Aggiornamento - Civile

Cass. Civ, sez. IIII, 7 novembre 2003, n. 16716, danno non patrimoniale e fatti non costituenti reato

            SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

           Con citazione del 26 aprile 1990 Gobbo Fides e Zanesco Maria, la prima anche in nome e
           per conto dei figli minori Diego e Giada, convenivano dinanzi al Tribunale di Treviso il
           conducente proprietario Zanon Nicola e l'impresa assicuratrice La Renana (ora Milano
           assicurazioni) e ne chiedevano la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni,
           patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti ad un incidente stradale avvenuto in Treviso
           il 19 luglio 1989, in seguito al quale decedeva Melchiorri Antonio. Secondo la
           rappresentazione dei fatti data dalle attrici, il Melchiorri mentre procedeva a bordo del
           proprio motociclo, era urtato frontalmente dall'autovettura BMW condotta dallo Zanon,
           lungo il cavalcavia della via Zermanese di Treviso, decedendo poco dopo a causa delle
           lesioni gravissime. Si costituivano le parti convenute e contestavano la dinamica
           dell'incidente e la entità dei danni richiesti. Istruita la lite il Tribunale di Treviso con
           sentenza del 24 novembre 1994 condannava i convenuti in solido al pagamento in favore
           degli attori della somma di lire 132.813.674 con interessi legali dalla data dello evento. 
           Contro la decisione hanno proposto appello principale l'impresa di assicurazione ed il
           conducente danneggiante, ed appello incidentale i familiari del defunto. 
           Con sentenza pubblicata il giorno 11 novembre 1999 la Corte di appello di Venezia casi
           decideva: accoglie il terzo motivo dell'appello incidentale, ed in parziale riforma
           dell'impugnata sentenza condanna in solido gli appellanti a pagare agli appellati la minor
           somma di lire 96.814.674, con gli interessi legali dalla data dello evento; condanna gli
           appellati a rifondere agli appellanti un terzo delle spese di lite di primo grado, come
           tassate dal tribunale; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di secondo
           grado. 
           Per quanto qui ancora interessa la Corte veneta precisava: 
           che in accoglimento del terzo motivo di appello (proposto dall'impresa e dal conducente)
           il danno biologico iure proprio già liquidato ai figli ed alla vedova doveva essere escluso
           dalla liquidazione non essendo stata fornita alcuna prova da parte dei danneggiati.
           Assumeva la Corte che la perdita del rapporto parentale e del godimento dei congiunti
           non era riconducibile ad alcuna categoria di danni (ingiusti) alla persona, ammessa e
           riconosciuta dall'ordinamento; 
           che doveva ritenersi congrua la valutazione del danno morale, in quanto il tribunale
           aveva considerato l’età della vittima, nonché quella dei superstiti. 
           Contro la decisione ricorrono Gobbo Fides per sé e quale madre rappresentante la figlia
           minore Melchiorri Giada e Melchiorri Diego, resistono con controricorso La Previdente
           assicurazioni e Zanon Nicola. 

