizioni che implichino (e dunque non affermino esplicitamente) la ritenuta validità del contratto. La mancanza di statuizioni da cui ricavare, per implicito, un riconoscimento di validità contrattuale sarebbe, pertanto, ostativa al formarsi del giudicato implicito sulla non nullità del negozio. 5.7. Il tema
non si presta a soluzioni generalizzate - e men che meno semplicistiche - ,
ma evoca la necessità di una duplice distinzione, a
seconda, cioè, del tipo di sentenza
(di accoglimento o di rigetto) pronunciata, e del tipo di
comportamento (mancata rilevazione,
ovvero rilevazione senza
dichiarazione in sentenza) tenuto dal giudice nell'estensione della
motivazione. La questione andrà approfondita, ai fini che occupano il collegio, nel prosieguo della motivazione. 5.8. Così
individuati i confini tra oggetto del processo e oggetto del La giurisprudenza di
questa Corte, con due delle pronunce che, più di altre, l'hanno affrontata funditus, si è espressa in modo non
del tutto consonante. 5.8.1. Si
legge in Cass. n. 6170 del 2005 che, a norma dell'art. 1421 cod. civ.,
il giudice deve rilevare d'ufficio le nullità negoziali non solo se sia stata
proposta azione di esatto adempimento, ma anche quando sia stata esperita
un'azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione del contratto, e
deve procedere all'accertamento incidentale relativo a una pregiudiziale in
senso logico-giuridico (concernente cioè il fatto costitutivo che si fa
valere in giudizio), accertamento idoneo a divenire cosa
giudicata, con efficacia pertanto non soltanto sulla pronunzia finale ma
anche (e anzitutto) circa l'esistenza del rapporto giuridico sul quale la
pretesa si fonda. La sentenza, dopo avere distinto tra questioni pregiudiziali in senso tecnico e questioni pregiudiziali in senso logico - definendo queste ultime come quelle relative ai fatti costitutivi del diritto che si fa valere davanti al giudice - limita l'applicazione dell'art. 34 c.p.c. alle sole questioni pregiudiziali in senso tecnico. Con riferimento ai punti pregiudiziali in senso logico, viceversa, l'efficacia del giudicato coprirebbe, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma anche l'accertamento che si presenti come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico della pronuncia medesima (il c.d. giudicato implicito). La maggiore e più rilevante novità di questa pronuncia, rispetto ad altre decisioni che pure si erano discostate dall'orientamento dominante sul tema della disomogeneità funzionale dell'azione di adempimento rispetto a quelle di risoluzione rescissione ed annullamento, risiede proprio nell'affermazione dell'efficacia di giudicato dell'accertamento incidentale della nullità. A fondamento di tale
conclusione, il collegio fece ricorso all'argomento cd. per inconveniens, costituito dal fatto che, a voler escludere il
giudicato sull'accertamento della nullità, la parte che ha visto respingere
la propria domanda di risoluzione per inadempimento a causa della nullità del
contratto potrebbe essere a sua volta convenuta per l'adempimento, correndo
in tal modo il rischio di una differente valutazione da parte del 5.8.2. In senso sostanzialmente opposto, Cass. n. 11356 del 2006 osserverà che la pronunzia di rigetto
della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non più soggetta
a impugnazione non costituisce giudicato implicito - con efficacia vincolante
nei futuri giudizi - là dove del rapporto che ne costituisce il presupposto
logico-giuridico non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e
valutazione da parte del giudice le questioni concernenti l'esistenza, la
validità e la qualificazione del contratto. Con la conseguenza che la sentenza
di rigetto della domanda di risoluzione adottata sulla base del principio
della c.d. "ragione più liquida", ovvero emessa in termini
meramente apodittici, senza un accertamento effettivo, specifico e concreto
del rapporto da parte del giudice, al punto da risultare evidente il difetto
di connessione logica tra dispositivo e motivazione, non preclude la
successiva proposizione di una domanda di nullità del contratto, in quanto in
tal caso si fanno valere effetti giuridici diversi e incompatibili rispetto a
quelli oggetto del primo accertamento, sicché, trattandosi di diritti
eterodeterminati (per l'individuazione dei quali è necessario, cioè, fare
riferimento ai fatti costitutivi della pretesa che identificano diverse causae petendi), non può ritenersi che
all'intero rapporto giuridico, ivi comprese le questioni di cui il primo
giudice non abbia avuto bisogno di occuparsi per pervenire alla pronunzia di
rigetto, il giudicato si estenda in virtù del principio secondo cui esso
copre il dedotto ed il deducibile. Nella sentenza è ben chiara la contemporanea necessità di garantire una inevitabile estensione oggettiva all'accertamento giurisdizionale e di armonizzare la pronuncia con i confini tracciati dalla domanda concretamente dedotta nel processo (armonizzazione chiovendiana, volta ad un accertamento giurisdizionale vertente sul singolo diritto fatto valere come petitum) e avverte come la radicalizzazione della questione possa condurre a conseguenze eccessive, chiarendo che, se un'estensione della portata oggettiva del giudicato trova fondamento nell'esigenza di evitare la formazione di decisioni definitive contrastanti, di pari dignità appariva l'esigenza di evitarne una dilatazione eccessiva limitando il portato del deducibile.
5.9. E'
indiscutibile che il sintagma "limiti oggettivi del giudicato",
specie se riferito a rapporti cd. complessi, evochi situazioni in cui il petitum del processo sia parte di un
rapporto giuridico più ampio, e, alla luce di quanto sinora esposto, la
soluzione da offrire al tema delle impugnative negoziali non può prescindere
dalla necessità di evitare una disarticolazione, tramite il processo, di una
realtà sostanziale irredimibilmente unitaria. E' altrettanto certo che il principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato hanno a loro volta dignità di Generalklauseln nel processo civile. 5.10. La
complessa questione è destinata a ricevere soddisfacente soluzione alla luce
dell'(ancor più valorizzato in sede legislativa con la riforma del 2009) obbligo
del giudice di provocare il contraddittorio sulle questioni
rilevabili d'ufficio per tutto il corso del processo (per
quel che qui interessa, di primo grado). Un obbligo che trova il suo diacronico fondamento normativo nel combinato disposto delle norme di cui agli artt. 183 comma IV, 101 comma II c.p.c., 111 Cost. 5.10.1. L'intervento legislativo del 2009, con la nuova formulazione dell'art. 101 comma 2, non dovrebbe consentire dubbi di sorta: il giudice ha l'obbligo di rilevare la nullità negoziale non soltanto nel momento iniziale del processo, ma durante tutto il suo corso, fino al momento della precisazione delle conclusioni.
