Cass. Civ. sez. III, 2 marzo
2005, n. 6170, sulla
rilevabilità d’ufficio della nullità
(Omissis)
Con citazioni notificate il 26 e 27.7.1995 P R. conveniva davanti al
Tribunale
di Milano la E.T. nonché G. B., M. F., (oImissis), assumendo che
essa era
proprietaria di un complesso immobiliare in Castano Primo; che la
convenuta
Cooperativa aveva iniziato lavori di ristrutturazione e modificazione
di un
fabbricato confinante di proprietà di essa cooperativa; che i
progetti prevedevano
l'estensione delle nuove costruzioni sull'area destinata a corte e la
chiusura
di alcune finestre lucifere e l'estensione delle costruzioni fino ad un
metro
dalle finestre di essa attrice; che le parti avevano regolato i
rapporti con
scrittura privata autenticata del 26.5.1992; che la convenuta era
rimasta
inadempiente a detti obblighi. L'attrice chiedeva, quindi, che fossero
condannati la convenuta ed i suoi aventi causa, acquirenti di porzioni
del
fabbricato, a provvedere all'esecuzione dei lavori necessari per le
eliminazioni delle opere irregolari e per la loro modificazione in
conformità
agli obblighi assunti, nonché per la condanna al risarcimento
dei danni. Si
costituivano e resistevano i convenuti.
All'udienza ex art. 180 c.p.c. l'attrice chiedeva la risoluzione della
convenzione per inadempienza dei convenuti ed in via gradata la loro
condanna
solidale all'adempimento degli obblighi ed al ripristino delle distanze
legagli
e regolamentari ed al risarcimento del danno.
Con memoria depositata ai sensi dell'art. 183, c. 5, c.p.c. l'attrice
prospettava la nullità della convenzione in quanto contraria a
norme
inderogabili di ordine pubblico, asserendo che la relativa questione
era
rilevabile d'ufficio. Il Tribunale di Milano, con sentenza del
7.5.1999,
dichiarava inammissibili le domande di dichiarazione di nullità
della
convenzione, di risoluzione della stessa e di esatto adempimento,
nonché
rigettava la domanda di risarcimento dei danni. Avverso questa sentenza
proponeva appello l'attrice. Si costituivano e resistevano i convenuti,
che
proponevano appello incidentale. La Corte di appello di Milano, con
sentenza
depositata il 21.9.2001, rigettava entrambe le impugnazioni.
Riteneva la corte territoriale che la domanda di dichiarazione di
nullità della
scrittura era stata proposta solo con la memoria ex art. 183, c. 5, e
quindi
tardivamente; che la domanda subordinata di esatto adempimento era
inammissibile, come modificata all'udienza del 19.11.1995, in quanto
prevedeva
un petitum ed una causa petendi diversa, poiché si richiedeva
l'esecuzione
delle opere previste dagli obblighi contrattuali e Malie norme legali o
regolamentari", e quindi, sotto quest'ultimo profilo, costituiva una
nuova
domanda di adempimento fondata sulla dedotta invalidità della
convenzione del
26.5.1992; che la domanda di risoluzione in questione non era
ammissibile, a
norma dell'art. 1976 c.c., poiché si trattava di transazione
novativa, diretta
a creare un nuovo assetto dei rispettivi diritti, incompatibile con
quello
preesistente; che tale assetto riguardava diritti disponibili; che,
proprio
perché la domanda di esatto adempimento iniziale, era stata
modificata in
domanda di risoluzione rimaneva paralizzata la facoltà del
giudice di rilevare
ex officio la nullità della scrittura in oggetto; che alla
declaratoria di
inammissibilità delle domande avanzate dalla Palpili, conseguiva
il rigetto
dell'accessoria domanda di risarcimento del danno.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la P. che ha
anche
presentato memoria. Resistono con controricorso gli intimati convenuti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la
nullità della
sentenza ed in subordine l'omessa motivazione della sentenza e la
violazione
dell'art. 112, 342 e 346 c.p.c., assumendo che essa si era limitata a
riaffermare le statuizioni del primo giudice, adottando le stesse
motivazioni
ed ignorando i motivi di appello. 2. Ritiene questa Corte che il motivo
è
infondato.
Va, infatti, osservato che la motivazione della sentenza di secondo
grado per
relationem concreta carenza di motivazione qualora consista in un mero
rinvio
alla precedente decisione, risolventesi in una acritica approvazione
della
predetta. Essa è invece legittima quando il giudice di appello,
richiamando
nella sua pronuncia punti essenziali della motivazione della sentenza
di primo
grado, non si limiti a farli propri, ma confuti, sia pure con la
concisione
peraltro stabilita dall'articolo 118, comma 2, delle disposizioni di
attuazione
del c.p.c, le censure contro di queste formulate con il gravame,
attraverso un
iter argomentativo ricavabile dall'integrazione della parte motiva
delle due
sentenze di merito (Cass. 23/07/2003, n. 11422).
