Aggiornamento - Civile

Cass. Civ. sez. III, 2 marzo 2005, n. 6170, sulla rilevabilità d’ufficio della nullità

(Omissis)
Con citazioni notificate il 26 e 27.7.1995 P R. conveniva davanti al Tribunale di Milano la E.T. nonché G. B., M. F., (oImissis), assumendo che essa era proprietaria di un complesso immobiliare in Castano Primo; che la convenuta Cooperativa aveva iniziato lavori di ristrutturazione e modificazione di un fabbricato confinante di proprietà di essa cooperativa; che i progetti prevedevano l'estensione delle nuove costruzioni sull'area destinata a corte e la chiusura di alcune finestre lucifere e l'estensione delle costruzioni fino ad un metro dalle finestre di essa attrice; che le parti avevano regolato i rapporti con scrittura privata autenticata del 26.5.1992; che la convenuta era rimasta inadempiente a detti obblighi. L'attrice chiedeva, quindi, che fossero condannati la convenuta ed i suoi aventi causa, acquirenti di porzioni del fabbricato, a provvedere all'esecuzione dei lavori necessari per le eliminazioni delle opere irregolari e per la loro modificazione in conformità agli obblighi assunti, nonché per la condanna al risarcimento dei danni. Si costituivano e resistevano i convenuti.
All'udienza ex art. 180 c.p.c. l'attrice chiedeva la risoluzione della convenzione per inadempienza dei convenuti ed in via gradata la loro condanna solidale all'adempimento degli obblighi ed al ripristino delle distanze legagli e regolamentari ed al risarcimento del danno.
Con memoria depositata ai sensi dell'art. 183, c. 5, c.p.c. l'attrice prospettava la nullità della convenzione in quanto contraria a norme inderogabili di ordine pubblico, asserendo che la relativa questione era rilevabile d'ufficio. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 7.5.1999, dichiarava inammissibili le domande di dichiarazione di nullità della convenzione, di risoluzione della stessa e di esatto adempimento, nonché rigettava la domanda di risarcimento dei danni. Avverso questa sentenza proponeva appello l'attrice. Si costituivano e resistevano i convenuti, che proponevano appello incidentale. La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 21.9.2001, rigettava entrambe le impugnazioni.
Riteneva la corte territoriale che la domanda di dichiarazione di nullità della scrittura era stata proposta solo con la memoria ex art. 183, c. 5, e quindi tardivamente; che la domanda subordinata di esatto adempimento era inammissibile, come modificata all'udienza del 19.11.1995, in quanto prevedeva un petitum ed una causa petendi diversa, poiché si richiedeva l'esecuzione delle opere previste dagli obblighi contrattuali e Malie norme legali o regolamentari", e quindi, sotto quest'ultimo profilo, costituiva una nuova domanda di adempimento fondata sulla dedotta invalidità della convenzione del 26.5.1992; che la domanda di risoluzione in questione non era ammissibile, a norma dell'art. 1976 c.c., poiché si trattava di transazione novativa, diretta a creare un nuovo assetto dei rispettivi diritti, incompatibile con quello preesistente; che tale assetto riguardava diritti disponibili; che, proprio perché la domanda di esatto adempimento iniziale, era stata modificata in domanda di risoluzione rimaneva paralizzata la facoltà del giudice di rilevare ex officio la nullità della scrittura in oggetto; che alla declaratoria di inammissibilità delle domande avanzate dalla Palpili, conseguiva il rigetto dell'accessoria domanda di risarcimento del danno.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la P. che ha anche presentato memoria. Resistono con controricorso gli intimati convenuti.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la nullità della sentenza ed in subordine l'omessa motivazione della sentenza e la violazione dell'art. 112, 342 e 346 c.p.c., assumendo che essa si era limitata a riaffermare le statuizioni del primo giudice, adottando le stesse motivazioni ed ignorando i motivi di appello. 2. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato.
Va, infatti, osservato che la motivazione della sentenza di secondo grado per relationem concreta carenza di motivazione qualora consista in un mero rinvio alla precedente decisione, risolventesi in una acritica approvazione della predetta. Essa è invece legittima quando il giudice di appello, richiamando nella sua pronuncia punti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, non si limiti a farli propri, ma confuti, sia pure con la concisione peraltro stabilita dall'articolo 118, comma 2, delle disposizioni di attuazione del c.p.c, le censure contro di queste formulate con il gravame, attraverso un iter argomentativo ricavabile dall'integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito (Cass. 23/07/2003, n. 11422).
