Revocatoria quale atto a titolo gratuito
che il conferimento in
trust ha natura di atto a titolo gratuito la cui funzione è quella di
costituire un patrimonio separato, analogamente a quanto avviene con il
fondo patrimoniale tra coniugi (art. 167 c.c.) - ha poi aggiunto che il trust, non
essendo un contratto tipico, deve essere valutato, ai sensi dell'art. 1322 c.c., al fine di stabilire se corrisponda o
meno ad una finalità meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico
interno. La valutazione (astratta) della meritevolezza
di tutela è stata compiuta, una volta per tutte,
dal legislatore. La L. 16 ottobre 1989,
n. 364
Cass.
civile, sez. III, 19/04/2018, (ud. 11/01/2018,
dep.19/04/2018),
n. 9637 Trust e meritevolezza dell’interesse
ex art 1322 c.c.
FATTI
DI CAUSA
1. L'avv. D.P.M. convenne in giudizio,
davanti al Tribunale di Bassano del Grappa, M.B.,
sua moglie B.M. ed i loro figli M.W., M. e Mo.,
chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi
dell'art. 2901 c.c., l'atto pubblico notarile col quale M.B.
aveva costituito il trust "(OMISSIS)" a beneficio dei figli,
nominando la moglie come trustee.
A
sostegno della domanda espose di essere creditrice di M.B. in base ad una sentenza irrevocabile per la
somma di Euro 11.806,89 e che l'atto di costituzione del trust pregiudicava
le sue ragioni di credito.
Si
costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della
domanda.
Intervennero
nella lite il geom. Mu.Mi. ed i coniugi H.L. e Me.Sr., tutti in
qualità di creditori di M.B., proponendo
anch'essi domanda di revocatoria del medesimo atto.
Il
Tribunale accolse la domanda, dichiarò l'inefficacia dell'atto di
costituzione del trust e condannò i coniugi M. e
B. al pagamento delle spese di lite.
2.
La pronuncia è stata impugnata, con due diversi atti, da M.B., da B.M. e dai figli
suindicati e la Corte
d'appello di Venezia, con sentenza dell'8 gennaio 2015, riuniti gli
appelli, li ha tutti rigettati, ha confermato la decisione del Tribunale ed
ha condannato gli appellanti, in solido, alla rifusione delle ulteriori
spese del grado.
Ha
osservato la Corte
territoriale, innanzitutto, che le posizioni dei singoli convenuti dovevano
essere tra loro distinte, perchè la B. era portatrice di un
preciso interesse giuridico nella sua qualità di trustee
e, pertanto, litisconsorte necessario; mentre i figli, pur non potendo
essere ritenuti anch'essi litisconsorti necessari, erano titolari di un
interesse di fatto alla partecipazione alla causa, poichè
essa andava ad incidere "su un beneficio
costituito formalmente a loro favore".
Passando
al merito della domanda di revocatoria, la Corte d'appello ha rilevato che tutti i
crediti vantati dall'originaria attrice e dagli intervenuti si fondavano su
provvedimenti giudiziali anteriori rispetto alla costituzione del trust;
atto, quest'ultimo, da ritenere a titolo gratuito ai fini dell'azione
revocatoria, in quanto idoneo a costituire un
patrimonio separato finalizzato ad uno scopo, analogamente a quanto avviene
per il fondo patrimoniale di cui all'art. 167 c.c.. Era evidente, del
resto, che la finalità perseguita da M.B. era
quella di trasferire i suoi beni al trustee senza
alcun corrispettivo, per cui ne era confermata la natura di atto gratuito.
Quanto alla finalità di sottrarre i beni conferiti nel trust alla garanzia
per i creditori, essa risultava dimostrata dal
fatto che il preponente si era riservato il potere di sostituire a suo
piacimento sia il trustee che i beneficiari; per
cui poteva sostenersi che, nella realtà, i beni rimanevano nella
disponibilità di M.B., risultando così confermata
la validità del ragionamento svolto dal Tribunale, secondo cui l'unico
scopo dell'atto in contestazione era quello di "vincolare il proprio
patrimonio alle proprie esclusive esigenze e contemporaneamente sottrarlo
ai creditori, rendendolo apparentemente altro da sè".
Doveva pertanto escludersi, alla luce della disposizione dell'art. 1322 c.c., che l'atto di costituzione in trust fosse meritevole di riconoscimento
da parte dell'ordinamento nazionale.
3.
Contro la sentenza della Corte d'appello di Venezia propongono
ricorso M.B., B.M., M.W.,
M. e Mo. con un unico atto affidato a tre motivi.
Resistono
con separati controricorsi l'avv. D.P.M.
ed il geom. Mu.Mi..
H.L. e Me.Sr. non hanno svolto
attività difensiva in questa sede.
Le
parti hanno depositato memorie.
Il
P.M. presso questa Corte ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l'accoglimento del terzo motivo di ricorso.
RAGIONI
DELLA DECISIONE
1.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2901 c.c., dell'art. 183 c.p.c., nonchè
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia.