Ciò è avvenuto nella fattispecie, poiché la
sentenza impugnata si è fatta
carico delle censure mosse alla sentenza di primo grado e le ha
ritenute
infondate, sia pure riadottando le stesse argomentazioni sviluppate dal
giudice
di primo grado, ritenute esatte. 3. Con il secondo motivo di ricorso la
ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 183
c.p.c,
nonché omessa ed insufficiente motivazione in punto di
tardività dell'eccezione
(ovvero domanda) di nullità parziale. Assume la ricorrente che,
poiché nel
corpo dell'atto di citazione essa richiedeva la condanna dei convenuti
"all'adempimento degli obblighi derivanti dalla scrittura ed al
rispetto
delle norme di legge e di regolamento violate, con l'eliminazione e
modificazione delle opere illegittime nonché al risarcimento dei
danni",
ciò costituiva un'implicita deduzione della nullità
parziale della convenzione.
4. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e che lo
stesso vada
rigettato.
Esso, infatti, mira sostenere che la tempestività dell'eccezione
di nullità
della convenzione si sarebbe dovuta trarre implicitamente
dall'interpretazione
dell'atto di citazione.
Detta interpretazione compete al giudice di merito ed essa sul punto
è immune
dai vizi sollevati con la censura. Infatti l'eccezione di
nullità della
convenzione fu sollevata dall'attrice solo nell'udienza del 21.3.1996,
non
potendo ritenersi che presenti vizi di motivazione l'interpretazione
del
giudice del merito che non ha ritenuto che la locuzione sopra riportata
dell'atto di citazione contenga un'eccezione di nullità.
5.1. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione
di
legge, l'errata applicazione degli artt. 1421 c.c. e 112 c.p.c,
l'omessa,
insufficiente motivazione in ordine alle conclusioni effettivamente
assunte.
Lamenta la ricorrente che erratamente il giudice di merito ha ritenuto
che non
potesse rilevarsi d'ufficio la lamentata nullità della
convenzione per
contrarietà a norme imperative in tema di distanze legali,
vertendosi in tema
di azione di risoluzione; che essa aveva richiesto, oltre alla
risoluzione
della convenzione, anche in via gradata l'adempimento della stessa, -
che essa
aveva richiesto anche il risarcimento del danno, - che, pertanto, in
ogni caso
il giudice avrebbe dovuto esaminare la validità del contratto
per pronunziarsi
sulle domande, rilevando d'ufficio la nullità della convenzione
per contrarietà
alle norme imperative in tema di distanze legali.
5.2. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la
violazione ed
errata applicazione dell'art. 183 c.p.c. nonché l'omessa
insufficiente e contraddittoria
motivazione e l'omessa considerazione che la domanda di adempimento
riguardava
diritti autodeterminati.
Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata non ha condannato i
ricorrenti
all'esatto adempimento almeno di quegli obblighi che non avevano
contenuti
contrari a norme urbanistiche e che quindi non si fondavano sulle
dedotte
invalidità della convenzione; che, in ogni caso, essa aveva
chiesto la tutela
di diritti reali, come tali autodeterminati, per cui era possibile il
mutamento
della causa petendi, senza incorrere in preclusioni.
5.3. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la
violazione di
legge ed errata applicazione dell'art. 1976 c.c., nonché
l'omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, perché -
contrariamente a quanto
assunto dalla sentenza - non si trattava di transazione novativa, ma
c.d.
propria, con la conseguenza che era possibile richiedere la risoluzione
della
stessa. 5.4. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la
violazione
degli artt. 872 e 873 c.c. e 1966 c.c., nonché dello strumento
urbanistico e
dell'art. 41 quinquies della l. n. 1150/1942 da integrarsi con il d.m.
2.4.1968, nonché il vizio motivazionale. Assume la ricorrente
che,
contrariamente all'assunto dell'impugnata sentenza, poiché nella
fattispecie le
parti derogavano alle distanze legali tra fabbricati, previste dalle
leggi e
dagli strumenti urbanistici, le relative norme erano inderogabili, con
la
conseguente nullità della convenzione su tali punti.
6.1. Ritiene questa Corte che i suddetti motivi, presentando elementi
di
connessione, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono parzialmente
fondati e
vanno accolti per quando di ragione. Il punto nodale della controversia
è se il
giudice di merito avrebbe dovuto rilevare d'ufficio l'assunta
nullità della
transazione, perché contraria a norme imperative in tema di
distanze legali tra
fabbricati. Occorre valutare, seguendo la linea delle doglianze svolte
in sede
di legittimità, se comunque la nullità doveva essere
rilevata d'ufficio sia in
primo che in secondo grado. Di fronte, infatti, ad una situazione
rilevabile
d'ufficio dal giudice, il problema dell'inammissibile nullità
non si porrebbe
neppure, dovendosi intendere le, sia pure tardive, proposizioni di
parte alla
nullità inerenti, non come formulazione di domanda fuori dei
limiti
processuali, ma sollecitazione ad un rilievo di ufficio comunque e
sempre
esprimibile.
6.2. La Corte di Milano, nel negare la rilevabilità d'ufficio
della nullità del
negozio in esame, si è uniformata ad una linea logica da questa
Corte da lungo
tempo espressa e decisamente prevalente, anche se non del tutto
consolidata
(Cass. 20 dicembre 1958 n. 3937; 4 marzo 1960 n. 40; 28 maggio 1966 n.
1390; 18
aprile 1970 n. 1127; 9 marzo 1971 n. 661; 28 gennaio 1972 n. 244; in
epoca più
recente, ex multis: Cass. 6.8.2003, n. 11847; Cass. 14.1.2003, n. 435;
Cass.
17.5.2002, n. 7215; Cass. 1.8.2001, n. 19498; 11 marzo 1988 n. 2398).
