Cass. Civ., sez. III, 27 aprile 2004,
n. 7980, danni non patrimoniali e reato – demansionamento professionale
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dott. Gaetano Azzolina - inizialmente sospeso poi dichiarato
decaduto ed infine destituito dall'impiego di primario incaricato del
reparto di cardiochirurgia infantile con provvedimenti del consiglio di
amministrazione dell'Ospedale SS. Giacomo e Cristoforo emessi tra il
1976 ed il 1977 e reintegrato in servizio nel 1984 a seguito
dell'annullamento di tali provvedimenti da parte del giudice
amministrativo - convenne in giudizio, con citazione del 1987, il
Comune e la U.s.l. n. 2 di Massa e successivamente anche la
Comunità Montana delle Apuane, chiedendone la condanna al
risarcimento del danno, in cinque miliardi di lire, conseguente
all'assenza coatta dal servizio protrattasi per otto anni, danni che
indicò nella perdita della possibilità di partecipare a
concorsi, di operare, di clientela e di offerte di insegnamento
universitaria, nella caduta dell'immagine professionale, nel venir meno
di inviti a congressi.
Resistendo i convenuti, con sentenza n. 451/93 l'adito Tribunale di
Massa riconosciuta la legittimazione passiva della Comunità
Montana e della U.s.l. rigettò tuttavia la domanda per difetto
di prova del dolo o colpa degli amministratori pubblici che avevano
emesso i provvedimenti poi annullati.
La decisione fu confermata dalla Corte di appello ma la pronuncia fu
cassata con rinvio da questa C.S. (sentenza n. 9700/97), che
affermò il principio che la p.a. è tenuta a risarcire i
danni cagionati a privati con provvedimenti poi dichiarati illegittimi.
La causa fu riassunta dall'Azzolina, nel 1998, nei confronti della
Regione Toscana e della A.s.l. n. 1 di Massa, nonché, ma solo
per le spese di lite, del Comune di Massa.
Con la sentenza, ora gravata, il giudice del rinvio, esclusa la
legittimazione passiva - così qualificata - dell'Azienda U.s.l.
n. 1 ha condannato la sola Regione Toscana quale successore nelle
obbligazioni della cessata U.s.l. n. 2 di Massa, al risarcimento del
danno, liquidato in lire 350.000.000 oltre accessori, ed ha condannato
l'Azzolina al pagamento delle spese processuali nei confronti della
predetta Azienda. Per quanto ancora interessa la Corte ha osservato
che, non essendo stati provati e neppure prospettati, fatti
configurabili come reati, non si poneva il problema della rifusione di
danni non patrimoniali; gran parte del danno emergente, riferibile alle
obbligazioni nascenti dal rapporto di pubblico impiego, risultava
già refuso a seguito di transazione; per la lesione dei diritti
della personalità era equa la somma di lire 350 milioni tenuto
conto della seria "ferita" alla fama ed all'immagine del cardiochirurgo
ma anche della circostanza che i provvedimenti amministrativi sopra
indicati erano stati annullati non per riconosciuta inesistenza o
falsità degli addebiti, ma solo per difetto di motivazione,
tanto che la Corte dei conti aveva mandato assolti gli amministratori
ospedalieri dell'epoca dagli addebiti oggetto del relativo giudizio di
responsabilità; mancavano prove adeguate del lucro cessante
l'Azzolina aveva bensì perduto la possibilità di
partecipare a concorsi e, tuttavia per quanto concerne lo stesso
ospedale di Massa, egli, dopo la riammissione in servizio, era stato
messo in condizione di concorrere ma aveva presentato la domanda fuori
termine, mentre nulla indicava un suo interesse a ricoprire posti
presso altri ospedali alla stregua della sentenza n. 1712/95 delle
Sezioni Unite, la rivalutazione della somma liquidata decorreva dalla
data del fatto illecito, determinata nel 1984, mentre gli interessi,
nella misura del 6%, erano dovuti sulle somme annualmente risultanti in
dipendenza della rivalutazione Istat, con cadenza annuale a decorrere
dalla data suddetta.
Per la cassazione di tale decisione l'Azzolina ha proposto ricorso,
affidato a cinque motivi, cui l'A.s.l. e la Regione resistono con
distinti controricorso. Quest'ultima ha contestualmente proposto
ricorso incidentale. Il Comune non ha svolto attività difensiva.
Il ricorrente principale ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) I due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere
riuniti (art. 335 c.p.c.) perché investono la medesima sentenza.
2) Il ricorso incidentale - il cui esame dovrebbe precedere quello del
ricorso principale perché ha ad oggetto una questione, la
titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio, logicamente
antecedente le censure elevate dal ricorrente principale in ordine alla
liquidazione del danno ed alle spese - è inammissibile.
