Aggiornamento - Civile |
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Cassazione
civile, sez. III, 20 novembre 2012, n. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Nel febbraio del 1995 i componenti
superstiti della famiglia A. ed L.A. evocarono in giudizio, dinanzi al
tribunale di Matera, D.L.E., la s.n.c. Di Lecce & C. e la s.p.a.
Fondiaria assicurazioni, chiedendone la condanna in solido al risarcimento
dei danni subiti in conseguenza della morte del proprio congiunto, An.Gi.,
deceduto a seguito delle lesioni riportate nel sinistro stradale di cui era
rimasto vittima mentre si trovava a bordo dell'autovettura guidata dal D.L.. Il giudice di primo grado accolse la domanda, condannando
i convenuti in solido al pagamento della somma: - di circa 35 mila Euro in favore degli eredi del defunto
per danni ad essi riconosciuti iure haereditario; - di 75.OOO Euro in favore della
madre; - di 50.000 Euro in favore del padre; - di 6000 Euro in favore di ciascun fratello; - di 2.435 Euro in favore del solo An.An.
per spese funebri. La corte di appello di Potenza, investita del gravame
proposto dagli attori costituiti in prime cure, lo accolse in parte qua,
provvedendo ad una più congrua liquidazione dei
danni lamentati dagli appellanti. La sentenza è stata impugnata dagli eredi A. con ricorso
per cassazione sorretto da sette motivi di doglianza. Resiste la compagnia assicurativa con controricorso
integrato da ricorso incidentale a sua volta illustrato da 2
motivi di censura (cui resistono con controricorso gli A. e L'avv. Petrachi, difensore dei ricorrenti principali, ha
depositato brevi note scritte ex art. 379 c.p.c., in replica alle
conclusioni rassegnate dal P.G. all'odierna udienza di discussione. MOTIVI DELLA DECISIONE Entrambi i ricorsi riuniti devono essere rigettati. Vanno congiuntamente e preliminarmente esaminati il primo,
il terzo e il sesto motivo del ricorso principale, attesane la intrinseca connessione logico-giuridica. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. Le censure - che
lamentano la mancata liquidazione, in guisa di autonome voci di danno, di ciò
che di converso risulta il pluralistico aspetto di
un'unica conseguenza dannosa della condotta illecita, non hanno giuridico
fondamento. Esse si infrangono, difatti, oltre che sul corretto impianto
motivazionale della sentenza impugnata - nella parte in cui si legge che
"le uniche componenti di danno non patrimoniale
sono date dal danno esistenziale e dal danno morale subbiettivo, invocando
erroneamente gli appellanti, con terminologie diverse, quel che in realtà era
la medesima voce di danno, prevalentemente indicata con la locuzione
unificante di danno esistenziale" -, sul recente dictum delle sezioni
unite di questa corte (cui il collegio ritiene di dover dare continuità), in
conseguenza del quale (sentenze nn. 26972 e ss. dell'11 settembre del
2008), è stato ricondotta a formale unità la categoria del pregiudizio non
patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., e contemporaneamente predicata
la unicità e la centralità, ex Constitutionis, della persona, con
conseguente, necessaria integralità del risarcimento del ("valore"
uomo e del) danno non patrimoniale. Si è dunque escluso tout court che una stessa tipologia di
danno possa frammentarsi in singole sottovoci (quelle oggi rappresentate a
questa corte dai ricorrenti) onde evitare che tale
frammentazione si risolva, in realtà, in una illegittima moltiplicazione di
poste risarcitorie. Il principio appare predicabile, in particolare, con
riferimento alle fattispecie della serenità familiare, della vita di
relazione, del danno edonistico oggi evocate in
ricorso, e tanto è a dirsi non perchè tali aspetti e tali dimensioni della
sfera personale non abbiano una propria autonomia e una propria dignità
ontologica, o perchè non rilevino in diritto, ma perchè destinate ad una
sintesi ex iure caratterizzata da una dimensione risarcitoria
"funzionale" sostanzialmente unitaria, sia pur con le precisazioni
che di qui a breve seguiranno, nell'esaminare il secondo motivo del ricorso
principale (e con esso il secondo motivo di quello incidentale). Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. I motivi, da esaminarsi a loro volta congiuntamente, sono
destituiti di fondamento. Quanto al danno