5.10.2. Quanto
al contenuto ed alla portata precettiva dell'art. 111 della Carta
fondamentale, è stato recentemente osservato da queste stesse sezioni unite
(Cass. ss.uu. ord. 10531/2013) come il principio della rilevabilità d'ufficio
delle eccezioni in senso lato appaia funzionale ad una concezione del
processo forse troppo semplicisticamente definita come pubblicistica, ma che,
ad una più attenta analisi, trae linfa applicativa proprio nel valore di giustizia della decisione (lo
stesso testo dell'art. 183, nel disegno di legge originario, prevedeva la
possibilità di modificare la domanda solo tenendo ferma l'allegazione dei
fatti storici, ma la formula venne abbandonata proprio per la rigidità che
avrebbe conferito al sistema, ostacolando ogni allegazione nuova, ancorché
volta a valorizzare risultanze acquisite agli atti). Per altro verso,
l'introduzione di un sistema rigido di preclusioni ha reso più vivo il senso
dell'obbligo del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili
d'ufficio, obbligo che si traduce in una tecnica di conduzione del processo
che ne impone oggi la indicazione ben prima del maturare delle preclusioni
istruttorie - che prima dell'introduzione del secondo comma dell'art. 101
sembravano porsi come assolutamente ostative a un ampliamento del thema decidendum. 5.11. All'interrogativo
circa i rapporti che, all'esito della rilevazione officiosa del giudice,
corrono tra la domanda di nullità proposta dalla parte e quella originaria, è
agevole rispondere come poco rilevante sia discorrere di mutatio libelli vietata ovvero di emendatio consentita. Di per sé considerata, la domanda di nullità riveste un indiscutibile carattere di novità, se diviene oggetto di una richiesta di accertamento a seguito del rilievo officioso del giudice. Ma tale novum processuale non potrà più esser destinato a cadere sotto la scure delle preclusioni imposte dall'art. 183 c.p.c. post riforma del 1995. Non si tratta, infatti, di consentire all'istante una tardiva resipiscenza processuale, bensì di riconoscere un senso ad un itinerario processuale che,
5.11.1. Sarebbe, d'altronde, un evidente paralogismo ritenere tempestiva una
domanda nuova quando tale esigenza nasca dalla riconvenzionale o dalle
eccezioni sollevate dal convenuto, e non anche quando essa tragga origine da
una rilevazione officiosa obbligatoria (si badi, oggi a pena di nullità della
sentenza), imposta al giudice a fini di completezza dell'accertamento e di
giustizia della decisione lungo tutto il corso del processo di primo grado,
anche in attuazione di evidenti esigenze di economia processuale. 5.11.2. E se la
rilevazione d'ufficio della nullità realizza tra i suoi principali effetti l'instaurazione
del contraddittorio, sembra assai arduo sostenere che tale stimolo
officioso non possa risolversi nella ammissibilità della formulazione delle
corrispondenti domande anche oltre il limite degli atti introduttivi. All'esito della
rilevazione officiosa in sede di riserva della decisione, l'attore avrà ben
più interesse a proporre (anche in via incidentale) una domanda di
accertamento, anziché limitarsi a illustrare le eventuali ragioni che, a suo
giudizio, depongono nel senso della validità del contratto. Ne deriva che, se
la nullità venisse poi esclusa dal giudice nel provvedimento decisorio finale
di merito, egli si troverebbe a disporre di un accertamento di non-nullità
dell'atto (idoneo a diventare cosa giudicata) opponibile al convenuto in
qualsiasi altra occasione, mentre la dichiarata nullità del contratto a
seguito di domanda di accertamento (pre)costituirebbe un titolo idoneo a
paralizzare eventuali, successive pretese del convenuto fondate su quel
medesimo contratto. 5.11.3. Il
nuovo art. 101 comma 2 conferma tale conclusione e impone una interpretazione
dei poteri delle parti estesa alla facoltà di proporre domanda di nullità (e spiegare la conseguente
attività probatoria) all'esito della sua
rilevazione officiosa nel corso di giudizio sino alla precisazione
delle conclusioni. 5.11.4. E' questo
l'unico possibile significato da attribuire al sintagma "memorie
contenenti osservazioni sulla questione", oltre a quello di 5.11.5 La norma
di cui si discorre consente, invece, una proposizione formalmente
"tardiva" della domanda di accertamento. 5.11.6. Così
rettamente interpretato il nuovo itinerario endoprocessuale disegnato dalla
riforma del 2009, perdono in larga misura di significato molte delle riserve
e delle obiezioni mosse all'idoneità di una pronuncia a costituire cosa
giudicata anche a prescindere dalle conclusioni rassegnate dalle parti, e
salvo le eccezioni che di qui a poco si esploreranno. 5.12. Non sembra, peraltro, che tale facoltà sia destinata ad operare in
guisa di conversione, sia pure consentita ex lege, della domanda originaria, ponendosi piuttosto una
questione di ordine decisorio tra domande. 5.12.1. La
parte, difatti, potrà: rinunciare alla domanda originaria
e coltivare la sola actio nullitatis, così
che non di conversione né di modificazione della domanda originaria par
lecito discorrere, ma di vera e propria autonoma domanda di accertamento
conseguente al rilievo officioso del giudice. coltivare entrambe le istanze, mantenendo ferma, a fianco alla domanda di accertamento (principale o incidentale ex art. 34), quella inizialmente proposta (adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento, revoca, scioglimento del contratto), per l'ipotesi che l'accertamento della nullità dia esito negativo, e che il contratto risulti alfine valido, una volta espletata l'istruzione probatoria indotta dall'attività di rilevazione ex officio. Anche in tal caso, si assisterà ad un fenomeno non già di conversione, ma di cumulo (subordinato o alternativo) di domande - così che, evaporata la questione di nullità, il giudice dovrà pur sempre decidere della domanda originaria.
La ammissibilità della sua proposizione risulta, difatti, del tutto speculare alla (eventuale) tardività della rilevazione officio iudicis, poiché da essa finisce per trarre legittimità e fondamento. E altrettanto opportuna appare la riflessione secondo cui la questione non è rappresentata dalla novità, quanto dalla "complanarità" tra domande conseguenti ad una questione pregiudiziale rilevata ex officio. 5.13.1. L'efficacia
del contemperamento tra attività officiosa di rilevazione/dichiarazione della
nullità da parte del giudice, poteri delle parti ed idoneità all'effetto di
giudicato della pronuncia si coglie, su di un piano effettuale, anche sotto
il profilo della trascrizione. 5.13.2. Proprio
dalla disciplina dell'istituto di pubblicità dichiarativa può desumersi il
diverso interesse delle parti a introdurre o meno una domanda, incidentale o
principale, di accertamento della nullità a seguito della relativa
rilevazione officiosa. Anche nei casi in cui la nullità dichiarata nella motivazione della decisione sia "catturata" nella regiudicata, ciò non significa che essa sarà opponibile indifferentemente a
tutti i terzi, atteso che il regime di opponibilità varia a seconda che un
vizio del contratto sia fatto valere mediante la proposizione di una domanda
(anche riconvenzionale) ovvero in via di eccezione o d'ufficio. 5.13.3. L'art.
2652 cod. civ., nel disciplinare la trascrizione delle domande giudiziali,
prevede l'operare della efficacia del meccanismo pubblicitario c.d. prenotativo nel solo caso della sentenza che accoglie la domanda - mentre le dichiarazioni giudiziali di nullità, annullamento, risoluzione, rescissione o revoca sono soggette, ai sensi dell'art. 2655 cod. civ., a semplice annotazione in margine alla trascrizione o iscrizione dell'atto, con effetto a valere dal momento della formalità. Pertanto, se l'attore abbia domandato la risoluzione/rescissione/annullamento
del negozio, ma il giudice, accertata d'ufficio la nullità del contratto, rigetti la domanda, il
conflitto fra l'attore e i terzi aventi causa dalla parte convenuta (che medio tempore abbiano acquistato un
diritto incompatibile con quello dell'attore), quand'anche 5.14. Prima di
trarre conclusioni definitive sull'idoneità all'effetto di giudicato della
pronuncia che abbia rilevato una causa di nullità negoziale dichiarandola
nella sentenza - del tutto analogo è il discorso con riferimento
all'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. -, è necessario interrogarsi sui rapporti
tra giudicato implicito e ordine logico delle questioni di merito. 5.14.1. La
rilevanza degli aspetti strutturali di una decisione - e conseguentemente
dell'ordine di trattazione delle questioni - va apprezzata ancora una volta
con uno sguardo di sistema, che vede il processo civile scandire il suo
itinerario dai principi di conservazione, conseguimento dello scopo,
economicità, ai quali si affiancano le regole sulle preclusioni e
l'acquiescenza, nel rispetto dei canoni costituzionali di giustizia (giusto
processo e giusta decisione), di ragionevole durata, di rispetto del
contraddittorio. Il legislatore non lascia il giudice privo di riferimenti normativi. Le regole maggiormente significative al riguardo vanno desunte dagli artt. 132, 276, 277 e 279 c.p.c., nonché 118 e 119 delle relative disposizioni di attuazione.