Ciò è avvenuto nella fattispecie, poiché la sentenza impugnata si è fatta carico delle censure mosse alla sentenza di primo grado e le ha ritenute infondate, sia pure riadottando le stesse argomentazioni sviluppate dal giudice di primo grado, ritenute esatte. 3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 183 c.p.c, nonché omessa ed insufficiente motivazione in punto di tardività dell'eccezione (ovvero domanda) di nullità parziale. Assume la ricorrente che, poiché nel corpo dell'atto di citazione essa richiedeva la condanna dei convenuti "all'adempimento degli obblighi derivanti dalla scrittura ed al rispetto delle norme di legge e di regolamento violate, con l'eliminazione e modificazione delle opere illegittime nonché al risarcimento dei danni", ciò costituiva un'implicita deduzione della nullità parziale della convenzione. 4. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e che lo stesso vada rigettato.
Esso, infatti, mira sostenere che la tempestività dell'eccezione di nullità della convenzione si sarebbe dovuta trarre implicitamente dall'interpretazione dell'atto di citazione.
Detta interpretazione compete al giudice di merito ed essa sul punto è immune dai vizi sollevati con la censura. Infatti l'eccezione di nullità della convenzione fu sollevata dall'attrice solo nell'udienza del 21.3.1996, non potendo ritenersi che presenti vizi di motivazione l'interpretazione del giudice del merito che non ha ritenuto che la locuzione sopra riportata dell'atto di citazione contenga un'eccezione di nullità.
5.1. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione di legge, l'errata applicazione degli artt. 1421 c.c. e 112 c.p.c, l'omessa, insufficiente motivazione in ordine alle conclusioni effettivamente assunte.
Lamenta la ricorrente che erratamente il giudice di merito ha ritenuto che non potesse rilevarsi d'ufficio la lamentata nullità della convenzione per contrarietà a norme imperative in tema di distanze legali, vertendosi in tema di azione di risoluzione; che essa aveva richiesto, oltre alla risoluzione della convenzione, anche in via gradata l'adempimento della stessa, - che essa aveva richiesto anche il risarcimento del danno, - che, pertanto, in ogni caso il giudice avrebbe dovuto esaminare la validità del contratto per pronunziarsi sulle domande, rilevando d'ufficio la nullità della convenzione per contrarietà alle norme imperative in tema di distanze legali.
5.2. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell'art. 183 c.p.c. nonché l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione e l'omessa considerazione che la domanda di adempimento riguardava diritti autodeterminati.
Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata non ha condannato i ricorrenti all'esatto adempimento almeno di quegli obblighi che non avevano contenuti contrari a norme urbanistiche e che quindi non si fondavano sulle dedotte invalidità della convenzione; che, in ogni caso, essa aveva chiesto la tutela di diritti reali, come tali autodeterminati, per cui era possibile il mutamento della causa petendi, senza incorrere in preclusioni.
5.3. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione di legge ed errata applicazione dell'art. 1976 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, perché - contrariamente a quanto assunto dalla sentenza - non si trattava di transazione novativa, ma c.d. propria, con la conseguenza che era possibile richiedere la risoluzione della stessa. 5.4. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 872 e 873 c.c. e 1966 c.c., nonché dello strumento urbanistico e dell'art. 41 quinquies della l. n. 1150/1942 da integrarsi con il d.m. 2.4.1968, nonché il vizio motivazionale. Assume la ricorrente che, contrariamente all'assunto dell'impugnata sentenza, poiché nella fattispecie le parti derogavano alle distanze legali tra fabbricati, previste dalle leggi e dagli strumenti urbanistici, le relative norme erano inderogabili, con la conseguente nullità della convenzione su tali punti.
6.1. Ritiene questa Corte che i suddetti motivi, presentando elementi di connessione, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono parzialmente fondati e vanno accolti per quando di ragione. Il punto nodale della controversia è se il giudice di merito avrebbe dovuto rilevare d'ufficio l'assunta nullità della transazione, perché contraria a norme imperative in tema di distanze legali tra fabbricati. Occorre valutare, seguendo la linea delle doglianze svolte in sede di legittimità, se comunque la nullità doveva essere rilevata d'ufficio sia in primo che in secondo grado. Di fronte, infatti, ad una situazione rilevabile d'ufficio dal giudice, il problema dell'inammissibile nullità non si porrebbe neppure, dovendosi intendere le, sia pure tardive, proposizioni di parte alla nullità inerenti, non come formulazione di domanda fuori dei limiti processuali, ma sollecitazione ad un rilievo di ufficio comunque e sempre esprimibile.