biologico direttamente riconducibile alla persona del defunto (e dunque, in
ipotesi, trasmesso agli eredi iure haereditatis) la sentenza impugnata si
conforma al consolidato insegnamento di questa corte regolatrice (da ultima,
funditus, Cass. 6754/2011) che esclude la
configurabilità del c.d. "danno tanatologico" (o da morte) qualora
la morte coincida sostanzialmente (come nel caso di specie: folio 6 ss. della pronuncia della corte potentina) con il momento
dell'incidente. Quanto al pregiudizio biologico iure proprio, questa
categoria di danno, alla luce di un inequivoco formante legislativo, oltre
che giurisprudenziale, non può che consistere in una "lesione
medicalmente accertabile" della salute fisio-psichica del danneggiato,
lesione che, nella specie, non è stata nè allegata nè tempestivamente
rappresentata in sede di merito, se soltanto con l'atto di appello gli
odierni ricorrenti sembrano essersi orientati nel senso di ipotizzare, oltre
alla sofferenza morale conseguente al gravissimo lutto subito, anche traumi
fisici o psichici permanenti (senza peraltro specificarne l'esatta natura:
così, correttamente, la sentenza impugnata al folio 8). Con il settimo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione
di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. Il motivo è privo di pregio. Non erra la difesa ricorrente quando, con il puntuale
quesito di diritto formulato a conclusione della censura in esame, rammenta
come il danno patrimoniale da lucro
cessante possa essere riconosciuto agli eredi di un soggetto deceduto in
conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un
terzo volta che gli stessi eredi siano stati privati di utilità economiche di
cui già beneficiavano e/o di cui, presumibilmente, avrebbero beneficiato in
futuro - danno da accertare anche a mezzo di presunzioni semplici. Erra invece quando omette di considerare che, a tali
principi di diritto, ripetutamente affermati da questa corte regolatrice (ex
permultis, Cass. 4980/06; 3549/4; 12597/01), si è rigorosamente attenuta, nel
suo articolato e completo iter motivazionale, la corte lucana che, con
argomentazioni del tutto scevre da errori logico- giuridici,
ha ritenuto del tutto insussistenti, nella specie, le pur necessarie
presunzioni idonee a consentire la legittima configurabilità del lamentato
danno patrimoniale. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. La doglianza si conclude con il
seguente quesito di diritto: In materia di risarcimento del danno patito iure
proprio dalla vittima, anche fruendo della giurisprudenza di codesta Suprema
Corte, è da ritenersi viziata, per insufficienza di motivazione, la sentenza
con la quale il giudice di merito (nel caso di specie, al fine di determinare
l'importo dovuto a titolo di risarcimento), in violazione di quanto previsto
dagli artt. 2043, 2059 ne 1223 c.c., non abbia individuato in capo ai
prossimi congiunti della vittima un autonomo diritto a vedersi risarcito il
patito danno esistenziale quale componente del danno non patrimoniale
distinta ed autonoma rispetto a qualsiasi altra voce di danno e segnatamente
rispetto al ravvisato danno alla vita di relazione? La censura si rivela di
non agevole decifrazione, se sol si consideri che il giudice di appello -
coma emerge dal coerente dipanarsi dell'iter motivazionale della sentenza - ha espressamente considerato, riconosciuto e liquidato, in
via autonoma, proprio tale voce di danno, affermando expressis verbis che,
nella specie, "le voci di danno non patrimoniale da riconoscersi agli
appellanti principali sono costituite dal danno esistenziale e dal danno
morale subbiettivo": voci di danno che, a giudizio della corte di
merito, "ben potevano coesistere tra loro, senza che la relativa
liquidazione integrasse gli estremi di una duplicazione risarcitoria",
poichè "il danno esistenziale concerne il peggioramento della qualità
della vita a cagione della perdita di una persona cara, prescinde
dall'esistenza di malattie organiche o psichiche, e si distingue dall'interesse
all'integrità morale protetto dall'art. 2 Cost." (a tale, sostanzialmente
corretta motivazione - salvo quanto si dirà nell'esaminare il ricorso
incidentale - avrebbe poi fatto seguito, in sentenza, una riliquidazione in
melius dello stesso danno morale e la liquidazione ex novo del danno definito
