Cass. Civ., sez. III, 27 ottobre 2004, n. 20782, sui
requisiti di essenzialità del dolo per l'annullabilità
del contratto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione innanzi al tribunale di Parma del 4 novembre 1987 Luigi
Soliani, che con scrittura privata del 22 maggio 1986 aveva ceduto
l'azienda di sua proprietà "Geomar Viaggi e Turismo" alla
società Airon s.r.l., di cui era legale rappresentante
Giampietro Donzelli e direttore commerciale Mauro Usuardi, conveniva in
giudizio la società, il legale rappresentante ed il suo
direttore commerciale per ottenere la rescissione o, in subordine,
l'annullamento del contratto di cessione, con la condanna dei convenuti
alla restituzione dell'azienda, unitamente agli accessori ed agli utili
intanto realizzati, ed al risarcimento dei danni da liquidare in
separato giudizio o equitativamente.
Esponeva che, a seguito della proposta di acquisto da parte della
società Airon s.r.l. ed in vista anche della diversa
possibilità di costituire una società per rilevare
l'azienda, la medesima società Airon s.r.l. aveva assunto la
gestione temporanea dell'impresa, quale mandataria senza rappresentanza
di esso proprietario, allo scopo di verificarne l'andamento contabile
ed amministrativo e stabilirne il valore di avviamento, indispensabile
per definire il valore dell'azienda; che per finanziare la gestione
provvisoria era stato attivato un conto corrente presso la Cassa di
Risparmio di Parma, intestato alla Geomar di Soliani Luigi con delega a
favore del solo Mauro Usuardi, il quale successivamente, su richiesta
di Giampietro Donzelli, era stato autorizzato ad operare anche su altro
conto corrente presso la Banca Emiliana; che, a seguito di altre
operazioni contabili e bancarie in suo danno, egli era stato travolto
dalla drammatica congiuntura artatamente creata dalla società
Airon s.r.l. nel periodo della gestione provvisoria ed era stato
costretto a concludere il contratto di cessione al prezzo di lire
1.000.000, sotto la chiara minaccia di immediato fallimento; che
successivi controlli avevano consentito di accertare che nel periodo
dal maggio al novembre del 1986 la "Geomar Viaggi e Turismo" aveva
invece prodotto utili per circa 200.000.000 di lire e che detta somma
era stata distratta dalla società Airon s.r.l. a suo favore.
I convenuti si costituivano e contrastavano le domande, deducendo che
era stato l'attore ad offrire in vendita l'azienda, proponendo che la
somma di lire 92.000.000, che in precedenza Giampietro Donzelli gli
aveva concesso a mutuo, fosse considerata un acconto del prezzo e che
il corrispettivo della cessione fosse costituito dall'apporto
necessario a ripianare il passivo dell'azienda; che la verifica della
situazione economica aveva evidenziato un passivo della "Geomar Viaggi
e Turismo" di lire 1.189.429.146, importo maggiore di quello indicato
dal proprietario; che, ciononostante, l'acquisto dell'azienda era stato
perfezionato con la suddetta scrittura privata al prezzo di lire
1.000.000 e con l'assunzione a carico della società acquirente
dell'obbligazione di ripianare il passivo, qualunque ne fosse stata la
consistenza; che alla cessione era seguito un ulteriore periodo di
gestione controllata, al, termine del quale era stato sottoscritto ed
approvato in data 7 novembre 1986 atto col quale si definiva la
situazione patrimoniale dell'azienda aggiornata al 22 maggio 1985 con
un passivo di lire 1.295.707.312; che detta somma era quella sborsata
per l'acquisto dalla società Airon s.r.l., grazie anche
all'apporto di denaro versato.
in via riconvenzionale, per l'ipotesi di accoglimento delle domande
principali, i convenuti chiedevano che l'esecuzione della sentenza a
favore dell'attore fosse condizionata alla restituzione di tutte le
somme, che erano state versate in forza del contratto, oltre
rivalutazione ed interessi.