6.2. La Corte di Milano, nel negare la rilevabilità d'ufficio della nullità del negozio in esame, si è uniformata ad una linea logica da questa Corte da lungo tempo espressa e decisamente prevalente, anche se non del tutto consolidata (Cass. 20 dicembre 1958 n. 3937; 4 marzo 1960 n. 40; 28 maggio 1966 n. 1390; 18 aprile 1970 n. 1127; 9 marzo 1971 n. 661; 28 gennaio 1972 n. 244; in epoca più recente, ex multis: Cass. 6.8.2003, n. 11847; Cass. 14.1.2003, n. 435; Cass. 17.5.2002, n. 7215; Cass. 1.8.2001, n. 19498; 11 marzo 1988 n. 2398). In questo senso sono anche le decisioni delle S.U. di questa Corte 25/03/1988, n. 2572 e 03/04/1989, n. 1611, ma non in sede di composizione di contrasto o di esame di questione di particolare importanza, ma limitandosi ad applicare "giurisprudenza costante". La lunga serie di decisioni afferma al riguardo che: "Il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato col principio della domanda fissato dagli art. 99 e 112 c.p.c, sicché solo se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare, in qualsiasi stato e grado del giudizio, l'eventuale nullità dell'atto, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti; al contrario, qualora la domanda sia diretta a fare dichiarare l'invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, la deduzione (nella prima ipotesi) di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento della domanda e (nella seconda ipotesi) di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto costitutivo diverso dall'inadempimento, sono inammissibili: ne' tali questioni possono essere rilevate d'ufficio, ostandovi il divieto di pronunciare "ultra petita".
6.3. Sul presupposto che la rilevabilità d'ufficio della questione di nullità (art. 1421 C.C.) debba essere coordinata con il principio della domanda (art. 112 c.p.c.), lo schema argomentato seguito dall'indirizzo giurisprudenziale citato può essere individuato nei seguenti passaggi logici (come emerge dalla sentenza che più ampiamente ha motivato sul punto, Cass. n. 1127/70 citata):
a) l'art. 112 c.p.c. pone la domanda (atto di parte ex art. 99 c.p.c.) come limite assoluto della pronuncia del giudice; solo le eccezioni (sempre che non si tratti di eccezioni in senso stretto per cui la stessa legge richieda l'espressa manifestazione di volontà processuale della parte interessata) possono essere oggetto di pronuncia senza apposita istanza perché, essendo dirette a negare fatti costitutivi della pretesa attorea o ad affermare fatti impeditivi o estintivi, attengono a situazioni implicitamente già dedotte nella formulazione della domanda.
b) L'art. 1421 C.C. consente al giudice di rilevare d'ufficio la nullità del contratto, quando essa contraddice la domanda impedendone l'accoglimento. Quando, invece, la nullità configura una ragione che favorisce la pretesa attorea sia pure in termini diversi da quelli prospettati dalla domanda, essa non opera nel campo delle eccezioni ma si iscrive nella zona delle difese dell'attore, della domanda che l'attore avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto. c) Di conseguenza la rilevabilità d'ufficio della nullità è consentita quando essa si pone come ragione di rigetto della pretesa attorea e ciò si verifica quando l'attore invoca il riconoscimento o l'adempimento di un suo diritto nascente dal contratto; ciò, invece, non si verifica quando l'attore intende escludere o eliminare gli effetti del contratti) per ragioni diverse dalla nullità (azione di annullamento, rescissione o risoluzione), che poteva invocare ma che non ha invocato. Come espresso dalla sentenza n. 5341/84, la causa relativa all'adempimento del contratto è continente della causa autonoma volta alla dichiarazione di (non) nullità dello stesso contratto.
6.4. In senso contrario a detto orientamento, vi è la dottrina pressoché unanime (ad eccezione di due Autori), che ha vigorosamente preso posizione contro questa soluzione. Aderendo a detta posizione dottrinale Cass. 6 marzo 1970 n. 578; Cass. 28 gennaio 1986 n. 550, Cass. 18.7.1994, n. 6710, con specifico riferimento alla domanda di risoluzione del contratto, e, più' in generale anche con riguardo alle domande di annullamento o rescissione, Cass. 2 aprile 1997, n. 2858, hanno statuito che la nullità di un contratto del quale sia stato chiesto l'annullamento (come pure la risoluzione o la rescissione) può essere rilevata d'ufficio dal giudice, in via incidentale, senza incorrere in vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente dedotta l'assenza di vizi determinanti la nullità del contratto, il cui rilievo da parte del giudice da luogo a pronunzia non eccedente l'oggetto del causa, e la cui efficacia resta fissata in funzione dei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente, come nel caso (ricorrente nella specie) di domanda di annullamento di contratto non ricadente nell'ipotesi di cui all'art. 1446 cod. civ..
In particolare la predetta sentenza n. 2858/1997 (la più approfondita sul punto) ha statuito che: "a) la nullità del contratto deve essere rilevata d'ufficio dal giudice (art. 1421 c.c.) ogni qual volta si presenti come questione pregiudiziale (art. 34 c.p.c.); b) la questione condiziona anche la decisione delle domande di risoluzione, di rescissione e di annullamento del contratto; c) l'efficacia della decisione sulla nullità è fissata dalla domanda proposta: ciò non esclude che influisca sull'intero rapporto contrattuale se la domanda investe il rapporto per intero, come nel caso di domanda di annullamento in cui non ricorrano le limitazioni degli art. 1446 c.c..".
6.5. Ritiene questa Corte di dover aderire, sia pure con alcune precisazioni, a tale orientamento giurisprudenziale minoritario, per le ragioni che seguono.
