Aggiornamento - Civile |
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI -
sentenza 4
settembre 2012 n. 14828, sulla
rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto e sulla efficacia di
giudicato della stessa SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO 1) La controversia giunge all'esame
delle Sezioni Unite perchè involge la questione,
controversa in dottrina e giurisprudenza, relativa alla rilevabilità
d'ufficio della nullità del contratto nell'ambito di
una causa promossa per la risoluzione del contratto stesso. Il (omissis) l'odierno
ricorrente A.K.A. stipulava contratto preliminare
con il quale si impegnava a dare in permuta la
proprietà di un terreno di circa 4.500 mq, sito in (omissis), alla impresa Silvo Costruzioni di Boscolo
Sauro, la quale si obbligava a fargli avere la proprietà di 400 mq del
fabbricato che avrebbe costruito sul fondo. In pari data l'impresa del B.
acquistava il terreno dal proprietario tavolare, tale sig. P.B.. Intervenuto il fallimento della impresa Silvo Costruzioni,
nel 1995 il curatore fallimentare comunicava lo scioglimento del contratto L.
Fall., ex art. 72, comma 4, e, in seguito alla
dichiarazione del fallimento, nel (omissis) veniva dichiarata interrotta la
causa avviata nel 1993 nei confronti della impresa Silvo,
ai sensi dell'art. 2932 c.c.. Nel 2000 il dr.
A. agiva per la risoluzione del contrato preliminare e la restituzione del
terreno a favore proprio o, in via subordinata, del proprietario tavolare,
terzo che aveva dato esecuzione al contratto. Il Fallimento Silvo Costruzioni resisteva, negando la legittimazione
attiva dell'istante e il valore attribuito alle missive spedite dal curatore.
il tribunale, disattese le eccezioni pregiudiziali,
rigettava la domanda, affermando che lo scioglimento del contratto aveva caducato la promessa di vendita e che le pretese del
contraente in bonis dovevano essere
soddisfatte mediante insinuazione al passivo. 1.1) In sede di appello il dr. A. chiedeva che fosse pronunciata la nullità del
contratto preliminare per indeterminatezza dell'oggetto (omessa
determinazione del fondo e delle porzioni di fabbricato). In subordine
lamentava che la richiesta di restituzione del fondo non avrebbe
potuto essere soddisfatta mediante l'insinuazione al passivo fallimentare,
trattandosi di bene infungibile. In giudizio interveniva la snc
Floridia di Broetto Sergio &
C. snc, aggiudicataria del terreno, che aderiva alle ragioni del Fallimento. Rigettava il motivo di appello
subordinato. Il 14 marzo 2009 parte A. ha notificato
ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Fallimento Silvo costruzioni ha resistito con controricorso. Dopo il deposito di memorie ex
art. 378 c.p.c., MOTIVI
DELLA DECISIONE 2) Secondo l'orientamento
dominante in giurisprudenza, "il potere del giudice di dichiarare
d'ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato col
principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c.,
sicchè solo se sia in contestazione l'applicazione
o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti
un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare, in
qualsiasi stato e grado del giudizio, l'eventuale nullità dell'atto,
indipendentemente dall'attività assertiva delle parti. Al contrario, qualora
la domanda sia diretta a fare dichiarare la invalidità
del contratto o la risoluzione per inadempimento, la deduzione (nella prima
ipotesi) di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento della
domanda e (nella seconda ipotesi) di una qualsiasi causa di nullità o di un
fatto costitutivo diverso dall'inadempimento, sono inammissibili: nè tali questioni possono essere rilevate d'ufficio,
ostandovi il divieto di pronunciare ultra petita"
(tra le tante v. Cass. 2398/88; 6899/87). Cass. n. 1127/70 sostenne con
chiarezza che la rilevabilità ex officio della nullità del contratto, sancita
dall'art. 1421 c.c., opera, anche in sede di impugnazione,
quando si chieda in giudizio l'applicazione del contratto, perchè in tal caso "la legge stessa respinge con la
forza dei suoi principi imperativi gli effetti che promanano da un negozio
affetto da nullità assoluta". Aggiunse che quando in giudizio
non si chiede l'applicazione del contratto, ma la risoluzione
di esso, il giudice non può dichiarare ex officio la nullità, perchè il divieto di decidere su domande non proposte si
concreta in un preclusione all'esercizio della giurisdizione, la cui
violazione "da luogo a vizio di extrapetizione". Questo insegnamento si è
tramandato con continuità di accenti (cfr. Cass. 14/71; 661/71; 3443/73;
