Corte di Cassazione, sez. III
Civile, sentenza 3 aprile - 20 agosto 2013, n. 19220 sul consenso informato
al trattamento medico – chirurgico
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16 maggio
2002 il Tribunale di Roma rigettava la domanda di risarcimento dei danni,
che l'attore assumeva determinati dall'errore ascrivibile a colpa
professionale medica, proposta da L.F. nei confronti di N.R. .
Il giudice di primo grado escludeva che l'esito dell'intervento medico di fotoablazione corneale ad
entrambi gli occhi eseguito dal dott. N. potesse essere collegato eziologicamente a colpa professionale ritenendo che
fosse, invece, da collegare a fattori estranei alla prestazione medica.
Avverso tale decisione il L. proponeva appello, cui resisteva l'appellato.
In particolare, l'appellante censurava la decisione di primo grado per
erronea ricostruzione dei fatti, non essendo state riscontrate le varie
manchevolezze poste in essere dal professionista
prima (mancanza del consenso informato), durante (esecuzione contemporanea
dell'intervento con laser su entrambi gli occhi) e dopo la prestazione
(mancato controllo della fase post intervento).
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 30 novembre 2006, rigettava
il gravame e compensava le spese del grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito il L. ha proposto ricorso per
cassazione sulla base di tre motivi, il primo del
quale è articolato a sua volta in tre profili.
Ha resistito con controricorso il N. .
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Al ricorso in esame si
applica il disposto di cui all'art. 366 bis c.p.c.
- inserito nel codice di rito dall'art. 6 del
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile, ai sensi del comma 2 dell'art.
27 del medesimo decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione proposti
avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati dalla data di
entrata in vigore dello stesso (2 marzo 2006) e successivamente abrogata
dall'art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n. 69 a decorrere dal 4
luglio 2009 - in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (30 novembre 2006).
2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia "omesso esame di un
punto decisivo della controversia — mancata rilevazione degli errori
del chirurgo prima, durante e dopo l'operazione - contraddittorietà della
motivazione".
2.1. Lamenta il L. che nella fase anteriore
all'operazione il chirurgo avrebbe commesso due gravissimi errori, stante
la mancanza di un consenso informato e dei preventivi esami di laboratorio
e di routine necessari ed opportuni prima
dell'intervento chirurgico e censura sostanzialmente la sentenza impugnata
per insufficiente motivazione.
2.2. In relazione al primo profilo, deduce il
ricorrente che nella motivazione della sentenza impugnata viene evidenziato
che vi sarebbe stata da parte del chirurgo una informazione dei benefici,
delle modalità d'intervento, della eventuale possibilità di scelta tra
diverse tecniche operatorie e dei rischi prevedibili in sede operatoria
avendo lo stesso L. rappresentato in citazione "di aver sottoscritto
il foglio contenente l'informativa relativo all'intervento
oculistico", senza tuttavia considerare che tale foglio non era stato
mai allegato agli atti del giudizio.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto
che quello prestato dal L. fosse un consenso cosciente, in
quanto "proprio l'attività di avvocato svolta dal L. , deve
ragionevolmente far presumere che il predetto prima di apporre la
sottoscrizione abbia vagliato tutte le conseguenze, essendo pienamente
edotto sull'importanza di tale sottoscrizione nell'economia del contratto
di prestazione sanitaria".
Assume il L. che, in realtà, nel caso all'esame, gli fu fatto sottoscrivere
da una segretaria, nella penombra di una sala d'aspetto, un foglio
prestampato senza che nulla gli fosse stato comunicato in
relazione alla possibilità di un esito negativo dell'intervento, con
conseguente limitazione della vista.
Contesta, pertanto, che si sia in presenza di un
consenso informato e globale tale da indirizzare il paziente verso una
scelta consapevole ed evidenzia che l'obbligo di informazione assume un
contenuto autonomo rispetto all'obbligo principale della prestazione
operatoria e va compreso tra gli obblighi di prestazione del chirurgo,
sicché la sua violazione ha autonomo rilievo.
