Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza del 24 giugno
2002 n. 9161 sul leasing traslativo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE III CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. Gaetano NICASTRO - Presidente
-Dott. Paolo VITTORIA - Consigliere
-Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Rel. Consigliere -
Dott. Francesco TRIFONE - Consigliere -
Dott. Alberto TALEVI - Consigliere -ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:Banca Carige spa, Cassa di Risparmio di Genova
e Imperia, con sede in Genova, quale incorporante la Columbus Leasing spa,
in persona del suo Presidente e Legale Rappresentante Prof. Avv. Fausto
Cuocolo, elettivamente domiciliata in Roma Via Archimede 44, presso lo
studio dell'avvocato Stefano Coen, che la difende anche disgiuntamente
all'avvocato Giorgio Villani, giusta delega in atti;- ricorrente -
contro
Di Maria Arnaldo in proprio e quale legale rappresentante della Ristorante
Italia srl, De Martini Francesco corrente in Genova nonchè di Francesco
De Martini in qualità di erede universale della defunta Sig.ra Gabriella
De Martini, elettivamente domiciliati in Roma Via Boezio 6, presso lo studio
dell'avvocato Simone De Martino, difesi dagli avvocati Gianstefano Torrigino,
Teo Tirelli, giusta delega in atti;- controricorrente -
nonchè contro
Fallimento Diffusione Moro Mare In Franchising srl, nonchè Fallimento
Pizza Club srl, entrambi in persona del Curatore Dott. Giorgio Bertone,
elettivamente domiciliati in Roma Piazza Vescovio 21, presso lo studio
dell'avvocato Tommaso Manferoce, che li difende anche disgiuntamente all'avvocato
Roberto Freschi, giusta delega in atti;- controricorrenti -
avverso
la sentenza n. 989/98 della Corte d'Appello di Genova, Sezione III Civile,
emessa il 10/12/98 e depositata il 30/12/98 (R.G. 295/96);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/01/02
dal Consigliere Dott. Luigi Francesco DI Nanni;udito l'Avvocato Giorgio
Villani;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano
Schirò che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del I e III, motivo
ed il rigetto del II.
ANTECEDENTI DI FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La spa Columbus Leasing, il 14 dicembre 1990, stipulò con la
srl Diffusione Moro Mare in franchising un contratta di locazione finanziaria
avente ad oggetto porzioni di un immobile in Genova.L'articolo 19 del contratto
prevedeva che, in caso di risoluzione anticipata della locazione, il concedente
aveva diritto di chiedere il pagamento dei canoni scaduti, oltre gli interessi
di mora ad un tasso non inferiore al 20%, e dei canoni da scadere, oltre
al risarcimento del maggior danno.Le obbligazioni assunte dalla Società
Diffusione Moro Mare erano garantite da fideiussioni prestate da Arnaldo
Di Maria, da Gabriella De Martini, dalla srl Ristorante Italia e dalla
srl Pizza Club.La Società Diffusione Moro Mare risultò inadempiente
nel pagamento di cinque canoni di locazione e la Società Columbus
dichiarò all'altra parte l'avvenuta risoluzione del contratto.Sulla
base di queste premesse la Società Columbus, con decreto ingiuntivo,
consegui la condanna della srl Diffusione Moro Mare in franchising e dei
suoi fideiussori al pagamento della somma di lire 962.398.188, somma comprendente
i canoni scaduti e gli interessi, di mora dal 1° novembre 1993, nella
misura del 20%.2. La Società Diffusione Moro Mare, Arnaldo Di Maria,
Gabriella De Martini, la Società Ristorante Italia e la Società
Pizza Club, con atto di citazione del 6 aprile 1993, hanno proposto opposizione
al decreto ingiuntivo davanti al tribunale di Genova ed hanno chiesto,
per quanto è ancora rilevante: a) che la Società Columbus
fosse condannata a restituire i canoni versati, pari a lire 215.895.800,
oltre interessi dalla domanda; b) che fosse dichiarato che la Società
Columbus aveva diritto a trattenere soltanto un equo compenso, indicato
nella misura di lire 112.000.000; c) che la penale, consistente nell'obbligo
del pagamento dei canoni da scadere, fosse diminuita con eventuale compensazione
dei crediti.La Società Columbus ha resistito all'opposizione e,
con domanda riconvenzionale, ha chiesto che gli opponenti fossero condannati
a pagare i canoni maturati fino alla restituzione dell'immobile e quelli