La Regione Toscana controricorrente e ricorrente incidentale, risulta
infatti rappresentata e difesa "come da mandato in calce al ricorso
notificato" e, dunque, secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, irritualmente, mancando la certezza dell'effettivo rilascio del
mandato in data anteriore o coeva alla notificazione dell'atto (da
ultimo, Cass. nn. 9991, 7432 e 7998 del 2002); tale modalità di
conferimento resta tuttavia valida ai soli fini della costituzione
della parte e della - avvenuta - partecipazione del difensore alla
discussione, partecipazione che peraltro non consente il riesame di
tale questione in difetto di valido ricorso incidentale.
3) La Corte del merito ha negato all'Azzolina il risarcimento del danno
non patrimoniale con il rilievo che non era stata provata e neppure
prospettata "l'insorgenza di fatti configurabili come reato": punto
della decisione investito dal primo motivo del ricorso principale, con
il quale il ricorrente deduce la violazione dell'art. 2093 C.C.,
osservando che egli aveva denunciata la lesione del valore della
propria persona in senso soggettivo, del proprio personalissimo diritto
alla identità personale ed alla dignità, tutelato
dall'art. 2 della Costituzione, e richiamando poi in memoria, la
sentenza n. 8828 del 2003 di questa Corte Suprema.
La censura è fondata.
Nel decidere come sopra alla stregua del dato, ritenuto assorbente,
della non configurabilità di ipotesi di reato a carico degli
amministratori pubblici, autori degli atti amministrativi poi annullati
e dai quali è derivato il danno posto a fondamento della
domanda, la Corte territoriale ha tuttavia, e sia pure solo
implicitamente, ritenuto sussistente il danno in questione.
Ciò, del tutto legittimamente, avendo questa C.S. affermato
(sentenza n. 10 del 2002) che la negazione o l'impedimento allo
svolgimento delle mansioni al pari del demansionamento professionale,
ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione
della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro,
determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di
relazione dell'interessato (vedansi anche Cass., sez. lavoro, nn.
8835/91, 13299/92, 11727/99, 14443/00, 12553/03): affermazioni dalle
quali la stessa Corte ha talora tratto che il danno cagionato dalla
lesione di tale diritto è risarcibile anche se esso è di
natura non patrimoniale (Cass. n. 1026/97; Cass. n. 10/02, già
citata, ha precisato che l'affermazione di un valore superiore della
professionalità, direttamente collegato a un diritto
fondamentale del lavoratore e costituente sostanzialmente un bene a
carattere immateriale, in qualche modo supera e integra la precedente
affermazione che la mortificazione della professionalità del
lavoratore potesse dar luogo a risarcimento solo ove fosse stata
fornita la prova dell'effettiva sussistenza di un danno patrimoniale).
Sul piano generale, deve rilevarsi che danno patrimoniale e danno non
patrimoniale furono disciplinati dal legislatore del 1942
rispettivamente agli artt. 2043 e 2059 c.c., norma quest'ultima, che
limitò il risarcimento ai soli "casi determinati dalla legge":
lettera della legge che ha indotto la Corte territoriale a negare nella
specie il chiesto risarcimento.
Il quadro normativo è, però, successivamente e
profondamente mutato: l'art. 2 della Costituzione, di ispirazione
democratica e liberale, riconosce e garantisce infatti i diritti
inviolabili dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove
si svolge la sua personalità mentre diverse norme ordinarie (ad
esempio l'art. 2 legge n. 89 del 2001 sul mancato rispetto del termine
ragionevole di durata del processo) assicurano il risarcimento del
danno non patrimoniale oltre la previsione degli artt. 185 c.p. e 89
c.p.c., cui il citato art. 2059 si riferisce.
Sono queste - unitamente agli interventi della Corte costituzionale, ad
esempio in materia di danno biologico - le ragioni per le quali di
recente (sentenza n. 8828 del 2003) questa stessa Corte ha affermato,
interpretando l'art. 2059 c.c. in senso conforme alle norme
costituzionali, ad esso sovraordinate, che il danno non patrimoniale
che detta disposizione contempla, comprende, oltre al danno morale
soggettivo, anche ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione
di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla
quale derivino effetti dannosi insuscettibili di valutazione economica,
senza che sia necessario che tale lesione configuri reato.
Tali affermazioni devono essere condivise.
Come questa C.S. ebbe a rilevare (sent. n. 3563 del 1996, peraltro in
tema di danno biologico, esso è immanente al fatto illecito
lesivo dell'integrità biopsichica del danneggiato a differenza
delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla stessa lesione,
trascendenti lo stesso fatto.
Tali rilievi devono essere estesi dalla tutela del diritto alla salute
alla lesione di ogni altro valore inerente alla persona,
costituzionalmente garantito, e comportano pertanto il risarcimento del
danno relativo, indipendentemente dai riflessi patrimoniali della
stessa lesione che costituiscono una voce di danno eventuale, autonoma
ed aggiuntiva.
Nella specie il ricorrente allega la violazione non dell'art. 2059 c.c.
ma dell'art. 2043 c.c. profilo, peraltro, non ostativo all'accoglimento
del motivo, decisiva in tal senso essendo la prospettazione di un danno
non patrimoniale.