5.14.2. Com'è
noto, tale ordine prevede l'esame dapprima delle questioni pregiudiziali, poi
del merito della causa (art. 276, secondo comma); fra le prime, la precedenza
è accordata alle questioni relative alla giurisdizione e alla competenza, poi
alle pregiudiziali di rito, indi alle preliminari di merito, infine al merito
in senso stretto (art. 279, primo comma, nn. 1, 2 e 3). 5.14.3. La
previsione di un tale ordine non è mai stata ritenuta espressione della
imposizione di una sequenza obbligata dalla quale il giudice non possa
discostarsi in base alle esigenze volta a volta emergenti. Anche il più logico dei criteri assunti può dover essere adeguato alla fattispecie concreta dedotta in giudizio. Ne risulta confermata la
tesi secondo cui, se, in linea generale, è indubbio che le questioni
pregiudiziali (o impedienti o assorbenti) debbano essere esaminate prima di
quelle da esse dipendenti, i parametri operativi ben possono essere
molteplici, e quell'ordine è suscettibile di essere sovvertito. Tali
parametri sono costituiti dalla natura della questione, dalla sua idoneità
a definire il giudizio, dalla sua maggiore evidenza (c.d.
liquidità), dalla sua maggiore preclusività, dalla volontà
del convenuto. 5.14.4. Non è
questa la sede per indagare funditus sulle
formule pregiudizialità e preliminarità. E' sufficiente
distinguere, per quanto è qui di interesse, tra questioni riguardanti il
rito e questioni attinenti alla fattispecie sostanziale dedotta in giudizio, aventi
ad oggetto sia elementi estintivi, modificativi, impeditivi, sia elementi
relativi alla integrità della fattispecie stessa. La risoluzione delle prime è funzionale a eliminare gli impedimenti che si frappongono all'accertamento della fondatezza della domanda. Le seconde svolgono una funzione strumentale e preparatoria. 5.14.5. Sotto
tale profilo, la pregiudizialità delle
questioni processuali assume un significato diverso da quella delle questioni
di merito. La base positiva è offerta non soltanto dagli art. 187, secondo e
terzo comma, e La disposizione è riferita non solo alla ipotesi di rimessione in decisione ad istruttoria completa, ma anche a quella provocata da una questione preliminare di merito, se l'art. 189, secondo comma dispone che «la rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell'art. 187, secondo e terzo comma». La necessità di rispettare l'ordine delle questioni rito/merito ha, così, quale unica conseguenza la inammissibilità di un rigetto della domanda sia per motivi di rito che di merito: dall'avvenuta verifica della insussistenza del requisito processuale discende sempre l'impossibilità di pervenire anche ad una statuizione sul merito. 5.14.6. L'assunto della inossidabile primazia del rito rispetto al merito va
poi disatteso alla luce di una recente giurisprudenza di questa stessa Corte (ex aliis, Cass. ss.uu. 15122/2013),
evocativa del pensiero di autorevole dottrina. 5.14.7. Maggiore liquidità della questione
significa, in particolare, che, nell'ipotesi del rigetto della domanda,
occorre dare priorità alla ragione più evidente, più pronta, più piana, che
conduca ad una decisione indipendentemente dal fatto che essa riguardi il
rito o il merito. Alla base di tale criterio - inutile sottolinearlo ancora -
vi è un'evidente esigenza di una
maggiore economia processuale, poiché la sua applicazione consentirà di
ridurre l'attività istruttoria e quella di stesura della motivazione. Così riducendo i tempi del processo. 5.14.8. Maggiore predusività della questione
equivale a sua volta ad una migliore
economia processuale: tra più ragioni di rigetto della domanda, il
giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile (tra
un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il
giudice dovrebbe scegliere il secondo). 5.14.9. Volontà del convenuto sarà, di
regola, quella volta a ottenere una pronuncia di rigetto che sia quanto
più preclusiva di altri giudizi, al fine di non vedersi esposto alla
reiterazione di pretese da parte dell'attore, anche se tale regola conosce
una importante variabile, rappresentata proprio dalla 5.15. La rilevazione officiosa
della nullità da parte del giudice non è, quindi, soggetta ad alcun vincolo
preclusivo assoluto, quanto alla sua trattazione ed al relativo ordine che ne
consegue. 5.16. All'esito della ricognizione che precede, possono affermarsi i
seguenti principi: La nullità deve essere sempre oggetto di La nullità può essere sempre oggetto di L'espresso accertamento
contenuto nella motivazione della sentenza sarà idoneo a produrre, anche in
assenza di un'istanza di parte (domanda o accertamento incidentale) L'EFFETTO
DI GIUDICATO sulla nullità del contratto in mancanza di impugnazione sul
punto; La mancanza di qualsivoglia
rilevazione/dichiarazione della nullità in sentenza è idonea, in linee
generali ma non in via assoluta, e non
senza eccezioni — come di qui a breve si dirà —a costituire
GIUDICATO IMPLICITO SULLA VALIDITÀ DEL CONTRATTO. 6.
6.1.1.
La giurisprudenza di questa Corte, benché non sempre
consapevolmente, ne ha quasi sempre accomunate le sorti, anche se la sentenza
14828/2012, sia pur soltanto a livello di obiter
dictum, sembrò voler indicare, più pensosamente, la strada di una
possibile differenziazione 6.2. L'utilità
sistematica di una soluzione predicativa dell'omogeneità funzionale e di disciplina
tra tutte le azioni di impugnativa negoziale si desume, peraltro, dalla analisi dei rispettivi caratteri morfologici, da esaminarsi (anche) sul piano sostanziale, come emergerà dalle considerazioni che seguono. a) L'azione di
risoluzione 6.3. Con il revirement di cui a Cass. ss.uu.
14828/012 si ammette in via definitiva il potere/dovere del giudice di
rilevare d'ufficio la nullità in presenza di un'azione
di risoluzione contrattuale, e si mette a nudo il fraintendimento determinato in parte qua dalla pretesa violazione dei principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, valorizzando ad abundantiam, ma del tutto
opportunamente, il principio della collaborazione fra il giudice e le parti,
sostanzialmente prescritto dall'art. 183 IV comma, oltre che formalmente
indicato dall'art. 88 del codice di rito. 6.4. E'
convincimento del collegio che tale soluzione sia da confermare tout court, specificando che essa deve
ritenersi applicabile a tutte le ipotesi di risoluzione, e
non soltanto a quella per inadempimento, oggetto di esame nella sentenza del
2012. 6.4.1. La
rilevazione officiosa della nullità può, infatti, avere ingresso anche nel
giudizio avente ad oggetto la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, attesa la facoltà
alternativa di reductio ad aequitatem riconosciuta,
ex art. 1467 comma 3, al contraente interessato comunque alla conservazione
del contratto - reductio ovviamente
non consentita in ipotesi negozio nullo. La legittimità di tale rilevazione ex officio appare altrettanto necessaria in caso di domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, perché se è vero che si è comunque
in presenza di uno scioglimento di
diritto del contratto - onde l'automaticità dell'effetto ablativo/liberatorio dovrebbe indurre ad escludere la rilevabilità officiosa - , non è meno vero che l'accertamento della oggettività
ed inevitabilità dell'evento,
ovvero dell'eventuale parzialità della
sopravvenuta impossibilità, o ancora dell'eventuale necessità di
individuazione del momento della
specificazione e In tutti i casi di risoluzione contrattuale, inoltre, la incongruità di una soluzione che consenta la risoluzione di un contratto nullo e l'insorgere di un eventuale obbligo ancillare di risarcimento rispetto a un titolo inefficace ab origine impone di ritenere sempre e comunque rilevabile ex officio la nullità del negozio. 6.5. La
questione posta dall'ordinanza di rimessione in ordine al giudicato sulla non-nullità
negoziale merita, invece, una più approfondita riflessione, che
condurrà (si anticipa sin d'ora) ad una soluzione che, pur nel solco delle
argomentazioni svolte funditus dalla
sentenza del 14828/2012, in parte dovrà discostarsene. b) L'annullamento e la rescissione 6.6. Si pone al
collegio la ulteriore questione della necessità di procedere, o meno, ad una
radicale distinzione tra l'azione di
risoluzione e le azioni cd.
demolitorie del vincolo contrattuale rispetto alla rilevabilità ex officio della nullità negoziale. 6.6.1. La
stessa sentenza del 2012 mostra, difatti, di dubitare, non senza ragione,
della correttezza di una soluzione che estenda i principi adottati per I'
adempimento e la risoluzione anche a alle azioni di annullamento e di
rescissione. 6.6.2. La
questione è stata, come già ricordato, oggetto di rimessione a queste sezioni
unite. 6.6.3. L'ordinanza
interlocutoria n. 21083/2012 muove, difatti, dalla premessa secondo cui,
nella sentenza del 4 settembre 2012, n. 14828, si sarebbe con altrettanto nitore ravvisabile nel
caso di azione di annullamento. Aggiunge, in proposito, il collegio
remittente che alcuni autori, nell'indagare la tematica che ci occupa
e più in generale la funzione dell'azione di
nullità, hanno evidenziato che la rilevazione incidentale della nullità é
doverosa nei casi di azione per l'esecuzione o la risoluzione del contratto, ma non nel caso in cui siano allegati
altri vizi genetici, come avviene nell'azione
di annullamento. La relativa domanda non postula la validità del contratto,
sicché, sebbene la tradizione giurisprudenziale e dottrinale
dell'orientamento favorevole al rilievo d'ufficio apparenti le ipotesi di
risoluzione, annullamento e rescissione, andrà a suo tempo verificato se
sussistono i presupposti per questa equiparazione. Con la pronuncia del 2012 si ritenne opportuno - volutamente, nel rispetto della specifica quaestio facti concretamente posta alle sezioni unite della Corte - lasciare
impregiudicato il problema della estensibilità anche alle ipotesi di annullamento (o di rescissione) dei principi enunciati in tema di rapporti tra domanda di risoluzione e rilievo di ufficio della nullità del contratto, pur lasciando intendere che, con riferimento alle prime, il modello argomentativo adottato per la seconda non sarebbe stato facilmente replicabile. 6.6.4. Peraltro,
l'ordinanza interlocutoria sottolinea ancora come, nella giurisprudenza di
questa Corte, le ipotesi di risoluzione, annullamento o rescissione di un contratto siano state solitamente (quanto acriticamente e) accomunate tra loro, pur riferendosi la quasi totalità dei precedenti giurisprudenziali ad ipotesi in cui risultava proposta l'azione di risoluzione. Proprio alla luce di tale giurisprudenza, la precedente ordinanza interlocutoria, del 28 novembre 2011, n. 25151, cui aveva fatto seguito la sentenza 14828/2014,
indicò come più ampia questione da risolvere, rispetto a quella poi decisa, se la nullità del contratto possa essere rilevata d'ufficio non solo allorché sia stata proposta domanda di esatto adempimento, ma anche allorché sia stata
domandata la risoluzione, l'annullamento o la rescissione (equiparandosi alla
risoluzione lo scioglimento da parte del curatore ai sensi della legge fall.,
art. 72) del contratto stesso.