L'adito tribunale rigettava le domande principali e condannava l'attore
alle spese del grado. Sull'impugnazione principale di Luigi Soliani e
su quella incidentale della società Airon s.r.l., di Giampietro
Donzelli e di Mauro Usuardi decideva la Corte d'appello di Bologna con
sentenza pubblicata il giorno 8 maggio 2001, la quale, in parziale
riforma della decisione del tribunale, annullava il contratto di
cessione dell'azienda stipulato il 7 novembre 1986 da Luigi Soliani e
dalla società Airon s.r.l.; condannava la società e
Giampietro Donzelli a restituire al Soliani il complesso aziendale
"Geomar Viaggi e Turismo", i profitti e gli incrementi realizzati
eventualmente dopo il 7 novembre 1986 con gli interessi, ed a
risarcirgli i danni, da liquidare in separato giudizio: rigettava le
domande proposte nei confronti di Mauro Usuardi e gli altri motivi
dell'appello incidentale e di quello incidentale: condannava Giampietro
Donzelli e la società Airon s.r.l. alle spese di entrambi i
gradi del giudizio a favore di Luigi Soliani e costui alle spese
dell'intero giudizio a favore di Mauro Usuardi.
Ai fini che ancora interessano, i giudici di appello, sulla scorta
delle risultanze della rinnovata nuova consulenza tecnica d'ufficio
(diretta a stabilire il valore di mercato della "Geomar Viaggi e
Turismo" nel maggio e nel novembre 1986 e per accertare quali somme
erano state incassate dalla società Airon s.r.l. in detto
periodo) e valutato ai sensi dell'art. 116 c.p.c. il comportamento di
quest'ultima (che non aveva ottemperato all'ordine di esibizione di
documentazione ex art. 210 c.p.c.), ritenevano che in danno del Soliani
erano stati posti in atto artifici e raggiri diretti ad indurlo in
errore sulla reale rappresentazione economica dell'azienda e che tale
falsa rappresentazione aveva determinato la cessione dell'azienda, che
valeva alcune centinaia di milioni, praticamente a titolo gratuito.
Rilevavano, in ordine alla domanda riconvenzionale, che non vi era
alcuna prova circa il versamento delle ingenti somme delle quali la
società, una volta che il contratto di cessione era stato
annullato per il dolo perpetrato in danno del Soliani, reclamava la
restituzione a titolo di indebito.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso la
società Airon s.r.l. e Giampietro Donzelli, i quali hanno
affidato l'impugnazione a tre mezzi di doglianza.
Luigi Soliani ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, contrariamente a quanto ha richiesto il P.M.
all’udienza odierna, osserva questa Corte che non occorre in questo
giudizio ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti di
Mauro Usuardi, che era stato parte del giudizio d'appello,
poiché non si riscontra al riguardo la situazione di
inscindibilità di cause, ex art. 331 cod. proc. civ..
Trattandosi, invece, di cause scindibili, siccome riferite ad
obbligazione solidale, la norma dell'art. 332 cod. proc. civ. (la quale
dispone che l’impugnazione proposta soltanto da alcuna delle parti o
nei confronti di alcune di esse deve essere notificata anche alle altre
parti, nei cui confronti l'impugnazione stessa non è esclusa o
preclusa) ha la finalità di evitare che avverso la medesima
sentenza si svolgano separati giudizi d'impugnazione, per cui la
notificazione, che non contiene una vocatio in ius, ma ha il valore di
semplice litis denuntiatio, serve a consentire che le parti, alle quali
essa é stata indirizzata, propongano, a pena di decadenza (art.
333 cod. proc. civ.), le loro impugnazioni in via incidentale nello
stesso processo.
In relazione, peraltro, proprio alla suddetta ultima finalità,
questa Corte, secondo un risalente pacifico indirizzo (Cass., n.
1920/88; Cass., n. 6404/98; Cass., n. 6802/99), ha stabilito che ove il
giudice abbia omesso di disporre la notificazione dell'impugnazione, la
violazione della norma di cui all'art. 332 c.p.c. é improduttiva
di effetti se siano già trascorsi i termini per l'impugnazione
al momento in cui il giudice dell'impugnazione è chiamato a
decidere, situazione questa che risulta realizzata nel caso di specie,
perché, rispetto alla sentenza di secondo grado depositata il
giorno 8 maggio 2001, risulta allo stato ampiamente decorso il termine
per impugnarla da e nei confronti di Mauro Usuardi.