In questo
senso sono anche le decisioni delle S.U. di questa Corte 25/03/1988, n.
2572 e
03/04/1989, n. 1611, ma non in sede di composizione di contrasto o di
esame di
questione di particolare importanza, ma limitandosi ad applicare
"giurisprudenza costante". La lunga serie di decisioni afferma al
riguardo che: "Il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la
nullità di
un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato col principio della
domanda
fissato dagli art. 99 e 112 c.p.c, sicché solo se sia in
contestazione
l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità
rappresenti un
elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a
rilevare, in
qualsiasi stato e grado del giudizio, l'eventuale nullità
dell'atto,
indipendentemente dall'attività assertiva delle parti; al
contrario, qualora la
domanda sia diretta a fare dichiarare l'invalidità del contratto
o a farne
pronunciare la risoluzione per inadempimento, la deduzione (nella prima
ipotesi) di una causa di nullità diversa da quella posta a
fondamento della
domanda e (nella seconda ipotesi) di una qualsiasi causa di
nullità o di un fatto
costitutivo diverso dall'inadempimento, sono inammissibili: ne' tali
questioni
possono essere rilevate d'ufficio, ostandovi il divieto di pronunciare
"ultra petita".
6.3. Sul presupposto che la rilevabilità d'ufficio della
questione di nullità
(art. 1421 C.C.) debba essere coordinata con il principio della domanda
(art.
112 c.p.c.), lo schema argomentato seguito dall'indirizzo
giurisprudenziale
citato può essere individuato nei seguenti passaggi logici (come
emerge dalla
sentenza che più ampiamente ha motivato sul punto, Cass. n.
1127/70 citata):
a) l'art. 112 c.p.c. pone la domanda (atto di parte ex art. 99 c.p.c.)
come
limite assoluto della pronuncia del giudice; solo le eccezioni (sempre
che non
si tratti di eccezioni in senso stretto per cui la stessa legge
richieda
l'espressa manifestazione di volontà processuale della parte
interessata)
possono essere oggetto di pronuncia senza apposita istanza
perché, essendo
dirette a negare fatti costitutivi della pretesa attorea o ad affermare
fatti
impeditivi o estintivi, attengono a situazioni implicitamente
già dedotte nella
formulazione della domanda.
b) L'art. 1421 C.C. consente al giudice di rilevare d'ufficio la
nullità del
contratto, quando essa contraddice la domanda impedendone
l'accoglimento.
Quando, invece, la nullità configura una ragione che favorisce
la pretesa
attorea sia pure in termini diversi da quelli prospettati dalla
domanda, essa
non opera nel campo delle eccezioni ma si iscrive nella zona delle
difese
dell'attore, della domanda che l'attore avrebbe potuto proporre, ma non
ha
proposto. c) Di conseguenza la rilevabilità d'ufficio della
nullità è
consentita quando essa si pone come ragione di rigetto della pretesa
attorea e
ciò si verifica quando l'attore invoca il riconoscimento o
l'adempimento di un
suo diritto nascente dal contratto; ciò, invece, non si verifica
quando
l'attore intende escludere o eliminare gli effetti del contratti) per
ragioni
diverse dalla nullità (azione di annullamento, rescissione o
risoluzione), che
poteva invocare ma che non ha invocato. Come espresso dalla sentenza n.
5341/84, la causa relativa all'adempimento del contratto è
continente della
causa autonoma volta alla dichiarazione di (non) nullità dello
stesso
contratto.
6.4. In senso contrario a detto orientamento, vi è la dottrina
pressoché
unanime (ad eccezione di due Autori), che ha vigorosamente preso
posizione
contro questa soluzione. Aderendo a detta posizione dottrinale Cass. 6
marzo
1970 n. 578; Cass. 28 gennaio 1986 n. 550, Cass. 18.7.1994, n. 6710,
con specifico
riferimento alla domanda di risoluzione del contratto, e, più'
in generale
anche con riguardo alle domande di annullamento o rescissione, Cass. 2
aprile
1997, n. 2858, hanno statuito che la nullità di un contratto del
quale sia
stato chiesto l'annullamento (come pure la risoluzione o la
rescissione) può
essere rilevata d'ufficio dal giudice, in via incidentale, senza
incorrere in
vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è
implicitamente
dedotta l'assenza di vizi determinanti la nullità del contratto,
il cui rilievo
da parte del giudice da luogo a pronunzia non eccedente l'oggetto del
causa, e
la cui efficacia resta fissata in funzione dei limiti della domanda
proposta,
potendo quindi estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo
investa
interamente, come nel caso (ricorrente nella specie) di domanda di
annullamento
di contratto non ricadente nell'ipotesi di cui all'art. 1446 cod. civ..
In particolare la predetta sentenza n. 2858/1997 (la più
approfondita sul
punto) ha statuito che: "a) la nullità del contratto deve essere
rilevata
d'ufficio dal giudice (art. 1421 c.c.) ogni qual volta si presenti come
questione pregiudiziale (art. 34 c.p.c.); b) la questione condiziona
anche la
decisione delle domande di risoluzione, di rescissione e di
annullamento del
contratto; c) l'efficacia della decisione sulla nullità è
fissata dalla domanda
proposta: ciò non esclude che influisca sull'intero rapporto
contrattuale se la
domanda investe il rapporto per intero, come nel caso di domanda di
annullamento in cui non ricorrano le limitazioni degli art. 1446 c.c..".
