SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato il 2.7.1991 Antonio Russo chiese la
condanna di Prisco D'Uonno, su richiesta del quale aveva eseguito
lavori edili per l'importo complessivo di £ 20.182.358, al
pagamento di detta somma o di quella diversa che fosse risultata
dovuta, oltre agli interessi.
Il convenuto addusse difetti di esecuzione e si dichiarò
disposta a pagare la minor somma di £. 12.528.900.
Con sentenza del 15.12.2000 l'adito tribunale di S. Maria Capua Vetere,
rilevato che i vizi non erano stati denunciati e che le opere eseguite
erano state accettate, condannò il convenuto al pagamento della
somma di £ 15.470.150, come determinata dal consulente tecnico
d'ufficio, oltre agli interessi legali, dei quali non indicò la
decorrenza, ed alle spese del grado.
2. La sentenza fu gravata da appello del D'Uonno, che si dolse della
mancata indicazione della data di decorrenza degli interessi, che a suo
avviso andava identificata con quella della decisione e non anche con
quella di consegna delle opere (1990), come pretendeva il Russo.
Si dolse inoltre che le spese fossero state liquidate in misura
eccessiva, senza tener conto che, trattandosi di causa di valore
indeterminabile (sic), avrebbero dovuto applicarsi le tariffe (vigenti
all'epoca in cui erano stare compiute le attività difensive)
relative allo scaglione di valore compreso tra i dieci ed i cinquanta
milioni di lire.
La corte d'appello di Napoli ha rigettato il gravame e condannato
l'appellante alle spese del grado sui rilievi:
a) quanto al primo motivo, che l'appellante avrebbe dovuto dolersi in
altra sede della interpretazione (in ipotesi errata) della sentenza che
in sede esecutiva ne aveva dato il creditore, ma che, ritenendo che
egli si fosse doluto dell'omessa pronuncia, doveva affermarsi che i
suoi assunti erano erronei, in quanto gli interessi andavano fatti
decorrere, ex art. 1282 c.c., dalla data in cui le somme erano dovute
(data di ultimazione dei lavori), trattandosi di credito liquido ed
esigibile in quanto il D'Uonno aveva contestato solo pretesi vizi e
difetti dell'opera;
b) quanto al secondo motivo, che l'appellante non aveva considerato
l'importo di £ 1.218.140 dovuto per spese di consulenza tecnica e
che correttamente erano state applicate le voci corrispondenti ai
diritti di procuratore ed agli onorari d'avvocato stabiliti per le
cause di valore compreso tra i dieci ed i cinquanta milioni.
3. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Prisco D'Uonno
affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria, cui resiste con
controricorso Antonio Russo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 99, 112,
253 e 354 c.p.c., il ricorrente si duole che la corte d'appello abbia
ritenuto che l'appellante avrebbe dovuto dolersi in altra sede
dell'omessa indicazione della decorrenza degli interessi sulla somma
liquidata dal tribunale.
1.2. La censura è inammissibile per difetto di interesse in
quanto la corte d'appello, interpretato il motivo di gravame come
doglianza relativa all'omessa pronuncia, lo ha esaminato e respinto nel
merito, ritenendo che gli interessi dovessero decorrere dalla data
dell'avvenuta esecuzione dei lavori (1990).
2.1. Col secondo motivo é dedotta violazione dell'art. 1224 c.c.
in relazione all'art. 350, nn. 3 e 5, c.p.c..
Sostiene il ricorrente che erroneamente la corte d'appello aveva
ritenuto che il credito fosse liquido alla data della consegna, volta
che in atto di citazione se ne chiedeva la quantificazione anche a
mezzo di consulenza tecnica e che il tribunale aveva affermato che le
opere erano state commissionate "senza contratto scritto e senza
determinazione del corrispettivo".
Assume che, dunque, gli interessi dovevano farsi decorrere dal momento
della decisione, non essendo il credito, prima di quella data,
né liquido né esigibile, ma costituendo un debito di
valore.
2.2. Si verte in ipotesi di debito di valuta e non di valore, in quanto
l'oggetto dell'obbligazione, integrante il corrispettivo, era ab
origine costituito da una somma di denaro, per quanto non determinata
nel suo preciso ammontare.