Il problema che sì pone è quindi duplice: anzitutto se il giudice possa rilevare anche d'ufficio, non solo in sede di azione di esatto adempimento, ma anche di risoluzione, annullamento o rescissione la nullità negoziale ed, inoltre, quale sia l'effetto di tale rilievo d'ufficio.
Prendendo in esame le opinioni di dottrina espresse in forma critica verso la limitazione indicata dalla giurisprudenza, non può non condividersi che, oltre alla domanda di adempimento o di esecuzione, anche le domande di risoluzione e di annullamento presuppongono la validità del contratto e costituiscono mezzo giuridico per eliminarne, in taluni casi, gli effetti. Anche la domande di risoluzione e di annullamento implicano, e fanno valere, un diritto potestativo di impugnativa contrattuale nascente dal contratto in discussione, non meno del diritto all'adempimento. Ciascuna delle domande di adempimento, di risoluzione o di annullamento, pertanto, vengono avanzate con la premessa immancabile, ancorché implicita, -. "poiché non sussistono ragioni di nullità del contratto, propongo domanda di adempimento, di risoluzione di annullamento...". Se la nullità sussistesse, nessun diritto o potestà potrebbe derivare dal rapporto dedotto in controversia, poiché lo stesso rapporto non sarebbe sorto.
La validità del contratto, di conseguenza, si pone come pregiudiziale sia delle domande di adempimento o esecuzione, sia di quella di annullamento il cui patere, o inesistenza di potere, in quanto abbia fonte in un contratto valido, inerisce alla stessa domanda di annullamento proposta, non diversamente da quella di adempimento.
Conseguentemente, poiché l'art. 1421 c.c. richiede che d'ufficio la nullità del contratto, in quanto sussistente, venga "rilevata" (in via incidentale), e poiché, come indicato, la validità o nullità del contratto costituisce il presupposto anche della domanda di risoluzione alla quale inerisce, ne deriva che il rilievo incidentale e d'ufficio della nullità del contratto, di cui sia stato chiesto la risoluzione, attiene alla domanda di risoluzione stessa, ed il relativo rilievo non eccede il principio dell'art. 112 c.p.c. in relazione al limite che la domanda di parte pone ai poteri di pronuncia del giudice.
Collocando la nullità nell'ambito della domanda, la posizione diretta a riconoscere che la nullità del contratto debba essere rilevata d'ufficio anche nelle cause di risoluzione o impugnativa contrattuale è difficilmente contrastabile.
6.6. Quindi la questione di validità del negozio è implicata allo stesso modo tanto nella domanda di risoluzione quanto in quella di adempimento (o di esecuzione), in quanto sono risposte alternative che il diritto accorda alla parte di fronte alla situazione di inadempimento. Anche la prima di tali domande, infatti, essendo fondata sull'affermazione che un determinato "obbligo è stato inadempiuto e che non ricorrono circostanze di esclusione della responsabilità" implica necessariamente che un obbligo sia sorto in conseguenza del negozio, e ciò a sua volta presuppone necessariamente l'allegazione di validità del negozio smesso. Anch'essa è dunque domanda di applicazione, poiché la parte postula che il negozio sia valido e abbia spiegato i propri effetti. La domanda di risoluzione si poggia con identico grado di coerenza logica e giuridica sulla validità del negozio.- da questo promana il rapporto, se ne chieda la risoluzione o si esiga l'adempimento della prestazione in esso dedotta. D'altra parte, se il contratto è nullo, non vi sono effetti da eliminare, ne' è pensabile che si possa risolvere un contratto per inadempimento e magari ottenere anche la condanna al risarcimento laddove per la nullità del contratto non v'era alcun obbligo da adempiere.
6.7. Considerazioni analoghe vanno formulate con riguardo alla rescissione o all'annullamento: anche in questo caso l'azione trova il suo presupposto nella validità del contratto. Ritenere il contrario determinerebbe del resto conseguenze assurde, quali l'accoglimento di un'offerta di riduzione ad equità del contratto nullo, volta a paralizzare la domanda della controparte. 6.8. Ulteriore sostegno a tale tesi emerge, come ha rilevato autorevole dottrina, dall'esame delle relazioni intercorrenti fra la pronunzia di accoglimento della domanda di nullità proposta in via principale e gli eventuali successivi giudizi di adempimento, risoluzione, rescissione o annullamento dello stesso contratto. Se si ritenesse irrilevante nel successivo giudizio "impugnatorio", la questione della nullità del contratto, tale sarebbe anche una precedente pronunzia di nullità e questa riuscirebbe "inutiliter data" perché non sarebbe idonea ad accertare l'assenza di vincoli all'adempimento. In tale situazione la nullità, benché già dichiarata, dovrebbe quindi farsi nuovamente valere, con il rischio tuttavia di una pronunzia difforme. Poiché questa paradossale conclusione è inaccettabile, sarebbe necessario, almeno, riconoscere che nel giudizio successivo di risoluzione, annullamento o rescissione la nullità del contratto non sia irrilevante, e, poiché la relativa pronunzia ha per comune consenso carattere di mero accertamento, tale rilevanza non potrebbe che operare sul piano sostanziale.