Osservano
i ricorrenti che nell'azione revocatoria è onere
di chi agisce dimostrare la sussistenza delle condizioni fissate dalla
legge per la sua effettiva esperibilità. Nella
specie la Corte
d'appello, facendo un uso scorretto della prova presuntiva, non avrebbe
tenuto in considerazione che, a fronte di un credito degli attori assai
modesto, il patrimonio residuo di M.B.
era tale da soddisfare ampiamente le ragioni dei creditori, per cui la
domanda avrebbe dovuto essere rigettata.
1.1.
Il motivo, che presenta evidenti profili di inammissibilità,
è comunque privo di fondamento.
I
ricorrenti, infatti, si limitano genericamente a sostenere che la Corte di merito non
avrebbe adeguatamente considerato la circostanza per cui il residuo
patrimonio di M.B. era
tale da costituire una sicura garanzia per il creditore. Nel compiere
simile affermazione, però, il ricorso fa riferimento alla "mole
cospicua del residuo patrimonio del disponente,
certamente rimasto a disposizione dei creditori", senza tuttavia
indicare quale sia tale patrimonio e, soprattutto, senza specificare se e
in quali termini la questione sia stata posta al giudice di merito. Non a
caso, infatti, la controricorrente D.P. ha contestato che tale documentazione sia stata
prodotta nei gradi precedenti del giudizio.
Ad
ogni modo, anche volendo mettere da parte questo evidente profilo di inammissibilità, il motivo in esame censura
genericamente l'uso della prova presuntiva - che, per pacifica
giurisprudenza di questa Corte, è ammissibile ai fini della valutazione di
fondatezza della domanda di revocatoria - tentando di ottenere in questa
sede un nuovo e non consentito esame del merito.
Quanto,
poi, all'onere della prova circa l'effettiva consistenza del residuo patrimonio
del debitore, essa grava a carico di quest'ultimo, com'è
stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze 29 marzo 2007,
n. 7767, e 3
febbraio 2015, n. 1902), per cui nessuna violazione di legge è
configurabile sotto tale profilo.
2.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione dell'art. 1322 c.c., della L. 16 ottobre 1989, n. 364, oltre ad omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Sostengono
i ricorrenti che la Corte
d'appello avrebbe errato nel sostenere che il conferimento di beni in trust
sia un contratto atipico e, come tale, bisognoso di tutela in termini di meritevolezza dell'interesse.
Il trust è, invece, un contratto regolato dalla legge che ha recepito la Convenzione dell'Aja
del 10 luglio
1985. Richiamando le previsioni dell'atto di conferimento, i
ricorrenti osservano che M.B.
aveva riservato a sè soltanto il potere di
nominare e revocare il trustee in qualsiasi
momento; la garanzia per i creditori non veniva, però, ad essere intaccata
dal conferimento in sè, bensì dal successivo
trasferimento dei beni al trustee. Da tanto
consegue che la domanda di revocatoria avrebbe dovuto
essere rigettata.
2.1.
Il motivo non è fondato, anche se la sentenza impugnata deve essere
corretta in parte nella sua motivazione.
La Corte di merito - dopo
aver correttamente rilevato che il
conferimento in trust ha natura di atto a titolo gratuito la cui funzione è
quella di costituire un patrimonio separato,
analogamente a quanto avviene con il fondo patrimoniale tra coniugi (art. 167 c.c.) - ha poi aggiunto che il trust, non
essendo un contratto tipico, deve essere valutato, ai sensi dell'art. 1322 c.c., al fine di stabilire se corrisponda o
meno ad una finalità meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico
interno.
Tale
ulteriore rilievo è errato, perchè,
come ha giustamente rilevato il motivo in esame, la valutazione (astratta) della meritevolezza
di tutela è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore. La L. 16 ottobre 1989,
n. 364 (Ratifica ed esecuzione della convenzione
sulla legge applicabile ai trusts e sul loro
riconoscimento, adottata a L'Aja il 1 luglio 1985), infatti, riconoscendo piena validità
alla citata convenzione dell'Aja, ha dato
cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, all'istituto in
oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in
volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal
citato art. 1322 c.c.
(nella premessa alla Convenzione si afferma espressamente che si tratta di
un istituto tipico dei Paesi di common law,
adottato però anche da altri Paesi con alcune modifiche).
L'esattezza
di tale rilievo giuridico non giova però ai ricorrenti, perchè
la sentenza impugnata resiste alle censure di cui al motivo in esame.
La Corte veneziana,
infatti, ha chiarito le ragioni per cui ha accolto la domanda di
revocatoria, tra l'altro specificando che l'atto in questione era da ritenere
a titolo gratuito, che i crediti erano anteriori all'atto di costituzione
del trust e che era evidente l'uso strumentale del conferimento, posto che M.B. si era riservato la
facoltà di sostituire a suo piacimento sia il trustee
che i beneficiari, rimanendo nella sostanza pienamente padrone di quei beni
che venivano in tal modo sottratti alla garanzia dei creditori.