6.5. Ritiene questa Corte di dover aderire, sia pure con alcune
precisazioni, a
tale orientamento giurisprudenziale minoritario, per le ragioni che
seguono.
Il problema che sì pone è quindi duplice: anzitutto se il
giudice possa
rilevare anche d'ufficio, non solo in sede di azione di esatto
adempimento, ma
anche di risoluzione, annullamento o rescissione la nullità
negoziale ed,
inoltre, quale sia l'effetto di tale rilievo d'ufficio.
Prendendo in esame le opinioni di dottrina espresse in forma critica
verso la
limitazione indicata dalla giurisprudenza, non può non
condividersi che, oltre
alla domanda di adempimento o di esecuzione, anche le domande di
risoluzione e
di annullamento presuppongono la validità del contratto e
costituiscono mezzo
giuridico per eliminarne, in taluni casi, gli effetti. Anche la domande
di
risoluzione e di annullamento implicano, e fanno valere, un diritto
potestativo
di impugnativa contrattuale nascente dal contratto in discussione, non
meno del
diritto all'adempimento. Ciascuna delle domande di adempimento, di
risoluzione
o di annullamento, pertanto, vengono avanzate con la premessa
immancabile,
ancorché implicita, -. "poiché non sussistono ragioni di
nullità del
contratto, propongo domanda di adempimento, di risoluzione di
annullamento...". Se la nullità sussistesse, nessun diritto o
potestà
potrebbe derivare dal rapporto dedotto in controversia, poiché
lo stesso
rapporto non sarebbe sorto.
La validità del contratto, di conseguenza, si pone come
pregiudiziale sia delle
domande di adempimento o esecuzione, sia di quella di annullamento il
cui
patere, o inesistenza di potere, in quanto abbia fonte in un contratto
valido,
inerisce alla stessa domanda di annullamento proposta, non diversamente
da
quella di adempimento.
Conseguentemente, poiché l'art. 1421 c.c. richiede che d'ufficio
la nullità del
contratto, in quanto sussistente, venga "rilevata" (in via
incidentale), e poiché, come indicato, la validità o
nullità del contratto
costituisce il presupposto anche della domanda di risoluzione alla
quale
inerisce, ne deriva che il rilievo incidentale e d'ufficio della
nullità del
contratto, di cui sia stato chiesto la risoluzione, attiene alla
domanda di
risoluzione stessa, ed il relativo rilievo non eccede il principio
dell'art.
112 c.p.c. in relazione al limite che la domanda di parte pone ai
poteri di
pronuncia del giudice.
Collocando la nullità nell'ambito della domanda, la posizione
diretta a
riconoscere che la nullità del contratto debba essere rilevata
d'ufficio anche
nelle cause di risoluzione o impugnativa contrattuale è
difficilmente
contrastabile.
6.6. Quindi la questione di validità del negozio è
implicata allo stesso modo
tanto nella domanda di risoluzione quanto in quella di adempimento (o
di
esecuzione), in quanto sono risposte alternative che il diritto accorda
alla
parte di fronte alla situazione di inadempimento. Anche la prima di
tali
domande, infatti, essendo fondata sull'affermazione che un determinato
"obbligo
è stato inadempiuto e che non ricorrono circostanze di
esclusione della
responsabilità" implica necessariamente che un obbligo sia sorto
in
conseguenza del negozio, e ciò a sua volta presuppone
necessariamente
l'allegazione di validità del negozio smesso. Anch'essa è
dunque domanda di
applicazione, poiché la parte postula che il negozio sia valido
e abbia
spiegato i propri effetti. La domanda di risoluzione si poggia con
identico
grado di coerenza logica e giuridica sulla validità del
negozio.- da questo
promana il rapporto, se ne chieda la risoluzione o si esiga
l'adempimento della
prestazione in esso dedotta. D'altra parte, se il contratto è
nullo, non vi
sono effetti da eliminare, ne' è pensabile che si possa
risolvere un contratto
per inadempimento e magari ottenere anche la condanna al risarcimento
laddove
per la nullità del contratto non v'era alcun obbligo da
adempiere.
6.7. Considerazioni analoghe vanno formulate con riguardo alla
rescissione o
all'annullamento: anche in questo caso l'azione trova il suo
presupposto nella
validità del contratto. Ritenere il contrario determinerebbe del
resto
conseguenze assurde, quali l'accoglimento di un'offerta di riduzione ad
equità
del contratto nullo, volta a paralizzare la domanda della controparte.
6.8.
Ulteriore sostegno a tale tesi emerge, come ha rilevato autorevole
dottrina,
dall'esame delle relazioni intercorrenti fra la pronunzia di
accoglimento della
domanda di nullità proposta in via principale e gli eventuali
successivi
giudizi di adempimento, risoluzione, rescissione o annullamento dello
stesso
contratto. Se si ritenesse irrilevante nel successivo giudizio
"impugnatorio", la questione della nullità del contratto, tale
sarebbe anche una precedente pronunzia di nullità e questa
riuscirebbe
"inutiliter data" perché non sarebbe idonea ad accertare
l'assenza di
vincoli all'adempimento. In tale situazione la nullità,
benché già dichiarata,
dovrebbe quindi farsi nuovamente valere, con il rischio tuttavia di una
pronunzia difforme. Poiché questa paradossale conclusione
è inaccettabile,
sarebbe necessario, almeno, riconoscere che nel giudizio successivo di
risoluzione, annullamento o rescissione la nullità del contratto
non sia
irrilevante, e, poiché la relativa pronunzia ha per comune
consenso carattere di
mero accertamento, tale rilevanza non potrebbe che operare sul piano
sostanziale.