243/77; 5295/78; 5766/79), sebbene significativamente resistito dalla coeva
Cass. n.578/70, la quale aveva, proprio in ipotesi di domanda di risoluzione
di contratto preliminare relativo a compravendita
nulla perchè simulata, semplicemente osservato che 2.1) Negli anni successivi,
accanto a pronunce conformi all'orientamento tradizionale (indicativamente
cfr. Cass. 4817/99; 1378/99; 4607/95; 4064/95; 1340/94; 141/93), costanti nel
ribadire che la nullità del contratto è rilevabile
d'ufficio, sempre che risultino acquisiti al processo gli elementi che la
evidenziano, solo nella controversia promossa per far valere diritti presupponenti la validità del contratto stesso, non anche
nella diversa ipotesi in cui la domanda prescinda dalla suddetta validità,
come quando la domanda sia diretta a far dichiarare l'invalidità del
contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, mette conto
segnalare, in senso opposto, qualche significativa presa di posizione del
giudice di legittimità. Trattasi di
Cass. n. 2858/97 (e anche Cass. 6710/94), che ha ritenuto che "la
nullità di un contratto del quale sia stato chiesto l'annullamento (ovvero la
risoluzione o la rescissione) può essere rilevata d'ufficio dal giudice, in
via incidentale, senza incorrere in vizio di ultrapetizione, atteso che in
ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che
determinino la nullità del contratto; pertanto il rilievo di quest'ultima da
parte del giudice da luogo a pronunzia che non eccede il principio dell'art.
112 c.p.c.". 2.2) Fino all'anno 2005, nel
corso del quale il contrasto si è radicato con maggior vigore, si censiscono
numerose sentenze ispirate all'orientamento tradizionale (v. Cass. n. 123/00;
12644/00; 13628/01; 435/03; 2637/03); Cass. 3 sez civ.
22.3.2005 n. L'accertamento
sulla nullità del contratto ha, secondo Cass. 6170/05, natura di pronuncia
incidentale su una pregiudiziale in senso logico, con la conseguenza che: a)
il giudice deve dichiarare d'ufficio la nullità negoziale in ogni caso; e b)
l'accertamento d'ufficio ex art. 1421 c.c., ha effetto anche in successivi
giudizi imperniati sul contratto dichiarato nullo, non perchè
si verta in ipotesi di cui all'art. 34 c.p.c., ma
"perchè l'efficacia della decisione di detta
nullità, pregiudiziale alla statuizione di rigetto della domanda, costituisce
giudicato implicito". A pochi mesi di distanza, la
sezione Lavoro della Corte (Cass. 19903/05) ha consapevolmente riaffermato
l'orientamento precedente, ripetendo che la nullità può essere rilevata
d'ufficio "solo se si pone in contrasto con la domanda dell'attore, solo
se cioè questi ha chiesto l'adempimento del contratto, in
quanto il giudicante può sempre rilevare d'ufficio le eccezioni, che
non rientrino tra quelle sollevabili unicamente tra le parti e che
soprattutto non amplino l'oggetto della controversia, ma che, per tendere al
rigetto della domanda stessa, si configurano come mere difese del convenuto,
dovendosi di contro pervenire a diverse conclusioni nei casi in cui la
nullità si colloca non nell'ambito delle eccezioni ma nella zona delle difese
dell'attore, che l'attore avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto". Secondo questa giurisprudenza,
il rilievo di ufficio della nullità avverso la domanda di esecuzione di un
negozio nullo serve ad impedire che vi sia una
sentenza di accoglimento, che sarebbe un indice di legittimità di una
situazione giuridica che potrebbe poi rivelarsi pregiudizievole per tutti i
consociati. Questa ratio
non vi sarebbe nel caso di rilievo in relazione ad azioni diverse da quelle
per esecuzione. In queste azioni (risoluzione, etc.) l'eventuale rilievo non
potrebbe portare ad un giudicato sulla nullità, ma
solo ad una pronuncia incidentale. La soluzione restrittiva,
secondo Cass. 19903/05, sarebbe quindi preferibile perchè:
a) "evita una ingiustificata ingerenza nel
potere delle parti di disporre delle eccezioni"; b) sarebbe conforme
alla disciplina processuale che impone la completezza sin dall'inizio degli atti
difensivi; c) previene "ampliamenti di poteri di iniziativa officiosa
suscettibili di tradursi In un soggettivismo giudiziario, capace di incidere
con ricadute negative anche sulla certezza del diritto". 2.3)
L'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite da conto del successivo
radicalizzarsi delle due posizioni. Il filone restrittivo ha trovato
ripetute pedisseque conferme (cfr, Cass. 12627/06; 21632/06; 11550/07;
9395/11). L'orientamento favorevole al
rilievo d'ufficio della nullità anche ove sia stata domandata la risoluzione
del contratto, ripreso da Cass. 23674/08, è stato arricchito da Cass.