2.3. Il ricorrente censura inoltre la sentenza impugnata per non aver preso
in considerazione le sue doglianze in ordine alla
mancata esecuzione, da parte del chirurgo, di preventivi esami di
laboratorio e di routine necessari ed opportuni prima dell'intervento e per
non aver tenuto conto della grave negligenza del chirurgo, posta in rilievo
dal consulente di parte, consistita nella mancanza di una cartella clinica.
2.4. Ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. il L. ha
evidenziato che "la mancanza del consenso informato e la mancanza
di esami di laboratorio preoperatori e della
relativa cartella clinica costituiscono il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa e
contraddittoria e comunque carente".
2.5. Va evidenziato che il riportato c.d. quesito di fatto risulta sufficientemente articolato in relazione solo al
dedotto mancato consenso, non risultando idoneo nel resto, stante l'estrema
genericità della formulazione e rilevato che il ricorrente ha l'onere non
solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di
merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia
fatto, trascrivendone pure il contenuto o le parti essenziali di esso
rilevanti ai fini della decisione da adottarsi in sede di legittimità, onde
dare modo alla Corte di controllare ex actis la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione
stessa (v., ex plurimis, Cass. 22 gennaio 2013,
n. 1435 (v. anche in motivazione); né risulta indicato in ricorso (unico
atto cui occorre far riferimento in ordine al requisito di cui all'art.
366, primo comma, n. 6, c.p.c, v. Cass. 3 luglio
2009, n. 15628; Cass. 7 febbraio 2011, 2966) quando sono state prodotte la
consulenza di parte del prof. T. e le note critiche dello stesso e neppure
sono riportati i brani di tali atti, cui si fa riferimento
nell'illustrazione del motivo, relativi alle deficienze lamentate in ordine
a preventivi esami e alla mancanza di una cartella clinica.
2.6. In relazione alle censure di cui al primo
profilo del motivo all'esame, attinenti al lamentato difetto di consenso
informato, osserva il Collegio che, secondo l'orientamento costante di
questa Corte, costituisce violazione del diritto inviolabile
all'autodeterminazione (artt. 2, 3 e art. 32, secondo comma, Cost.)
l'inadempimento da parte del sanitario dell'obbligo di richiedere il consenso
informato al paziente nei casi previsti (v. Cass. sez. un., 11 novembre
2008, n. 26972; Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847).
Come evidenziato dalla Corte
Costituzionale nella sentenza n. 438 del 2008, il consenso informato,
inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento
sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto
della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Carta costituzionale, che ne tutela e promuove i
diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della medesima Carta, i quali
stabiliscono, rispettivamente, che "la libertà personale è
inviolabile", e che "nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".
Afferma, inoltre, il Giudice delle leggi che numerose norme internazionali
prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell'ambito dei
trattamenti medici (v. art. 24 della Convenzione
sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; art. 5 della
Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il
4 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145; art.
3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000). La necessità che il paziente sia posto in
condizione di conoscere il percorso terapeutico si evince, altresì, da
diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche (v.
art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219, Nuova
disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli
emoderivati; art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia
di procreazione medicalmente assistita; art. 33 della legge 23 dicembre
1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale in
particolare prevede che le cure sono, di norma, volontarie e nessuno può
essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una
legge). Il diritto al consenso informato trova altresì fondamento, oltre
che nell'art. 31 del Codice deontologico del
giugno del 1995 (v. poi art. 30 del predetto codice del 3 ottobre 1998 e
art. 35 di quello del 16 dicembre 2006), soprattutto nell'a priori
della dignità di ogni essere umano, che ha trovato consacrazione anche a
livello internazionale nell'art. 1 del Protocollo addizionale alla
Convenzione sulla biomedicina del 12 gennaio 1998, n. 168 (v. Cass. 26
luglio 2007, n. 16543).
Come ha sottolineato la Corte Costituzionale
nella già richiamata sentenza, la circostanza che il consenso informato
trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in
risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della
persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se
è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì,
il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai
possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto,
nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere
le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e
consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà
personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione.
Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un
principio fondamentale in materia di tutela della salute.