           MOTIVI DELLA DECISIONE 

           Una premessa in diritto appare opportuna: il giudizio di cassazione è giudizio a critica
           vincolata, in quanto delimitato e vincolato dai motivi di ricorso. Il singolo motivo assolve
           ad una funzione condizionante della impugnazione; ne consegue che la elencazione
           analitica dei motivi é tassativamente richiesta dalla natura del gravame. 
           I motivi del ricorso devono essere diretti alla individuazione degli errori di diritto e di
           procedura nella sentenza impugnata, chiedendosi alla Cassazione un giudizio rescindente,
           ossia la cassazione o la cancellazione della sentenza impugnata. 
           Tanto premesso, occorre esaminare analiticamente i motivi, pur dandone una esposizione
           riassuntiva. 
           Nel Primo Motivo si deduce: "l'assenza di qualsiasi vera motivazione della sentenza
           impugnata nei riguardi delle vittime: Si assume che tutti i motivi di gravame, già proposti
           contro la sentenza di primo grado, sarebbero stati ignorati od alterati nella sentenza, e si
           denuncia il preconfezionamento delle sentenze della IV sezione della Corte di appello
           veneta, che comprimerebbe i diritti delle vittime". 
           Il motivo, malgrado la vis polemica, è inammissibile per difetto di specificità; esso é
           infatti è diretto a contestare errori della sentenza di appello senza alcuna precisa
           indicazione, che non sia quella irricevibile, di un’accusa che riguarda il pregiudizio dei
           giudicanti. 
           Nel Secondo Motivo si deduce: "Cassazione della sentenza impugnata sulla liquidazione
           complessiva dei danni effettuata a tutte le vittime del presente caso di uccisione, per
           carenza assoluta di vera motivazione: per violazione dell'art. 4 della legge 1977 n.39 e
           per violazione degli artt. 9 e 18 della legge 1969 n. 990 e successive modifiche, per
           violazione dei diritti umani e della dignità della persona sanciti dalla Costituzione". 
           Si tratta dunque di tre censure di cui la prima inammissibile per genericità e mancanza di
           puntualizzazione. La Corte veneta ha infatti parzialmente riformato la sentenza del primo
           giudice escludendo dalle poste risarcitorie la voce autonoma dei danni riflessi per la
           perdita del rapporto parentale e del godimento del congiunto, ma confermando nel resto
           la sentenza impugnata ritenendo congrue le varie liquidazioni. La esclusione della posta
           autonoma del danno da lutto (qualificato dai primi giudici come perdita del rapporto
           parentale e del godimento del congiunto) è motivata al ff.10 della sentenza: l'esame
           delle doglianze degli appellanti incidentali è enunciato nelle pagine da 11 a 13 della
           sentenza, con motivazione analitica. E' dunque del tutto infondata la critica relativa alla
           carenza assoluta di vera motivazione. Parimenti inammissibile per la sua genericità e
           comunque infondata é la terza censura relativa alla violazione dei diritti umani e della
           dignità umana, sanciti dalla Costituzione. La Corte di appello veneta quale giudice del
           riesame, ha motivato in relazione a quanto devolutum in appello, e seguendo
           orientamenti giurisprudenziali consolidati in tema di risarcimento del danno biologico,
           inerente alla lesione del diritto individuale ed inviolabile della salute umana, come diritto
           della persona costituzionalmente garantito e protetto (cfr: artt. 2, 3, 32 della
           Costituzione tra di loro correlati, essendo il primo clausola generale aperta
           dell'inviolabilità, essendo il secondo principio di eguaglianza ma anche qualificazione delle
           capacità espansive e partecipative della persona, ed essendo il terzo precetto di tutela
           individuale e collettiva della salute, intesa in senso ampio ed interrelazionale). Tale
           tutela, nel caso di un contenzioso processuale civile, resta affidata alla valutazione delle
           prove ed alla efficacia delle argomentazioni difensive, oltre che alla corretta
           considerazione delle norme sostanziali e procedurali da parte dei giudici. 
           Restano allora da esaminare le due censure tecniche (relative alla asserita violazione di
           norme di legge in relazione alla individuazione dei criteri risarcitori dei danni richiesti dalle
           vittime) non senza rilevare che almeno una parte della ratio decidendi non viene
           censurata e si tratta di quel capo della motivazione (ff 10) in cui si esclude la tutela del
           danno da lutto inteso come danno biologico iure proprio non avendo gli aventi causa del
           defunto dedotto prove idonee, essenzialmente medico legali. Ma poiché il ricorrente
           deduce che la lesione della integrità familiare rilevi per sé stessa, e di avere provato le
           condizioni personali delle vittime in relazione alla perdita affettiva, tale profilo verrà
           esaminato, per le ragioni che diremo, sotto la fattispecie della valutazione adeguata del
           danno morale. 
           Pertanto pur non avendo le censure tecniche riferite un carattere di decisività, in ordine
           alla mancata impugnazione della ratio decidendi che esclude il danno biologico da lutto
           per difetto di prova, resta precluso l'esame dei molteplici argomenti diretti ad illustrare le
           tesi del ricorrente sulla natura del danno biologico o sui criteri adeguati per il suo
           risarcimento. 
           Nel Terzo Motivo si deduce: "cassazione per carenza assoluta di motivazione della
           sentenza impugnata sulle singole voci di danno liquidate a ciascuna vittima". 
           Ma la genericità della tesi critica é poi sviluppata in una serie di censure (peraltro
           attinenti a causae petendi già illustrate nei due gradi del merito) che possono così
           riassumersi: 
           1. sottovalutazione del danno morale, del tutto inadeguato rispetto alla gravità del caso
           in esame (morte di un padre di famiglia di 40 anni che lascia una vedova di 34 anni, una
           infante di cinque, un giovanetto di quindici ed una anziana madre convivente, nucleo
           economicamente sostenuto dal lavoro del defunto): danno liquidato in lire 60 milioni per
           la vedova, 64 milioni a ciascun figlio superstite, 40 milioni alla madre del defunto. 