Con il primo motivo d’impugnazione - deducendo la violazione e la falsa
applicazione della norma di cui all'art. 116, secondo comma, cod. proc.
civ. e l'errata interpretazione delle norme di cui agli artt. 200 e 210
cod. proc. civ e 2220 cod. civ., nonché l'omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia -
i ricorrenti denunciano che il giudice del merito non avrebbe potuto
trarre alcun argomento di prova dal fatto che essi non avevano dato
seguito all'ordine di esibizione della documentazione in loro possesso.
In applicazione particolare del dovere che hanno le parti di
comportarsi nel processo secondo lealtà e probità (art.
88 cod. proc. civ.) questa Corte ha già ritenuto (Cass., n.
11225/2000; Cass., n. 2086/97; Cass., n. 9797/99; Cass., n. 9839/94)
che, nel caso in cui, nel corso di un giudizio civile, venga formulata
istanza di esibizione documentale ex art. 210 cod. proc. civ., la
parte, nei cui confronti tale istanza è rivolta, é tenuta
a conservare la documentazione oggetto di richiesta fino a che il
giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla
istanza stessa, a nulla rilevando che, trattandosi di documentazione
contabile, sopravvenga, medio tempore, la scadenza del termine
decennale di durata dell'obbligo di conservazione delle scritture
contabili fissato dall'art. 2220 cod. civ.; nessun obbligo di
conservazione oltre il decennio grava, invece, sulla parte
finché la suddetta istanza non sia presentata, con la
conseguenza che dalla distruzione della documentazione contabile il
giudice può trarre argomenti di prova, a norma dell'art. 116
cod. proc. civ., solo se tale distruzione sia avvenuta successivamente
alla presentazione della relativa istanza e durante il tempo di attesa
della decisione su di essa.
Occorre aggiungere, tuttavia, che, poiché il decorso del termine
decennale di cui all'art. 2220 cod. civ. non comporta alcuna
presunzione giuridica o di fatto che la documentazione contabile
registrata da almeno dieci anni prima sia stata distrutta o smarrita,
la parte, che non conservi più detta documentazione, della quale
è stata ordinata l'esibizione ai sensi dell'art. 210 cod. proc.
civ., ciò è tenuta espressamente ad indicare, sia per
potere impedire a suo carico gli effetti probatori di cui all'art. 116,
secondo comma, stesso codice e sia per consentire, eventualmente, alla
controparte di dimostrare che la distruzione è avvenuta dopo la
formulazione dell'istanza di esibizione.
Nel caso in esame i ricorrenti, dopo che era stata avanzata l'istanza
di esibizione al giudice del merito, non hanno eccepito che all'ordine
del giudice non poteva essere data esecuzione per la ragione
dell'avvenuta distruzione della documentazione a seguito dell'avvenuto
decorso del termine di cui all'art. 220 cod. civ..
Con il secondo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione e la
falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 115 cod. proc. civ.,
1439 e 1441 cod. civ. nonché l'omessa ed insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia - i ricorrenti
denunciano che il giudice del merito: a) si sarebbe basato su mere
supposizioni, sfornite di qualsiasi efficienza di prova al fine di
ritenere che in danno del Soliani erano stati posti in essere artifici
e raggiri tali da ingenerare nello stesso una falsa rappresentazione
circa la situazione patrimoniale dell'azienda; b) non avrebbe valutato
che, comunque, i pretesi artifici e raggiri non erano stati tali da
sorprendere una persona di media diligenza, dato che il Soliani avrebbe
potuto esercitare gli opportuni controlli contabili ed amministrativi
sulla gestione dell'azienda per conoscerne la reale situazione,
all'accertamento della quale aveva, peraltro, indubbio interesse
perché in base ad essa sarebbe stato determinato il prezzo di
cessione; c) neppure avrebbe valutato che non si sarebbe dovuto parlare
di raggiri rispetto ad un prezzo di vendita di lire 1.295.707.312, di
gran lunga superiore al valor delle due agenzie; d) non avrebbe
considerato che i pretesi raggiri, siccome posti in essere
successivamente alla conclusione del contratto, non avevano determinato
il consenso dei Soliani ed avrebbero potuto, al più, avere
rilievo, ai sensi dell'art. 1440 cod. civ., ai fini dell'annullamento
del contratto, dato che, nella corretta interpretazione della norma
dell'art. 1362 cod. civ., si sarebbe dovuto ritenere che con la
scrittura privata del 22 maggio 1985 le parti avevano inteso dare
immediata esecuzione alla cessione dell'azienda ed avevano voluto
rinviare alla successiva stipulazione del 7 novembre 1986
l’integrazione del contratto.