2956/11. Quest'ultima, relativa
a un caso di pretesa restitutoria fondata su domanda di risoluzione di
un contratto preliminare di vendita immobiliare concluso oralmente, ha
giudicato corretto l'operato del giudice di merito di prime cure, il quale
aveva rilevato la nullità del negozio e attribuito all'attore ti medesimo
bene della vita richiesto in citazione. Ha ritenuto che non sussistesse
l'extrapetizione rilevata dal giudice di appello, giacchè
"rientra nel potere/dovere del giudice di individuare una patologia del contratto genetica e più radicale di quella
azionata". Ha aggiunto che sarebbe altrimenti inutilmente procrastinata
la soddisfazione della fondata pretesa alla restituzione, rimessa a un
successivo giudizio e ha opportunamente osservato che in tali casi il giudice
deve sottoporre al contraddittorio delle parti il rilievo officioso. 2.4)
Intorno al problema del giudicato sono da segnalare altri arresti
giurisprudenziali. Cass. 8612/06 ha
affermato che una sentenza di rigetto della domanda di risoluzione per
inadempimento del conduttore nel pagamento dei canoni relativi ad un
determinato periodo impedisce nel successivo giudizio, volto al conseguimento
del corrispettivo della locazione, di rilevare d'ufficio la nullità del
contratto (per vizio di forma), per essersi formato nel primo giudizio il
giudicato sulla validità del contratto, che costituiva "presupposto
logico giuridico essenziale" della prima decisione. Su questa falsariga si è mossa
anche Cass. 18540/09, che ha stabilito che il mancato appello avverso la sentenza di primo grado, la quale aveva
implicitamente statuito sulla validità del contratto di cui era stata chiesta
la risoluzione, aveva portato alla formazione del giudicato sul punto. Alla base di queste pronunce,
esplicitamente nella seconda, vi è quindi il convincimento che il giudice
dovesse rilevare d'ufficio la nullità del contratto e che tale omissione, non
censurata, renda il difetto del negozio non più oggetto d'eccezione
rilevabile in sede di legittimità o in altro giudizio. Sono chiare a questo punto le
conseguenze che sorgono in entrambe le opposte prospettive: ove si creda che
nel giudizio di risoluzione non possa essere sollevata l'eccezione, si dovrà
predicare la necessità di un secondo giudizio per far valere la nullità. Qualora si ritenga che nel
giudizio di risoluzione debba e possa essere rilevata anche d'ufficio la
questione di nullità, si dovrà credere, che, in mancanza, si è formato il
giudicato sulla validità del contratto. Cass. 11356/06 ha prospettato diversa soluzione. Pur ponendosi nella linea della
rilevabilità officiosa del contratto ex art. 1421 c.c. anche nell'ipotesi di
domanda di risoluzione di esso, ha osservato che la pronunzia di rigetto non
costituisce giudicato implicito - con efficacia vincolante nei futuri giudizi
- laddove le questioni concernenti l'esistenza, la
validità e la qualificazione del rapporto che ne costituisce il presupposto
logico- giuridico non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e
valutazione da parte del giudice. 3) Da un lato l'ulteriore frazionarsi del quadro giurisprudenziale;
dall'altro le gravi incertezze derivanti dalla radicalizzazione delle
conseguenze delle due tesi impongono la composizione del contrasto. Occorre partire dai rilievi che
da gran tempo la dottrina ha formulato con riguardo al rapporto tra azione di
risoluzione e nullità del contratto. Si è osservato che la domanda di
risoluzione comporta l'esistenza di un atto valido, perchè
mira a eliminarne gli effetti. Domanda di adempimento e domanda
di risoluzione implicano quindi allo stesso modo la richiesta di applicazione
del contratto, presupponendo che esso sia valido. La funzione dell'art. 1421 c.c.,
è di impedire che il contratto nullo, sul quale l'ordinamento esprime un
giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti. Il compito di far valere la
nullità è in via di azione affidato a chiunque abbia interesse, ma al
giudice, al quale si chiede di giudicare secundum
