SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione innanzi al tribunale di Brescia del 10 aprile 1992
Antonio Nenna conveniva in giudizio Enrico Nocivelli per ottenerne la
condanna al pagamento in suo favore della complessiva somma di lire
90.000.000, oltre rivalutazione ed interessi, che reclamava a titolo di
restituzione d'indebito o, in subordine, a titolo di indennizzo per
l'arricchimento senza causa derivatone al convenuto.
Esponeva che con scrittura privata del 28 agosto 1979 il fratello
Giuseppe Nenna si era obbligato a trasferire ad Enrico Nocivelli
100.000 azioni della società Isoplast S.p.a. al prezzo di lire
425.000.000 da corrispondere in pagamento dilazionato in tre anni e con
diritto agli interessi alle scadenze del 31 luglio degli anni dal 1981
al 1983;
che con la medesima scrittura il convenuto si era obbligato a
riconoscere ad esso attore, alle condizioni a lui praticate dal
fratello Giuseppe Nenna, il diritto di opzione per l'acquisto di 96.000
di dette azioni;
che, alla comunicazione dell'opzione, questa era stata esercita;
che, poco prima che scadesse il termine per la prima rata degli
interessi convenzionalmente pattuiti sul prezzo delle azioni alienate
ad Antonio Nocivelli, tra costui e Giuseppe Nenna si era stabilito che
gli interessi medesimi, ammontanti complessivamente a lire 90.000.000,
sarebbero stati corrisposti alle tre scadenze già fissate e che
il pagamento sarebbe stato effettuato direttamente da esso attore
Antonio Nenna a favore di Giuseppe Nenna, piuttosto che di Enrico
Nocivelli ad estinzione del corrispondente debito dello steso Nocivelli
nei confronti di Giuseppe Nenna, alienante a suo favore delle centomila
azioni;
che l'importo complessivo degli interessi era stato pagato da esso
istante mediante rilascio di cambiali, avallate dal Nocivelli ed
onorate alla scadenza.
In tale situazione - aggiungeva l'attore - era intervenuta, intanto,
sentenza passata in giudicato, che aveva rigettato la sua domanda
tendente ad ottenere il trasferimento a suo nome delle 96.000 azioni,
per le quali egli aveva esercitata l'opzione.
Osservava, pertanto, lo stesso attore Antonio Nenna che il versamento
della predetta somma di lire 90.000.000, che egli aveva effettuato in
virtù della delegazione di pagamento concordata tra tutti gli
interessati, era rimasto privo di causa, per cui, invocando la
disciplina dell'indebito e, subordinatamente, quella sull'arricchimento
senza causa per il vantaggio che ne aveva tratto Enrico Nocivelli,
chiedeva in restituzione quello che aveva corrisposto.
Il convenuto contrastava la domanda, eccependo la prescrizione del
credito, la sua carenza di legittimazione sostanziale e processuale,
l'esistenza di giudicati pregressi, l'infondatezza dell'azione
principale e di quella subordinata ex art. 2042 cod. civ..
Chiedeva, altresì, di chiamare in giudizio Giuseppe Nenna, ma
non ne veniva autorizzato.
Il tribunale adito rigettava la domanda e condannava l'attore alle
spese.
Nel giudizio di secondo grado, che dopo la morte dell'appellato Enrico
Nocivelli proseguiva nei confronti degli eredi, sul gravame di Antonio
Nenna provvedeva la Corte d'appello di Brescia con sentenza pubblicata
il 20 settembre 2000, la quale, in riforma della sentenza del
tribunale, dichiarava prescritto il diritto azionato da Antonio Nenna
limitatamente all'importo di lire 30.000.000 e condannava gli eredi di
Enrico Nocivelli, ciascuna in proporzione della quota ereditaria, a
pagare all'appellante la somma residua di lire 60.000.000, oltre gli
interessi legali dalla domanda e le spese del doppio grado del
giudizio.
