Aggiornamento - Civile

 

Cass. Civ., sez. II, 6 maggio 2005, n. 9402, sul negozio fiduciario

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 14 dicembre 1995 Br. Ce., Vi. Br. e Gu. Mi. Bu. convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di Milano Ci. Bu. per sentirlo condannare alla restituzione delle somme: di L. 398.000.000 in favore della prima e di L. 198.000.000 in favore degli altri due, trattandosi di importi indebitamente prelevati dai conti correnti bancari loro rispettivamente intestati.
Gli attori - moglie e figli del convenuto - facevano presente che Ci. Bu., al quale era stata concessa la facoltà di operare sui conti correnti n. (...) e n. (...), intestati il primo a Br. Ce. e il secondo ai figli, aveva prelevato le somme sopra indicate il 5 dicembre 1994, mentre erano in corso le trattative per la separazione dei coniugi Ci. Bu. - Br. Ce.
Il convenuto, costituendosi in giudizio, deduceva che le somme prelevate dai conti correnti, solo formalmente intestati alla moglie e ai figli, erano di sua esclusiva proprietà e di provenienza del patrimonio familiare;
pertanto, chiedeva il rigetto della domanda proposta dagli attori e, in via riconvenzionale, che fosse accertato che le quote del capitale sociale della s.r.l. To. Bo. 17 ed i conti correnti in oggetto erano di sua esclusiva proprietà, essendo l'intestazione meramente fiduciaria.
Nel corso del giudizio veniva dichiarata l'estinzione del giudizio relativamente alla domanda proposta da Vi. Bu. e Gu. Mi. Bu. figli, essendo intervenuta rinuncia agli atti. Con sentenza del 28 febbraio/2 marzo 2000 il tribunale accoglieva la domanda proposta dalla Ceccato, rigettando quella riconvenzionale spiegata dal convenuto.
Il giudice di primo grado, ritenendo non provata l'intestazione fiduciaria delle quote sociali e del conto corrente n. (...), ne escludeva la titolarità a favore del Vi. Bu..
Con sentenza dell'11 aprile/11 maggio 2001 la Corte di appello di Milano rigettava l'impugnazione proposta da Vi. Bu..
Secondo i giudici di appello, mentre sussisteva la prova documentale della cessione del 25% delle quote di partecipazione al capitale sociale della s.r.l. To. Bo. 17 da parte della madre del Vi. Bu. a favore della Br. Ce. e del pagamento del prezzo risultante dalla sottoscrizione in calce al libro soci, la tesi dell'intestazione formale sostenuta dall'appellante si era basata sulla mera asserzione, secondo cui l'alienazione sarebbe avvenuta a titolo di anticipazione della futura successione, essendo stati allegati al riguardo soltanto labili elementi indiziari fondati su presunzioni;
d'altra parte, la fragilità della tesi del Vi. Bu. era avvalorata dalla circostanza che con il medesimo atto di cessione del 10 gennaio 1982 a Vi. Bu. era stato trasferito un uguale numero di quote della medesima società;
pertanto, Br. Ce. - titolare esclusiva della partecipazione societaria cedutale - era proprietaria delle somme ricavate dalla loro successiva alienazione e versate da Vi. Bu. sul conto corrente intestato alla moglie nonché dell'ulteriore importo di L. 240.000.000 depositato sul medesimo conto e prelevato da Vi. Bu., che aveva al riguardo dedotto che si trattava del corrispettivo delle altre quote sociali di sua esclusiva proprietà: secondo l'appellante le somme affluite sul conto, soltanto formalmente intestato alla moglie, sarebbero servite per compiere operazioni di finanziamento di altra società di famiglia, la Sa.
Doveva escludersi la invocata intestazione fiduciaria del conto, atteso che l'esistenza del pactum fiduciae, che non era stato in alcun modo dimostrato, non poteva essere desunto dalla circostanza che Vi. Bu. teneva i rapporti con le banche ed eseguiva le operazioni necessarie per conto e nell'interesse della famiglia: in realtà tale attività si giustificava con la delega a lui conferita dalla titolare effettiva e non formale del conto;
inammissibile o ininfluenti si erano rivelati le prove articolate dall'appellante.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Vi. Bu. sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso Br. Ce.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1414, 1418, 1421, 2697, 2730 e ss. cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che, nel ritenere provato il pagamento del prezzo delle quote sociali da parte della Br. Ce., non aveva tenuto conto delle dichiarazioni confessorie rese dalla medesima, da cui doveva desumersi che il prezzo effettivo era ben superiore a quello nominale, per il quale sarebbe stata raggiunta la prova del pagamento, e che lo stesso non era stato mai versato.
Da tale premessa la sentenza avrebbe dovuto desumere la simulazione del trasferimento e quindi l'intestazione fiduciaria delle quote societarie: la prova del negozio fiduciario non incontra le preclusioni stabilite dagli artt. 2722 e 2725 cod. civ..