Resta poi relativamente secondario che dalla rilevanza così riconosciuta si sia indotti a ritenere già implicitamente "decisa nel primo giudizio", ossia in quello di nullità, la controversia che forma oggetto del secondo, nel quale pertanto, in base al principio del "ne bis in idem" e secondo la prospettiva del c.d. effetto negativo del giudicato non si può ulteriormente disputare sullo stesso oggetto o su parte di esso, perché adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento costituiscono una specificazione, un dettaglio rispetto al tema della nullità o, invece, considerare che nel secondo giudizio la nullità, già dichiarata nel primo, imponga, secondo il c.d. effetto positivo del giudicato, "il rigetto delle successive domande" ivi proposte, senza così uscire dai confini segnati al successivo giudizio con quelle domande di cui appare tema necessario, parte inclusa e condizionante.
Ciò che conta, ai fini della questione in esame, è che in tutti questi giudizi la "questione di nullità" del contratto è sempre presente e che, pertanto, non si esorbita dai temi posti con tali domande quando la nullità venga rilevata d'ufficio ex art. 1421 c.c..
6.9. Sennonché mentre è condivisibile tale conclusione non pare che lo sia l'inquadramento sistematico, secondo cui l'art. 1421 non si iscrive nella cornice dell'atto nullo ma piuttosto in quella dell'art. 2907, 1, comma c.c., che assegna al giudice l'obbligo di pronunziare - nei casi tassativamente - previsti dalla legge - senza l'impulso di parte e al di là dei limiti della domanda. Con l'art. 1421 apparentemente si attribuirebbe al giudice una facoltà ("la nullità...può essere rilevata dal giudice") mentre in realtà, in connessione con l'art. 2907 cod. civ. si sancirebbe un'eccezione al principio generale, e cioè si vuol "assegnare al magistrato un compito che altrimenti non lo riguarderebbe nel senso che egli può supplire con il suo intervento alla mancata iniziativa della parte". Osserva questa Corte che in realtà la previsione dell'art. 2907 c.c. sembra riferirsi ad un'ipotesi in cui al giudice è consentito di prendere iniziative per una pronunzia estranea al processo in corso (come è per l'art. 8 l. fall), quando cioè l'iniziativa non è richiesta per risolvere il merito della controversia, già sottoposta al giudice ad iniziativa di parte.
Il caso in esame, invece, riguarda la pendenza di una lite avviata su domanda di parte, con riferimento al contratto, e la nullità si pone proprio come condizione della decisione di merito su di essa: tra la domanda di parte e rilievo di nullità, vi è una relazione strettamente funzionale. Altrimenti l'art. 1421 c.c, non limiterebbe "a chiunque vi abbia interesse" la possibilità di far valere la nullità. Qui, in altri, termini la nullità si pone come questione pregiudiziale inerente alla domanda della parte.
7.1. Inoltre, l'assunto dell'orientamento giurisprudenziale maggioritario, quanto meno rispetto all'azione di risoluzione, secondo cui il rilievo d'ufficio della nullità non equivarrebbe ad una pronunzia di accertamento della non validità, neppure fra le stesse parti, e non potendo formare giudicato sul punto non sarebbe quindi idoneo a rimuovere situazioni di incertezza, non si da carico della sostanziale identità di presupposti fra la domanda di adempimento e quella di risoluzione contrattuale (messa in luce da Cass. S.U. 30/10/2001, n. 13533, ai fini del riparto dell'onere probatorio).
Posto che, sotto il profilo dell'onere probatorio, il creditore che agisca per la risoluzione deve, esattamente come colui che agisce per l'adempimento, provare solo il fatto costitutivo, ossia il contratto, è consentito ritenere allora che in entrambe i casi il diritto affermato dalla parte siccome posizione giuridica fondamentale nascenti dal negozio, esiste solo che sussistano tutti gli elementi costitutivi di questo.
Non è quindi giustificato, come fa la giurisprudenza maggioritaria, escludere dal rilievo d'ufficio l'ipotesi della domanda di risoluzione, postulando l'estraneità rispetto ad essa del problema della validità del contratto, giacché il diritto alla risoluzione sorge solo in relazione ad un negozio valido, ed è vero quindi che quando si fa valere tale diritto si chiede al giudice una operazione di "applicazione" del negozio diversa solo per contenuto ma non per struttura da quella chiestagli in caso di azione di adempimento. La tesi che esclude il rilievo d'ufficio della nuLlità sarebbe, come è stato detto, "chiaro frutto della mancata comprensione della struttura e della funzione del rimedio risolutorio". Ora, con le domande di adempimento e di risoluzione altro non si fa valere in sostanza che il diritto "ad ottenere in uno od altro senso la reintegrazione del sinallagma funzionale" ed il loro fondamento si esaurisce nel "mero presupposto dell'esistenza degli elementi costitutivi del negozio".