ius, spetta di rilevare se un atto è nullo e
quindi di evidenziare in giudizio la mancanza di fondamento di una domanda
che presupponga la sussistenza dei requisiti di validità del
contratto. 3.1) L'aver insistentemente
negato che l'azione di risoluzione presupponga, dal punto di vista logico, la
validità del contratto e che dunque sia possibile la
risoluzione del contratto nullo è tesi invisa alla maggioranza della dottrina
civilistica. La spiegazione
dell'atteggiamento giurisprudenziale ostile al rilievo officioso della
nullità riposa sulla doppia natura della norma, che è all'incrocio tra
diritto sostanziale e diritto processuale. Se si rammentano le ragioni
della giurisprudenza maggioritaria sopra riassunte, si nota che la ritrosia
delle Corti rispetto al rilievo della nullità del
contratto nasce da timori di natura processuale, quali la violazione del
principio di terzietà e dell'obbligo di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ciò ha portato a una riduttiva
lettura dell'art. 1421 c.c., ipotizzando che solo l'azione di adempimento
richieda la verifica dell'esistenza dei requisiti di
validità ed efficacia del negozio da cui è sorta l'obbligazione, questione su
cui vi è invece da interrogarsi per ogni azione contrattuale. Si è quindi verificata una inversione logica, prontamente segnalata in dottrina:
per il timore dell'extrapetizione e quindi di ampliare indebitamente la
formazione del giudicato, anzichè ragionare sulla
portata della decisione conseguente al rilievo officioso della nullità, si è
preferito restringere l'area in cui detta questione è rilevabile, limitandola
(oltre che all'azione di nullità espressamente proposta) all'azione di
adempimento. Questa linea interpretativa non
è più sostenibile. 3.2) Essa in primo luogo
svilisce la categoria della nullità, l'essenza della quale, pur con i molti
distinguo dottrinali su cui non è il caso di soffermarsi, risiede nella
tutela di interessi generali, di valori fondamentali
o che comunque trascendono quelli del singolo. La qualificazione negativa che
l'ordinamento da del contratto viene elusa
dall'orientamento fin qui dominante, il che è incoerente con l'insegnamento
professato in ipotesi di domanda di esecuzione del contratto. Si è infatti
affermato (S.U. 21095/04) che la nullità può essere rilevata d'ufficio, in
qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall'attività
assertiva delle parti, quindi anche per una ragione diversa da quella
espressamente dedotta, nel caso in cui sia in contestazione l'applicazione o
l'esecuzione del contratto, la cui validità rappresenta quindi un elemento
costitutivo della domanda; con la conseguenza che la contestazione della
validità dell'atto non costituisce domanda giudiziale, bensì mera difesa, che
non condiziona l'esercizio del potere di dichiarare d'ufficio la nullità per
vizi diversi da quelli eccepiti. 3.3) In secondo luogo viene depotenziato il ruolo che l'ordinamento affida
all'istituto della nullità, per esprimere il disvalore di un assetto di
interessi negoziale. Non può negarsi che, nonostante
talune critiche degli operatori del diritto, esso è stato negli ultimi
decenni ampliato, introducendo con la legislazione speciale nuovi casi di
nullità contrattuale. Questo ruolo trae forza anche
dalla previsione della rilevabilità di ufficio, che, salvi i casi di espressa
deroga, contribuisce a definire il carattere indisponibile delle norme in
tema di nullità. Infatti, al di
là delle distinzioni tra le stesse ipotesi di nullità previste nel
codice, che anche in giurisprudenza sono state in proposito tentate, l'unica
differenza che rilevi ai fini del disposto normativo in esame è quella
ravvisabile con le nullità per le quali sia dettato un regime speciale, come
nel caso delle c.d. nullità di protezione, in cui il rilievo del vizio
genetico è espressamente rimesso alla volontà della parte. 3.4) Con riferimento al regime
delle nullità, occorre portare l'attenzione su quanto è stato stabilito dalla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. 4, 4 giugno 2009, causa