In proposito i giudici di appello non avevano esaminato tutta una serie di elementi, dai quali doveva necessariamente trarsi il convincimento in ordine al carattere fittizio dell'intestazione a favore della Br. Ce., atteso che la medesima non aveva mai esercitato i diritti e ricavato gli utili relativi alla sua partecipazione nella predetta società;
le somme ricavate dalla vendita delle quote da parte della Br. Ce. erano state depositate sul conto n. (...), appositamente costituito e su cui Vi. Bu. aveva la delega ad operare; da tale conto erano state tratte le disponibilità per finanziare la società di famiglia Sa., impiegando altresì gli importi prelevati da altro conto a lui intestato, costituenti il corrispettivo della cessione delle altre quote di sua proprietà;
le limitate operazioni effettuate da Br. Ce. sul predetto conto n. (...) non avevano mai riguardato il provento della vendita delle quote;
la documentazione prodotta dimostrava che era il ricorrente a intrattenere in via esclusiva i rapporti con la banca;
l'intestazione fiduciaria a favore della moglie aveva la finalità di evitare la responsabilità illimitata del socio unico per le obbligazioni sociali, mentre d'altra parte la distinta intestazione dei conti era determinata dalla finalità di evitare conflitti di interesse, essendo Vi. Bu. amministratore della Sa. che veniva finanziata con le somme prelevate dal suddetto conto.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1414, 1421, 2697, 2730 e ss. cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata che non aveva in alcun modo esaminato i profili relativi alla nullità del contratto di cessione per mancanza di causa, non essendo stato provato il pagamento del prezzo nominale e, comunque dato il suo carattere irrisorio e fittizio rispetto al valore effettivo delle quote, l'acquisto sarebbe affetto da invalidità che Vi. Bu., ai sensi dell'art. 1421 cod. civ. aveva interesse a fare valere.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 2697 e 2730 e ss. cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., censura la decisione impugnata che, nell'escludere la proprietà delle somme versate sul conto corrente n. (...), aveva dato rilevanza alla semplice intestazione a favore della Br. Ce., senza considerare tutta una serie di operazioni effettuate da Vi. Bu., che vi aveva fatto affluire le somme provenienti da altro conto a lui intestato e che costituivano il provento della vendita delle altre quote di sua proprietà;
in ogni caso si sarebbe dovuto configurare l'ipotesi della cointestazione del conto, con la conseguenza che, in applicazione dell'art. 1298 cod. civ., le somme - essendo di esclusiva pertinenza del ricorrente - erano di proprietà esclusiva di quest'ultimo, non ricorrendo i presupposti per riconoscere alla dazione dei predetti importi la natura di atto di liberalità.
Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., censura la decisione impugnata per avere trascurato ed ignorato completamente il comportamento processuale tenuto dalla Ceccato, che avrebbe potuto costituire anche l'unica e sufficiente fonte di prova delle circostanze dedotte in giudizio dal convenuto.
Con il quinto motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 244 cod. proc. civ nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., deduce che erroneamente non erano state ammesse le prove articolate per dimostrare la mancanza di causa e quindi la nullità del trasferimento delle quote societarie, senza considerare la rilevanza delle circostanze relative alla gestione della società, atteso che la intestazione fiduciaria non incontra i limiti stabiliti per la prova testimoniale e per quella per presunzioni.
I motivi, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Le censure sono infondate.
La sentenza impugnata ha ritenuto provata la proprietà da parte della Br. Ce. delle quote di partecipazione al capitale sociale relativo alla s.r.l. To. Bo. 17 e la titolarità esclusiva del contratto di conto corrente bancario alla medesima intestato.
Al riguardo i giudici di appello hanno accertato che il trasferimento della proprietà delle quote era avvenuto con l'atto di cessione del 10 gennaio 1982, rilevando altresì che lo stesso e il pagamento in contanti del prezzo erano stati annotati nel libro soci.
Il conto corrente, d'altra parte, era risultato intestato alla attrice: irrilevante è stata in proposito considerata l'effettuazione da parte del Vi. Bu. - che nel rapporto con la banca agiva per delega della moglie - delle operazioni finanziarie ad esso relative, o ancora, che le somme versate sul conto corrente in questione appartenessero al medesimo.
La decisione, nel respingere la tesi del Vi. Bu. che aveva sostenuto la titolarità delle quote e del conto, ha verificato che non era stata fornita la prova del pactum fiduciae.