6.6.6. L'ordinanza interlocutoria esporrà ancora le principali ricostruzioni
dottrinali in materia: da quella secondo la quale nullità ed annullabilità
possono coesistere rispetto a una medesima fattispecie concreta, avendo
entrambe la stessa funzione di eliminare ex
tunc gli effetti negoziali (così che il giudice non potrebbe porre a base
della sua pronuncia un fatto impeditivo differente da quello dedotto dalla
parte senza cadere nella sostituzione d'ufficio della domanda proposta), a
quella per cui la perdurante efficacia fino alla pronuncia di annullamento,
dotata di effetto costitutivo, imporrebbe di ritenere che l'annullabilità sia
oggetto di un diritto potestativo. E l'utilità del suo esperimento verrebbe
meno, per mancanza dell'oggetto nell'ipotesi di nullità del negozio, senza
che sia possibile riscontrare una significativa differenza fra azione di
nullità ed azione di annullamento. In tale prospettiva, é stato ancora affermato che, per rispettare il principio della domanda, il giudice non potrebbe "dichiarare" la nullità con effetti di giudicato, ma solo rilevarla incidenter tantum. Viene infine riportata l'opinione secondo cui, mentre la validità e l'esistenza del contratto sono presupposti non solo da chi ne chiede l'adempimento, ma anche da chi ne domanda la risoluzione o la rescissione, la domanda di annullamento del contratto non ne presuppone tanto la validità, quanto l'inidoneità a produrre effetti, sicché la fattispecie dell'annullamento si differenzierebbe da tutte le altre azioni di impugnativa negoziale. 6.7.1 La
questione posta dall'ordinanza di rimessione 21083/012 evoca, dunque, le
perplessità sollevate incidenter tantum
dalla sentenza 6.7.1. In
particolare, si è sostenuto che la proposizione di un'azione a carattere
demolitorio (annullamento/rescissione) non consentirebbe il rilievo d'ufficio
della nullità, avendo essa stessa il
medesimo scopo di "annientamento" del contratto, ed avendo
l'annullamento e la rescissione ad oggetto l'azione stessa; precisandosi peraltro che, in tema di
rescissione, doveva darsi conto dell'esistenza di una peculiare ipotesi nella
quale si ammette il potere-dovere del giudice di procedere al rilievo
officioso della nullità, e cioè quella della nullità per violazione di norme
imperative con conseguente sostituzione della clausola invalida con quella
prevista per legge, ossia quando sia proprio la prima a determinare "le
condizioni inique" ex art. 1447, ovvero la sproporzione tra
prestazioni", ex art. 6.7.2. Altra
dottrina ha proposto una ulteriore distinzione tra azione di rescissione
(ritenuta omologabile quoad effecta a
quella di risoluzione) e domanda di annullamento, della quale si afferma,
viceversa, la incompatibilità con il rilievo officioso della nullità
contrattuale. In tema di rescissione - si osserva - l'art. 1450 c.c., attribuendo al convenuto il potere di evitare la caducazione dell'atto con l'offerta di una modificazione idonea a ricondurlo ad equità, finirebbe per garantire forza vincolante al contratto nullo. La differente disciplina della rilevabilità officiosa si fonderebbe, pertanto, sulla radicale differenza che, sul piano sostanziale, caratterizza il vizio che colpisce il contratto annullabile (il vulnus arrecato all'integrità del consenso) rispetto a quello rescindibile. 6.8. Entrambe
le tesi postulano, dunque, una ulteriore frammentazione funzionale delle
azioni di impugnativa negoziale. 6.8.1. Entrambe
le tesi tralasciano, però, di considerare l'esistenza di altre speculari
norme di sistema, il cui contenuto e la cui comune ratio non sembrano consentire la soluzione della irrilevabilità officiosa della nullità contrattuale in presenza di azioni di impugnativa negoziale diverse da quelle di adempimento e di risoluzione.
6.9. All'accoglimento
di una tesi improntata al criterio del distingue
frequenter, difatti, sembrano frapporsi ostacoli tanto di tipo
strutturale, costituiti
dall'esistenza un vero e proprio plesso di norme "di sistema", la
cui ratio appare del tutto omogenea
e del tutto analoga a quella dell'art. 1450 c.c., quanto di tipo
funzionale, destinati a spiegare influenza sulle conseguenze di un eventuale
predicato di non rilevabilità officiosa della nullità in presenza di una
domanda di annullamento e/o di rescissione. La questione da risolvere, difatti, non è il pregiudiziale accertamento della originaria efficacia dell'atto, una volta promossa l'azione di rescissione/annullamento, per le ragioni già esposte in ordine alla insoddisfacente ricostruzione delle impugnative negoziali come espressione di diritti potestativi. 6.9.1. Sul
piano strutturale, e circoscrivendo l'analisi allo stretto ambito codicistico,
gli ostacoli alla teoria della frammentazione sono costituiti, oltre che dall'art.