La censura non può essere accolta per nessuno dei profili in
cui, nel suo complesso, essa risulta articolata.
Secondo il principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte (ex plurimis: Cass., sez. un., 11.3.1996, n. 1955), a norma
dell'art. 1439 cod. civ. il dolo è causa di annullamento del
contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi,
l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la
conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà
del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione
alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un
errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 cod. civ.. Ne
consegue che a produrre l'annullamento del contratto non é
sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente,
ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che
abbiano avuto, comunque, un'efficienza causale sulla determinazione
volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima.
Del suddetto principio di diritto il giudice del merito ha fatto
puntuale applicazione nel caso di specie, avendo ritenuto (pag. 25
della impugnata sentenza) che gli artifici ed i raggiri attuati in suo
danno avevano indotto il Soliani a cedere il suo complesso aziendale e
che senza di essi lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso alla
cessione (pag. 31).
Resta, pertanto, esclusa anche la censura di cui sub d), relativa alla
pretesa sussistenza del dolo incidente ex art. 1440 cod. civ.,
giacché vi è stato l'espresso accertamento in fatto del
giudice del merito che la condotta insidiosa, attuata in pregiudizio
del Soliani, piuttosto che incidere soltanto su una modalità del
negozio, che il deceptus avrebbe comunque concluso, seppure a
condizioni diverse, aveva, invece, determinato la stessa conclusione
del contratto, cui la parte non si sarebbe indotta, se non fosse stata
tratta in errore.
Neppure può essere accolta la censura di cui sub a) -
consistente nel rilievo che il giudice del merito si sarebbe basato su
mere supposizioni, da cui non poteva derivare la prova degli artifici e
dei raggiri idonei ad ingenerare la falsa rappresentazione della
situazione patrimoniale dell'azienda - poiché il relativo
accertamento é stato svolto secondo un ineccepibile iter
argomentativo, sottratto al sindacato del giudice di legittimità
in quanto fondato sulla complessiva valutazione di concorrenti e
circostanziati elementi (promessa di assunzione del Soliani; assunzione
da parte della società Airon s.r.l. della gestione
amministrativa e contabile dell'azienda al dichiarato fine di
accertarne l'effettiva consistenza patrimoniale; la garanzia di
acquisto dell'azienda al termine della gestione provvisoria al prezzo
corrispondente al suo valore; distrazione a favore della società
Airon s.r.l. o di società ad essa collegate di fondi della
Geomar, privata, in tal modo, di ogni liquidità; inadempimento
delle obbligazioni della stessa Geomar preordinato al fine di esporre
l'azienda alle azioni dei creditori; elaborazione di un falso bilancio
con indicazione di rilevante passivo).
Rileva, inoltre, questa Corte che non può trovare ingresso in
sede di legittimità la critica della ricostruzione della
volontà negoziale, operata dal giudice di merito quanto alla
valenza della scrittura privata del 22 maggio 1986 e di quella
successiva del 7 novembre 1996, dato che la censura si traduce
esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli
elementi di fatto già esaminati (ex plurimis: Cass., n.
4085/2001), di cui richiede in questa sede un inammissibile riesame.
Allo stesso modo occorre rilevare che non é fondato il profilo
della censura di cui sub c), per il quale il giudice del merito avrebbe
dovuto escludere la sussistenza del raggiro rispetto ad un negozio di
cessione nel quale il prezzo era di gran lunga superiore al valor delle
due agenzie, trattandosi anche in questo caso di mera quaestio facti e
dovendosi aggiungere che, nella specie, sussiste idonea motivazione sul
fatto che le passività fatte risultare in bilancio non erano
quelle reali.
