Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 2444 del 20 febbraio 2001,
sul diritto al rimborso delle spese in caso di intervento cardiochirurgico
urgente in strutture private
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 23 gennaio 1997, C. S. esponeva che in data
25 ottobre 1995, a seguito di infarto miocardico acuto inferiore, era stato
ricoverato presso la Casa di Cura(omissis), e che in data 9 novembre 1995,
dimessosi da detta clinica, era stato inviato al Centro Cardiologico (omissis)
per essere sottoposto ad intervento cardiochirurgico, ove era rimasto ricoverato
sino al 16 novembre 1995 e quindi dimesso, in quanto tale Centro non era
in grado in tempi brevi di effettuare l'intervento previsto.
Aggiungeva che, per tale ragione, aveva cercato altra clinica
convenzionata con la U.S.S.L. che potesse operarlo con la necessaria urgenza,
senza esito positivo, sicché era stato costretto a rivolgersi
alla Casa di Cura (omissis), ove era stato ricoverato e sottoposto al previstointervento
chirurgico in data 28 novembre 1995, con successivo ricovero in data 6
dicembre 1995 per l'occorrente recupero postoperatorio. Soggiungeva che
invano aveva richiesto alla USSL n. 11 di (omissis) la restituzione delle
somme versate alla Casa di Cura (omissis) e alla Clinica (omissis) e quantificate
in lire 73.735.984. Tanto premesso, chiedeva al Pretore di Bergamo, in
funzione di giudice del lavoro, che la USSL n. 11 fosse condannata
a rifondergli la somma di lire 60.588.787, pari all'80% delle somme versate,
ex art. 4 della legge regionale n. 36/93, o la maggior o minor somma ritenuta
dal Pretore, oltre interessi e rivalutazione.
Si costituiva l'Azienda USSL 11, in persona del Direttore Generale,
ed eccepiva in via
preliminare il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. e l'incompetenza del
Pretore in funzione di
giudice del lavoro.
Nel merito, contestava quanto dedotto dalla controparte, chiedendo
il rigetto della domanda.
Istruita la causa documentalmente e mediante l'espletamento di consulenza
tecnica d'ufficio
medico–legale, con sentenza del 9 aprile 1998, il Pretore condannava la
resistente al
pagamento, in favore di C. S., della somma di lire 50.000.000, a titolo
di rimborso delle spese
sostenute presso la Casa di Cura (omissis), oltre agli interessi dal 121°
giorno dalla domanda
amministrativa al saldo.
Avverso tale decisione proponeva appello il Direttore Generale
della Azienda Ospedaliera
(omissis), con sede in (omissis), in qualità di Commissario Liquidatore
in nome e per conto
della ex Azienda USSL n. 11, censurandola. Con sentenza dell'11 febbraio
– 15 marzo 1999, l'adito Tribunale di Bergamo confermava la sentenza di
primo grado, osservando che l'assenza di autorizzazione preventiva da parte
lla USSL all'intervento presso un luogo di cura non pubblico, ove esso
sia necessitato da ragioni di urgenza, comportanti pericolo di vita, o
di aggravamento della malattia, o di non adeguata guarigione – come nel
caso di specie, secondo quanto accertato dal CTU – non escludeva
di per sé la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento ex
post del concorso
dell'USSL alle spese sostenute dal soggetto interessato, in considerazione
della preminente
tutela del diritto alla salute ex art. 32 Cost.
Per la cassazione di tale decisione, il Direttore Generale dell'Azienda
Ospedaliera (omissis), ha
proposto un primo ricorso – siglato dall'avv.to (omissis) – notificato
il 19 maggio 1999, e quindi
un secondo ricorso, identico al primo, notificato il 18 giugno
1999, ma sottoscritto, oltre che
siglato, dallo stesso avv. (omissis), con cui sono stati formulati due
motivi, ulteriormente
illustrati da memori.
Resiste C. S. con un duplice controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, identici nel
contenuto, proposti dal
Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera (omissis), trattandosi di impugnazioni
avverso la
medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). Il primo ricorso, tuttavia, recando
in calce solo una sigla
indecifrabile, va dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 365 c.p.c.,
non risultando sottoscritto
dall'avvocato munito di procura.
Con i due proposti mezzi d'impugnazione, da trattarsi congiuntamente
perché strettamente
connessi, l'Ente ricorrente denuncia violazione dell'art. 3 della legge
23 ottobre 1985 n. 595,
dell'art. 2 della legge regionale Lombardia 5 novembre 1993 n. 36 e dell'art.
12, primo comma,
delle preleggi, nonché difetto di motivazione circa un punto decisivo
della controversia (art.
360, nn. 3 e 5 c.p.c.)..In particolare, il ricorrente fa riferimento all'art.