1450, dagli artt. 1432 e 1446 c.c. (a tacere dell'art. 1815 II comma
c.c., norma, peraltro, specificamente settoriale dettata in tema di nullità
parziale). Le disposizioni in parola costituiscono l'esatto pendant dell'art. 1467 c.c., dettato in tema di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. E se appare comunemente assurdo ritenere che il convenuto in un giudizio risolutorio possa evitare la caducazione del contratto nullo offrendo di modificarne equamente le relative condizioni, è altrettanto impensabile che questo possa accadere per un negozio rescindibile o annullabile. L'art. 1450 dispone: il contraente contro il quale è domandata
la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del
contratto sufficiente per ricondurlo ad equità. E' appena il caso di aggiungere che, in entrambe le ipotesi, tale offerta può intervenire tanto in via stragiudiziale, prima che un'azione di rescissione/annullamento sia stata introdotta dinanzi al giudice, quanto in sede giudiziaria, banco iudicis e a lite in corso. Pur in assenza di una disposizione analoga al § 143 del BGB (secondo la quale l'effetto di annullamento è ricollegato all'atto di parte anziché alla pronuncia del giudice), sarà comunque la parte a porre fine alla controversia e ad ogni possibile accertamento sulla nullità del contratto. L'art. 1446 recita: nei contratti plurilaterali
l'annullabilità che riguarda il vincolo di una sola delle Darti non importa
annullamento del contratto, salvo che la partecipazione di questa debba,
secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Di tali disposizioni appaiono indiretto, ma significativo corollario l'art. 1430, che prevede la rettificabilità del negozio viziato da errore di calcolo, e /'art. 1440, dettato in tema di dolo incidente per l'ipotesi in cui i raggiri non siano stati determinanti del consenso, con obbligo di risarcimento dei danni per il contraente in mala fede. 6.9.3. Quanto alle
residue ipotesi di annullabilità (dolo causam dans,violenza morale, incapacità), le disposizioni
contenute negli artt. 1434, 1435, 1436, 1437, 1438, 1439 sono tali da imporre
una serie di accertamenti di fatto che
potrebbero risultare assai complessi e defatiganti (il carattere ingiusto e
notevole del male minacciato; le qualità e le condizioni soggettive del
minacciato; la provenienza e la rilevanza della violenza diretta contro terzi
diversi dai prossimi congiunti; la rilevanza determinante e non soltanto
incidente dei raggiri; gli artifici usati dal terzo a beneficio del deceptor e la loro necessaria
conoscenza da parte di quest'ultimo; le cause e l'entità dello stato
temporaneo e transeunte di incapacità), ma che perderebbero ipso facto ogni rilevanza processuale
una volta rilevata de plano la
eventuale nullità del contratto ex art. 1421 c.c. 6.9.4. Le
disposizioni di legge poc'anzi citate costituiscono un vero e proprio
sottosistema normativo, sicuramente omogeneo, la cui univoca ratio Ciò in evidente sintonia con quanto previsto in costanza di giudizio di risoluzione per inadempimento o eccessiva onerosità sopravvenuta. Se il potere di
paralizzare l'azione di annullamento o di rescissione attraverso l'offerta banco iudicis di una efficace reductio ad aequitatem del contratto è
destinato a stabilizzarne definitivamente l'effetto
negoziale non prohibente iudice (o
addirittura nell'inerte silenzio del giudice!), la originaria nullità di
quella convenzione deve porsi, invece, in termini assolutamente impeditivi
del perdurare di un effetto mai nato, e come tale irredimibilmente ostativo
all'attuazione dell'originario programma contrattuale. Se al giudice fosse impedito l'esercizio del proprio potere officioso ex art. 1421 c.c., difatti, la reductio ad aequitatem si risolverebbe nella definitiva stabilizzazione dei (non) effetti dell'atto, in guisa di sanatoria negoziale diversa dalla conversione, che resta invece l'unica forma di possibile "sanatoria" di un negozio nullo. Né vale obiettare che, in un successivo giudizio, la nullità di quel negozio potrebbe sempre essere fatta autonomamente valere. A tacere dei differenti effetti in tema di trascrizione e di diritti dei terzi, di cui è cenno in precedenza, tale soluzione sarebbe in insanabile contraddizione con quanto sinora si è andato esponendo sul tema dell'oggetto del processo, dei valori funzionali ad esso sottesi, della stabilità ed affidabilità delle decisioni giudiziarie. 6.9.5. Sul
piano funzionale, un ulteriore e non meno rilevante coacervo normativo si
erge ad ostacolo insuperabile per la teoria della frammentazione. L'art. 1443 dispone che, se il contratto è annullato per incapacità
di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all'altro la
prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo
vantaggio; L'art. 1444 prevede che il
contratto annullabile possa essere
convalidato dal contraente al quale spetta l'azione di annullamento mediante
un atto che contenga la menzione del contratto, del motivo di annullabilità e
la dichiarazione che si intende convalidarlo; disposizioni, la differenza tra una pronuncia costitutiva di
Ben diverso,
esemplificativamente, sarà il comportamento processuale della parte che,
proposta domanda di annullamento del contratto, dubitando dello spessore
delle prove addotte, si determini nel corso del giudizio a convalidare il
negozio, rispetto a quello conseguente alla rilevazione officiosa della
nullità di quel medesimo contratto - rilevazione cui seguirà, con ogni
probabilità, la domanda di accertamento, principale o incidentale ex art. 34,
con definitivo tramonto di ogni intento di convalida di un atto
insanabilmente inefficace. Ancor più dissimili saranno le conseguenze di una sentenza che abbia accertato la nullità di un contratto contrario a buon costume del quale sia stata chiesta la rescissione perché concluso in stato di pericolo, con conseguente esclusione del diritto ad equo indennizzo. 6.9.6. La
questione va ulteriormente considerata, quoad
effecta, in relazione alle diverse declaratorie e ai diversi accertamenti
contenuti nella sentenza rispetto ai terzi acquirenti, che vedranno fatti
salvi i diritti acquisiti in caso di pronuncia di annullamento, ma non di
nullità, e in relazione alle azioni risarcitorie conseguenti al tipo di
pronuncia adottata. Se il giudice condannasse il convenuto al risarcimento
del danno conseguente alla pronuncia di annullamento/rescissione, egli non
farebbe che dare diverso vigore, sia pure soltanto sotto il profilo
risarcitorio, al contratto nullo, in spregio all'art. 1421 c.c.. 6.9.7. La
diversità degli effetti restitutori rispettivamente derivamenti
dall'accoglimento di una domanda di annullamento e di una domanda di nullità
si colgono poi con riferimento ai rapporti di durata: nel primo caso, e non
nel secondo, difatti, le prestazioni eseguite saranno irripetibili (un
contratto di locazione del quale si chiede l'annullamento o la rescissione,
se dichiarato nullo, obbligherà il locatore alla restituzione dei canoni, 6.10. Le azioni
di impugnativa negoziale sono, pertanto, disciplinate da un plesso normativo
autonomo e omogeneo, del tutto incompatibile, strutturalmente e
funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale. Ogni
ipotesi di limitazione posta alla rilevabilità officiosa della nullità deve,
pertanto, essere definitivamente espunta dall'attuale sistema processuale con
riguardo a tutte le azioni di impugnativa negoziale. 6.10.1. La soluzione risulta del tutto omogenea a quella più volte adottata da
questa stessa Corte di legittimità in ordine alla possibilità per il giudice
cui venga richiesta la declaratoria di nullità di un contratto di
pronunciarne invece l'annullamento sulla base dei medesimi motivi addotti
dalla parte a fondamento della propria azione, in forza del rilievo che, in
tal caso, si tratterebbe di un mero adeguamento riduttivo della domanda
(Cass. 1592/1980; 6139/1988; 11157/1996). Se è lecito discorrere di
adeguamento riduttivo della domanda sulla base dei medesimi fatti, non meno
legittimo è riconoscere il principio della rilevabilità officiosa della
nullità per evitare che di un contratto inefficace ab origine si discorra, comunque, in seno al processo, in termini
di efficacia caducabile, con le conseguenze sinora esaminate. 6.10.2. Premessa
la omogeneità funzionale di tutte le azioni di impugnativa
negoziale, e indipendentemente dalla bontà della tesi dell'assorbimento della
annullabilità nella quaestio
nullitatis, è innegabile che le due fattispecie si trovino in una
relazione reciprocamente conflittuale, che ne esclude qualsivoglia
coesistenza o concorrenza. Al di là delle discussioni circa la
validità/invalidità dell'atto annullabile (del quale va senz'altro
riaffermata la duplice dimensione di invalidità/efficacia caduca bile), quel
che appare incontestabile è che l'atto annullabile sia produttivo di effetti,
e che presupposto necessario della fattispecie dell'annullabilità sia proprio
l'esistenza e la produzione di effetti negoziali eliminabili ex tunc. 6.10.3. Appare
legittimo l'approdo a una ricostruzione unitaria della
fattispecie del negozio ad efficacia eliminabile, che comprende tanto negozi
invalidi ma temporaneamente efficaci (il contratto annullabile e 6.11. Va
pertanto affermato il principio secondo il quale la rilevabilità ex officio della nullità va estesa a
tutte le ipotesi di azioni di impugnativa negoziale - senza per ciò
solo negarne le diversità strutturali, che le distinguono sul piano
sostanziale (adempimento e risoluzione postulano l'esistenza di un atto
morfologicamente valido, di cui si discute soltanto quoad effecta, rescissione e annullamento presuppongono una
invalidità strutturale dell'atto, pur tuttavia temporaneamente efficace). 6.12. L'impugnativa negoziale trova, in definitiva, la sua comune Grundlage, e cioè il suo fondamento di
base, nell'assunto secondo cui, non
sussistendo ragioni di nullità, il giudice procede all'esame della domanda di
adempimento, esatto adempimento risoluzione, rescissione, annullamento,
scioglimento dal contratto ex art. c) La nullità
diversa da Quella invocata dalla parte 6.13. Il duplice quesito posto a queste sezioni unite dalle due ordinanze di
remissione più volte ricordate non ricomprende esplicitamente la fattispecie
del rilievo ope iudicis di una
causa di nullità diversa da quella originariamente prospettata dalla parte
con la domanda introduttiva. 6.13.1. Esplicite
(e legittime) istanze di precisazioni in merito provenienti dalla dottrina,
evidenti esigenze sistematiche, innegabili ragioni di completezza
argomentativa sul tema delle impugnative negoziali inducono, peraltro, il
collegio all'analisi di questa ulteriore tematica. 6.13.2. La giurisprudenza di questa Corte appare, sul punto, ampiamente
consolidata (con l'isolata eccezione di cui a Cass. 4181/1980, in
motivazione) nel senso dell'impossibilità
per il giudice di procedere al rilievo officioso di un motivo di nullità diverso da quello fatto valere dalla
parte (ex multis, Cass. 11157/1996,
89/2007, 14601/2007, 28424/2008, 15093/2009, 11651/2012). E' stato evidenziato al riguardo come tale orientamento si fondi sulla riconducibilità dell'istanza di declaratoria della nullità alla categoria delle domande (relative a diritti) eterodeterminate.