Ai fini che ancora interessano, i giudici d'appello -premesso che con
la convenzione in data 28 agosto 1979 Giuseppe Nenna aveva alienato ad
Enrico Nocivelli centomila azioni Isoplast (ad un prezzo complessivo da
corrispondere a rate e con gli interessi) e che Enrico Nocivelli ed
Antonio Nenna avevano espressamente stipulato a favore del secondo un
patto di opzione per l'acquisto di 96.000 delle centomila azioni
trasferite al Nocivelli - consideravano, contrariamente a quanto aveva
stabilito il giudice di primo grado, che con la predetta scrittura
privata erano stati conclusi, contestualmente, due distinti rapporti
giuridici: quello del trasferimento delle azioni e l'altro del patto di
opzione su parte di esse.
Qualificavano come delegazione di pagamento la convenzione successiva
con la quale, determinati in complessive lire 90.000.000 gli interessi
sul prezzo di vendita delle azioni dovuti da Enrico Nocivelli
all'alienante Giuseppe Nenna, si stabiliva che detto importo sarebbe
stato corrisposto a costui dal fratello Antonio Nenna, il quale detta
somma, perciò, non avrebbe dovuto versare al Nocivelli, suo
creditore per effetto dell'esercitato diritto d'opzione.
Ritenevano che era fondata, nella parte in cui il diritto dell'attore
non si era prescritto, la domanda di restituzione dell'indebito,
proposta da Antonio Nenna nei confronti del Nocivelli (e quindi dei
suoi eredi), volta che, in virtù dell'intervenuto giudicato, era
stato accertato che non si era perfezionato il contratto di rivendita
all'attore delle 96.000 azioni, per il cui acquisto era stata concessa
l'opzione.
Escludevano dalla obbligazione restitutoria a carico degli eredi
Nocivelli l'importo di lire 30.000.000, corrisposto in data 31 luglio
1981, giacché alla data della citazione erano trascorsi oltre
dieci anni dal pagamento della somma ed era maturata, perciò, la
prescrizione del detto credito.
Rilevavano, infine, che non sussisteva la prova dell'avvenuta
restituzione ad Antonio Nenna dell'importo complessivo di lire
70.000.000 (che gli obbligati pretendevano ricavare dal fatto che al
relativo pagamento essi avrebbero provveduto con danaro della
società Isoplast, mediante un primo assegno di lire 30.000.000,
accreditato sul suo conto corrente personale del creditore, e mediante
un secondo assegno dell'importo di lire 40.000.000, esso pure tratto
sul conto corrente della società e da presumere essere stato
incassato dallo stesso Antonio Nenna), poiché per l'assegno
accreditato non risultava la causale, per cui poteva trattarsi di
pagamento del corrispettivo di prestazioni professionali rese dal Nenna
alla società, e poiché in ordine all'altro assegno non
era emerso se di esso il Nenna era stato il reale beneficiario.
Per la cassazione della sentenza, in proprio e nella qualità, di
eredi del defunto Enrico Nocivelli, hanno proposto ricorso Giovanna,
Angelo, Daniele e Stefano Nocivelli nonché Carolina Ruggeri
Nocivelli, i quali affidano l'impugnazione a quattro mezzi di
doglianza. Resiste con controricorso Antonio Nenna, il quale propone a
sua volta ricorso incidentale sulla scorta di un solo motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti
(art. 335 cod. proc. civ.).
Con il primo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione o falsa
applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360, primo
comma, n. 3 cod. proc. civ. - i ricorrenti principali assumono che
Antonio Nenna avrebbe dovuto preventivamente rivolgere la sua istanza
di restituzione nei confronti di Giuseppe Nenna, in esecuzione del
previsto beneficio di escussione, derivante dalla previsione pattizia
secondo la quale il mancato pagamento di uno o più degli effetti
cambiari, rilasciati in pagamento dell'importo concordato degli
interessi sul prezzo di acquisto delle azioni, avrebbe autorizzato il
recupero del credito cartolare nei confronti del debitore diretto
Antonio Nenna prima di rivolgersi all'avallante Nocivelli.