Sul punto, l'impugnata sentenza deve pertanto essere cassata, con
rinvio ad altro giudice che riesaminerà il corrispondente motivo
d'appello attenendosi a tali criteri.
4) Con il secondo motivo il ricorrente censura la quantificazione in
lire 350 milioni del risarcimento del danno patrimoniale all'immagine
sia all'interno che all'esterno della struttura ospedaliera,
quantificazione che afferma viziata nella motivazione.
Tl motivo è infondato.
Trattasi, infatti, di liquidazione equitativa compiuta dalla Corte
territoriale alla stregua della notorietà del danneggiato e
della condotta dei danneggianti, condotta che la stessa Corte ha
valutato con riferimento all'annullamento solo per vizi di motivazione
dei provvedimenti da essi adottati e l'assoluzione da ogni addebito di
responsabilità amministrativa, pronunciata dalla Corte dei
conti.
Diversamente da quanto preteso dal ricorrente, in tali affermazioni non
è ravvisabile alcun vizio logico o giuridico, non senza rilevare
che lo stesso ricorrente sollecita nella sostanza il riesame,
inammissibile in questa sede di legittimità, della entità
del danno subito e della corrispondente traduzione pecuniaria.
5) Fondato è invece il terzo motivo, con il quale il ricorrente
afferma che la decorrenza di interessi e rivalutazione doveva datare
dal 1976, in cui fu allontanato dal servizio, e non dal 1984 come
invece stabilito in sentenza.
Il fatto illecito, a carattere permanente, ebbe infatti a verificarsi
appunto nel 1976 e si protrasse fino al 1984 - anno della riammissione
in servizio -, donde la manifesta erroneità, sul punto, della
decisione.
6) La stessa Corte ha negato il risarcimento del lucro cessante con il
rilievo che, sebbene fosse astrattamente ipotizzabile, esso non era
stato però provato dall'Azzolina con consistenti elementi
dimostrativi di un'apprezzabile diminuzione reddituale in dipendenza
dei fatti di cui è causa, ed in particolare ha affermato che
egli, dopo la riammissione in servizio, pur messo in condizioni di
concorrere al primariato, presentò la domanda fuori termine.
Con il quarto motivo il ricorrente censura tali affermazioni
addebitando alla Corte territoriale di avergli ascritto un
comportamento omissivo in realtà insussistente, e di avere
così travisato il fatto.
La censura è inammissibile perché l'errore addotto
è da natura revocatoria e, pertanto, avrebbe dovuto essere fatto
valere nella diversa e competente sede ai sensi dell'art. 395 n. 4
c.p.c. (da ultimo, in tal senso, Cass. n. 1512/03).
7) L'accoglimento del primo e terzo motivo del ricorso principale non
comporta l'assorbimento del quinto motivo dello stesso ricorso, che
concerne il regolamento delle spese nei rapporti tra il ricorrente e
l'Ausl, giacché, per effetto della declaratoria di
inammissibilità del ricorso incidentale, si è formato il
giudicato sulla insussistenza della titolarità passiva di tale
azienda nel rapporto dedotto in giudizio, e per conseguenza la stessa
non dovrà essere chiamata a partecipare al nuovo giudizio di
rinvio. Con il motivo in esame il ricorrente afferma che la condanna al
rimborso delle spese di detta azienda, pronunciata a suo carico,
è viziata nella motivazione poiché non tiene conto del
fatto che egli dovette necessariamente notificare la citazione a detta
azienda, parte dei precedenti giudizi, parte la quale aveva anche
proposto ricorso incidentale per cassazione.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente parzialmente vittorioso nei confronti della Regione,
è invece risultato totalmente soccombente nei riguardi dell'Asl,
della quale, e sia pure alternativamente con la Regione, aveva chiesto
la condanna al risarcimento del danno come risulta dalle conclusioni
trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata; né il mancato
esercizio del potere discrezionale di compensazione sostanzialmente
denunciato dal ricorrente, è censurabile in questa sede.
8) Accolti, pertanto, il primo e terzo motivo del ricorso principale, e
cassata in relazione ad essi la sentenza impugnata, le parti vanno
rimesse dinanzi ad altra sezione della stessa Corte la quale,
riesaminata la controversia nei limiti anzidetti, all'esito
regolerà anche le spese del presente giudizio nei rapporti tra
ricorrente e Regione. Nei rapporti invece tra ricorrente ed Asl,
ricorrono giusti motivi per compensare le spese dello stesso giudizio.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi dichiara inammissibile il ricorso
incidentale, accoglie il primo e terzo motivo del ricorso principale,
rigetta gli altri motivi dello stesso ricorso, cassa in relazione la
sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di
Genova anche per le spese del giudizio di cassazione nei rapporti tra
ricorrente e Regione; compensa le spese dello stesso giudizio nei
rapporti tra ricorrente ed Asl.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte, il
25 novembre 2003.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 27 APRILE 2004
|