0243/08 ha stabilito che il giudice deve esaminare d'ufficio la natura
abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto
nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. L'uso in questa sentenza del
termine obbligo, anzichè di quello
facoltà, in precedenza comune, è stato inteso come acquisita consapevolezza
del concetto di dovere dell'ufficio di rilevare la nullità ogniqualvolta il
contratto sia elemento costitutivo della domanda. Dunque non di facoltà propriamente
trattasi, ma di obbligo, così come il verbo "può" usato nell'art.
1421 c.c., è da intendersi "deve", laddove la domanda proposta
implichi la questione da rilevare e non si ponga quindi un problema di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Di sicura importanza è poi la
sentenza Asturcom (6 settembre Dalla considerazione che la
giurisprudenza comunitaria attribuisce al potere-dovere di rilievo d'ufficio
della nullità, risulta ancor più appropriato parlare
di disagio del civilista in caso di mancato uso dei poteri officiosi. 4) Si torna per questa via ai
profili processuali, dai quali ha tratto spunto l'orientamento restrittivo. Muovendo dal rilievo, sopra
argomentato, che l'azione di risoluzione per inadempimento è coerente solo
con l'esistenza di un contratto valido, va detto che la nullità del contratto
è un evento impeditivo che si pone prioritariamente
rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione. Il giudice chiamato a pronunciarsi
sulla risoluzione di un contratto, di cui emerga la nullità dai fatti
allegati e provati e comunque ex actis, non
può sottrarsi all'obbligo del rilievo e ciò non conduce ad
una sostituzione dell'azione proposta con altra. Soltanto fa emergere una eccezione rilevabile d'ufficio, che può condurre a
variabili sviluppi processuali, ma con cui viene qualificata una
ineliminabile realtà del rapporto controverso, senza squilibrare i rapporti
tra le parti, nè introdurre una materia del
contendere che non faccia già parte dell'oggetto del giudizio. In quel giudizio, che mira a riconoscere vigore ai contratto, viene eccepito,
anche d'ufficio, come d'obbligo, un impedimento costituito da un motivo di
nullità, con la conseguenza, salvo quanto si dirà nel paragrafo seguente, del
rigetto della domanda di risoluzione per una ragione che impedisce di
accertare quale delle due parti sia inadempiente. Opera così l'innegabile funzione
oppositiva del potere-dovere di cui all'art. 1421, sicuramente individuata
dall'orientamento restrittivo, ma da esso non ben coniugata con la regola di
cui all'art. 112 c.p.c., giacchè
la decisione, in questi limiti, resta sicuramente nell'ambito del petitum. La stessa funzione, si badi, non
è con altrettanto nitore ravvisabile nel caso di azione di annullamento, il
che peraltro rafforza il convincimento che si viene esprimendo in tema di
azione di risoluzione. Invero alcuni autori,
nell'indagare la tematica che ci occupa e più in
generale la funzione dell'azione di nullità, hanno evidenziato che la
rilevazione incidentale della nullità è doverosa nel casi di azione per
l'esecuzione o la risoluzione del contratto, ma non nel caso in cui siano
allegati altri vizi genetici, come avviene nell'azione di annullamento. La relativa domanda non postula
la validità del contratto, sicchè, sebbene la
tradizione giurisprudenziale e dottrinale dell'orientamento favorevole al
rilievo d'ufficio apparenti le ipotesi di
risoluzione, annullamento e rescissione, andrà a suo tempo verificato se
sussistano l presupposti per questa equiparazione. 4.1) Gli orientamenti
giurisprudenziali sin qui manifestatisi hanno trascurato gli esiti
processuali che pure la dottrina aveva intuito da molto tempo e che ha ora delineato con precisione anche grazie, da ultimo, alle modifiche
degli artt. 101 e 153 c.p.c.. Sin dalla versione originaria
del codice di rito, il secondo comma dell'art. 183 prevedeva il dovere del
giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, - tra le quali senza dubbio rientra la nullità del contratto -
con la possibilità di armonizzare il principio di cui all'art. 1421 c.c. con
quelli del contraddittorio, della domanda e della corrispondenza tra chiesto
e pronunciato. A seguito della riforma di cui
alla L. n. 353 del E' questo il manifestarsi del
principio di collaborazione tra giudice e parti, e non un innaturale
esercizio dei poteri processuali, come pure ha
temuto parte della dottrina che ha sorretto l'orientamento restrittivo. A seguito del rilievo officioso,
le parti hanno possibilità di formulare domanda che ne sia conseguenza (arg. ex
art. 183, comma 4, ora comma 5) e quindi anche la eventuale domanda di
risoluzione potrà essere convertita in (o cumulata con) azione di nullità. A favorire questo sviluppo
processuale, che, è da credere, avrà corso nella maggior parte dei casi,
confinando ad ipotesi residuali la insistenza
esclusivamente nell'iniziale domanda di risoluzione, sono anche le recenti
modifiche sopra indicate. Il nuovo comma 2 dell'art. 101 c.p.c. (aggiunto
dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, ma già v. art. 384 c.p.c.)
impone anche al giudice che sia in fase di riserva della decisione, se
ritiene di porre a fondamento di quest'ultima una questione rilevata
d'ufficio, di assegnare alle parti un termine per memorie contenenti
osservazioni sulla questione. L'art. In tal caso il giudice dovrà,
nei limiti schiusi dal rilievo stesso, consentire la formulazione di ogni
conseguente deduzione. Giova osservare che già la
problematica era stata messa fuoco in relazione alla
nullità della sentenza c.d. della terza via (si veda Cass. 14637/01). Con pienezza di argomenti, Cass.
21108/05 ha successivamente precisato che il giudice
che ritenga, dopo l'udienza di trattazione, di sollevare una questione
rilevabile d'ufficio e non considerata dalle parti, deve sottoporla ad esse
al fine di provocare il contraddittorio e consentire lo svolgimento delle
opportune difese, dando spazio alle consequenziali attività. La mancata
segnalazione da parte del giudice comporta la violazione del dovere di
collaborazione e determina nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell'esercizio del
contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni,
allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione che ha
condotto alla decisione solitaria. Qualora la violazione, nei termini
suindicati, si sia verificata nel giudizio di primo grado, la sua denuncia in
appello, accompagnata dalla indicazione delle
attività processuali che la parte avrebbe potuto porre in essere, cagiona, se
fondata, non già la regressione al primo giudice, ma, in forza del disposto
dell'art. 354 c.p.c., comma 4, la rimessione in
termini per lo svolgimento nel processo d'appello delle attività il cui
esercizio non è stato possibile. E' questa dunque la via da percorrere, che
pone nel nulla tutte le perplessità in tema di extrapetizione, poteri del
giudice e "soggettivismo giudiziario" a suo tempo fatte proprie dalla giurisprudenza maggioritaria riassunta
sub 2.2. 4.1.1)
Altro esito del rilievo d'ufficio della nullità e del relativo accertamento è
l'accoglimento di ogni richiesta formulata unitamente alla domanda di risoluzione
e compatibile con la diversa ragione rappresentata dalla nullità, come
avviene nel caso di domanda restitutoria. Questa conseguenza si verifica senz'altro in ipotesi di modifica della
domanda con richiesta di declaratoria della nullità. Altrettanto avverrà però in
ipotesi di rigetto - fondato sulla nullità contrattuale rilevata d'ufficio -
della domanda di risoluzione, alla quale sia associata, anche
originariamente, la richiesta di condanna alle restituzioni. Il rilievo della
nullità fa venir meno la "causa adquirendi"
e la richiesta di restituzione del bene consegnato in esecuzione del
contratto, che era già stata formulata con la pretesa iniziale, sarà accolta sulla base di questo presupposto, senza bisogno di