Sostengono che l'emissione di titoli cambiari aveva rappresentato un
corollario del più complesso negozio, nel quale si collocava
l'obbligazione dei traenti a non agire nei confronti dell'avallante
Nocivelli se non dopo avere espletato tutte le pratiche per il recupero
del loro credito nei confronti del debitore diretto, per cui, avendo
Antonio Nenna agito esclusivamente nei confronti del loro dante causa
Nocivelli in violazione del beneficio di escussione, la sua domanda
sarebbe stata improponibile (o improcedibile).
Con il secondo mezzo di doglianza - deducendo la violazione o falsa
applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360, primo
comma, n. 3 cod. proc. civ. - i ricorrenti principali lamentano che il
giudice di secondo grado a torto non aveva confermato la tesi del
tribunale, secondo cui l'esercizio del patto di opzione avrebbe
determinato da parte di Antonio Nenna l'assunzione di un'obbligazione
propria nei confronti del fratello con la conseguente sua sostituzione
nella posizione giuridica dell'originario debitore Nocivelli.
Deducono che la diversa tesi del giudice di secondo grado - secondo
cui, sul presupposto della sussistenza dei due rapporti giuridici di
vendita delle azioni al Nocivelli e di diritto di opzione di Antonio
Nenna nei confronti dell'acquirente, l'obbligazione di Antonio Nenna di
versare al fratello la somma di lire 90.000.000 si inquadrava
nell'ambito di una delegazione di pagamento - non avrebbe potuto
trovare conferma se si fosse proceduto ad una corretta lettura del
documento in data 6 aprile 1981, contenente la convenzione successiva
circa la misura complessiva degli interessi e le modalità di
pagamento di essi all'alienante Giuseppe Nenna.
Precisano che, per il fatto che il giudicato intervenuto in altra causa
aveva escluso il valido esercizio del diritto d'opzione, il documento
suddetto avrebbe dovuto rendere evidente che Antonio Nenna aveva pagato
al fratello in esecuzione di obbligazione assunta direttamente nei suoi
confronti e non perché a ciò era stato delegato dal suo
creditore Nocivelli.
I due motivi di impugnazione, che debbono essere esaminati
congiuntamente in quanto attengono ad una complessiva critica sia della
ricostruzione della volontà delle parti che dell'esatto
inquadramento giuridico dell'intera vicenda, non possono essere
accolti.
0sserva, anzitutto, questa Corte che costituisce principio
assolutamente indiscusso che l'interpretazione del contratto, la quale
consiste nell'accertamento della volontà dei contraenti, si
risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui
valutazione é censurabile in cassazione soltanto per
inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole
ermeneutiche.
Pertanto non può trovare ingresso in sede di legittimità
la critica della ricostruzione della volontà negoziale, operata
dal giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella
prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto
già esaminati (ex plurimis: Cass., n. 4085/2001).
Inoltre, nell'interpretazione delle clausole contrattuali il giudice
del merito, allorché le espressioni usate dalle parti fanno
emergere in modo immediato la comune loro volontà, deve
arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare
applicazione degli ulteriori criteri ermeneutici sussidiari, il ricorso
ai quali (fuori dell'ipotesi dell'ambiguità delle clausole)
presuppone la rigorosa dimostrazione dell'insufficienza del mero dato
letterale ad evidenziare in modo soddisfacente l'intenzione dei
contraenti (Cass., n. 10493/2001).