Questa
ricostruzione della vicenda è in armonia con il principio affermato da
questa Corte nella recente sentenza 3 agosto 2017, n. 19376, circa la natura di atto gratuito del
conferimento in trust ai fini dell'esperimento dell'azione
revocatoria, principio cui l'odierna pronuncia intende dare continuità.
Ed è chiaro che la conservazione di simili penetranti poteri in capo al
conferente (settlor) rappresenta qualcosa di ben
più significativo rispetto alla semplice
consapevolezza di arrecare un pregiudizio ai creditori; nè
può addebitarsi alla Corte d'appello di aver desunto la prova dell'elemento
psicologico dall'interpretazione delle clausole valide dell'atto di
conferimento in trust.
Il
motivo in esame, del tutto silente in ordine all'insieme
delle argomentazioni poste dalla Corte d'appello a sostegno del rigetto
dell'appello, risulta perciò infondato.
3.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in
riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., oltre ad omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Il
motivo è incentrato sul problema del presunto difetto di legittimazione
passiva dei figli di M.B.,
pure ricorrenti. Si sostiene, al riguardo, che il loro difetto di
legittimazione passiva era stato eccepito fin dal primo grado, ma che nè il Tribunale nè la Corte
d'appello avevano riconosciuto tale circostanza. Il motivo censura
l'affermazione della sentenza secondo cui sussisterebbe in capo ai figli un
interesse di fatto alla lite. In realtà, invece, nessun atto di
disposizione è stato compiuto nei confronti degli stessi e l'atto di
conferimento in trust aveva stabilito la possibilità anche di modificarne i
beneficiari, per cui essi non avevano alcun interesse alla partecipazione
al giudizio.
3.1.
Il motivo è fondato.
La
già menzionata sentenza di questa Corte n. 19376 del 2017 ha affermato che
l'interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non
integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei
beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto
facoltà, non connotate da realità, assoggettate a
valutazioni discrezionali del trustee;
conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti
attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari
nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni
conferiti nel trust, spettando invece la legittimazione, oltre che al
debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di
riferimento nei rapporti con i terzi.
Con
la successiva ordinanza 25 maggio 2017, n. 13175, pronunciata su di un ricorso
promosso dai medesimi odierni ricorrenti in relazione allo
stesso conferimento in trust, questa Corte ha rigettato, fra gli altri,
anche un motivo (il terzo) col quale i ricorrenti avevano contestato la
pronuncia ivi impugnata per avere essa riconosciuto uno specifico interesse
dei beneficiari del trust a resistere al giudizio.
Osserva
il Collegio che il principio enunciato nella sentenza n. 19376 deve trovare
ulteriore conferma in sede odierna, posto che, di
regola, il trustee è legittimato passivamente
nell'azione revocatoria in funzione della sua titolarità di poteri di
gestione sui beni, mentre i beneficiari non sono titolari di un diritto
soggettivo attuale alla corretta amministrazione dei beni, a meno che
l'atto di conferimento non stabilisca diversamente. Nel caso odierno la Corte veneziana,
riprendendo e facendo proprio il giudizio del Tribunale, ha espressamente
riconosciuto che i beneficiari avevano un interesse di mero fatto in relazione alla domanda di revocatoria, il che impone
di giungere ad una conclusione diversa da quella raggiunta nell'ordinanza n.
13175 suindicata, perchè in quel caso c'era stato
un diverso accertamento, con il riconoscimento, in capo ai beneficiari,
"di una propria posizione soggettiva di natura creditoria";
"non adeguatamente contestata in termini fattuali".
Da
tanto consegue che, esclusa la sussistenza di posizioni di diritto
soggettivo in capo ai beneficiari, il terzo motivo di ricorso deve essere
accolto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione e decisione
della causa nel merito, poichè non sono necessari
ulteriori accertamenti di fatto, con declaratoria
di inammissibilità della domanda avanzata nei confronti di M.W., M. e Mo..
4. In conclusione, sono
rigettati il primo ed il secondo motivo di
ricorso, mentre è accolto il terzo.
La
sentenza impugnata è cassata in relazione e la causa è decisa nel merito
nei termini suindicati.
A
tale esito segue la condanna di M.B.
e B.M. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai
sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Quanto
a M.W., M. e Mo., le
spese dell'intero giudizio devono essere compensate in considerazione
dell'esito complessivo.
Sussistono
inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento,
da parte dei ricorrenti M.B. e B.M.,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e
il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza
impugnata in relazione e, decidendo nel merito, dichiara l'inammissibilità
della domanda avanzata nei confronti di M.W., M. e Mo.; condanna i ricorrenti M.B. e B.M. al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate per ciascuno dei controricorsi in complessivi Euro
3.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di
legge; compensa le spese dell'intero giudizio nei confronti di M.W., M. e Mo..
Ai
sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della
sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti M.B. e B.M., dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così
deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 gennaio 2018.
Depositato
in Cancelleria il 19 aprile 2018
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