Cass., sez. I, Sentenza n. 3291 del 7 marzo 2001 sui criteri dell’assegno
di mantenimento in caso di separazione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
N. F. chiedeva al Tribunale di Roma di dichiarare la separazione personale
dal coniuge G. D.,
con addebito al medesimo, e di adottare i conseguenti provvedimenti di
legge.
Costituitosi il convenuto, che in via riconvenzionale chiedeva che la separazione
fosse
addebitata alla moglie, con sentenza del 14 giugno 28 novembre 1996 il
Tribunale
dichiarava la separazione dei coniugi senza addebito, assegnava la casa
coniugale alla
moglie e determinava in L. 2.600.000 1'assegno mensile di mantenimento.
Proposto appello dalla F., che censurava la mancata dichiarazione di addebito
al coniuge e
chiedeva un aumento dell'assegno, ed appello in via incidentale dal D.,
il quale per contro
ne invocava la riduzione, con sentenza dell'8 marzo - 24 giugno 1999 la
Corte di Appello di
Roma, accogliendo per quanto di ragione l'appello principale e rigettando
l'incidentale,
dichiarava la separazione con addebito al marito, confermava l'assegnazione
della casa
coniugale alla F. , determinava in L. 4.500.000 mensili l'assegno di mantenimento
a far
tempo dal luglio 1996, con rivalutazione ISTAT dal luglio 1997. Osservava
in motivazione la
Corte territoriale che la circostanza incontestata che il marito aveva
abbandonato il
domicilio coniugale e la mancata prospettazione di adeguate giustificazioni
al riguardo
imponevano di addebitare al medesimo la separazione. Quanto all'ammontare
dell'assegno, rilevava che dall'istruttoria svolta era emerso che il tenore
di vita dei coniugi
durante la convivenza era stato decisamente alto, che negli anni 1994 -
1996 il reddito
lordo del D. era stato di circa L. 110.000.000 - 140.000.000 annue, che
tale reddito,
costituito in parte dal proventi di visite ambulatoriali, doveva considerarsi
suscettibile di
aumento, in proporzione alla crescente affermazione professionale del predetto,
che
pertanto appariva equo attribuire alla moglie, casalinga senza reddito,
la suindicata somma
mensile di L. 4.500.000.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D. deducendo
tre motivi.
Resiste con controricorso la F. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il difensore
della F. ha anche presentato brevi osservazioni scritte alle conclusioni
del pubblico
ministero.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione
degli artt. 151
comma 2 e 2697 c.c., omissione o insufficienza di motivazione, si deduce
che la Corte di
Appello ha erroneamente ritenuto come incontestato che il D. avesse abbandonato
la casa
coniugale, avendo egli al contrario prospettato F intollerabilità
della convivenza a causa
delle vessazioni cui era sottoposto, ed ha così postulato un'inversione
dell'onere della
prova, richiedendo al convenuto la prova negativa di non aver posto in
essere detto
abbandono.
La censura è inammissibile.
Premesso che, come è noto, secondo i principi generali del nostro
ordinamento l'onere della
prova presuppone, di regola, la contestazione esplicita o almeno implicita
dei fatti costitutivi
della domanda ovvero dell'eccezione con la quale si prospetti l'esistenza
di fatti impeditivi o
estintivi del diritto fatto valere, con la conseguenza che i fatti non
controversi o
implicitamente ammessi in giudizio non hanno bisogno di essere dimostrati,
salvo che la
legge richieda una prova scritta, va rilevato che l'apprezzamento del giudice
di merito circa
la mancata contestazione di un fatto dedotto in giudizio è insindacabile
in cassazione,
involgendo accertamenti preclusi a questa Corte, ancorché sia effetto
di un travisamento
dei fatti, salva l'esperibilità del rimedio della revocazione.
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 156 c.c., 115
e 116 c.p.c., omissione, insufficienza e contraddittorietà di motivazione,
si deduce che la
sentenza impugnata, nel liquidare l'assegno in una misura così elevata,
ha adottato una
motivazione incongrua ed apodittica ed ha erroneamente assunto a riferimento
i redditi
lordi, anziché quelli netti, dell'onerato, così fissando
un importo pari a circa il 60% delle sue
effettive disponibilità. Si deduce altresì che detta sentenza
non ha indicato le ragioni per le
quali un assegno di tale entità sarebbe necessario a conservare
il precedente tenore di
vita, secondo criteri di normalità, e, che non ha affatto tenuto
conto del beneficio accordato
alla moglie con l'assegnazione della casa coniugale e di tutti i mobili
in essa contenuti, né
delle disponibilità economiche acquisite dalla medesima attingendo
ai comuni conti bancari,
né delle sue notevoli capacità lavorative.