espressamente esistenziale dalla corte potentina, di talchè non è dato comprendere
in cosa possa consistere la violazione di legge e il difetto di motivazione
rappresentate a questo giudice di legittimità con il motivo in esame). Va ancora esaminato, per evidente connessione
logico-giuridica, la speculare censura mossa alla sentenza oggi impugnata dal
ricorrente incidentale che, con il secondo motivo di gravame, lamenta la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. Il motivo si conclude con la
formulazione del seguente quesito di diritto: In materia di risarcimento del danno patito dai congiunti
della vittima, in virtù dell'orientamento consolidato di codesta Corte, è da
ritenersi viziata, per insufficienza di motivazione, la sentenza con la quale
il giudice di secondo grado, nel determinare l'importo dovuto a titolo di
risarcimento, in violazione di quanto previsto dagli artt 2043, 2059 e 1223 c.c., abbia riconosciuto ed individuato in capo ai prossimi congiunti della vittima
una generica ed atipica categoria di danno esistenziale dagli incerti e non
definiti confini, distinta ed autonoma rispetto al danno morale soggettivo. Ad ulteriore integrazione del
quesito, il ricorrente incidentale, nel corpo del motivo in esame, osserva: - da un canto, che "in conclusione, una volta liquidato il
danno biologico, non vi è luogo per una duplicazione risarcitoria della
stessa voce di danno sotto la categoria, indefinita e atipica, del danno
esistenziale; - dall'altro, che, a far data dall'anno 2003, questa stessa sezione, con le
sentenze 8827 e 8828, avrebbe testualmente affermato che "non sembra
proficuo ritagliare all'interno della generale categoria del danno non
patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo. Ciò che rileva, ai fini dell'ammissione al risarcimento, è
l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dal quale conseguano
pregiudizi non suscettivi di valutazione economica"; - dall'altro ancora, che, con la sentenza 14488/2004, sempre questa
sezione ha affermato che "non esiste la categoria del c.d. danno
esistenziale, essendo invece risarcibili le lesioni di specifici valori
costituzionalmente protetti". La questione, così rappresentata oggi al collegio, postula
un inevitabile approfondimento dell'aspetto risarcitorio del danno non
patrimoniale, alla luce così del dictum delle sezioni unite di questa corte - che, con la già ricordata sentenza n. 26972 del 2008, hanno
definitivamente ricondotto a coerente unita il composito universo dei danni
risarcibili -, come degli arresti della successiva giurisprudenza di
legittimità in subiecta materia. Aspetto risarcitorio che - contestandosi oggi in radice la
legittima predicabilità, sia pur sotto il profilo meramente descrittivo, di
una voce di danno c.d. "esistenziale" -, impone una breve disamina
e una inevitabile actio finium regundorum con
riguardo alle categorie del danno morale e del danno biologico. Va premesso come appaia sicuramente corretto il
riferimento testuale, compiuto dal ricorrente incidentale, al contenuto,
rilevante in parte qua, della sentenza di questa sezione n. 8827 del 2003,
che discorreva effettivamente, con riguardo a specifiche figure di danno, di inutilità delle relative "etichette" (f. 28
della sentenza citata in ricorso). Omette peraltro di rammentare il ricorrente incidentale
che, nella stessa sentenza, al folio 38, altrettanto
testualmente è detto che "si risarciscono così - come si è detto sopra e
solo nel caso di conseguenze pregiudizievoli derivanti, secondo i richiamati
principi della regolarità causale, dalla lesione di interessi di rango
costituzionale - danni diversi da quello biologico e da quello morale
soggettivo, pur se anch'essi, come gli altri, di natura non
patrimoniale". Il che prosegue la pronuncia - "non impedisce,
proprio per questo, e nell'ottica della concezione
unitaria della persona, che la valutazione equitativa di tutti i danni non
patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione - bensì
opportuna, ma non sempre indispensabile - tra quanto va riconosciuto a titolo
di danno morale soggettivo e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi
ulteriori e diversi dalla mera, sofferenza psichica, ovvero quanto deve
essere liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico in senso
stretto (se una lesione dell'integrità psico-fisica sia riscontrata)".