7.2. Per ultimo, ma non ultima osservazione, va considerato che l'orientamento maggioritario suddetto che ritiene possibile il rilievo d'ufficio della nullità solo nel caso in cui essa si ponga come eccezione all'accoglimento della domanda e come ragione di rigetto della pretesa dell'attore, e quindi solo in ipotesi di azione di esatto adempimento e non anche nel caso di azione di risoluzione, annullamento o rescissione del contratto, da una parte pone una limitazione a tale rilievo non prevista dall'art. 1421 c.c. e dall'altra presenta aspetti di non conciliabilità con le sue premesse. Infatti anche nel caso in cui l'attore abbia richiesto la risoluzione, l'annullamento o la rescissione del contratto, il rilievo d'ufficio della nullità del contratto egualmente porta al rigetto di una delle tre domande suddette e non certo
all'accoglimento della stessa. Anche in questo caso, infatti, come per la domanda di esatto adempimento, in caso di nullità del contratto il giudice dovrà sempre rigettare la domanda di risoluzione, annullamento o rescissione del contratto, mentre la nullità del contratto, rilevata ed accentata incidentalmente dal giudice, costituirà solo la ragione su cui si fonda il rigetto della domanda dell'attore.
7.3. Ciò affermato in linea di principio, occorre vagliare quali siano le conseguenze del rilievo incidentale e d'ufficio della nullità in una causa proposta per la risoluzioni del contratto, come quella in esame.
Per coloro che ritengono che l'art. 1421 c.c. vada correlato all'art. 2907 c.c., è evidente che la pronunzia di rigetto della domanda di risoluzione, annullamento o rescissione faccia stato anche sull'eccezione rilevata d'ufficio di nullità.
Ma, come si è visto, questo inquadramento, non è condivisibile. Qualche Autore, pur essendo favorevole all'affermazione che la questione della nullità può essere rilevata d'ufficio dal giudice, poiché si tratta di una questione esaminata incidenter tantum sostiene che su di essa non può formarsi il giudicato, se non nei casi di cui all'art. 34 c.p.c. Altro orientamento dottrinale restringe questo effetto di giudicato solo al caso di accertamento pregiudiziale rilavato nell'ambito di azione di risoluzione o di esatto adempimento e non al caso di azione di annullamento o rescissione, in cui pure il giudice deve rilevare di ufficio la nullità ex art. 1421 c.c..
7.4. In realtà è corretto ritenere che la questione pregiudiziale di nullità condiziona l'accertamento (negativo o positivo) dell'effetto contrattuale dedotto in causa e attraverso il giudicato e che si forma su tale effetto, anche la soluzione data nel processo alla questione pregiudiziale di nullità può condizionare l'esito di altri processi relativi a diversi effetti dello stesso contratto. Peraltro se tale principio può essere affermato (come in dottrina è stato sostenuto) nel rapporto tra il processo in cui la questione pregiudiziale di nullità sia stata rilevata ed altri procedimenti in cui vengano in rilievo gli effetti dello stesso contratto tra le stesse parti, eguale principio può essere applicato anche quando la nullità del contratto venga rilevata nei medesimi giudizi di risoluzione, rescissione e di annullamento e con riferimento alle stesse domande.
La nullità del contratto si riflette sull'intero rapporto, e deve essere ricevuta nei giudizi ad esso relativi, quando sia stata rilevata in occasione di una domanda di risoluzione, rescissione o annullamento che investa il contratto nella sua interezza. 7.5. Sennonché ciò che va specificato è che nella fattispecie non si verte nell'ipotesi di cui all'art. 34 c.p.c., come pure sostenuto da taluno, con conseguente difficoltà ad estendere fuori da quel processo gli effetti dell'accertamento incidentale sulla questione pregiudiziale sotto il profilo del giudicato, non essendo stato richiesto ne' dalle parti ne' previsto dalla legge un accertamento con tale efficacia.