Il motivo è infondato.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale condizioni per il
sorgere del diritto al
mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione
sono la non
titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano
al richiedente di
mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio,
e la
sussistenza di una disparità economica tra le parti (v., tra le
tante, Cass. 1998 n. 3490;
1997 n. 7630; 1997 n. 5762; 1996 n. 5916; 1995 n. 4720; 1995 n. 2223; 1990
n. 11523;
1990 n. 6774).
Si è in particolare precisato da questa Suprema Corte che il parametro
di riferimento, al fini
della valutazione di adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l'assegno,
è dato dalle
potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio,
quale elemento
condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle
aspettative del medesimo
richiedente, non avendo rilievo il più modesto livello di vita eventualmente
subito o tollerato
(v. per tutte sul punto Cass. 1998 n. 3490; 1996 n. 10463; 1995 n. 4720;
1995 n. 2223;
1994 n. 7437), e che " le circostanze " da considerare, al fini della determinazione
del
quantum, al sensi del comma 2 dell'art. 156 c.c., sono soltanto quegli
elementi fattuali di
ordine economico, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidenza
sulle condizioni
delle parti (v. sul punto Cass. 1997 n. 7630).
In tale prospettiva si è ulteriormente rilevato che ove prima della
separazione i coniugi
abbiano concordato, o quanto meno accettato, che uno dei due non lavorasse,
l'efficacia di
tale accordo permane anche dopo la separazione, instaurando la separazione
un regime
tendente a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio
compatibili con la
cessazione della convivenza, e quindi anche il tenore ed il "tipo" di vita
di ciascuno dei
coniugi (così Cass. 1994 n. 7437, cit.).
Tali principi appaiono pienamente rispettati dalla sentenza impugnata,
che ha in primo
luogo accertato il tenore di vita goduto dalla coppia durante la convivenza,
rilevandone
l'elevato livello, ed ha quindi analiticamente esaminato e valutato le
condizioni economiche
del marito, evidenziandone altresì le possibilità di incremento
nel tempo in ragione
dell'accresciuta professionalità e notorietà del professionista,
a fronte della assoluta
dipendenza economica della moglie, casalinga senza reddito, ed ha conclusivamente
ritenuto che le entrate complessive del medesimo consentissero l'erogazione
dell'assegno
nella misura suindicata, considerata idonea a conservare alla moglie il
tenore di vita goduto
in precedenza.
In tale impianto argomentativo non si ravvisano carenze o illogicità
motivazionali né errori
di diritto; in particolare la circostanza che la Corte di Appello, nel
quantificare le entrate
annue del D. negli anni 1994 - 1996, abbia indicato i redditi lordi, desunti
dalla
documentazione fiscale acquisita, non implica affatto, tenuto conto del
lasso di tempo
intercorso tra gli anni di percezione di detti redditi e la data della
sentenza e della ritenuta
tendenza all'aumento dei proventi complessivi in ragione della crescente
affermazione
professionale, che nel determinare F ammontare dell'assegno la stessa Corte
non abbia
tenuto presente la consistenza al netto delle entrate percepite dal ricorrente.
E' peraltro evidente che ogni ulteriore doglianza diretta a sollecitare
un diverso
apprezzamento degli elementi esaminati e valutati dal giudice di merito
o a proporre la
considerazione di altri elementi non considerati - quali F assegnazione
alla moglie della
casa coniugale e l'asserita utilizzazione da parte della medesima di somme
attinte dai
comuni conti bancari - non può avere ingresso in questa sede di
legittimità.
Sulla base delle considerazioni che precedono va rigettato anche il terzo
motivo, diretto a
denunciare, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli
artt. 156 c.c., 115 e
116 c.p.c. e della omissione, insufficienza e contraddittorietà
di motivazione, l'errore della
Corte di Appello per aver rigettato l'impugnazione incidentale volta ad
ottenere la riduzione
dell'assegno.
Il ricorso deve essere in conclusione rigettato.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di
questo giudizio di
cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte di Cassazione
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
liquidate in
L. 43.200, oltre L. 7.000.000 per onorario.
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