Resta poi relativamente secondario che dalla rilevanza così
riconosciuta si sia
indotti a ritenere già implicitamente "decisa nel primo
giudizio",
ossia in quello di nullità, la controversia che forma oggetto
del secondo, nel
quale pertanto, in base al principio del "ne bis in idem" e secondo
la prospettiva del c.d. effetto negativo del giudicato non si
può ulteriormente
disputare sullo stesso oggetto o su parte di esso, perché
adempimento,
risoluzione, rescissione, annullamento costituiscono una
specificazione, un
dettaglio rispetto al tema della nullità o, invece, considerare
che nel secondo
giudizio la nullità, già dichiarata nel primo, imponga,
secondo il c.d. effetto
positivo del giudicato, "il rigetto delle successive domande" ivi
proposte, senza così uscire dai confini segnati al successivo
giudizio con
quelle domande di cui appare tema necessario, parte inclusa e
condizionante.
Ciò che conta, ai fini della questione in esame, è che in
tutti questi giudizi
la "questione di nullità" del contratto è sempre presente
e che,
pertanto, non si esorbita dai temi posti con tali domande quando la
nullità
venga rilevata d'ufficio ex art. 1421 c.c..
6.9. Sennonché mentre è condivisibile tale conclusione
non pare che lo sia
l'inquadramento sistematico, secondo cui l'art. 1421 non si iscrive
nella
cornice dell'atto nullo ma piuttosto in quella dell'art. 2907, 1, comma
c.c.,
che assegna al giudice l'obbligo di pronunziare - nei casi
tassativamente -
previsti dalla legge - senza l'impulso di parte e al di là dei
limiti della
domanda. Con l'art. 1421 apparentemente si attribuirebbe al giudice una
facoltà
("la nullità...può essere rilevata dal giudice") mentre
in realtà, in
connessione con l'art. 2907 cod. civ. si sancirebbe un'eccezione al
principio
generale, e cioè si vuol "assegnare al magistrato un compito che
altrimenti non lo riguarderebbe nel senso che egli può supplire
con il suo
intervento alla mancata iniziativa della parte". Osserva questa Corte
che
in realtà la previsione dell'art. 2907 c.c. sembra riferirsi ad
un'ipotesi in
cui al giudice è consentito di prendere iniziative per una
pronunzia estranea
al processo in corso (come è per l'art. 8 l. fall), quando
cioè l'iniziativa non
è richiesta per risolvere il merito della controversia,
già sottoposta al
giudice ad iniziativa di parte.
Il caso in esame, invece, riguarda la pendenza di una lite avviata su
domanda
di parte, con riferimento al contratto, e la nullità si pone
proprio come
condizione della decisione di merito su di essa: tra la domanda di
parte e
rilievo di nullità, vi è una relazione strettamente
funzionale. Altrimenti
l'art. 1421 c.c, non limiterebbe "a chiunque vi abbia interesse" la
possibilità di far valere la nullità. Qui, in altri,
termini la nullità si pone
come questione pregiudiziale inerente alla domanda della parte.
7.1. Inoltre, l'assunto dell'orientamento giurisprudenziale
maggioritario,
quanto meno rispetto all'azione di risoluzione, secondo cui il rilievo
d'ufficio
della nullità non equivarrebbe ad una pronunzia di accertamento
della non
validità, neppure fra le stesse parti, e non potendo formare
giudicato sul
punto non sarebbe quindi idoneo a rimuovere situazioni di incertezza,
non si da
carico della sostanziale identità di presupposti fra la domanda
di adempimento
e quella di risoluzione contrattuale (messa in luce da Cass. S.U.
30/10/2001,
n. 13533, ai fini del riparto dell'onere probatorio).
Posto che, sotto il profilo dell'onere probatorio, il creditore che
agisca per
la risoluzione deve, esattamente come colui che agisce per
l'adempimento,
provare solo il fatto costitutivo, ossia il contratto, è
consentito ritenere
allora che in entrambe i casi il diritto affermato dalla parte siccome
posizione giuridica fondamentale nascenti dal negozio, esiste solo che
sussistano tutti gli elementi costitutivi di questo.
Non è quindi giustificato, come fa la giurisprudenza
maggioritaria, escludere
dal rilievo d'ufficio l'ipotesi della domanda di risoluzione,
postulando
l'estraneità rispetto ad essa del problema della validità
del contratto,
giacché il diritto alla risoluzione sorge solo in relazione ad
un negozio
valido, ed è vero quindi che quando si fa valere tale diritto si
chiede al
giudice una operazione di "applicazione" del negozio diversa solo per
contenuto ma non per struttura da quella chiestagli in caso di azione
di
adempimento. La tesi che esclude il rilievo d'ufficio della
nuLlità sarebbe,
come è stato detto, "chiaro frutto della mancata comprensione
della struttura
e della funzione del rimedio risolutorio". Ora, con le domande di
adempimento e di risoluzione altro non si fa valere in sostanza che il
diritto
"ad ottenere in uno od altro senso la reintegrazione del sinallagma
funzionale" ed il loro fondamento si esaurisce nel "mero presupposto
dell'esistenza degli elementi costitutivi del negozio".