Conformemente a quanto afferma una autorevole dottrina in tema di accertamento incidentale di questione pregiudiziale, va in primo luogo rilevato che l'art. 34 c.p.c, non riguarda soltanto le modificazioni della competenza per ragione di connessione e l'eventuale rimessione di tutta la causa al giudice superiore competente per materia o per valore a conoscere la questione pregiudiziale, ma attiene anche alla efficacia della pronuncia che deve essere emessa dal giudice. Il giudicato sulla questione pregiudiziale, infatti, si forma solamente se in tal senso vi sia stata un'esplicita domanda di una delle parti o se sia la legge a pretenderlo. Va in secondo luogo precisato, sempre in aderenza all'opinione manifestata dalla medesima dottrina, che con l'espressione "questione pregiudiziale", contenuta nel suddetto articolo del codice di rito, il legislatore tuttavia ha inteso fare riferimento solamente alla pregiudizialità in senso tecnico e non anche alla pregiudizialità in senso logico. Premesso che con la locuzione "pregiudiziale in senso logico" si indica il fatto costitutivo del diritto che si fa valere davanti al giudice (c.d. punto pregiudiziale) o, come si sostiene in dottrina, "il rapporto giuridico dal quale nasce l'effetto dedotto in giudizio" (ad esempio, la compravendita rispetto alla richiesta di pagamento del prezzo della cosa venduta), è indubbio che, in base a una tesi costantemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità, l'efficacia del giudicato copre, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma anche l'accertamento che si presenta come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico nella pronuncia medesima (c.d. giudicato implicito: cfr. 27.3.2001, n. 4375; Cass. 19/01/1999, n. 462; Cass. 07/03/1995 Cass. n. 2645; Cass. 13 febbraio 1993 n. 1811, Cass. 18 gennaio 1992 n. 576 e Cass. 11 febbraio 1988 n. 1473).
Secondo un'opinione dottrinale che merita adesione, infatti, in tal caso la necessità della formazione del giudicato anche sul punto pregiudiziale (e anche in assenza di un'apposita richiesta) deriva dal fatto che oggetto della decisione è in primo luogo l'indagine circa l'esistenza del rapporto giuridico sul quale la pretesa si fonda.
Diversamente è a dirsi per la pregiudiziale in senso tecnico, con la quale si indica una situazione che, pur rappresentando un presupposto dell'effetto dedotto in giudizio, è tuttavia distinta ed indipendente dal fatto costitutivo sul quale si fonda tale effetto (ad esempio, la qualità di erede del creditore rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di compravendita stipulato dal defunto). Tale situazione, poiché non concerne l'oggetto del processo, è solamente passibile di accertamento in via incidentale, salvo che, come si è detto sopra, per legge o a seguito di apposita domanda formulata da una delle parti, non sia richiesta una decisione con efficacia di giudicato (nel qual caso, qualora tutta la decisione appartenga alla competenza di un giudice superiore, la questione pregiudiziale assume la denominazione di causa pregiudiziale).
7.6. Peraltro, non riconoscere efficacia di giudicato implicito all'accertata questione pregiudiziale di nullità del contratto, comporterebbe la seguente conseguenza inaccettabile: la parte che si è vista respingere la domanda di risoluzione, (rescissione o annullamento del contratto), a causa della ritenuta nullità dello stesso, potrà essere convenuta per l'adempimento; le resta la facoltà di opporre ancora la nullità del contratto, ma con il rischio dell'insuccesso, mentre non potrà nuovamente invocate la risoluzione (rescissione o annullamento), ormai pregiudicata. Ne consegue che, proposta azione di risoluzione del contratto, il giudice può rilevare d'ufficio la questione pregiudiziale relativa alla nullità del contratto e costituendo essa una pregiudiziale sul rapporto giuridico fatto valere in giudizio, l'efficacia della decisione di detta nullità, pregiudiziale alla statuizione di rigetto della domanda, costituisce giudicato implicito. 7.7. Ovviamente rimane fermo il principio che la rilevabilità d'ufficio della nullità di un contratto prevista dall'art. 1421 c.c. non comporta che il giudice sia obbligato ad un accertamento d'ufficio in tal senso, dovendo invece detta nullità risultare "ex actis", ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i criteri officiosi del giudice limitati al rilievo della nullità e non intesi perciò ad esonerare la parte dall'onere probatorio gravante su di essa (Cass. 28/01/2004, n. 1552). 8.1. Ne consegue che nella fattispecie, avendo l'appellante lamentato con l'impugnazione che erratamente la sentenza impugnata di primo grado non aveva rilevato la nullità della transazione perché contraria a norme imperative, in quanto prevedeva deroghe alle distanze legali tra fabbricati, contrarie alle norme regolamentari inderogabili, il giudice di appello avrebbe dovuto accertare se effettivamente sussisteva sulla base degli atti la dedotta nullità. 8.2. A tal fine va, infatti, osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla resistente, in tema di distanze legali nelle costruzioni le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi, a differenza di quelle contenute nel c.c., essendo dettate a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non sono derogabili dai privati. Ne consegue l'invalidità - anche nei rapporti interni - delle convenzioni stipulate fra proprietari confinanti le quali si rivelino in contrasto con le norme urbanistiche in materia di distanze, salva peraltro rimanendo la possibilità - per questi ultimi - di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare (Cass., 04/02/2004, n. 2117; Cass. 23.11.1999, n. 12984;
Cass. 27/06/1987, n. 5711).
8.3. Se nella fattispecie detta violazione fosse stata ritenuta esistente dal giudice di merito, questi avrebbe dovuto accertare se essa atteneva solo ad alcune clausole contrattuali. In quest'ultimo caso, il giudice del merito avrebbe dovuto valutare, a norma del 1^ c. dell'art. 1419 c.c., se detta nullità parziale si trasferisse all'intero contratto.