3 della legge statale n. 595/1985, il quale, regolando la materia delle
prestazioni sanitarie erogabili in forma indiretta, stabilisce che dette
prestazioni possono essere erogate “nel caso in cui le strutture pubbliche
o
convenzionate siano nella impossibilità di erogarle tempestivamente
in forma diretta” e quindi
demanda alle leggi regionali la definizione delle “modalità per
accedere alle prestazioni e per
ottenere il concorso nella spesa sostenuta”. A tal fine, è stata
emanata la legge regionale 5 novembre 1993 n. 36 che, all'art. 2, dopo
aver precisato che la forma di assistenza indiretta può verificarsi
solo nel caso in cui le strutture pubbliche o private convenzionate siano
nella impossibilità di erogare l'assistenza in forma diretta o di
erogarla tempestivamente, ha chiarito, al secondo comma, il significato
di “tempestività” della erogazione sanitaria precisando che ciò
si verifica quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo
stato di salute dell'assistito, ovvero precluderebbe la possibilità
dell'intervento o delle cure. Poiché questa situazione corrisponde
alla fattispecie in esame, l'Ente ricorrente denuncia, più specificamente,
una violazione di legge in relazione al terzo comma dello stesso art. 2,
il quale precisa che l'assistenza in forma indiretta deve essere
preventivamente autorizzata dalle competenti USSL.Nel caso in esame, infatti,
C. S. non avrebbe seguito la procedura prevista dalla legge per avere il
rimborso delle spese, non avendo richiesta alcuna autorizzazione preventiva
alla USSL, essendosi limitato ad inviare la nota delle spese sostenute,
una volta dimessosi dopo l'intervento. La questione che si pone è
dunque se la preventiva autorizzazione della USSL abbia carattere inderogabile
– come sostiene il ricorrente - o invece non trovi applicazione allorché
il cittadino si trovi in una situazione di grave crisi di salute, con imminente
pericolo anche per la sua vita, come invece ritenuto dal Giudice
“a quo”.
Tale seconda alternativa appare – a giudizio del Collegio – meritevole
di accoglimento.
Essa si fonda sulla considerazione che il diritto dei cittadini all'assistenza
sanitaria trova il suo
fondamento nell'art. 32, primo comma, della Costituzione che, ribadendo
un principio già
esistente nell'ordinamento giuridico, ha esplicitamente enunciato che il
diritto primario alla
tutela della salute, quale “fondamentale diritto dell'individuo”, rientra
fra quelli inviolabili della
persona ed è oggetto, pertanto, di incondizionata protezione.Sulla
base di tale presupposto, la giurisprudenza di questo Supremo Collegio
ha ripetutamente affermato (ex plurimis, Cass. S.U. 10 marzo 1999 n. 117)
che nell'ipotesi in cui a fondamento della domanda di un assistito dal
servizio sanitario nazionale, rivolta ad ottenere il rimborso di spese
ospedaliere non preventivamente autorizzate dalla Regione, vengano dedotte
ragioni di urgenza (che comportano per l'assistito pericoli di vita o di
aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione evitabili soltanto
con cure tempestive nonottenibili dalla struttura pubblica), manca ogni
potere autorizzatorio discrezionale della pubblica amministrazione, non
essendo rilevante in contrario la eventuale discrezionalità tecnica
nell'apprezzamento del motivo di urgenza, atteso che oggetto della domanda
è il diritto primario e fondamentalmente alla salute, il cui
necessario temperamento con altri
interessi, pure costituzionalmente protetti (quali la esistenza delle risorse
del servizio
sanitario nazionale con le conseguenti legittime limitazioni con leggi,
regolamenti ed atti
amministrativi generali), non vale a privarlo della consistenza di diritto
soggettivo perfetto,
tutelabile innanzi al giudice ordinario.
Nella specie, il Tribunale di Bergamo, condividendo la valutazione
del Pretore, fondata sulla
espletata consulenza tecnica, ha accertato che l'intervento doveva essere
praticato
sollecitamente, pena la compromissione in maniera definitiva del risultato
dell'intervento
medesimo, pervenendo quindi all'accertamento che nel caso in esame si verteva
in “un vero
stato di necessità di intervento”.Pertanto, adeguandosi alle considerazioni
sopra esposte ed applicando quindi i principi in esse enunciati, ha correttamente
sostenuto che C. S., pur in mancanza di preventiva autorizzazione, ben
poteva richiedere il rimborso delle spese sostenute per l'intervento
chirurgico effettuato presso un centro specializzato esterno alla struttura
pubblica o
convenzionata.Il ricorso va, quindi rigettato.
Le spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono
la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso
n. 10839/99 e rigetta quello cntrassegnato dal n. 12157/99. Condanna il
ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in lire 64.000,
oltre lire 3.500.000 per onorari.
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