Il debito di denaro era tuttavia illiquido, poiché il requisito
della liquidità presuppone che l'ammontare sia certo o
determinabile con un semplice calcolo aritmetico, mentre le parti non
avevano convenuto un corrispettivo determinato o aritmeticamente
determinabile in base a parametri precostituiti.
Nelle obbligazioni pecuniarie gli interessi (cosiddetti corrispettivi)
di cui all'art. 1282 c.c. sono dovuti solo se il credito è
liquido ed esigibile, sicché la corte d'appello ha errato nel
riconoscerli.
Erano invece dovuti, ex art. 1224, comma 1, c.c., gli interessi
moratori dal giorno della mora.
Ai sensi dell'art. 1219 c.c. il debitore è costituito in mora
mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, ovvero (per quanto
qui interessa) quando é scaduto il termine se l'obbligazione
deve essere eseguita presso il domicilio del creditore. Tale seconda
ipotesi va esclusa in quanto l'art. 1182, comma 3, c.c. - il quale
stabilisce che l'obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro
deve essere adempiuta al domicilio del creditore - ha riguardo solo ai
crediti liquidi ed esigibili (cfr., ex plurimis, Cass., n. 9214/1987).
Ne consegue che, non essendo il credito liquido secondo quanto sopra
rilevato, il pagamento doveva eseguirsi presso il domicilio del
debitore ex art. 1182, comma 4, c.c. e che, dunque, ai sensi del primo
comma dell'art. 1219 c.c., la mora è intervenuta alla data della
intimazione o richiesta per iscritto. Tale data, in difetto di difformi
risultanze, coincide con quella della notificazione dell'atto
introduttivo.
Il secondo motivo va dunque accolto entro tali limiti.
3.1. Col terzo motivo la sentenza é censurata per violazione
degli artt. 2233 e 1418 c.c., nonché del d.m. 5.10. 1994, n.
585, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c..
Si sostiene che, a fronte di un motivo di appello col quale
l'appellante si doleva che il tribunale avesse liquidato ben £
7.615.140 in una causa in cui aveva riconosciuto solo £
15.000.000 ed indicava analiticamente quanto era dovuto per diritti e
per onorari in base alle tariffe concernenti lo scaglione di valore che
andava applicato, affermando anche che gli importi liquidati erano
superiori al massimo possibile indicato in £ 3.003.000, la corte
d'appello si sia limitata ad affermare che il giudice di primo grado
aveva operato correttamente, senza indicare dove si annidava l'errore
dell'appellante e perché la decisione di primo grado era stata
sul punto corretta.
3.2. La censura è fondata.
Il giudice di primo grado aveva liquidato £. 4.260.000 per
onorari, £ 1.825.000 per diritti e £. 1.530.000 per spese,
oltre agli accessori dovuti per legge.
La corte d'appello - decidendo su un motivo di gravame nel quale
l'appellante aveva effettivamente proceduto alla analitica indicazione
delle somme dovute nello scaglione applicabile - si è limitata
al rilievo che nella somma liquidata per spese vive andava computata
quella di £ 1.218.740 anticipata (dalla controparte) per la
consulenza tecnica espletata e che "correttamente erano state applicate
le voci corrispondenti ai diritti di procuratore ed agli onorari di
avvocato stabiliti per la fascia di cause di valore tra i 10 ed i 50
milioni".
Tale ultima affermazione è assolutamente apodittica, in quanto
non dà alcun conto delle modalità di calcolo attraverso
le quali la corte d'appello è pervenuta ad una conclusione di
congruità della liquidazione effettuata dai primi giudici,
analiticamente contestata dall'appellante con indicazione di dati che,
se esatti, non avrebbero potuto produrre il risultato complessivo
invece ritenuto corretto.
4. In conclusione, respinto il primo motivo, accolto il secondo motivo
per quanto di ragione ed il terzo, la sentenza va cassata in relazione
ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della stessa corte
d'appello perché, nel rispetto degli enunciati principi,
determini la data di decorrenza degli interessi moratori sulla somma
riconosciuta dal tribunale e decida sul motivo d'appello relativo alle
somme liquidate per diritti ed onorari dal giudice di primo grado.
Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione
dichiara l'inammissibilità del primo motivo di ricorso, accoglie
il secondo per quanto di ragione ed il terzo, cassa in relazione e
rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte d'appello di
Napoli.
Roma, 6 febbraio 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 13 MAGGIO 2004
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