che sarebbero scaduti, oltre gli interessi nella misura del 25% sui canoni
non riscossi, ed il risarcimento del danno nella misura eccedente la penale.Nel
corso del giudizio il consulente tecnico d'ufficio ha dichiarato: che,
nel periodo di esecuzione del contratto, il valore di mercato del canone
della locazione era di lire 3 milioni mensili; che il valore di mercato
dell'immobile era di lire 568.500.000; che il valore attuale dei canoni
da scadere ammontava a lire 823.429.733.3. L'opposizione a decreto ingiuntivo
è stata accolta ed è stata fissata in lire 321.751.065, oltre
interessi di mora nella misura del 20% per anno a partire dal 23 ottobre
1991, la somma che gli opponenti dovevano pagare in solido alla Società
Columbus.La somma è stata determinata sottraendo all'importo portato
dal decreto ingiuntivo il valore dell'immobile, che l'utilizzatore aveva
restituito.4. La decisione é stata impugnata dalla Società
Diffusione Moro Mare in franchising e dai suoi fideiussori i quali, per
quanto ancora interessa, hanno chiesto che la somma che essi erano tenuti
a pagare fosse ridotta a lire 205.815.265, pari alle mensilità corrisposte
in costanza di rapporto.Nel giudizio si è costituita la Cassa di
Risparmio di Genova ed Imperia (Banca Carige), incorporante la Società
Columbus, la quale ha chiesto, in via incidentale, anche la condanna degli
appellanti al pagamento anche della somma di lire 88.000.000, corrispondere
al prezzo del riscatto non riconosciuto dal tribunale.Il giudizio, interrotto
a seguito della dichiarazione che le Società Diffusione Moro Mare
e Pizza Club erano state dichiarate fallite, è stato riassunto dal
fallimento della Società Diffusione Moro in franchising, dal fallimento
della Società Pizza Club, da Arnaldo Di Maria in proprio e quale
legale rappresentante della Società Ristorante Italia e da Francesco
De Martini, erede universale di Gabriella De Martini.5. La Corte di appello
di Genova, con sentenza del 30 dicembre 1998, ha rigettato l'appello incidentale
della Banca Carige ed ha accolto quello principale, condannando gli appellanti
a pagare alla Banca la somma di lire 205.815.265, oltre interessi al tasso
legale. La Corte di appello, tra l'altro, ha ritenuto che, verificatosi
l'inadempimento dell'utilizzatore, le posizioni delle parti dovevano essere
riportate in equilibrio e, in conseguenza, ha adottato le seguenti decisioni:-
ha ritenuto che l'ammontare delle mensilità corrisposte (lire 215.895.000)
era manifestamente sproporzionato al valore di godimento del bene e, quindi,
doveva essere ridotto, conservando in capo al concedente l'importo corrispondente
al valore di godimento del bene, calcolato in lire 3 per mensili, moltiplicate
per il numero dei mesi per i quali il contratto aveva avuto regolare esecuzione;-
ha disposto che la differenza di lire 115.935.800 doveva essere restituita
all'utilizzatore e portata in compensazione dei crediti della controparte;-
ha dichiarato che dalla somma dei canoni scaduti, pari a lire 66.821.332,
e dei canoni da scadere, pari a lire 823.429.733, si doveva detrarre il
valore del bene, ritornato nella disponibilità del concedente, al
momento dello scioglimento del contratto, valore calcolato pacificamente
in lire 568.500.000;- operate le compensazioni, ha determinato i crediti
della Carige in lire 205.615.265;- ha rigettato la domanda di riconoscimento
della somma contrattualmente prevista per l'opzione, quale ulteriore voce
di danno;- ha determinato gli interessi richiesti nella la misura legale.6.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la spa Cassa di Risparmio
di Genova ed Imperia. Resistono con distinti controricorsi fallimento della
Società Diffusione Moro, il fallimento della Società Pizza
Club, Arnaldo De Maria e Francesco De Martini.Il fallimento della Società
Diffusione Moro Mare in franchising e della Società Pizza Club e
la Banca Carige hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Somma dovuta alla Banca Carige.1.1. La Corte di Genova, per determinare
la somma dovuta dagli appellanti, è partita dal pacifico inquadramento
del contratto di leasing come traslativo. Quindi, ha ritenuto che alla
fattispecie si dovesse applicare la disposizione dell'ultimo comma dell'art.