Nella specie, il giudice del merito ha spiegato che la transazione
conclusa il 28 agosto 1979 era "inequivocabile" in ordine all'avvenuta
stipulazione di un patto di opzione a favore di Antonio Nenna (di cui
erano indicati l'oggetto e le altre condizioni per l'acquisto delle
96.000 azioni) ed ha chiarito che con la suddetta convenzione Giuseppe
Nenna aveva alienato ad Enrico Nocivelli 100.000 azioni, sicché
le parti avevano posto in essere due distinti rapporti, rispetto ai
quali la vendita al Nocivelli costituiva il negozio temporalmente e
logicamente anteriore al patto d'opzione, questo accordato ad Antonio
Nenna dal Nocivelli, a ciò legittimato dalla sua qualità
di nuovo proprietario dei titoli azionari.
La duplicità dei rapporti e l'insussistenza di un'obbligazione
diretta di Antonio Nenna a favore del fratello sono state ritenute
dalla Corte territoriale situazioni giuridiche assolutamente non
influenzate dal rilascio dei titoli cambiari a firma di Antonio Nenna e
con avallo del Nocivelli: sul punto il giudice di secondo grado ha
precisato che l'azione proposta prescindeva completamente dal regime
legislativo e convenzionale dell'incasso dei predetti titoli e che essa
era stata fondata sulla regola generale della ripetibilità
dell'indebito, rispetto alla quale assumeva rilievo soltanto l'avvenuto
pagamento "indipendentemente dal fatto che ad esso si sia provveduto
onorando gli effetti a suo tempo rilasciati".
La suddetta motivazione - peraltro solo in parte censurata con il
ricorso per cassazione - nel suo complesso è pienamente
coerente, logica e convincente, basata com'è sull'elemento
interpretativo emergente dalla lettera del contratto, sicché la
critica svolta dai ricorrenti principali si risolve in una
inammissibile richiesta di diversa valutazione del materiale
probatorio, dalla quale dovrebbe discendere una sorta di riunificazione
dei due autonomi rapporti in unico e nuovo contratto, mediante un
preteso collegamento negoziale, cui avrebbe dato causa il successivo
regolamento cambiario.
In realtà, proprio il suddetto regolamento cambiario,
considerato dalla Corte territoriale come stipulazione accessoria e
rafforzativa del successivo rapporto trilatere di delegazione di
pagamento nella forma della cd. delegazione titolata, é servito
al giudice del merito quale argomento esegetico ulteriore della
sussistenza dei due distinti contratti (vendita delle azioni e
successivo patto d'opzione accordato dall'acquirente dei titoli al
terzo).
L'accertata duplicità dei rapporti contrattuali, inoltre, ha
costituito il presupposto logico in base al quale il giudice di secondo
grado ha ritenuto che lo schema negoziale adottato successivamente
dalle parti per regolare le rispettive posizioni di credito e di debito
era da qualificare come delegazione cumulativa di pagamento, in
virtù della quale Enrico Nocivelli (delegante) assegnava al suo
creditore Giuseppe Nenna (delegatario), come nuovo debitore, Antonio
Nenna (delegato), il tutto sulla base dei due preesistenti rapporti di
debito: l'uno (il cd. rapporto di valuta) intercorrente tra delegante e
delegatario ed avente ad oggetto l'obbligazione dell'acquirente
Nocivelli di pagamento del prezzo delle azioni e degli interessi sugli
importi rateizzati a favore dell'alienante Giuseppe Nenna; l'altro (il
cd. rapporto di provvista) intercorrente tra delegante e delegato ed
avente ad oggetto, tra l'altro, l'obbligazione di Antonio Nenna di
corrispondere ad Enrico Nocivelli, al fine di esercitare il diritto di
opzione per l'acquisto delle azioni, gli interessi nella misura
complessivamente concordata.
Anche detta qualificazione è del tutto conforme a legge, a nulla
rilevando in contrario che il credito di Enrico Nocivelli nei confronti
di Antonio Nenna si presentasse, all'epoca, come un credito futuro
perché geneticamente collegato al negozio attuativo del patto
d'opzione, che non era intervenuto.
In proposito, la risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass., n.