Si osserva che la sentenza dichiarativa della nullità di un contratto per un motivo diverso da quello allegato dalla parte corrisponde pur sempre alla domanda originariamente proposta, sia per causa petendi (l'inidoneità del contratto a produrre effetti a causa della sua nullità), sia per petitum (la declaratoria di invalidità e di conseguente inefficacia ab origine dell'atto). Si aggiunge che le domande aventi ad oggetto una questio nullitatis postulano l'accertamento negativo dell'esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, onde nessun mutamento sarebbe predicabile in relazione alle singole cause di nullità che l'attore possa dedurre. Si precisa infine che, a fronte di una domanda di accertamento e declaratoria di nullità del contratto, sussiste sempre l'imprescindibile potere-dovere del giudice di rilevare anche d'ufficio i diversi motivi di nullità non allegati dalla parte ex art. 1421 c.c., poiché il rilievo non avrà più ad oggetto una eccezione, ma un ulteriore titolo della domanda, in forza del quale essa potrà trovare legittimo accoglimento a condizione che la diversa causa di nullità emerga dalle rituali allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti. 6.13.4. La
domanda di nullità sarebbe pertanto unica rispetto ai diversi,
possibili vizi di radicale invalidità che affliggono il negozio: così, la
doglianza dell'attore volta all'accertamento di un difetto di causa non
esclude che, accertatane la validità sotto quel profilo, il contratto risulti
poi patentemente nullo per difetto di forma. E la rilevazione ex officio di tale vizio non contrasterebbe né con l'originario petitum (la domanda di declaratoria di nullità negoziale) né con la causa petendi (il contratto di cui si assume la nullità). 6.13.5. Al
giudice cui sia stata proposta la corrispondente istanza dovrebbe pertanto
essere riconosciuto il potere-dovere di accertare tutte le possibili ragioni
di nullità, non soltanto quella indicata dall'attore, anche in ragione della ratio sottesa alla fattispecie
invalidante. 6.13.6. La domanda di accertamento della nullità negoziale si presta allora,
sul piano dinamico-processuale, a un trattamento analogo a quello
concordemente riservato alle domande di accertamento di diritti
autodeterminati, inerenti a situazioni giuridiche assolute, anch'esse
articolate in base ad un solo elemento costitutivo. Il giudizio di
nullità/non nullità del negozio (il thema
decidendum e il correlato giudicato) sarà, così, definitivo e a tutto
campo indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti
valere dall'attore. 6.14. La
soluzione opposta condurrebbe, sul piano processuale, a conseguenze assai
problematiche. L'eventuale giudicato di rigetto della domanda di nullità comporterebbe, difatti, l'accertamento della non-nullità del contratto, con conseguente preclusione di ulteriori azioni di nullità di quel rapporto negoziale sulla base di diversi profili, con il conseguente delinearsi di una (inammissibile) forma di sanatoria indiretta erga omnes di un contratto nullo, ma non più accertabile come tale. La diversa soluzione della proponibilità in altro processo di una diversa questione di nullità è ancora una volta destinata ad infrangersi sulle argomentazioni sinora svolte in tema di valori funzionali del processo e del suo oggetto, e di esigenze di concentrazione e stabilità delle decisioni giudiziarie. La domanda di
accertamento della nullità del contratto ha ad oggetto, in definitiva, l'accertamento
negativo dell'esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, così che
il giudicato di rigetto di tali domande accerta la non nullità del negozio,
la conseguente (non in)esistenza del rapporto, e preclude qualsiasi nuova
azione di nullità di quel negozio sotto ogni ulteriore profilo.
Quest'ultimo, evocato
in giudizio per l'adempimento del contratto, potrebbe difendersi tanto
eccependo l'avvenuto adempimento, ovvero l'inadempimento della controparte,
quanto l'esistenza di una specifica causa di nullità che il giudice reputi
infondata a fronte di una conclamata diversa causa di nullità. In tutti
questi casi, e segnatamente in quest'ultimo, il differente vizio di nullità
sarebbe rilevabile in via officiosa, trattandosi di eccezione in senso lato, con
evidente quanto ingiustificata disparità del trattamento riservate all'attore
e al convenuto parti rispetto ad una medesima species facti. 6.15. Non pare condivisibile la pur seria obiezione di chi, paventando nella
rilevazione officiosa di una causa diversa di nullità una inammissibile
sostituzione del giudice all'impostazione difensiva della parte "che,
per scelta tattica o strategica, o soltanto per errore, abbia fatto valere
una causa di nullità, in ipotesi infondata, in luogo di un'altra invece
sussistente": l'aporia di una nullità contrattuale non più accertabile
non pare superabile impedendo poi all'altra parte, che avanzi una successiva
pretesa fondata su quel contratto (nullo ma non dichiarato tale nel
precedente giudizio), di agire in giudizio sulla base di una inammissibilità
della domanda per abuso del diritto. Proprio la preclusione all'intervento officioso imposta al giudice impedisce, in fatto, di ravvisare nella specie un'ipotesi di abuso dello strumento del processo, se nel precedente processo il thema decidendum sia stato confinato all'accertamento della causa di nullità dedotta dall'attore. 6.15.1. Né pare vulnerato il diritto di difesa del convenuto (del quale
autorevole dottrina paventò, in passato, il rischio "dello spiazzamento
delle difese"), volta che, rilevata dal giudice la diversa questione di
nullità, alle parti sarebbe accordato tutto lo spazio difensivo conseguente a
tale rilevazione, e ciò sino alla riserva in decisione della causa da parte
del giudice alla luce dell'armonica architettura processuale oggi disegnata
dagli art. 183 e 101 c.p.c. proprio in funzione della piena esplicazione del
contraddittorio.