1426 cod. civ. ed ha determinato i crediti delle parti come segue.La Società
Columbus aveva l'obbligo di restituire i canoni versati, ammontanti lire
215.895.000, detratto il valore di godimento del bene, determinato in lire
99.960.000.La stessa Società aveva diritto al pagamento della somma
di lire 66.821.332 per i canoni scaduti e di lire 823.479.733, per i canoni
da scadere; dall'importo complessivo si doveva detrarre il valore del bene
al momento dello scioglimento del contratto, indicato in lire 566.500.000.Residuava
un credito della Società Columbus di lire 321.751.065, dalle quali
doveva essere detratto il credito dell'utilizzatore, giungendo così
alla somma finale di lire 205.615.205.La ricorrente, con il primo motivo,
critica questasoluzione, denunciando violazione degli artt. 1384, 1526
e 1362 cod. civ. e difetto di motivazione.Secondo la Carige l'errore in
cui è incorsa la Corte di appello consiste nella contemporanea applicazione
delle disposizioni contenute negli artt. 1526 e 1384 citati.La ricorrente
intende dire che la disposizione contenuta nell'art. 1526 citato non consente
di ridurre l'importo delle rate riscosse in corso di rapporto, perché
l'operazione si risolve in un ingiusto profitto in favore dell'utilizzatore.Dall'errore
nasceva la contraddittorietà della motivazione di avere, da un lato,
affermato che con l'inadempimento l'utilizzatore perde il diritto di acquistare
la proprietà del bene oggetto del contratto e, dall'altro, di avere
disposto che il valore del bene può essere detratto dai canoni scaduti
e da scadere.Inoltre, l'ingiusto profitto dell'utilizzatore era accresciuto
dal fatto che la condanna alla restituzione delle rate pagate in costanza
di rapporto ed il pagamento dell'equo compenso poneva nel nulla il diritto
del concedente al risarcimento del danno da inadempimento dell'utilizzatore.
Danno questo costituito dal mancato recupero del capitale finanziato e
dalla mancata realizzazione dell'utile previsto nel contratto e risarcibile
con il pagamento di tutti i canoni previsti nel contratto di leasing, fatta
salva la detrazione del valore residuo del bene locato, che nella specie
ammontava a lire 568.500.000, come indicato dal consulente tecnico d'ufficio.Infine,
la riduzione delle rate pagate e dei canoni da scadere non costituivano
la semplice riduzione della penale, ma la inammissibile riduzione del diritto
al risarcimento del danno.In definitiva, la ricorrente sostiene di avere
diritto a conseguire le stesse utilità che avrebbe conseguito se
il contratto fosse stato regolarmente eseguito.1.2. Le operazioni compiute
dal giudice di appello incidono sulle distinte posizioni dell'utilizzatore
e del concedente, entrambe derivanti dalla risoluzione del contratto di
leasing per inadempimento del primo.1.3. Trattandosi di leasing traslativo
(al quale si applicano le norme sulla vendita con riserva della proprietà:
Cass. 7 febbraio 2001, n. 1715) l'utilizzatore, restituita la cosa, ha
diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del
concedente di trattenere un equo compenso per l'uso della cosa e per il
risarcimento del danno.L'equo compenso comprende la remunerazione del godimento
del bene ed il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità
come nuovo ed al logoramento per l'uso. Il risarcimento del danno può
derivare da un deterioramento anormale della cosa dovuto all'utilizzatore.
L'equo compenso non comprende il risarcimento del danno derivante dal mancato
guadagno da parte del conducente ed esso deve essere considerato a parte.1.4.
Il risarcimento del danno del concedente può essere determinato
anticipatamente attraverso clausola penale ai sensi dell'art. 1382 cod.
civ..Questa, espressione dell'autonomia privata, è lecita quale
ne sia l'oggetto, ma la legge (art. 1384 cod. civ.) consente al giudice
che ne sia richiesto di ridurre equamente la prestazione assunta, in base
al principio che la penale non è equa per il solo fatto di essere
stata convenuta.2. Equo compenso.2.1. L'equo compenso è stato determinato
in misura corrispondente al valore delle utilità ricavate dall'utilizzatore
secondo i calcoli del consulente tecnico d'ufficio già indicati.In
particolare, la Corte ha ritenuto eccessivo che il concedente trattenesse
l'intero monte dei canoni versati, in ciò applicando correttamente
la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 1526 cod. civ..2.2. Ciò
non significa, quindi, che la Corte abbia operato una riduzione del danno
non ammissibile.3. Risarcimento del danno.3.1. L'art. 19 del contratto
di leasing prevedeva le conseguenze derivanti dall'inadempimento dell'utilizzatore
e queste erano si risolvevano nell'assunzione delle seguenti obbligazioni
da parte dell'utilizzatore:- pagare i canoni scaduti con la maggiorazione
degli interessi moratori, in misura non inferiore al 20%;- pagare i canoni
da scadere;- risarcire il danno.L'art. 19 indicato si configura come clausola
con la quale le parti hanno determinato il danno alla prestazione indicata,
cioè come clausola penale ai sensi dell'art. 1382 cod. civ. (Cass.