2.7. La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del
consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di
informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il
paziente sia sottoposto b) dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione
del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con
essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Non
assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito
per violazione del consenso informato, la circostanza che il trattamento
sia stato eseguito correttamente o meno. Sotto
tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del
deficit di informazione non sia stato messo in
condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà
consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una
lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali
della sofferenza, fisica e psichica (v. Cass. 27 novembre 2012, n. 20984;
Cass. 28 luglio 2011, n. 16543). In ordine alle
modalità e ai caratteri del consenso, è stato affermato che il consenso
deve essere, anzitutto, personale, deve, quindi essere prestato dal
paziente (ad esclusione evidentemente dei casi di incapacità di intendere e
volere del paziente); deve poi essere specifico e esplicito (Cass. 23
maggio 2001, n. 7027); deve essere, inoltre, reale ed effettivo, sicché non
è consentito il consenso presunto; e deve essere, altresì, anche attuale,
nei casi in cui ciò sia possibile (v. Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748).
Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole, ossia deve essere "informato", dovendo basarsi su
informazioni dettagliate fornite dal medico. Tale consenso implica, quindi,
la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico,
della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati
conseguibili e delle possibili conseguenze negative (Cass. 23 maggio 2001,
n. 7027).
2.9. Essendo questi i principi da applicarsi in
materia di consenso informato, risulta evidente
che la motivazione al riguardo espressa dalla Corte di merito, in quanto
sostanzialmente fondata soltanto su un argomento di natura presuntiva
(l'attività di avvocato svolta dal L. dovrebbe, ad avviso della Corte
territoriale, far presumere che lo stesso prima di apporre la sottoscrizione
al modulo abbia vagliato tutte le conseguenze, essendo pienamente edotto
sull'importanza di tale sottoscrizione nell'economia del contratto di
prestazione sanitaria), non risulta assolutamente sufficiente, tenuto conto
che da tale circostanza non può desumersi che il consenso prestato sia
stato nella specie effettivamente informato nel senso sopra evidenziato,
cioè prestato sulla base di una adeguata ed esplicita informazione, anche
alla luce delle circostanze del caso concreto, in cui, in particolare, il
foglio prestampato contenente l'informativa relativa all'intervento
pacificamente non è stato prodotto agli atti, sicché non è dato conoscerne
il contenuto, ed é stato fatto sottoscrivere da una segretaria
nell'imminenza dell'operazione.
Si osserva che la finalità dell'informazione che il medico è tenuto a dare
è, come si rileva da quanto già in precedenza posto in rilievo, quella di
assicurare il diritto all'autodeterminazione del paziente, il quale sarà
libero di accettare o rifiutare la prestazione medica (v. anche Cass. 9
febbraio 2010, n. 2847).
È, pertanto, irrilevante la qualità del paziente al fine di stabilire se vi
sia stato o meno consenso informato, potendo essa
incidere solo sulle modalità di informazione, in quanto l'informazione deve
sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale
del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo
particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui
dispone. Il consenso deve però essere sempre completo, effettivo e
consapevole ed è onere del medico provare di aver
adempiuto tale obbligazione, a fronte dell'allegazione di inadempimento da
parte del paziente (Cass. 27 novembre 2012, n. 20984; Cass.28 luglio 2011,
n. 16453 e Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847).
2.10. Le doglianze del ricorrente di cui al primo motivo lettera A) sono,
quindi, fondate in relazione a tale solo profilo,
non essendo condivisibili le argomentazioni in base alle quali la Corte di merito ha
ritenuto nella specie sussistente un consenso informato e, soprattutto, non
essendo le stesse idonee e sufficienti a sorreggere la decisione adottata
al riguardo, sicché il Giudice del rinvio dovrà riesaminare la vicenda in
questione con riferimento al predetto ambito.
3. Risultano, invece, inammissibili le ulteriori
doglianze rappresentante dal ricorrente nel primo motivo alla lettera B),
in cui si lamenta un altro grave errore asseritamente
commesso dal prof. N. nell'aver il predetto eseguito l'intervento
contemporaneamente ad entrambi gli occhi e si censura la sentenza impugnata
per non aver tenuto conto di quanto evidenziato al riguardo dal consulente
di parte, prof. T. , nonché alla lettera C), in
cui si deduce la mancata assistenza post-operatoria, avendo il N. , andato
in vacanza, affidato il paziente ad un giovane assistente che avrebbe
prescritto una terapia cortisonica locale che,
secondo il predetto consulente di parte, avrebbe provocato solo risultati
negativi.
