SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 13 giugno 1996 Maura da Zara e Carla da Zara
citavano Rodolfo Martini davanti al Tribunale di Roma, chiedendo la
condanna dello stesso al rilascio del terreno di loro proprietà
abusivamente occupato dal convenuto, con condanna dello stesso a
demolire le opere realizzate su tale terreno, nonché
all’eliminazione di una porta-finestra e di una finestra realizzate
nella facciata del suo fabbricato a confine con la proprietà di
esse attrici, in quanto a distanza non legale.
Il convenuto, costituitosi, deduceva di essere diventato proprietario
per usucapione della zona di terreno rivendicata dalle attrici.
Con sentenza in data 10 luglio 1999 il Tribunale di Roma accoglieva le
domande.
Rodolfo Martini proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di
appello di Roma con sentenza in data 9 maggio 2001, in base alla
seguente motivazione:
Secondo i principi generali era l'appellante che doveva provare
l'eccepita usucapione del terreno di cui è causa, in
assolvimento del proprio onere probatorio (art. 2697 c.c.); onde
è del tutto irrilevante che la sua pretesa, priva del
benché minimo elemento di prova, non risulti esclusa dalle
dichiarazioni rese dai testi in 1° grado.
Contro tale decisione Rodolfo Martini ha proposto ricorso per
cassazione, con un unico complesso motivo.
Resistono con controricorso Maura da Zara e Carla da Zara.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce che, avendo le attrici agito in revindica, sulle
stesse incombeva, ai sensi dell'art. 948 cod. civ., l'onere di provare
l'acquisto in base ad un titolo originario della proprietà del
terreno rivendicato.
La doglianza è infondata.
Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che, secondo
l'orientamento prevalente nella giurisprudenza di questa S.C., l'onere
probatorio gravante sull'attore in revindica non é, di regola,
attenuato dalla proposizione da parte del convenuto di una domanda
riconvenzionale (o di un’eccezione) di usucapione, a meno che il
convenuto non invochi un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia
successivo a quello del titolo di acquisto del rivendicante
perché in tal caso, attenendo il thema disputandum
all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell'invocata
usucapione e non già dell'acquisto da parte dell'attore, l'onere
probatorio del rivendicante può legittimamente ritenersi
assolto, nel fallimento dell’avversa prova della prescrizione
acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in
base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare
(cfr. sent. 10 settembre 2002 n. 13186; in senso sostanzialmente
conforme cfr. sent.: 8 febbraio 2001 n. 12327; 28 giugno 2000 n. 8806;
4 febbraio 2000 n. 1250; 5 gennaio 2000 n. 43; 29 agosto 1997 n. 8246;
26 giugno 1997 n. 5711).
Non può condividersi l'orientamento più rigoroso, secondo
il quale la mancata prova da parte del convenuto dell’invocata
usucapione non attenua l'onere probatorio gravante sull'attore in
revindica, in quanto l'invocare un proprio diritto sulla cosa
rivendicata non implica comunque alcuna rinunzia al principio possideo
quia possideo (cfr. sent.: 12 aprile 2001 n. 5472; 23 maggio 1996 n.
4748).
Quando, infatti, il convenuto in revindica, per paralizzare la domanda
dell'attore, invoca l'avvenuta usucapione in suo favore, non si limita
ad opporre la tutela che la legge garantisce al possessore anche se non
espressione di un diritto di proprietà, ma deduce di possedere
in quanto proprietario; nel caso in cui, poi, l'usucapione sia oggetto
di una domanda riconvenzionale, chiede addirittura l'accertamento di
tale diritto di proprietà con efficacia di giudicato.
Poiché, peraltro, l'usucapione non può che maturare che
nei confronti di chi è proprietario al momento dell'inizio del
possesso utile, il convenuto in revindica che la invochi riconosce che
l'attore è stato proprietario, per cui, da un lato, questi
è esentato dall'onere probatorio da cui diversamente sarebbe
gravato e, dall'altro, il convenuto non può che soccombere nei
confronti dell'attore se non fornisce la prova dell’avvenuta
usucapione.
Il ricorrente si duole, poi, dell’omessa motivazione da parte della
Corte d’appello di Roma in ordine alla richiesta di revoca dell'ordine
del Tribunale di chiusura della porta finestra e della finestra.
La doglianza è infondata, in quanto, a prescindere dal fatto che
dalla sentenza impugnata non risulta che tale doglianza sia stata
proposta con l'atto di appello, il rigetto della stessa non aveva
bisogno di motivazione specifica essendo la logica conseguenza
dell'accoglimento della conferma della domanda di revindica, venendo
tali aperture a trovarsi a distanza non legale.
Il ricorrente, infine, si duole dalla mancata ammissione delle prove
testimoniali di cui all'atto di appello.
Anche tale doglianza è stata infondata.
La richiesta di ammissione di prove testimoniali è stata
rigettata dalla Corte d’appello in quanto verteva, per quanto riguarda
un capitolo, come già rilevato dai giudici di primo grado, che
per la sua estrema genericità avrebbe chiamato i testi ad
esprimere delle mere valutazioni e per quanto riguarda l'altro capitolo
su circostanze del tutto ininfluenti ai fini della decisione. Per
contrastare l’esattezza di tale motivazione il ricorrente (che non solo
non ha trascritto i capitoli di cui si discute, ma non ne ha indicato
neppure l'oggetto) nessuna specifica censura ha svolto.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
In considerazione delle particolarità della controversia,
ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di
cassazione.
Roma, 3 novembre 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 29 NOVEMBRE 2004
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