Cassazione civile , sez. III, 14 luglio 2009 ,
n. 16382, sul mediatore e mandatario e responsabilità pre contrattuale
contro
Fatto
Con scrittura in data 27-7-1989, M.R. dette incarico alla Italiana Immobiliare s.r.l. (poi
divenuta s.p.a.) di promuovere la vendila di un appartamento sito in
(OMISSIS), di cui aveva dichiarato di essere comproprietaria insieme alla
madre M.E. e a N.L..
O.B.E., che a sua volta si era rivolta alla Italiana Immobiliare per l'acquisto di una casa,
sottoscrisse una prima proposta di acquisto di detto appartamento in data
(OMISSIS) e la M.R.,
all'atto dell'accettazione fece presente al mediatore che comproprietari del
bene erano anche M.I., M.A., N.I.V.,
N.A., P.R. e P.G., anche in nome e per conto dei
quali la stessa M.G. sottoscrisse l'accettazione;
la stessa O.B., in data (OMISSIS), sottoscrisse una
seconda proposta di acquisto per lo stesso immobile, in quanto era emersa
l'esistenza di una pratica di condono edilizio in precedenza non comunicata
dalla M.G., e anche tale seconda proposta fu
accettata dalla M.G., con le ulteriori
sottoscrizioni di N.L. e M.E..
In seguito, in virtù di più approfonditi accertamenti da parte del notaio
rogante, risultò che l'immobile in questione era riportato nel n.c.e.u. con due diversi numeri
di partita, uno dei quali risultava intestato per 1/8 a C.R.,
deceduta da anni e della quale non erano reperibili gli eredi.
Pertanto, la O.B. rinunciò ad acquistare la
proprietà per intero, ottenendo la restituzione della caparra versata, e
chiedendo alla società mediatrice Italiana Immobiliare il rimborso della
provvigione, oltre al risarcimento dei danni.
Per il rifiuto della società in ordine a tali
richieste, la O.B., con
atto notificato il 16-9-1993, conveniva in giudizio la Italiana Immobiliare
ai fini della restituzione della provvigione e del risarcimento dei danni;
costituitasi la società (che in particolare negava ogni responsabilità a suo
carico, con particolare riferimento all'esistenza della quota della C.R.), l'adito Tribunale di Firenze, con sentenza n.
2502/2002, accoglieva in parte la domanda condannando, la Immobiliare al
pagamento di Euro 2.582,28, corrispondenti all'importo versato, oltre
interessi e rivalutazione monetaria a titolo di restituzione della
provvigione pagata dalla O.B.; ciò in quanto
riteneva che il mediatore è tenuto ad una corretta informazione, secondo il
criterio di media diligenza di cui all'art. 1176 c.c., e che pertanto doveva
ritenersi responsabile per avere omesso di accertare l'effettiva titolarità
del bene.
A seguito dell'appello della Italiana Immobiliare, la Corte d'Appello di
Firenze, costituitasi la O.B., con la
sentenza in esame, in data 28-5-2004 / 22-4-2005, rigettava l'impugnazione;
affermava, in particolare, la
Corte territoriale che "esaminando la proposta
contrattuale che l'appellante sottopose all'appellata, facendogliela
sottoscrivere, essa appare stesa nella maniera più semplice e più piana, in
perfetta complementarietà con le diciture di rito del modulo prestampato,
senza il minimo segnale verso il grosso problema, che c'era dietro, della
complicata intestazione dell'immobile. Anzi, dal tenore letterale della
proposta si esclude addirittura l'ipotesi di una comproprietà, giacchè l'oggetto dell'acquisto proposto è la sua pozione
immobiliare, sua nel senso di appartenente alla venditrice. Insomma, la
promittente acquirente sentiva di muoversi in un campo sicuro. E invece non
era così. A questo punto, le possibili soluzioni sono due: o la società di
mediazione non si curò affatto di guardare, o forse
nemmeno di richiedere alla venditrice, i titoli di provenienza del suo
diritto dell'immobile; oppure, avendoli guardati, ed essendosi accorta che le
venditrice non era l'unica proprietaria, o che, comunque, la situazione
dell'intestazione non era chiara, omise di farlo presente nella proposta
contrattuale fatta firmare all'appellata. Si scelga l'una o l'altra ipotesi,
la responsabilità contrattuale della società di mediazione c'è comunque. Sul
dovere professionale di esaminare il tìtolo di
provenienza, prima di sottoporre come fattibile l'affare al pubblico, o anche
al singolo interessato, non esistono dubbi, perchè
la funzione del mediatore professionale, con determinanti
requisiti di cultura e competenza (Cass. n. 6389 del 8-2-2001), implica
innanzitutto la verifica della fattibilità reale dell'affare, e non si riduce
ad essere soltanto un megafono della grida negoziali altrui; sul dovere di
rappresentare con scrupolo e lealtà alle parti le reali difficoltà che gli
constano circa la fattibilità dell'affare non si può dubitare ugualmente,
alla luce dell'insegnamento della Suprema Corte, più volte sopra citato".