espressa dichiarazione della nullità. Va infatti
confermato che qualora venga acclarata la mancanza
di una "causa adquirendi" - tanto nel
caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto,
quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo
originariamente esistente - l'azione accordata dalla legge per ottenere la
restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella
di ripetizione di indebito oggettivo; ne consegue che, ove sia proposta una
domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e il giudice rilevi,
d'ufficio, la nudità del medesimo, l'accoglimento della richiesta
restitutoria conseguente alla declaratoria di nullità, non mutando la causa petendi, non viola il principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato (v. Cass. 2956/11 cit.) inoltre cfr. Cass. 9052/10;
1252/00; e anche 21096/05; 5624/09). 4.2) La
ricostruzione del sistema ha conseguenze intuibili quanto al giudicato. Qualora dopo il rilievo
ufficioso sia stata formulata, tempestivamente o previa rimessione in
termini, domanda volta all'accertamento della nullità e ad
eventuali effetti restitutori, la statuizione sui punto, se non impugnata,
avrà effetto di giudicato. Nel caso in cui sia omesso il
rilievo officioso della nullità, e l'omissione venga
fatta valere in sede di appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in
termini l'appellante e procedere secondo quanto dettato da Cass. 21108 cit.. Ove non sia formulata tale
domanda, il rilievo della nullità fa pervenire al rigetto della domanda di
risoluzione con accertamento incidenter
tantum della nullità, dunque senza effetto di giudicato sul punto. Il giudicato implicito sulla
validità del contratto, secondo il paradigma ormai invalso (cfr Cass, S.U. 24883/08; 407/11; 1764/11), potrà formarsi
tutte le volte in cui la causa relativa alla
risoluzione sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni
che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della validità
del contratto. 5) Venendo alla fattispecie per
cui è causa, alla stregua dei principi sopra affermati vanno accolti i primi
due motivi di ricorso, con i quali viene censurata
la sentenza della Corte veneziana perchè ha negato
la rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto per indeterminatezza
dell'oggetto. Nell'atto di appello era stato infatti denunciato (pag. 4) che il tribunale di Rovigo
avrebbe dovuto rilevare la questione in ogni stato del giudizio e dichiarare
la nullità del contratto. Dovrà invece attenersi ai
principi enucleati dalle Sezioni Unite e, ove ritenga sussistente la ipotesi di nullità contrattuale prospettata, valutare
convenientemente e riesaminare sotto ogni aspetto, ivi compresi i rilievi di
merito mossi in controricorso, le domande formulate dall'appellante. Resta
assorbito il terzo motivo di ricorso, che attiene alla violazione della L. Fall.,
art. 72. Sulla necessità di agire concorsualmente
per il recupero del bene può infatti pesare la
eventuale declaratoria di nullità del contratto, con gli effetti conseguenti. Discende da quanto esposto
l'accoglimento del ricorso nei limiti suddetti, con enunciazione del seguente
principio: Il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e
provati o emergenti ex actis, ogni forma di
nullità non soggetta a regime speciale e, provocato
il contraddicono sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione,
volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al
giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in
termini, sia stata proposta la relativa domanda. Nell'uno e nell'altro caso
dovrà disporre, se richiesto, le restituzioni. La sentenza impugnata va cassata
e la causa rinviata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello
di Venezia, che provvedere anche in ordine alle
spese di questo grado di giudizio. P.Q.M. Così deciso in Roma, nella
Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8
maggio 2012. Depositata in Cancelleria il 4
settembre 2012. |
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