Non è pertanto illegittimo opinare "che la liquidazione del danno
biologico, di quello morale soggettivo e degli ulteriori
pregiudizi risarcibili sia espressa da un'unica somma di denaro, per la cui
determinazione si sia tuttavia tenuto conto di tutte le proiezioni dannose
del fatto lesivo". La pronuncia 8827 si conclude -
assai diversamente da quanto opinato dal ricorrente incidentale - con
l'affermazione per cui "è il caso di chiarire che la lettura costituzionalmente
orientata dell'art. 2059 c.c., va tendenzialmente riguardata
non già come occasione di incremento generalizzato della posto di danno (e
mai come strumento di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi),
ma soprattutto come mezzo per colmare la lacuna, secondo l'interpretazione
ora superata della norma citata, nella tutela risarcitoria della persona, che
va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non
patrimoniale: quest'ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto,
del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso e dei pregiudizi
diversi ad ulteriori, purchè costituenti conseguenza della lesione di un
interesse costituzionalmente protetto". (Nella specie, il giudice di
legittimità ebbe ad escludere che la corte
territoriale fosse incorsa in una duplicazione risarcitoria delle stesse
conseguenze pregiudizievoli, "avendo avuto cura di chiarire puntualmente
che la liquidazione - legittimamente effettuata con l'indicazione di una
somma omnicomprensiva - è stata riferita sia alla "sofferenza acuta, ma
ristretta esclusivamente al campo interiore, sia alla frustrata aspettativa
dei genitori ad una normale vita familiare dedita all'allevamento della
prole, ad una normale conduzione di vita, ad una serena vecchiaia",
sicchè, "al danno morale per il nefasto evento in se considerato si è
aggiunto quello consistente nel più totale sconvolgimento delle loro
abitudini e delle normali aspettative, unitamente all'esigenza di provvedere
perennemente alle esigenze del figlio ridotto in condizioni pressochè
esclusivamente vegetative: e per quanto la motivazione della sentenza vada
corretta nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto di poter
alternativamente ricomprendere i predetti pregiudizi nell'ambito del danno
biologico, che non è invece configurabile se manchi una lesione
dell'integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica -
in tal senso si è di recente orientato il legislatore con il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 e
della L. 5 marzo 2001, n. 57, art. 5, prevedendo che
il danno biologico debba essere suscettibile di accertamento o valutazione
medico legale -, ovvero nel danno morale soggettivo, il cui ambito resta
quello proprio della mora sofferenza psichica e deve anzi a questa essere
esclusivamente ricondotto, ha tuttavia adottato una soluzione conforme a
diritto laddove, in presenza della lesione di un interesse costituzionalmente
protetto, ha liquidato l'intero danno non patrimoniale anche in riferimento
al pregiudizio ulteriore consistente nella permanente privazione della
reciprocità affettiva propria del più stretto tra i rapporti parentali"). A distanza di circa due mesi dalla data di deposito della sentenza 8827/2003, Non sembra seriamente discutibile - diversamente da quanto
opinato dal ricorrente incidentale - che l'intervento sinergico e pressochè
sincronico del giudice di legittimità del giudice delle leggi avesse dato vita ad un sistema bipolare del danno alla
persona e, nella dimensione del danno non patrimoniale, ad una vera e propria
tripartizione dotata di "pari dignità" categoriale. A distanza di tre anni, le stesse sezioni unite di questa
corte, chiamate a dirimere un contrasto di giurisprudenza in tema di oneri
della prova del danno da mobbing, con un altrettanto lungo ed
altrettanto articolato obiter, ebbero modo di affermare che "per danno
esistenziale si intende ogni pregiudizio che l'illecito datoriale provoca sul
fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli
assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e
privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua
personalità nel mondo esterno", specificando ulteriormente che "il
danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore
(propria del ed danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio,
attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero
adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, e
quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare -
al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico, stante la
uniformità dei criteri medico legali applicabili in relazione alla lesione
dell'indennità psicofisica - necessita imprescindibilmente di precise
indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le
circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita". Le
sezioni unite del 2006 concluderanno, così, che
"mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza
di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno
esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente
emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare
areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti
relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto
all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va
dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento,
assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla
complessiva valutazione di precisi elementi dedotti ... si possa, attraverso un
prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia
all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni
generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento
presuntivo e nella valutazione delle prove". Questo più ampio panorama dello stato della
giurisprudenza, di legittimità e costituzionale, sino a tutto il 2006 -
secondo una ricognizione oggi imposta dall'assai parziale richiamo, contenuto
nel motivo in esame, ad un singolo e non
significativo passaggio della sentenza 8827/2003 - consente al collegio una
prima considerazione (peraltro non indispensabile, alla luce dei successivi
interventi compiuti dal legislatore, a livello di normativa primaria e
secondaria, all'indomani delle sentenze dell'11 novembre 2008): un indiscusso
e indiscutibile formante giurisprudenziale di un altrettanto indiscutibile
"diritto vivente", così come predicato ai suoi massimi livelli,
era, sino a tutto l'anno 2006, univocamente indirizzato nel senso della netta
separazione, concettuale e funzionale, del danno biologico, del danno morale,
del danno derivante dalla lesione di altri interessi costituzionalmente
protetti. In tale ottica, le stesse "tabelle" in uso
presso il tribunale di Milano - che questa stessa Corte eleverà, con la sentenza 12408/2011, a dignità di
generale parametro risarcitorio per il danno non patrimoniale - ne
prevedevano una separata liquidazione, indicando, in particolare, nella
misura di un terzo la percentuale di danno biologico utilizzabile come
parametro per la liquidazione del (diverso) danno morale subbiettivo. Le norme di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005), calate in tale realtà
interpretativa, non consentivano (nè tuttora consentono),
pertanto, una lettura diversa da quella che predicava la separazione tra i
criteri di liquidazione del danno biologico in esse codificati e quelli
funzionali al riconoscimento del danno morale: in altri termini, la "non
continenza", non soltanto ontologica, nel sintagma "danno
biologico" anche del danno morale. Nella liquidazione del danno biologico, invece, il
legislatore del 2005 ebbe a ricomprendere quella categoria di pregiudizio non
patrimoniale - oggi circoscritta alla dimensione di mera voce descrittiva -
che, per voce della stessa Corte costituzionale, era stata
riconosciuta e definita come danno esistenziale: è lo stesso Codice delle
assicurazioni private a discorrere, difatti, di quegli aspetti "dinamico
relazionali" dell'esistenza che costituiscono danno ulteriore (rectius,
conseguenza dannosa ulteriormente risarcibile) rispetto al danno biologico
strettamente inteso come compromissione psicofisica da lesione medicalmente
accertabile. L'aumento percentuale del risarcimento riconosciuto in funzione
del punto invalidità, difatti, non è altro che il riconoscimento di tale voce
descrittiva del danno, e cioè della descrizione degli ulteriori
patimenti che, sul piano delle dinamiche relazionali, il soggetto vittima di
una lesione medicalmente accertabile subisce e di cui (se provati)
legittimamente avanza pretese risarcitorie. Ma quid iuris qualora (come nella specie) un danno
biologico manchi del tutto, e il diritto costituzionalmente protetto (quello
che le sentenze del 2003 definirono, con terminologia di più ampio respiro,
in termini di "valore" e/o "interesse" costituzionalmente
protetto) risulti diverso da quello di cui all'art. 32 Cost., sia cioè, altro dal diritto
alla salute (che il costituente, non a caso, ebbe cura di non definire
inviolabile - al pari della libertà, della corrispondenza e del domicilio -
bensì fondamentale)? Quanto al danno morale, ed alla
sua autonomia rispetto alle altre voci descrittive di danno (e cioè in
presenza o meno di un danno biologico o di un danno "relazionale"),
questa Corte, con la sentenza 18641/2011, ha già avuto modo di affermare
quanto segue: "La modifica del 2009 delle tabelle del tribunale di
Milano - che questa corte, con la sentenza 12408/011 (nella sostanza
confermata dalla successiva pronuncia n. 14402/011) ha dichiarato