3.1. Entrambe le censure, infatti, non sono assistite da un idoneo c.d.
quesito di fatto, avendo il ricorrente, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., in relazione alla
prima, indicato che "il precedente paragrafo evidenza il fatto
controverso in relazione al quale si assume il vizio di motivazione della
sentenza impugnata" e, in relazione alla seconda, precisato che
"la mancata assistenza post-operatoria costituisce il fatto
controverso in relazione alla quale la motivazione si assume omessa,
insufficiente e controversa".
3.2. Ed invero é stato affermato da questa Corte
che é inammissibile, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.,
per le cause - come quella all'esame -ancora ad esso soggette ratione temporis,
il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione, qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto,
mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche
quando l'indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal
complesso della formulata censura, attesa la ratio
che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive
del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere posta in
condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia
l'errore commesso dal giudice di merito (v. Cass., 18 novembre 2011, n.
24255).
Nel caso di specie il requisito di cui all'art. 366 bis c.p.c.
risulta solo apparentemente rispettato, mancando,
in relazione a quanto dedotto sotto la lettera B), perfino la chiara
indicazione sintetica, evidente ed autonoma (indicata invece dal ricorrente
per relationem) del fatto controverso
rispetto al quale si assume che la motivazione della sentenza sia viziata,
e difettando, rispetto ad entrambe le doglianze all'esame, l'indicazione
delle ragioni per le quali i dedotti vizi della motivazione renderebbero
quest'ultima inidonea a giustificare la decisione, necessitando a tal fine,
in particolare, la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico
passaggio espositivo del ricorso nel quale ciò risulti in modo non
equivoco.
3.3. A tanto deve aggiungersi che le censure di cui alle predette lettere
B) e C) del primo motivo di ricorso difettano
anche di autosufficienza, non essendo stato indicato in quali atti il
consulente di parte, prof. T. , abbia evidenziato
le circostanze evidenziate nelle medesime censure, né quando tali atti
siano stati prodotti e neppure sono stati riportati i brani degli stessi
relativi alle questioni cui si fa riferimento nell'illustrazione del
motivo.
4. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta insufficienza e
contraddittorietà della motivazione nella parte in cui esclude l'esistenza
del nesso causale.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. A conclusione dell'illustrazione del motivo all'esame il ricorrente si
è limitato ad affermare che "il paragrafo che precede contiene il
requisito di inammissibilità del presente motivo
di ricorso per cassazione richiesto dall'art. 366 bis c.p.c.".
Manca, quindi, la formulazione del c.d. quesito di fatto e vanno in questa
sede reiterate le osservazioni già espresse nel p. 3.3.
5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che, "tenuto presente il
principio della soccombenza ed avuto riguardo al
comportamento processuale delle parti, l'accoglimento del ricorso
comporterà necessariamente la condanna del resistente alle spese di tutti i
gradi del giudizio".
5.1. Il motivo, peraltro privo del quesito ex art. 366 bis c.p.c., va disatteso in quanto
non muove censure alla sentenza impugnata ma fa riferimento ad un
ipotizzato e sperato accoglimento del ricorso e, quindi, ad una ipotizzata
e sperata cassazione della sentenza impugnata che, oltre tutto,
travolgerebbe la pronuncia sulle spese. Ed invero
il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i
motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di
specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che
comporta la necessità dell'esatta individuazione del capo di pronunzia
impugnata e dell'esposizione di ragioni che illustrino in modo
intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di
diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n.
20652). Tali requisiti difettano nel caso di specie per quanto sopra
evidenziato.
6. Conclusivamente, va accolto, nei limiti sopra indicati, il solo primo
motivo, mentre vanno rigettate le ulteriori
doglianze sollevate con il ricorso all'esame.
La sentenza impugnata è cassata in relazione alla
censura accolta.
La causa é rinviata alla Corte d'Appello di Roma in
diversa composizione.
Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo
motivo di ricorso, per quanto di ragione; rigetta gli altri motivi; cassa
la sentenza impugnata in relazione alla censura
accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione,
alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione.
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