7.2. Per ultimo, ma non ultima osservazione, va considerato che
l'orientamento
maggioritario suddetto che ritiene possibile il rilievo d'ufficio della
nullità
solo nel caso in cui essa si ponga come eccezione all'accoglimento
della
domanda e come ragione di rigetto della pretesa dell'attore, e quindi
solo in
ipotesi di azione di esatto adempimento e non anche nel caso di azione
di
risoluzione, annullamento o rescissione del contratto, da una parte
pone una
limitazione a tale rilievo non prevista dall'art. 1421 c.c. e
dall'altra
presenta aspetti di non conciliabilità con le sue premesse.
Infatti anche nel
caso in cui l'attore abbia richiesto la risoluzione, l'annullamento o
la
rescissione del contratto, il rilievo d'ufficio della nullità
del contratto
egualmente porta al rigetto di una delle tre domande suddette e non
certo
all'accoglimento della stessa. Anche in questo caso, infatti, come per
la
domanda di esatto adempimento, in caso di nullità del contratto
il giudice
dovrà sempre rigettare la domanda di risoluzione, annullamento o
rescissione
del contratto, mentre la nullità del contratto, rilevata ed
accentata
incidentalmente dal giudice, costituirà solo la ragione su cui
si fonda il
rigetto della domanda dell'attore.
7.3. Ciò affermato in linea di principio, occorre vagliare quali
siano le
conseguenze del rilievo incidentale e d'ufficio della nullità in
una causa
proposta per la risoluzioni del contratto, come quella in esame.
Per coloro che ritengono che l'art. 1421 c.c. vada correlato all'art.
2907
c.c., è evidente che la pronunzia di rigetto della domanda di
risoluzione,
annullamento o rescissione faccia stato anche sull'eccezione rilevata
d'ufficio
di nullità.
Ma, come si è visto, questo inquadramento, non è
condivisibile. Qualche Autore,
pur essendo favorevole all'affermazione che la questione della
nullità può
essere rilevata d'ufficio dal giudice, poiché si tratta di una
questione
esaminata incidenter tantum sostiene che su di essa non può
formarsi il
giudicato, se non nei casi di cui all'art. 34 c.p.c. Altro orientamento
dottrinale restringe questo effetto di giudicato solo al caso di
accertamento
pregiudiziale rilavato nell'ambito di azione di risoluzione o di esatto
adempimento e non al caso di azione di annullamento o rescissione, in
cui pure
il giudice deve rilevare di ufficio la nullità ex art. 1421 c.c..
7.4. In realtà è corretto ritenere che la questione
pregiudiziale di nullità
condiziona l'accertamento (negativo o positivo) dell'effetto
contrattuale
dedotto in causa e attraverso il giudicato e che si forma su tale
effetto,
anche la soluzione data nel processo alla questione pregiudiziale di
nullità
può condizionare l'esito di altri processi relativi a diversi
effetti dello
stesso contratto. Peraltro se tale principio può essere
affermato (come in
dottrina è stato sostenuto) nel rapporto tra il processo in cui
la questione
pregiudiziale di nullità sia stata rilevata ed altri
procedimenti in cui
vengano in rilievo gli effetti dello stesso contratto tra le stesse
parti,
eguale principio può essere applicato anche quando la
nullità del contratto
venga rilevata nei medesimi giudizi di risoluzione, rescissione e di
annullamento e con riferimento alle stesse domande.
La nullità del contratto si riflette sull'intero rapporto, e
deve essere
ricevuta nei giudizi ad esso relativi, quando sia stata rilevata in
occasione
di una domanda di risoluzione, rescissione o annullamento che investa
il
contratto nella sua interezza. 7.5. Sennonché ciò che va
specificato è che
nella fattispecie non si verte nell'ipotesi di cui all'art. 34 c.p.c.,
come
pure sostenuto da taluno, con conseguente difficoltà ad
estendere fuori da quel
processo gli effetti dell'accertamento incidentale sulla questione
pregiudiziale sotto il profilo del giudicato, non essendo stato
richiesto ne'
dalle parti ne' previsto dalla legge un accertamento con tale efficacia.
Conformemente a quanto afferma una autorevole dottrina in tema di
accertamento
incidentale di questione pregiudiziale, va in primo luogo rilevato che
l'art.
34 c.p.c, non riguarda soltanto le modificazioni della competenza per
ragione
di connessione e l'eventuale rimessione di tutta la causa al giudice
superiore
competente per materia o per valore a conoscere la questione
pregiudiziale, ma
attiene anche alla efficacia della pronuncia che deve essere emessa dal
giudice. Il giudicato sulla questione pregiudiziale, infatti, si forma
solamente se in tal senso vi sia stata un'esplicita domanda di una
delle parti
o se sia la legge a pretenderlo. Va in secondo luogo precisato, sempre
in
aderenza all'opinione manifestata dalla medesima dottrina, che con
l'espressione "questione pregiudiziale", contenuta nel suddetto
articolo del codice di rito, il legislatore tuttavia ha inteso fare
riferimento
solamente alla pregiudizialità in senso tecnico e non anche alla
pregiudizialità in senso logico. Premesso che con la locuzione
"pregiudiziale in senso logico" si indica il fatto costitutivo del
diritto che si fa valere davanti al giudice (c.d. punto pregiudiziale)
o, come
si sostiene in dottrina, "il rapporto giuridico dal quale nasce
l'effetto
dedotto in giudizio" (ad esempio, la compravendita rispetto alla
richiesta
di pagamento del prezzo della cosa venduta), è indubbio che, in
base a una tesi
costantemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità,
l'efficacia del
giudicato copre, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma
anche
l'accertamento che si presenta come necessaria premessa o come
presupposto
logico-giuridico nella pronuncia medesima (c.d. giudicato implicito:
cfr.