applicabili, da parte dei giudici di merito, su tutto il territorio nazionale
- in realtà, non ha mai "cancellato" la fattispecie del danno
morale intesa come "voce" integrante la più ampia categoria del
danno non patrimoniale: nè avrebbe potuto farlo senza violare un preciso
indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del
2008 di queste sezioni unite, dal quale il giudice,
di legittimità e non, non può in alcun modo prescindere, in una disciplina (e
in una armonia) di sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto,
privilegia ancora la disposizione normativa rispetto alla produzione
giurisprudenziale. L'indirizzo di cui si discorre si è espressamente
manifestato attraverso la emanazione di due
successivi D.P.R. n. 37 del 2009 e il D.P.R. n. 191 del biologico da un canto, e la
"voce" di danno morale dall'altro: si legge difatti alle lettere a)
e b) del citato art. 5, nel primo dei due provvedimenti normativi citati: -
che "la percentuale di danno biologico è determinata in base alle
tabelle delle menomazioni e relativi criteri di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni; - che
"la determinazione della percentuale di danno morale viene effettuata,
caso per caso, tenendo conto dell'entità della sofferenza e del turbamento
dello stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona,
connessi e in rapporto all'evento dannoso, in misura fino a un massimo di due
terzi del valore percentuale del danno biologico". Quanto, in particolare, al c.d. "danno
parentale" la sentenza specifica ancora come "Vadano senz'altro
ristorati anche gli aspetti relazionali propri del danno da perdita del
rapporto parentale inteso come danno esistenziale ... al cui proposito
approfondita si appalesa la disamina della corte territoriale che, dopo aver
ricostruito la vicenda in termini di eccezionaiità sotto il profilo dinamico-
relazionale della vita dei genitori del piccolo tetraplegico, ha poi
altrettanto correttamente ritenuto di conservare un ancoraggio alla liquidazione
del danno biologico quale parametro di riferimento equitativo non del tutto
arbitrario del danno parentale, quantificando - con apprezzamento di fatto
scevro da errori logico giuridici e pertanto
incensurabile in questa sede - il danno stesso in una percentuale (l'80%) del
pregiudizio biologico risentito dal minore". Non sembrò revocabile in dubbio alla Corte, e non sembra
revocabile in dubbio oggi al collegio, che, nella più ampia dimensione del
risarcimento del danno alla persona, la necessità di una integrale
riparazione del danno parentale (secondo i principi indicati dalla citata Cass. ss.uu. 26972/08) comporti che la relativa
quantificazione debba essere tanto più elevata quanto più grave risulti il
vulnus alla situazione soggettiva tutelata dalla Costituzione inferto al
danneggiato, e tanto più articolata quanto più esso abbia comportato un grave
o gravissimo, lungo o irredimibile sconvolgimento della qualità e della
quotidianità della vita stessa. Sulla base di tali premesse, e
sgombrato il campo da ogni possibile equivoco quanto alla autonomia del danno
morale rispetto non soltanto a quello biologico (escluso nel caso di specie),
ma anche a quello "dinamico relazionale" (predicabile pur in
assenza di un danno alla salute), va affrontata e risolta la questione,
specificamente sottoposta oggi dal ricorrente incidentale al vaglio di questa
Corte, della legittimità di un risarcimento di danni "esistenziali"
così come riconosciuti dalla corte di appello di Potenza. Questione da valutarsi, non diversamente da quella afferente al danno morale, alla luce del dictum dalle
sezioni unite di questa corte nel 2008, che lo ricondussero, in via di
principio, a species descrittiva di danno inidonea di per sè a costituirne
autonoma categoria risarcitoria. Un principio affermato, peraltro, nell'evidente e
condivisibile intento di porre un ormai improcrastinabile limite alla
dilagante pan- risarcibilità di ogni possibile species di pregiudizio, benchè
priva del necessario referente costituzionale, e sancito con specifico
riferimento ad una fattispecie di danno biologico. Un principio che, al tempo stesso, affronta e risolve
positivamente la questione della risarcibilità di tutte quelle situazioni
soggettive costituzionalmente tutelate (diritti inviolabili o anche
"solo" fondamentali, come l'art. 32 Cost., definisce
la salute) diversi dalla salute, e pur tuttavia incise dalla condotta del
danneggiante oltre quella soglia di tollerabilità indotta da elementari
principi di civile convivenza (come pure insegnato dalle stesse sezioni unite). Le sentenze del 2008 offrono, in proposito, una implicita quanto non equivoca indicazione al giudice
di merito nella parte della motivazione che discorre di centralità della