1788/67; Cass., n. 2549/69) ha già chiarito che per la
validità della delegazione titolata è sufficiente
l'esistenza dei rapporti sottostanti di provvista e di valuta al
momento della scadenza, mentre non è necessario che essi
sussistano all'atto della stipulazione, per cui può considerarsi
ammissibile sia una delegazione di crediti che, ancorché
esistenti, non siano ancora liquidi ed esigibili, sia una delegazione
di crediti futuri, che, pur non potendo ancora considerarsi esistenti,
risultino, tuttavia, collegati ad un non ancora avvenuto svolgimento di
rapporti, che siano già in atto al momento in cui viene attuato
il rapporto di delegazione, siccome é avvenuto nel caso di
specie, in cui al momento della delegazione era sussistente già
il patto di opzione, anche se ad esso ancora non era stata data
attuazione con la stipulazione del contratto di ritrasferimento delle
azioni ad Antonio Nenna.
Ritenuta esatta la qualificazione di delegazione di pagamento titolata
e poiché l'impugnata sentenza ha accertato anche che
l'obbligazione del delegato risulta essere stata adempiuta a favore del
delegatario prima che del considerato rapporto di provvista tra Enrico
Nocivelli ed Antonio Nenna fosse dichiarata in altro giudizio la
definitiva inefficacia, deve ritenersi infondata anche la censura, pure
prospettata dai ricorrenti, secondo la quale per la ripetizione
dell'indebito lo stesso Antonio Nenna non avrebbe dovuto indirizzare la
sua pretesa restitutoria nei confronti del Nocivelli (e quindi dei suoi
eredi), ma avrebbe dovuto agire nei confronti del fratello Giuseppe
Nenna.
Su chi debbano gravare le conseguenze dell'indebito pagamento
effettuato in ipotesi di delegazione doppiamente titolata (dal rapporto
di valuta e dal rapporto di provvista) per il caso che risulti
successivamente invalido il rapporto di provvista, costituisce
questione (nota in dottrina ed esaminata soltanto di riflesso dalla
risalente decisione di Cass., 18 luglio 1967, n. 1788) che deve essere
risolta nel senso che il delegato è certamente legittimato ad
agire nei confronti del delegante.
Invero, poiché il delegato pagando al delegatario estingue
contestualmente il suo debito nei confronti del delegante, è nei
confronti di costui che necessariamente il delegato deve indirizzare la
pretesa ex art. 2033 cod. civ. quando, avendo già provveduto al
pagamento a favore del delegatario nell'erronea convinzione della
sussistenza di valido rapporto di provvista (senza aver potuto,
pertanto, opporre al delegatario, ai sensi dell'art. 1271, secondo
comma, cod. civ., le eccezioni fondate sul rapporto di provvista,
nell'ipotesi in cui ciò era stato consentito da una espressa
previsione pattizia,) risulti successivamente la invalidità o
l'inefficacia della ragione del credito evidenziata dalle parti come
giustificativa del rapporto di provvista.
Deve, infatti, considerarsi che, in tal caso, le conseguenze
dell'indebito pagamento vengono a cadere unicamente sul patrimonio del
delegato e che l'indebito oggettivo é quello proprio che
realizza il delegante, giacché il pagamento effettuato a favore
del delegatario trova la sua causa nell'esistente e valido rapporto di
valuta.
Con il terzo motivo d'impugnazione - deducendo, in relazione all'art.
360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., la contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia - i ricorrenti principali, con
riferimento alla valutazione del giudice del merito circa la mancata
dimostrazione del pagamento da parte di Nocivelli ad Antonio Nenna dei
novanta milioni di lire, assumono che la prova di due successivi
versamenti, rispettivamente di lire 30.000.000 in data 31 luglio 1981 e
di lire 40.000.000 in data 2 agosto 1982, sarebbe dovuta derivare dalla
documentazione agli atti di causa, costituita da un assegno Isoplast n.