27.3.2001, n. 4375; Cass. 19/01/1999, n. 462; Cass. 07/03/1995 Cass. n.
2645;
Cass. 13 febbraio 1993 n. 1811, Cass. 18 gennaio 1992 n. 576 e Cass. 11
febbraio 1988 n. 1473).
Secondo un'opinione dottrinale che merita adesione, infatti, in tal
caso la
necessità della formazione del giudicato anche sul punto
pregiudiziale (e anche
in assenza di un'apposita richiesta) deriva dal fatto che oggetto della
decisione è in primo luogo l'indagine circa l'esistenza del
rapporto giuridico
sul quale la pretesa si fonda.
Diversamente è a dirsi per la pregiudiziale in senso tecnico,
con la quale si
indica una situazione che, pur rappresentando un presupposto
dell'effetto
dedotto in giudizio, è tuttavia distinta ed indipendente dal
fatto costitutivo
sul quale si fonda tale effetto (ad esempio, la qualità di erede
del creditore
rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di
compravendita stipulato dal defunto). Tale situazione, poiché
non concerne
l'oggetto del processo, è solamente passibile di accertamento in
via
incidentale, salvo che, come si è detto sopra, per legge o a
seguito di
apposita domanda formulata da una delle parti, non sia richiesta una
decisione
con efficacia di giudicato (nel qual caso, qualora tutta la decisione
appartenga alla competenza di un giudice superiore, la questione
pregiudiziale
assume la denominazione di causa pregiudiziale).
7.6. Peraltro, non riconoscere efficacia di giudicato implicito
all'accertata
questione pregiudiziale di nullità del contratto, comporterebbe
la seguente
conseguenza inaccettabile: la parte che si è vista respingere la
domanda di
risoluzione, (rescissione o annullamento del contratto), a causa della
ritenuta
nullità dello stesso, potrà essere convenuta per
l'adempimento; le resta la
facoltà di opporre ancora la nullità del contratto, ma
con il rischio
dell'insuccesso, mentre non potrà nuovamente invocate la
risoluzione
(rescissione o annullamento), ormai pregiudicata. Ne consegue che,
proposta
azione di risoluzione del contratto, il giudice può rilevare
d'ufficio la
questione pregiudiziale relativa alla nullità del contratto e
costituendo essa
una pregiudiziale sul rapporto giuridico fatto valere in giudizio,
l'efficacia
della decisione di detta nullità, pregiudiziale alla statuizione
di rigetto
della domanda, costituisce giudicato implicito. 7.7. Ovviamente rimane
fermo il
principio che la rilevabilità d'ufficio della nullità di
un contratto prevista
dall'art. 1421 c.c. non comporta che il giudice sia obbligato ad un
accertamento d'ufficio in tal senso, dovendo invece detta
nullità risultare
"ex actis", ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito
al processo, essendo i criteri officiosi del giudice limitati al
rilievo della
nullità e non intesi perciò ad esonerare la parte
dall'onere probatorio
gravante su di essa (Cass. 28/01/2004, n. 1552). 8.1. Ne consegue che
nella
fattispecie, avendo l'appellante lamentato con l'impugnazione che
erratamente
la sentenza impugnata di primo grado non aveva rilevato la
nullità della
transazione perché contraria a norme imperative, in quanto
prevedeva deroghe
alle distanze legali tra fabbricati, contrarie alle norme regolamentari
inderogabili, il giudice di appello avrebbe dovuto accertare se
effettivamente
sussisteva sulla base degli atti la dedotta nullità. 8.2. A tal
fine va,
infatti, osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
resistente, in
tema di distanze legali nelle costruzioni le prescrizioni contenute nei
piani
regolatori e nei regolamenti edilizi, a differenza di quelle contenute
nel
c.c., essendo dettate a tutela dell'interesse generale a un prefigurato
modello
urbanistico, non sono derogabili dai privati. Ne consegue
l'invalidità - anche
nei rapporti interni - delle convenzioni stipulate fra proprietari
confinanti
le quali si rivelino in contrasto con le norme urbanistiche in materia
di
distanze, salva peraltro rimanendo la possibilità - per questi
ultimi - di
accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da
osservare
(Cass., 04/02/2004, n. 2117; Cass. 23.11.1999, n. 12984;
Cass. 27/06/1987, n. 5711).
8.3. Se nella fattispecie detta violazione fosse stata ritenuta
esistente dal
giudice di merito, questi avrebbe dovuto accertare se essa atteneva
solo ad
alcune clausole contrattuali. In quest'ultimo caso, il giudice del
merito
avrebbe dovuto valutare, a norma del 1^ c. dell'art. 1419 c.c., se
detta
nullità parziale si trasferisse all'intero contratto.
