Cass. Civ., ses III, 17 dicembre 2003, n.
18945, sul danno futuro collegato alla invalidità
permanente e sulla capacità lavorativa generica quale componente
del danno biologico
Con sentenza del
4.1.2000 il. Tribunale di Sondrio accoglieva la domanda proposta da M.
R. contro C. R., G., G., R. e L. G., nonchè il (omissis) i primi quali eredi di C. A.,
condannandoli a risarcire il danno biologico subito dall'attrice a
seguito di sinistro stradale verificatosi il 25.7.1993, con esclusione
del danno patrimoniale da inabilità temporanea o da
invalidità permanente.
Proponeva appello
l'attrice.
Resisteva
l'assicuratore convenuto.
La Corte di appello
di Milano, con sentenza depositata l'8.5.2001, liquidava il danno
subito dall'attrice in complessive L. 265.206.000, condannando i
convenuti in solido anche al risarcimento del danno patrimoniale da
inabilità temporanea, mentre rigettava la domanda di
risarcimento del danno patrimoniale da invalidità permanente,
poiché pur avendo il c.t.u. accertato un danno biologico nella
misura del 25% ed un'invalidità del 15% al patrimonio
attitudinale proprio della M, nella fattispecie non si poteva ritenere
sussistente una riduzione della capacità lavorativa specifica
dell'attrice, in quanto mancava una specificità di professione
in atto, svolgendo l'attrice solo lavori saltuari, per cui la riduzione
della capacità lavorativa era esclusivamente quella generica,
rientrante nel danno biologico. Per la stessa ragione veniva rigettata
anche la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances
lavorative.
Avverso questa
sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'attrice,che ha anche
presentato memoria.
La (omissis) è comparsa in camera di
consiglio.
MOTIVI DELLA
DECISIONE
1.
Con
il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043, 2055, 2056, 2727 e 2729 c.c., in
relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. e l'omessa, insufficiente e
contraddittorio motivazione su un punto decisivo della controversia.
Lamenta la ricorrente che erratamente la corte di merito, pur avendo il
c.t.u. accertato una riduzione del 15% della capacità lavorativa
attitudinale di essa ricorrente, a fronte del danno biologico, valutato
nel 25%, ha escluso il risarcimento del danno da invalidità
permanente, mancando una professione in atto, mentre la mancanza di
attualità dell'occupazione, non è presupposto per il
riconoscimento di danno da invalidità permanente; che nella
fattispecie si sarebbe dovuto tener conto o dell'attività di
fattorino espletata o del criterio di cui all'art. 4, c. 3, l. n.
39/1977. Secondo la ricorrente è contraddittoria la sentenza in
quanto da una parte liquida il danno patrimoniale da inabilità
temporanea e dall'altro nega il risarcimento per l'invalidità
permanente.
2.
1.
Ritiene questa Corte che il motivo sia manifestamente fondato. Premesso
che la corte di merito ha escluso il risarcimento del danno
patrimoniale per invalidità permanente, sul rilievo che la
mancanza di specificità di un'attività della ricorrente,
che svolgeva solo lavori saltuari (baby sitter, postina, operaia),
impediva di ritenere che potesse sussistere un'incapacità
lavorativa specifica, dovendo ritenersi esistente solo
un'incapacità lavorativa generica, va osservato che in tema di
risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al
momento dell'infortunio per essere il soggetto leso disoccupato,
può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non
anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che -
proiettandosi per il futuro - verrà ad incidere sulla
capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa
inizierà una attività remunerata (Cass. 18 maggio 1999,
n. 9801), salvo ovviamente l'ipotesi in cui si tratti di disoccupazione
volontaria, cioè di scelta cosciente di rifiuto del lavoro.
2.
2.
Inoltre la mancanza di una specifica capacità professionale, nel
senso inteso dalla corte di merito, come mancanza di una precisa
qualificazione professionale, effettuando il soggetto danneggiato
lavori di varia natura secondo le occasionali circostanze, non esclude
di per sé che le lesioni riportate non incidano su questa
capacità lavorativa di volta in volta esplicata.