Con quella pronuncia si specificò che, eccepita dalla parte una determinata tipologia di prescrizione, non è precluso al giudice rilevarne un tipo diverso, senza che a ciò fosse di ostacolo la sua natura di eccezione in senso stretto, a condizione che fosse stato attivato il contraddittorio. Il fondamento di tale decisione apparve proprio l'esatta individuazione dell'oggetto del processo, vale a dire la (invocata estinzione della) situazione sostanziale fatta valere dalla controparte, della quale il convenuto chiedeva, al di là ed a prescindere dal tipo di prescrizione invocata, una declaratoria di definitiva estinzione dell'intero rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 6.15.3. Appare altresì consonante con tali principi l'opzione di queste
sezioni unite in tema di usi bancari e
di anatocismo di cui alla già citata sentenza n. 21095 del 2004, ove si
legge che l'eventuale difesa del convenuto finalizzata a rilevare determinati
profili di nullità, o a non individuarne affatto, non preclude il
potere officioso del giudice di indagare e dichiarare, sotto qualsiasi
profilo, la nullità del negozio (nel medesimo senso, ancora, in tema di
abusivo riempimento di moduli da parte della banca quanto alle dichiarazioni
di aumento delle fideiussioni, Cass. 17257/2013). 6.15.4. Va
pertanto affermato il principio della legittimità del rilievo officioso
del giudice di una causa diversa di nullità rispetto a quella sottoposta al
suo esame dalla parte. 6.16. Il potere
di rilevazione officioso del giudice deve essere altresì valutato in
relazione alla fattispecie della nullità parziale. 6.16.1. La
prevalente giurisprudenza di questa Corte ha sempre adottato, in materia, un
orientamento fortemente restrittivo, affermando la eccezionalità dell'effetto
estensivo della nullità della singola clausola all'intero negozio (tra le
altre, Cass. 16017/2008, 27732/2005, 1189/2003, 4921/1980), e specificando
che la pronuncia dichiarativa della nullità dell'intero contratto, a fronte
di una domanda che miri all'accertamento della nullità della singola
clausola, incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione, essendo specifico onere
della parte che abbia interesse ad una declaratoria di nullità tout court A fronte di tale pressoché unanime orientamento si pone il dictum di cui a Cass. 18 gennaio 1988 n. 32, che, in tema di collegamento negoziale, ha ritenuto applicabile ai contratti collegati la disposizione di cui all'art. 1419 cod. civ., per modo che la nullità parziale del contratto o la nullità di singole clausole di un contratto importa la nullità dei vari contratti collegati, nullità che può essere rilevata d'ufficio, allorché sia stato accertato il collegamento funzionale tra i negozi stessi. 6.16.2. Anche
su questo punto, parte della dottrina mostra di dissentire dalla quasi
unanime giurisprudenza. 6.16.3. Si è
difatti osservato che, sul piano dei principi, la formulazione dell'art. 1419
comma 1 c.c. non consente di desumere una regola generale dell'ordinamento
volta a privilegiare la nullità parziale. 6.16.4. Si sono
così indicati due essenziali criteri cui ancorare l'eventuale attività
officiosa del giudice: Il criterio della volontà ipotetica volto alla
ricostruzione del probabile e presumibile intento dei contraenti, tenuto
conto dell'id quod plerumque accidit, se
essi avessero saputo che una parte del negozio era priva di efficacia; Il criterio del giudizio oggettivo di buona fede
(prevalente in altri ordinamenti europei, come quello inglese, dove vige la
cd. blue pencil rule, secondo cui
le parti nulle di una convenzione devono poter essere cancellate con un
semplice tratto di matita affinché il contratto possa essere conservato), che
postula un'attività di tipo controfattuale da parte del giudice volta ad
accertare se il vigore del regolamento parziale sia coerente con il modello
distributivo di oneri e vantaggi su cui i contraenti avevano consentito, o
se, al contrario, la caducazione di parte dell'accordo provochi una tale
alterazione dell'economia del contratto che il mantenimento e l'esecuzione
del residuo comporterebbero conseguenze obbiettivamente non riconducibili al
disegno dell'autonomia privata, attraverso un giudizio di compatibilità tra
quanto ancora attuabile e quanto inizialmente convenuto e programmato dalle
parti. 6.16.5. A
giudizio del collegio, le critiche non colgono nel segno, anche se le
conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità non possono E' innegabile che entrambi i criteri suggeriti dalla dottrina assegnerebbero al giudice un compito assai arduo, sovente inattuabile. E' altresì innegabile che quel che rileva, nella specie, è la diversità strutturale del petitum rivolto al giudice: un petitum evidentemente volto alla conservazione e non alla dichiarazione di inefficacia/inesistenza degli effetti negoziali. Ma tali legittime considerazioni - che hanno indotto la giurisprudenza di questa Corte a escludere l'ammissibilità di un potere officioso del giudice vanno inscritte nella più vasta orbita della dissonanza e della diacronia tra rilevazione e dichiarazione-idoneità all'effetto di giudicato della nullità negoziale. Non v'è, difatti, alcun motivo, sul piano normativo, né letterale né logico, per escludere il potere della (sola) rilevazione officiosa di una nullità totale da parte del giudice nell'ipotesi in cui le parti discutano invece della nullità della singola clausola negoziale. E appare probabile che, all'esito di tale rilevazione, una delle parti formuli domanda di accertamento di nullità totale dell'atto secondo le modalità indicate dagli art. 183 e 101 c.p.c. L'ipotesi residuale, per
cui entrambe le parti insistano nella originaria domanda di accertamento di
una nullità soltanto parziale del contratto, vedrà il giudice vincolato ad
una pronuncia di rigetto della domanda, poiché, al pari della risoluzione,
della rescissione e dell'annullamento, non può attribuire efficacia, neppure
in parte - fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale -
una (parte di) negozio radicalmente nullo. 6.17. L'ipotesi speculare - quella secondo cui, chiesta dalle
parti la declaratoria di nullità totale del contratto,
il giudice potrebbe dichiarare la nullità parziale senza
incorrere in un vizio di ultrapetizione: così Cass. 16017/2008 - si presta a
non difformi conclusioni. 6.17.1. Premessa
la condivisibilità delle critiche mosse alla soluzione adottata con la citata
sentenza - in ragione della diversità
della tutela richiesta, volta che la nullità totale comporta un effetto dichiarativo di caducazione del rapporto
negoziale e dei suoi effetti, mentre quella parziale con il petitum attoreo - , va peraltro osservato come, anche in questo caso, il potere-dovere del giudice si limiti alla rilevazione di una fattispecie di nullità parziale, lasciando poi libere le parti di mantenere inalterate le domande originarie. Ma è del tutto evidente che, confermate in sede di precisazione delle conclusioni le domande di nullità totale, non sarà in alcun modo consentito al giudice, attraverso
l'emanazione di una non richiesta sentenza "ortopedica", una
inammissibile sovrapposizione del proprio decisum
alla valutazione e alle determinazioni dell'autonomia privata espresse in
seno al processo. 6.18. A non
dissimili conclusioni deve pervenirsi in tema di conversione del negozio
nullo. Si è di recente ritenuto di offrire risposta positiva alla questione della relativa rilevabilità officiosa, sostenendosi che, ove il giudice dichiari la nullità del contratto, le parti resterebbero spogliate della facoltà di avvalersi dell'art. 1424 c.c., vedendosi così precluso il risultato di conseguire l'assetto di interessi dapprima divisato. 6.18.1. L'argomentazione,
pur suggestiva, non può essere condivisa. I poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale, difatti, non possono estendersi alla rilevazione (non più di un vizio radicale dell'atto, ma anche) di una possibile conversione del contratto in assenza di esplicita domanda di parte. E' decisivo, in tal
senso, il dato testuale dell'art. 1424 c.c., a mente del quale il contratto
nullo può (non deve) produrre gli effetti di un contratto diverso. La rilevazione della eventuale conversione, difatti, esorbiterebbe dai limiti del potere officioso di rilevare la nullità (i. e. di rilevare la inattitudine genetica dell'atto
alla produzione di effetti), ma si estenderebbe, praeter legem, alla rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione
negoziale. Soluzione del tutto
inammissibile, in mancanza di un'istanza di parte, poiché in tal caso è di
una dimensione di interessi soltanto individuali che si discorre,
diversamente che per la nullità tout
court (in tal senso, Cass. * 7. I POTERI DEL
GIUDICE NELLE AZIONI DI IMPUGNATIVA NEGOZIALE 7.1. I rapporti tra nullità negoziale ed
impugnative contrattuali Il giudice ha l'obbligo di RILEVARE sempre
una causa di nullità negoziale; Il giudice, dopo
averla rilevata, ha la facoltà di
DICHIARARE nel provvedimento decisorio sul merito la nullità del negozio
(salvo i casi di nullità speciali o di protezione rilevati e indicati alla
parte interessata senza che questa manifesti interesse alla dichiarazione), e
RIGETTARE Il giudice deve
RIGETTARE la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento
SENZA RILEVARE - NÉ DICHIARARE l'eventuale nullita, se fonda la decisione
sulla base della individuata
ragione più liquida: non essendo stato esaminato, neanche incidenter
tantum, il tema della validità del
negozio, non vi è alcuna questione circa (e non si forma alcun giudicato
sulla nullità; Il giudice DICHIARA Il giudice DICHIARA In appello e in
Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo
grado, il giudice HA SEMPRE FACOLTÀ DI RILEVARE D'UFFICIO * 7.2.Va infine
osservato, prima di ricostruire attraverso un più articolato schema sinottico
le varie ipotesi che possono verificarsi nel giudizio di primo grado, come la
rilevabilità officiosa delle eccezioni in senso lato risulti posta in