8.4. L'accertamento in questione era pregiudiziale all'applicazione
della
disciplina di cui all'art. 1976 c.c., che - nel disporre che non possa
essere
richiesta la risoluzione della transazione se il rapporto preesistente
è stato
estinto per novazione - presuppone che vi sia statua una valida
transazione novativa,
poiché solo questa può estinguere il precedente rapporto.
8.5. Peraltro, ove si fosse trattato solo di nullità parziale di
singole
clausole ed il giudice di merito avesse ritenuto non estendersi la
nullità
all'intero contratto a norma dell'art. 1419, c. 1, c.c., egualmente
andava
valutato, a seguito, della nullità di dette clausole, la
transazione in
questione conservasse il ritenuto carattere novativo del rapporto tra
le parti,
oppure costituisse solo una transazione c.d. "pura".
9.1. Ove, poi, si trattasse di nullità parziale del contratto,
non estensibile
all'intero contratto, e la transazione fosse ritenuta, nonostante detta
nullità, egualmente novativa, con conseguente
inammissibilità della risoluzione
a norma dell'art. 1976 c.c., egualmente per la parte conservata del
contratto,
perché non colpita dall'estensione della nullità di
singole clausole, andrebbe
esaminata la domanda di esatto adempimento del contratto di transazione
in
parte qua.
Infatti con la domanda di esatto adempimento, proposta in via
subordinata,
l'attrice aveva richiesto in sede di conclusioni di primo grado
"l'esecuzione dei lavori necessari per l'eliminazioni delle opere
irregolari per la loro modificazione in conformità agli obblighi
ed alle norme
legali o regolamentari", mentre con le conclusioni proposte in sede di
atto di citazione aveva richiesto solo la condanni dei convenuti
all'esecuzione
di quanto stabilito nella transazione.
9.2. Se può condividersi l'assunto del giudice di merito,
secondo cui questa
domanda, come precisata in sede di conclusioni di primo grado,
costituiva
domanda nuova nella parte in cui inseriva nel petitum l'esecuzione di
opere per
conformarsi alle norme legali o regolamentari, non è
condivisibile allorché
ritiene nuova anche quella parte della domanda con cui si richiede la
condanna
all'esecuzione delle opere per conformarsi agli obblighi contrattuali,
previsti
in clausole non investite da nullità parziale (e sempre
nell'ipotesi in cui la
nullità non si estenda all'intero contratto).
9.3. Non può invece accogliersi la censura della ricoprente
nella parte in cui
lamenta che il giudice di merito non avrebbe dovuto dichiarare
l'inammissibilità della domanda di adempimento sotto il profilo
della novità,
dovendo, invece procedere alla sostituzione di dette clausole mille con
le
prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici.
Infatti l'inserzione automatica di norme imperative in sostituzione di
una
clausola contrattuale affetta da nullità può dirsi
legittima, a norma dell'art.
1419, comma 2, c.c., soltanto se la sostituzione stessa debba avvenire
"di
diritto", in forza, cioè, di un'espressa disposizione di legge
la quale,
oltre a comminare la nullità di una determinata clausola, ne
imponga anche la
sostituzione con una normativa legale, mentre la predetta inserzione
non è
attuabile qualora il legislatore, nello stabilire la nullità di
una clausola o
di una pattuizione, non ne abbia espressamente prevista la sostituzione
con una
specifica norma imperativa (Cass. 28/06/2000/ n. 8794; Cass.
02/09/1995, n. 9266).
9.4. Ciò comporta nella fattispecie, che ove fossero ritenute
nulle solo alcune
clausole della transazione, perché contrarie a norme imperative
in tema di
distanze legali previste dagli strumenti urbanistici, e che tuttavia la
transazione continuasse ad essere valida nella restante parte (non
ricorrendo
l'ipotesi di cui all'art. 1421, c. 1 c.c.) non potrebbe richiedersi in
questa
sede di domanda subordinata di esatto adempimento di obbligazione
contrattuale
il rispetto delle normativa regolamentare sulle distanze legali, quale
obbligo
discendente da clausola contrattuale di transazione (stante
l'impossibilità di
sostituzione ex art. 1419, c. 2., c.c.). 10. L'accoglimento dei
suddetti
motivi, comporta l'assorbimento dei motivi settimo ed ottavo.
In definitiva, vanno rigettati il primo ed il secondo motivo di
ricorso; vanno
accolti, per quanto di ragione il terzo, il quarto, il quinto ed il
settimo
motivo.
L'impugnata sentenza va cassata, in relazione ai motivi accolti, e la
causa va
rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si
uniformerà
al principio di diritto di cui al sopra enunciato punto 8.2. ed al
seguente
principio di diritto:
"A norma dell'art. 1421 c.c., il giudice deve rilevare d'ufficio le
nullità negoziali, non solo se sia stata proposta azione di
esatto adempimento,
ma anche se sia stata preposta azione di risoluzione o di annullamento
o di
rescissione, procedendo ad un accertamento incidentale relativo ad una
pregiudiziale in senso logico-giuridico, idoneo a divenire giudicato".
Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese
di
questo giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso. Accoglie, per quanto
di
ragione, il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbiti
il
settimo e l'ottavo.
Cassa, in relazione ai motivi accolti, l'impugnata sentenza e rinvia ad
altra
sezione della Corte di appello di Milano. Compensa tra le parti le
spese di
questo giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2005
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