persona e di integralità del risarcimento del valore uomo - così dettando un
vero e proprio statuto del danno non patrimoniale alla persona per il terzo
millennio. La stessa (meta)categoria del
danno biologico fornisce a sua volta risposte al quesito circa la
"sopravvivenza" - predicata dalla corte di appello lucana - del
c.d. danno esistenziale, se è vero come è vero che "esistenziale" è
quel danno che, in caso di lesione della stessa salute, si colloca e si
dipana nella sfera dinamico relazionale del soggetto, come conseguenza, sì,
ma autonoma, della lesione medicalmente accertabile. Prova ne sia che un danno biologico propriamente
considerato - un danno, cioè, considerato non sotto il profilo eventista, ma
consequenzialista - non sarebbe legittimamente configurabile (sul piano
risarcitorio, non ontologico) tutte le volte che la lesione (danno evento)
non abbia procurato conseguenze dannose risarcibili al soggetto: la rottura,
da parte di un terzo, di un dente destinato di lì a poco ad
essere estirpato dal (costoso) dentista è certamente una "lesione
medicalmente accertabile", ma, sussunta nella sfera del rilevante
giuridico (id est, del rilevante risarcitorio), non è (non dovrebbe) essere
anche lesione risarcibile, poichè nessuna conseguenza dannosa (anzi..), sul
piano della salute, appare nella specie legittimamente predicabile (la medesima
considerazione potrebbe svolgersi nel caso di frattura di un arto destinato
ad essere frantumato nel medesimo modo dal medico ortopedico nell'ambito di
una specifica terapia ossea che attende di lì a poco il danneggiato). La mancanza di "danno" (conseguenza dannosa)
biologico, in tali casi, non esclude, peraltro, in astratto,
la configurabilità di un danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e
di un possibile danno "dinamico-relazionale", sia pur circoscritto
nel tempo. Queste considerazioni confermano la bontà di una lettura
delle sentenze delle sezioni unite del 2008 condotta, prima ancora che
secondo una logica interpretativa di tipo formale-deduttivo, attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver
identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello
costituzionale (il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione,
la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento
sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera espressione del proprio
pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà
religiosa ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed
una conseguentemente rigorosa valutazione tanto dell'aspetto interiore del
danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con
la vita quotidiana (il danno esistenziale). Una indiretta quanto
significativa indicazione in tal senso potrebbe essere rinvenuta nel disposto
dell'art. 612 bis cod. pen., che, sotto la rubrica
"Atti persecutori", dispone che sia "punito con la reclusione
da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o
molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di
paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un
prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva
ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di
vita". Sembrano efficacemente scolpiti, in questa disposizione di
legge - per quanto destinata ad operare in un
ristretto territorio del diritto penale - i due autentici momenti essenziali
della sofferenza dell'individuo: il dolore inferiore, l'alterazione della
vita quotidiana. Danni diversi, e perciò solo entrambi autonomamente
risarcibili, se, e solo se, rigorosamente provati caso per caso, al di là di sommarie ed impredicabili generalizzazioni
(che anche il dolore più grave che la vita può infliggere, come la perdita di
un figlio, può non avere alcuna conseguenza in termini di sofferenza
inferiore e di stravolgimento della propria vita "esterna" per un
genitore che, quel figlio, aveva da tempo emotivamente cancellato, vivendo
addirittura come una liberazione la sua scomparsa). E' lecito ipotizzare, come sostiene il ricorrente
incidentale, che la categoria del danno esistenziale risulti
"indefinita e atipica". Ma ciè è la probabile conseguenza
dell'essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta,
"indefinita e atipica". Il ricorso incidentale deve pertanto, al pari di quello
principale, essere rigettato. Le spese di giudizio sono destinate, in questa sede, ad integrale compensazione, giusta il principio della
reciproca soccombenza. P.Q.M. La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi e dichiara interamente compensate le
spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 3 maggio 2012. Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2012
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