13 dicembre 1989, n. 5572).Nella specie, l'oggetto della clausola penale
era costituito dal monte dei canoni scaduti, maggiorato degli interessi
mortori nella misura indicata, e dal risarcimento del danno ulteriore.L'autonomia
privata consentiva la configurazione di una prestazione siffatta, ma la
legge (art. 1384 cod. civ.) consente al giudice che ne sia richiesto di
ridurre equamente la prestazione assunta, in base al principio che la penale
non è equa per il solo fatto di essere stata convenuta.Il principio
si applica al leasing quale sia la forma con cui questo è configurabile
(Cass. 4 agosto 2000, n. 10265).Ne discende che bene è stata ridotta
la clausola penale.Ne discende anche che non è stata operata alcuna
duplicazione di applicazione delle disposizioni contenute negli artt. 1526
e 1382 cod. civ..4. Pagamento del valore dell'opzione.4.1. Il secondo motivo
del ricorso si riferisce al mancato riconoscimento del credito di lire
88 milioni e contiene le stesse censure di violazione di legge e di contraddittorietà
della motivazione indicate nel prime motivo.Secondo la ricorrente la somma
corrispondeva al valore dell'opzione che era stata riconosciuta al concedente
che avesse conseguito la proprietà del bene alle scadenza del contratto
e che, per contro, doveva essere riconosciuta al concedente a titolo di
danno dal momento che all'utilizzatore era stato riconosciuto l'intero
valore del bene.Il motivo è infondato.4.2. Il valore dell'opzione
era stato pattuito nelcaso di acquisto del bene da parte dell'utilizzatore.
L'acquisto del bene era una facoltà e non un obbligo dell'utilizzatore,
nel senso che solo nel caso di acquisto l'utilizzatore era tenuto a pagare
il valore dell'opzione.Nella fattispecie l'utilizzatore non è addivenuto
all'acquisto del bene e, quindi, quanto da lui dovuto non comprende il
valore dell'opzione.Ne deriva che questo valore non può essere riconosciuto
al concedente, in quanto il valore dell'opzione non "entra" nella voce
di danno da lui subita.5. Riduzione degli interessi di mora.5.1. Il terzo
motivo del ricorso si riferisce al punto della sentenza in cui la Corte
di appello ha ridotto alla misura legale gli interessi di mora del 20%
convenuti nel contratto sull'importo delle rate non pagate e dei canoni
da scadere dopo la risoluzione dei contratto.La ricorrente sostiene che
la riduzione operata è in contrasto con il giudicato formale (artt.
324, 346, 112 cod. proc. civ.), le disposizioni sulla riduzione della penale
(art. 1384 cod. civ.) ed è priva di motivazione, perché la
Corte di appello:- non ha considerate che nella sentenza di primo grado
i convenuti erano stati già condannati al pagamento della somma
di lire 321.751.065 "con gli interessi moratori convenzionali pari al 20%
annuo dal 23.10.91 sino al saldo" e che il punto non era stato oggetto
di alcuna forma di impugnazione;- non ha considerato che, riducendo la
misura degli interessi a quelli legali, la penale non era stata ridotta,
ma di fatto eliminata.5.2. Il motivo è infondato perchè con
la domanda di riduzione della penale le parti, evidentemente, avevano già
contestato la misura degli interessi come richiesti.6. Conclusioni.Il ricorso
deve essere rigettato.Le spese di questo giudizio sono poste a carico della
ricorrente, in base alla regola della soccombenza.P.Q.M.La Corte rigetta
il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di questo giudizio
in favore dei resistenti, che liquida per ciascuno di essi in 176,25 in
favore del Fall. Diff. Moro Mare + 1 ed euro 128,60 in favore di A. Di
Maria in pr e nq. + 1, oltre onorari liquidati, complessivamente, in €
3.500,00 in favore del fallimento Diffusione Moro Mare e del fallimento
Pizza Club e in € 2.500, 00, complessivamente, in favore di Arnaldo
Di Maria, in proprio e nella qualità, e di Francesco De Martini.Così
deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della
Corte di Cassazione, il 31 gennaio 2002.DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 24
GIUGNO 2002
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