Non si deve contendere infatti la qualifica professionale di operaio
generico, con la capacità lavorativa specifica dello stesso in
siffatta attività, ai fini del risarcimento del danno
patrimoniale.
Non si può condividere l'equazione, che sottende il ragionamento
della corte di merito, per cui, essendo la danneggiata un soggetto che
svolge vari e saltuari lavori, cioè lavori generici, non esiste
un'incapacità lavorativa specifica, ma solo generica, e quindi
come tale, in caso di lesione, non comportante un danno patrimoniale,
ma solo liquidabile solo nell'ambito del danno biologico.
Infatti l'incapacità lavorativa generica è solo una
componente del danno biologico, che non comporta alcuna conseguenza
sulla produzione del reddito, mentre la riduzione della capacità
lavorativa specifica dell'operaio generico, o in ogni caso del soggetto
che svolge svariate attività, a seconda delle possibilità
di lavoro che gli si offrono, comporta che il soggetto subisca, come
danno futuro, una riduzione della sua capacità di guadagno
proprio per effetto dell'incidenza della lesione sull'attività
lavorativa. Anzi, essendo più ampio il ventaglio delle
attività cui è chiamato l'operaio generico, la riduzione
della capacità lavorativa specifica dello stesso va valutata in
relazione proprio a queste varietà di alternative, sia pure con
riferimento alle concrete probabilità desumibili dalla
situazione specifica ambientale e personale.
2.
3.
La mancanza di un'attività lavorativa in atto non preclude, in
tema di risarcimento del danno da sinistro stradale, la liquidazione di
detto danno patrimoniale, dovendo il giudice di merito fare
applicazione, nei confronti dell'assicuratore, del criterio fissato
dall'art. 4, c. 3. l. n. 39/1977.
2.
4.
Inoltre la sentenza impugnata è anche intrinsecamente
contraddittoria, avendo riconosciuto il risarcimento del danno
patrimoniale da inabilità temporanea, sia assoluta che parziale,
e poi escluso il danno patrimoniale da invalidità permanente,
sul rilievo della mancanza della "specificità di una professione
in atto".
3.
Con
il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione
dell'art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa motivazione circa il rigetto della
domanda sul danno patrimoniale per perdita di chances lavorative e
ritardato inserimento nel mondo del lavoro.
Assume la ricorrente che la sentenza impugnata ha omesso di tener conto
che essa, se non avesse subito il sinistro stradale e le lesioni
conseguenti, avrebbe potuto lavorare per le Poste a tempo determinato e
quindi entrare nella riserva dei posti a tempo indeterminato per il
servizio prestato dall'1.12.1994.
4.
Ritiene
questa Corte che il motivo sia manifestamente infondato.
Infatti al fine di ottenere il risarcimento per la perdita di una
chance è necessario provare la realizzazione in concreto almeno
di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e
impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve
essere conseguenza immediata e diretta (Cass. dicembre 1996, n. 10748).
Nella fattispecie la ricorrente non assume che aveva prodotto al
giudice di merito le proposte lavorative effettuatele dalle Poste
Italiane, successivamente al sinistro stradale; né assume di
aver prodotto la documentazione da cui emergeva che, se fossero state
accettate dette proposte, essa sarebbe entrata utilmente.
In ogni caso, ove dette produzioni documentali fossero state
effettivamente esibite, ai fini dell'ammissibilità del ricorso
per il principio di autosufficienza dello stesso, gli estremi ed il
contenuto di detta documentazione dovevano essere riportati nel
ricorso.
5.
Pertanto
va accolto il primo motivo di ricorso e rigettato il secondo.
Va cassata l'impugnata sentenza, in relazione
al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di
Cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Milano, che si
uniformerà ai principi di diritto sopra indicati.
PER QUESTI MOTIVI
Visto l'art. 375,
c. 2, c.p.c.;
Accoglie il primo
motivo di ricorso e rigetta il secondo. Cassa, in relazione al motivo
accolto, l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese del
giudizio di Cassazione, al altra sezione della corte di appello di
Milano.
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