4282 Cassa Rurale e Artigiana Montichiari, rilasciato ad Antonio Nenna
e confluito sul conto personale dello stesso, e da un assegno Isoplast
n. 112 della stessa banca, esso pure incassato dallo stesso Antonio
Nenna.
La censura non è fondata.
E' del tutto pacifico il principio (ex plurimis: Cass., sez. un., n.
13045/97) che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni
svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere
e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità
dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza
all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge).
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima,
può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel
ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente
del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ovvero
quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del
procedimento logico - giuridico posto a base della decisione.
Nella specie, il giudice di merito ha indicato le ragioni per le quali
deve escludersi che gli assegni, tratti sul conto corrente bancario
della società, siano stati emessi o siano stati incassati da
Antonio Nenna a titolo di restituzione di quanto lo stesso
indebitamente aveva corrisposto.
Le ragioni esposte dalla Corte territoriale non sono incoerenti
né illogiche ed esse non sono state oggetto di specifica
critica.
Le considerazioni svolte dai ricorrenti allo scopo di dimostrare -
mediante l'argomento presuntivo che dovrebbe derivare dalla
"chiarissima sequela cronologica di documenti" - che le somme di cui
agli assegni sono pervenute ad Antonio Nenna e che il pagamento avrebbe
dovuto essere imputato al debito di restituzione, si risolvono
anch'esse nell’inammissibile richiesta della diversa valutazione degli
elementi di prova.
Con il quarto motivo d'impugnazione i ricorrenti principali si dolgono
della condanna al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio e
deducono che la statuizione non sarebbe corretta, in quanto, data la
complessità e l'opinabilità della materia del contendere,
sussistevano tutte le condizioni per una pronuncia di compensazione tra
le parti.
Anche detta censura deve essere respinta in virtù del generale
principio che, in tema di regolamento delle spese processuali, il
sindacato del giudice di legittimità è limitato alla
violazione del principio secondo il quale le spese non possono essere
poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui esula da tale
sindacato, rientrando essa nel potere discrezionale del giudice del
merito, la valutazione, ex art. 92 cod. proc. civ.,
dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di
lite.
Il ricorso principale, pertanto, è rigettato. Merita, invece, di
essere accolta l'impugnazione incidentale, con la quale in unico motivo
il ricorrente Antonio Nenna - deducendo la violazione e la falsa
applicazione delle norme di cui agli art. 2935, 2933 e 2941 cod. civ.
nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
un punto decisivo della controversia - denuncia che il giudice di
merito aveva fatto decorrere il termine di prescrizione decennale del
suo diritto ad ottenere la restituzione di quanto egli aveva
indebitamente corrisposto non dal passaggio in giudicato della sentenza
di accertamento della sussistenza dell'indebito oggettivo, ma dalla
data in cui era avvenuto il pagamento, che era risultato
successivamente senza causa.
Premesso, infatti, che il venir meno della causa di un pagamento in
epoca ad esso successiva dà luogo ad un'azione di ripetizione di
indebito oggettivo, osserva questa Corte, in conformità a quanto
già stabilito (Cass., n. 12038/2000), che, qualora
l'accertamento della nullità del titolo, che aveva giustificato
il versamento di una determinata somma, costituisce l'effetto di una
sentenza, soltanto dal giorno del relativo passaggio in giudicato
inizierà a decorrere il termine di prescrizione per il solvens
che voglia ottenere la restituzione di quanto corrisposto: infatti
prima di allora permane l'esistenza del titolo, che aveva dato luogo al
versamento della somma, e resta, perciò, esclusa la stessa
possibilità giuridica dell'esercizio del diritto ai sensi
dell'art. 2935 c.c..
In accoglimento del ricorso incidentale l’impugnata sentenza deve
essere cassata in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte
d'appello di Brescia.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del
presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il
ricorso incidentale; cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia,
anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della
Corte d'Appello di Brescia.
Roma, 17 dicembre 2003
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 19 MAGGIO 2004
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