8.4. L'accertamento in questione era pregiudiziale all'applicazione della disciplina di cui all'art. 1976 c.c., che - nel disporre che non possa essere richiesta la risoluzione della transazione se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione - presuppone che vi sia statua una valida transazione novativa, poiché solo questa può estinguere il precedente rapporto.
8.5. Peraltro, ove si fosse trattato solo di nullità parziale di singole clausole ed il giudice di merito avesse ritenuto non estendersi la nullità all'intero contratto a norma dell'art. 1419, c. 1, c.c., egualmente andava valutato, a seguito, della nullità di dette clausole, la transazione in questione conservasse il ritenuto carattere novativo del rapporto tra le parti, oppure costituisse solo una transazione c.d. "pura".
9.1. Ove, poi, si trattasse di nullità parziale del contratto, non estensibile all'intero contratto, e la transazione fosse ritenuta, nonostante detta nullità, egualmente novativa, con conseguente inammissibilità della risoluzione a norma dell'art. 1976 c.c., egualmente per la parte conservata del contratto, perché non colpita dall'estensione della nullità di singole clausole, andrebbe esaminata la domanda di esatto adempimento del contratto di transazione in parte qua.
Infatti con la domanda di esatto adempimento, proposta in via subordinata, l'attrice aveva richiesto in sede di conclusioni di primo grado "l'esecuzione dei lavori necessari per l'eliminazioni delle opere irregolari per la loro modificazione in conformità agli obblighi ed alle norme legali o regolamentari", mentre con le conclusioni proposte in sede di atto di citazione aveva richiesto solo la condanni dei convenuti all'esecuzione di quanto stabilito nella transazione.
9.2. Se può condividersi l'assunto del giudice di merito, secondo cui questa domanda, come precisata in sede di conclusioni di primo grado, costituiva domanda nuova nella parte in cui inseriva nel petitum l'esecuzione di opere per conformarsi alle norme legali o regolamentari, non è condivisibile allorché ritiene nuova anche quella parte della domanda con cui si richiede la condanna all'esecuzione delle opere per conformarsi agli obblighi contrattuali, previsti in clausole non investite da nullità parziale (e sempre nell'ipotesi in cui la nullità non si estenda all'intero contratto).
9.3. Non può invece accogliersi la censura della ricoprente nella parte in cui lamenta che il giudice di merito non avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità della domanda di adempimento sotto il profilo della novità, dovendo, invece procedere alla sostituzione di dette clausole mille con le prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici.
Infatti l'inserzione automatica di norme imperative in sostituzione di una clausola contrattuale affetta da nullità può dirsi legittima, a norma dell'art. 1419, comma 2, c.c., soltanto se la sostituzione stessa debba avvenire "di diritto", in forza, cioè, di un'espressa disposizione di legge la quale, oltre a comminare la nullità di una determinata clausola, ne imponga anche la sostituzione con una normativa legale, mentre la predetta inserzione non è attuabile qualora il legislatore, nello stabilire la nullità di una clausola o di una pattuizione, non ne abbia espressamente prevista la sostituzione con una specifica norma imperativa (Cass. 28/06/2000/ n. 8794; Cass. 02/09/1995, n. 9266).
9.4. Ciò comporta nella fattispecie, che ove fossero ritenute nulle solo alcune clausole della transazione, perché contrarie a norme imperative in tema di distanze legali previste dagli strumenti urbanistici, e che tuttavia la transazione continuasse ad essere valida nella restante parte (non ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 1421, c. 1 c.c.) non potrebbe richiedersi in questa sede di domanda subordinata di esatto adempimento di obbligazione contrattuale il rispetto delle normativa regolamentare sulle distanze legali, quale obbligo discendente da clausola contrattuale di transazione (stante l'impossibilità di sostituzione ex art. 1419, c. 2., c.c.). 10. L'accoglimento dei suddetti motivi, comporta l'assorbimento dei motivi settimo ed ottavo.
In definitiva, vanno rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso; vanno accolti, per quanto di ragione il terzo, il quarto, il quinto ed il settimo motivo.
L'impugnata sentenza va cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si uniformerà al principio di diritto di cui al sopra enunciato punto 8.2. ed al seguente principio di diritto:
"A norma dell'art. 1421 c.c., il giudice deve rilevare d'ufficio le nullità negoziali, non solo se sia stata proposta azione di esatto adempimento, ma anche se sia stata preposta azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione, procedendo ad un accertamento incidentale relativo ad una pregiudiziale in senso logico-giuridico, idoneo a divenire giudicato".
Esistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.


P.Q.M.


Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso. Accoglie, per quanto di ragione, il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbiti il settimo e l'ottavo.
Cassa, in relazione ai motivi accolti, l'impugnata sentenza e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2005