funzione di una concezione del processo che solo un'analisi superficiale può
ritenere "eccessivamente pubblicistica", e che invece, più
pensosamente, fa leva sul valore della giustizia della decisione. 7.3. Il PROCESSO
DI PRIMO GRADO A - RILEVAZIONE EX
OFFICIO DELLA NULLITA' DA PARTE DEL GIUDICE Od. 183 IV comma-art. 101 II
comma c.p.c.) 1) A seguito della rilevazione officiosa del giudice: La parte PROPONE DOMANDA di accertamento della nullità del contratto (in via principale ovvero incidentale); Il giudice ACCERTA e statuisce sulla nullità del contratto L'accertamento è idoneo al giudicato sulla nullità negoziale; 2) A seguito (e a dispetto) della rilevazione officiosa del giudice: le parti NON PROPONGONO DOMANDA DI ACCERTAMENTO DELLA
NULLITA', secondo un'ipotesi è definita, nella sentenza 14828/012 e da parte
della dottrina, "soltanto residuale", ma comunque meritevole di
esame al fine di una complessiva disamina della questione, pur senza
ricorrere ad ipotesi di scuola (è il caso dell'attore adempiente per aver
versato in toto il corrispettivo in
denaro di una compravendita, il quale, nonostante la rilevata nullità,
insiste nella domanda di risoluzione per ottenere, oltre alla restituzione
della res, anche il risarcimento
dei danni; ovvero del le parti chiedono al giudice, in sede di precisazione
delle conclusioni, di pronunciarsi SULLA SOLA DOMANDA ORIGINARIA; In
dispositivo, il giudice RIGETTA - In motivazione, il giudice DICHIARA di aver fondato il rigetto sulla rilevata nullità negoziale; L'accertamento/dichiarazione della nullità è idoneo alla formazione del giudicato, in sostanziale applicazione (peraltro estensiva) della teoria, di matrice tedesca, del cd. vincolo al motivo portante - possono citarsi, in proposito, i classici esempi della compravendita che non potrà ritenersi esistente rispetto all'obbligo di consegnare la cosa al compratore quando il diritto del venditore al prezzo sia stato negato in conseguenza della (rilevata e) dichiarata nullità del contratto (e viceversa); ovvero della locazione, che, parimenti, non potrà riconoscersi ai fini del pagamento del canone quando il diritto alla consegna della cosa sia stato negato in conseguenza della (rilevata e) dichiarata nullità del contratto. Il vincolo del motivo portante, peraltro, se si ammette che, in motivazione, il giudice possa, in modo non equivoco, affrontare e risolvere, dichiarandola, la tematica della validità/nullità del negozio, non si limiterà ai soli segmenti del rapporto sostanziale dedotti in giudizio in tempi diversi, ma si estenderà a tutti i successivi processi in cui si discuta di diritti scaturenti dal contratto dichiarato nullo (onde la necessità di discorrere di oggetto del processo non soltanto in termini di rapporto, ma anche di negozio fatto storico/fattispecie programmatica). Si evita così il (non agevole) riferimento ai "diritti
La sostanziale differenza dell'ipotesi in esame rispetto ad un accertamento pieno iure della nullità negoziale si coglie sotto (il già indagato) aspetto della trascrizione e della (in)opponibilità ai terzi dell'effetto di giudicato: l'attore che voglia munirsi di un titolo utile a tali fini dovrà, difatti, formulare, in quello stesso processo, una domanda di accertamento, in via principale o incidentale, della nullità come rilevata dal giudice. 3) A seguito della rilevazione officiosa del giudice di una nullità speciale: le parti NON PROPONGONO DOMANDA DI ACCERTAMENTO DELLA NULLITA' e chiedono al giudice di pronunciarsi sulla domanda originaria; - Il giudice RIGETTA (O ACCOGLIE) Non v'è accertamento della nullità speciale nella sentenza, dunque non si pone alcun problema di giudicato, attesa la peculiare natura della nullità; 4) A seguito della
rilevazione officiosa del giudice: le parti NON PROPONGONO DOMANDA DI ACCERTAMENTO DELLA NULLITA' e chiedono al giudice di pronunciarsi sulla domanda originaria; Il giudice ACCOGLIE
B - MANCATA RILEVAZIONE EX OFFICIO DELLA NULLITA' DA
PARTE DEL GIUDICE Il giudice ACCOGLIE Il giudice RIGETTA Il giudice RIGETTA Il giudice RIGETTA 7.4. Le
soluzioni adottate dal collegio sul tema dei rapporti tra rilevazione
officiosa della nullità e azioni di impugnativa negoziale offrono implicita
risposta all'ulteriore quesito posto alla Corte dall'ordinanza di rimessione
16630/2013 circa la portata dell'onere di conformazione gravante sulle
sezioni semplici ai sensi del novellato art. 374 comma 3 c.p.c., onere che
deve ritenersi limitato all'applicazione del solo principio di diritto posto
a fondamento del decisum delle
sezioni unite e che costituisce la ratio
decidendi della fattispecie concreta, senza estendersi a tutte le
ulteriori argomentazioni svolte in guisa di obiter dictum o comunque contenute nella parte motiva della
sentenza. 7.5. Il caso di
specie rientra nell'ipotesi sopra considerata sub B — 2. 7.5.1. Ne
consegue l'impredicabilità dell'effetto di giudicato conseguente alla
pronuncia sulla domanda di risoluzione del contratto di rendita vitalizia,
fondata sulla ragione più liquida senza che il giudice abbia, in motivazione,
né rilevato né dichiarato la nullità del negozio. 7.5.2. Ne
consegue il rigetto del quarto motivo del ricorso principale, non
emergendo dagli atti di causa - cui * 8. Tutti i
restanti motivi del ricorso principale devono essere respinti. 8.1. Va
preliminarmente dichiarata la inammissibilità del terzo motivo di ricorso,
con il quale viene oggi riproposta al collegio una censura già esaminata e
dichiarata inammissibile (onde l'effetto di giudicato) da questa Corte
regolatrice con la sentenza 10049/2008 (si tratta della doglianza relativa alla
asserita nullità del processo e della sentenza per non avere il GOA
dichiarato in primo grado l'estinzione del giudizio a motivo della tardiva
costituzione dell'erede Sandi dopo la morte della sua dante causa); 8.2. Del pari
inammissibile (prima ancora che palesemente infondato nel merito) risulta il
sesto motivo del ricorso, con il quale viene censurata la
sentenza emessa in sede di rinvio, nel contempo, per un vizio di omessa pronuncia da parte del
giudice di appello (poiché la corte lombarda aveva ritenuto assorbito il
sesto motivo di appello in quanto relativo a temi correlati alla domanda di
annullamento del contratto di rendita vitalizia), per un difetto di ultrapetizione (per avere il giudice bresciano
pronunciato su di una causa di nullità non prospettata dall'attrice), ed
ancora, nello svolgimento del motivo, per una pretesa insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e ciò in
spregio alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che, in subiecta materia, ha evidenziato in
più occasione la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di
ricorso, di censure caratterizzate da tale, irredimibile eterogeneità. 8.3. Infondato appare il primo motivo di ricorso,
con il quale si denuncia una pretesa violazione, da parte della Corte territoriale,
del principio di intangibilità della sentenza di annullamento con rinvio
pronunciata da questo giudice di legittimità nel 2008. Ma nessun
fraintendimento del contenuto del dictum
di legittimità risulta nella specie imputabile ai giudici del rinvio, che
hanno correttamente interpretato il senso di quella decisione in termini di
necessità di un nuovo e irrinunciabile accertamento del requisito dell'alea 8.4. Del pari
immeritevole di accoglimento (pur volendo prescindere dai non marginali
profili di inammissibilità che lo caratterizzano, attesa la rinnovata coesistenza
di plurime ed eterogenee censure, che denunciano presunte violazione di legge
insieme con asseriti vizi strettamente motivazionali) risulta il
secondo motivo di ricorso, e ciò tanto nella parte in cui esso
ripropone (infondatamente) la questione del preteso giudicato interno
scaturente dalla già ricordata pronuncia di questa Corte del 2008 sotto il
profilo dell'accertamento del rischio nel contratto di vitalizio, quanto in
quella con cui pone questioni di ermeneutica contrattuale che non colgono nel
segno, avendo il giudice di merito fatto buon governo dei principi posti a
presidio dell'attività interpretativa dei contratti. Il motivo, sì come
articolato, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un
decisivo difetto di motivazione, si risolve, in realtà, nella (non più
ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai
definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi
dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il
profilo di cui all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. nella parte in cui il giudice del
merito ha (del tutto correttamente) ritenuto di riesaminare il merito della
causa secondo le indicazioni ricevute dalla sentenza di legittimità, si
induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze
procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale,
muovendo così all'impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perché
la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle
fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono
apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il
quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della In particolare, poi, quanto allo specifico profilo
dell'interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al
contenuto del complesso tessuto negoziale per il quale è processo, alla luce
di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice va in
questa sede ribadito che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato
di legittimità non può 8.5. Infondato risulta ancora il quinto motivo di ricorso - con
il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 c.c.,
99, 100, 115, 116, 214, 215, 221 c.p.c., 1326, 1362 ss., 1704, 1722, 1723
c.c., e la nullità della sentenza impugnata per omessa, insufficiente,
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - avendo 8.6. Il settimo motivo di ricorso risulta,
infine, assorbito dalla integrale compensazione delle spese dell'intero
procedimento disposta in questa sede P.Q.M.
|
||
|