           Si censura in particolare l'accoglimento del gravame dell'impresa assicuratrice che ha
           condotto alla esclusione del risarcimento del danno da lutto come danno riflesso da
           uccisione, senza considerare che tale lutto, escluso come voce autonoma, bene poteva
           essere incluso come elemento di valutazione della gravità del danno morale (pag. 20 del
           ricorso). 
           2. Difetto di motivazione, da parte della Corte venata, nel punto in cui essa sostiene (ff.
           10 della motivazione) che gli appellati hanno dedotto il ristoro per la perdita del rapporto
           parentale e per la perdita del godimento del congiunto, ritenendo che tali perdite non
           sono riconducibili a nessuna delle categorie di danni, patrimoniali e non, riconosciute ed
           ammesse dal nostro ordinamento. 
           Il motivo merita accoglimento esigendo alcune puntualizzazioni. 
           Due recenti sentenze della III sezione civile, la n. 8828/03 (Pres. Carbone, est. Preden)
           e la 8827/03 (Pres. Carbone, est. Amatucci) si sono occupate del ristoro del danno cd.
           parentale in due diverse situazioni. La prima delle decisioni citate si occupa del danno
           parentale da lutto, subito dai familiari per la perdita del capo famiglia, la seconda si
           occupa invece della perdita alla serenità familiare per la nascita di un bambino menomato
           a seguito di grave responsabilità medico professionale. 
           Entrambe le decisioni hanno in comune la indicazione dei principi e la qualificazione della
           species del danno, e della sua natura non patrimoniale, sotto l'ambito della norma
           dell'art. 2059 del codice civile, che viene, con interpretazione innovativa, interpretata in
           senso estensivo avendo riguardo a valori della famiglia costituzionalmente protetti (cfr.
           art. 2, 29 e 30 della Costituzione, tra di loro collegati), come avevano da tempo intuito i
           giudici del merito e la migliore dottrina. 
           Poiché la fattispecie in esame concerne analoga fattispecie, considerata nella prima delle
           due sentenze citate, con ampia motivazione, che qui si condivide, non si ritiene
           opportuno riprodurre in esteso le argomentazioni, essendo, sufficiente il richiamo al
           principio di diritto, da ribadire in questa sede, secondo il quale nell'ambito dell'art. 2059
           del codice civile, possono trovare collocazione e protezione tutte quelle situazioni
           soggettive relative a perdite non patrimoniali subite dalla persona umana, per fatti illeciti
           determinanti un danno ingiusto e per la lesione di valori costituzionalmente protetti o
           specificatamente protetti da leggi speciali. 
           Il rinvio ricettizio dell'art. 2059 del codice civile, ai casi determinati dalla legge, non
           concerne la sola ipotesi del danno morale soggettivo da reato, ma è in rinvio che, dopo
           l'entrata in vigore della Costituzione e delle norme precettive sui diritti umani inviolabili,
           assicura la tutela anche alla lesione di tali diritti, ovvero di situazioni soggettive personali
           correlate a valori costituzionalmente rilevanti. 
           Nel caso di specie è stata sostanzialmente dedotta la perdita dell'unità familiare e dei
           vincoli affettivi e di solidarietà che legavano una famiglia, che le circostanze dedotte
           descrivono come compatta, unita e serena. Questa perdita, che i singoli componenti
           della famiglia legittima hanno subito, é danno consequenziale diretto non patrimoniale,
           risarcibile in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 e 2056 c.c. correlati all'art. 2059 c.c.. 
           Appare allora illogica la decisione dei giudici di merito allorchè affermano apoditticamente
           ed erroneamente che l'ordinamento non riconosce figure di danno alla persona diverse
           dal danno biologico o dal danno patrimoniale o morale da reato. 
           E' invece vero il contrario e che cioé in sede di illecito, e di danno ingiusto per la lesione
           di valori costituzionalmente protetti, la perdita della unità familiare, è perdita di affetti e
           di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale, sulla base di diritti umani
           inviolabili per l'intero nucleo. 
           Questa perdita merita di essere autonomamente risarcita, non costituendo né danno
           biologico, né patrimoniale, nè danno morale soggettivo da reato. 
           Trattandosi di danno consequenziale non patrimoniale, la prova del danno compete al
           danneggiato. 
           Parimenti fondata é la censura relativa alla non congrua valutazione del danno morale:
           ed invero, affermata la piena autonomia della figura di tale danno, in relazione al fatto
           reato (omicidio colposo), la valutazione, necessariamente equitativa, deve tendere al
           ristoro adeguato della sofferenza e del dolore che i superstiti subiranno, in modo
           permanente anche se non attingendo alla sfera della salute (come danno patologico
           medicalmente accertabile). 
           La motivazione deve risultare pertanto, anche per tale danno, adeguatamente motivata
           tenendo conto di tutte le circostanze dedotte, provate o non contestate, in modo da
           rendere possibile il controllo dell'iter logico seguito per un risarcimento adeguato alla
           gravità del reato, e tenendo conto che, nel caso di specie, il danno mora, civilmente
           valutabile, non coincide con il pur rilevantissimo danno criminale (che è la lesione della
           vita), ma attiene alla sfera psichica (della sofferenza e del dolore) delle singole vittime. 
           All'accoglimento del terzo motivo segue la cassazione con rinvio, anche per le spese di
           questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si
           atterrà ai principi di diritto come sopra enunciati per la corretta valutazione del danno
           non patrimoniale da perdita del capo famiglia e del danno morale soggettivo da reato. 

           P.Q.M. 

           Accoglie il ricorso per guanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di
           cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Milano. 
           Roma, 27 febbraio 2003. 
           DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 7 NOVEMBRE 2003

 

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