Infine, non può essere accolto neppure il profilo della censura
di cui sub b), relativo al fatto che gli artifici ed i raggiri non
sarebbero stati tali da sorprendere una persona di media diligenza per
la possibilità che il Soliani aveva, esercitando gli opportuni
controlli contabili ed amministrativi sulla gestione dell'azienda, di
conoscerne la reale situazione patrimoniale.
Costituisce principio pacifico (ex plurimis: Cass., n. 257/91; Cass.,
n. 10718/93) che, in tema di dolo quale causa di annullamento del
contratto, sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo
omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono
essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e
alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte onde
stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale
diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela
giuridica se fondato sulla negligenza.
Nella specie la sentenza impugnata (pag. 27 e 29) contiene adeguata ed
espressa motivazione, la quale esclude che l'inganno potesse essere
neutralizzato dal Soliani con l'uso della normale diligenza sul rilievo
che il carattere particolarmente subdolo dei raggiri posti in essere
rendeva inutile la media diligenza e l'errore poteva essere evitato
solo con l'ausilio di competenze e tecniche straordinarie.
Con il terzo motivo dell'impugnazione - deducendo la violazione e la
falsa applicazione della norma di cui all'art. 2433 cod. civ.
nonché l'omessa ed insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia - i ricorrenti lamentano che la Corte
bolognese aveva rigettato la domanda riconvenzionale diretta ad
ottenere le somme da essi versate in esecuzione del contratto.
Assumono che l'annullamento del contratto di cessione dell'azienda
aveva comportato la caducazione del titolo in base al quale essi
ricorrenti avevano versato somme di danaro in favore dell'azienda e, di
conseguenza, il loro diritto alla restituzione.
Specificano che il versamento di somme nelle casse della Geomar
costituirebbe dato pacifico rilevabile dalle consulenze tecniche
d'ufficio e che la motivazione del giudice del merito sarebbe sul punto
contraddittoria, laddove per un verso indica che nessuna prova era
stata data di versamenti a favore della Geomar e, per altro verso,
ritiene che dopo il 31 agosto 1986 la società Airon s.r.l. abbia
operato rimesse sui conti Geomar.
Il motivo non é fondato.
Il giudice del merito ha accertato che non era stata data alcuna prova
che l'Airon s.r.l. avesse versato denaro fresco per ripianare il
deficit della Geomar e che era risultato, piuttosto, che la
società aveva distratto fondi della Geomar per oltre un miliardo
di lire (pag. 22 della sentenza); che la distrazione dei fondi
risultava dai numerosi assegni dati in pagamento alla Geomar e girati
alla società Airon s.r.l. o a società a questa collegate
(pag. 23); che la società Airon s.r.l. si era impossessata
dell'intero ammontare dei ricavi della Geomar nel periodo sino al 31
agosto 1986, privando così la stessa Geomar di ogni
liquidità; che, pur in assenza di una specifica prova
documentale, poteva ritenersi che la società Airon s.r.l. avesse
effettuato rimesse sui conti Geomar dopo il 31 agosto 1986 (pag. 24);
che doveva essere del tutto escluso che l'azienda del Soliani fosse
stata finanziata dalla società Airon s.r.l. (pag. 32); che le
rimesse effettuate dalla stessa società Airon s.r.l.
costituivano la parziale restituzione delle somme che la stesa
società aveva distratto a suo favore (pag. 33).
La suddetta ultima circostanza, che peraltro non risulta impugnata, da
sola é idonea a sorreggere la complessiva conclusione del
giudice del merito circa l'insussistenza di ogni preteso indebito.
Il ricorso, pertanto, é rigettato con la condanna dei
ricorrenti, in solido, a pagare le spese del giudizio di cassazione
nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare
le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro
5.100 (cinquemilacento), di cui euro 5.000 (cinquemila) per onorari.
Roma, 22 settembre 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 27 OTTOBRE 2004
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