Il ricorrente, con le censure sollevate nei confronti della sentenza impugnata, ribadisce la natura fiduciaria dell'intestazione a favore della moglie delle quote e del conto corrente, sostenendo che la Corte non aveva esaminato e valutato tutta una serie di elementi da cui si sarebbe dovuto evincere il carattere fittizio e simulato del trasferimento delle partecipazioni sociali e dell'intestazione del conto corrente, essendo egli il titolare delle somme ivi depositate e di cui era il solo a disporne.
Orbene occorre innanzitutto chiarire che il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, l'uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l'altro di carattere interno - pure effettivamente voluto - ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio per cui il fiduciario é tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o a un terzo (Cass. 4886/2003);
in particolare l'intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista (a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo - in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria - tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 13261/1999).
Nella specie, in base agli accertamenti compiuti dalla decisione impugnata, non può dubitarsi che il negozio di cessione delle quote era effettivo, atteso che lo status di socio ed i diritti ad esso inerenti erano acquistati da Br. Ce. che, in virtù dell'annotazione nel libro soci, era il soggetto legittimato ad esercitarli;
non diversamente deve ritenersi per il contratto di conto corrente che, essendo intercorso fra la stessa Br. Ce. e la banca, era produttivo di effetti direttamente nella sfera giuridica dell'intestataria. Come esattamente sottolineato dai giudici di appello Vi. Bu. avrebbe dovuto offrire la prova dell'esistenza e del contenuto del negozio interno, in base al quale le parti avrebbero poi regolato i loro rapporti, stabilendo gli obblighi posti a carico del fiduciario nei confronti del fiduciante. Ed in proposito la sentenza, con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, ha chiarito al riguardo come dalle risultanze processuali erano emersi soltanto elementi indiziari basati su presunzioni ed ipotesi prive di univocità ed inidonee a fini probatori, così come non decisive si erano rivelate le circostanze articolate nei capitoli di prova in ordine alla gestione del conto e della società da parte del Vi. Bu. (e perciò ritenute ininfluenti). Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, rientra nei compiti del giudice del merito il giudizio circa l'idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell' "id quod plerumque accidit", essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo di legittimità se sorretto da motivazione immune dai vizi logici o giuridici, e ciò dicasi anche con riferimento al comportamento processuale tenuto dalla parte (Cass. 2584/2002; 1404/2001).
Il precedente richiamato (Cass. 7899/1994) dal ricorrente a proposito dell'intestazione fiduciaria delle quote societarie è inconferente, posto che nel caso deciso la Suprema Corte, nel chiarire la differenza fra interposizione fittizia e interposizione reale, ha verificato l'esistenza del pactum fiduciae, statuendo che si versa nell'ipotesi del negozio fiduciario qualora i soci si accordano per creare una società di capitali il cui capitale sia stato effettivamente conferito solo da uno di loro effettivamente mentre gli altri sono soltanto apparentemente intestatari di azioni o quote sociali: l'operazione, che si realizza con la creazione della società, integra l'intestazione fiduciaria delle quote, con il conseguente obbligo per gli intestatari apparenti di trasferire le loro quote a colui che aveva conferito interamente il capitale sociale.
Nella specie i giudici di appello hanno evidenziato proprio la mancanza della prova del negozio fiduciario, tenuto conto che, alla stregua delle risultanze istruttorie, Vi. Bu. era risultato estraneo e non partecipe alla cessione avvenuta fra la madre e Br. Ce. né erano stati dimostrati l'esistenza e il contenuto di un accordo tra quest'ultima e il ricorrente.
In realtà, la decisione impugnata, nel disattendere le istanze istruttorie articolate da Vi. Bu. per contrarietà alle risultanze documentali o perché ritenute ininfluenti, ha anche esaminato la questione relativa alla nullità per mancanza di causa dell'acquisto delle quote societarie, escludendola con motivazione corretta ed esauriente, sul rilievo che il prezzo era stato pattuito ed anche pagato secondo quanto risultava dall'annotazione nel libro soci, così implicitamente ritenendo che lo stesso non fosse né irrisorio né fittizio.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 3.100 di cui euro 100 per esborsi ed euro 3.000 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio dell'8 marzo 2005.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 6 MAGGIO 2005

 

 


 

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