Ricorre per cassazione la Italiana Immobiliare
con due motivi, illustrati con memoria; resiste con controricorso la O.B..
Diritto
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1755
e 1759 c.c., e relativo difetto di motivazione, in quanto
erroneamente i giudici d'appello osservano che nella mediazione sarebbe
"insito" un rapporto di mandato; si aggiunge che "ciè è errato e forviante perchè
la mediazione presuppone la imparzialità del mediatore, che istituzionalmente
non è nè può essere il rappresentante o comunque il
mandatario di una sola parte, se non rinunciando al proprio ruolo di
intermediario imparziale e perdendo quindi il diritto alla provvigione"
ed inoltre che "in senso contrario non può certo invocarsi il disposto
della L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, là dove prevede l'iscrizione nel
Ruolo, in un'apposita sezione, anche degli agenti muniti di mandato a titolo
oneroso: iscrizione che ha il solo scopo di garantire la professionalità
anche di tale categoria di soggetti, ma che non implica il venir meno della
differenza ed incompatibilità oggettiva tra le due figure"; si afferma,
infine, che erroneamente "nel nostro caso la Corte di merito ha
ritenuto per l'appunto che l'accertamento della proprietà costituisse una
verifica elementare, come tale dovuta dal mediatore in forza dell'obbligo di
adeguamento della propria attività al criterio di diligenza professionale
media".
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1224 e 1277 c.c., e
relativo difetto di motivazione, in quanto
"errata è poi la sentenza della Corte d'Appello di Firenze nella parte
in cui ha confermato la decisione del Tribunale di gravare l'importo di Euro
2.582,28 della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma
così rivalutata"; si aggiunge che "la mera condanna alla
restituzione della provvigione era invece in astratto giustificata dal
ritenuto inadempimento del mediatore, ma costituiva all'evidenza debito di
valuta, giacchè l'obbligo restitutorio si
concretizza nel pagamento della stessa somma ricevuta, cioè di un tantundem già predeterminato nel suo ammontare" e
che "la Corte
di merito dimentica anche che il danno da svalutazione nelle obbligazioni
pecuniarie va dimostrato come danno ulteriore ex art. 1224 c.c., comma
2".
Il ricorso è infondato in relazione a entrambi i
suddetti motivi.
Riguardo alla doglianza di cui al primo motivo avente ad
oggetto la natura della mediazione e la "misura" della
responsabilità del mediatore, considerate dal Giudice della Corte
territoriale come entrambe riconducibili al "rapporto di mandato",
rapporto non ritenuto invece sussistente dall'odierna ricorrente, con
conseguente esclusione dell'obbligo di diligenza professionale in ordine alla
comunicazione di tutti i dati e le circostanze, note al mediatore o comunque
dallo stesso conoscibili dell'immobile oggetto di compravendita, occorre
rilevare che la censura non è meritevole di accoglimento, pur dovendosi
provvedere a rivisitare le argomentazioni dei Giudici di secondo grado.
Occorre in proposito osservare, anche sulla base, in parte, di quanto
recentemente affermato da questa Corte (in particolare le sentenze nn.
24333/2008 e 19066/2006) che, oltre
alla mediazione c.d. ordinaria o tipica di cui all'art. 1754 c.c.,
consistente in un attività giuridica in senso stretto, è configurabile una
"mediazione" di tipo contrattuale che risulta correttamente
riconducibile, più che ad "una mediazione negoziale atipica", al
contratto di mandato.
Accanto, infatti, all'ipotesi delineata dall'art. 1754 c.c., i disposti di
cui agli artt. 1756 e 1761 c.c., supportano
l'eventuale configurazione di un vero e proprio rapporto di mandato ex art.
1703 c.c..
La previsione tipica di cui all'art. 1754 c.c., individuando nel mediatore
"colui che mette in relazione due o più parti
per la conclusione di un affare, senza essere legalo ad alcuna di esse da
rapporti di collaborazione di dipendenza o di rappresentanza", pone in
rilevo tre aspetti: a) l'attività di mediazione prescinde da un sottostante
obbligo a carico del mediatore stesso, perchè posta
in essere in mancanza di un apposito titolo (costituente rapporto subordinato
o collaborativo); b) "la messa in relazione" delle parti ai fini
della conclusione di un affare è dunque qualificabile come di tipo non
negoziale ma giuridica in senso stretto; c) detta attività si collega al
disposto di cui all'art. 1173 c.c., in tema di fonti delle obbligazioni, e,
specificamente, al derivare queste ultime, oltre che da contratto, da fatto
illecito, o fatto, da "ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento
giuridico" (nel senso, quindi, che l'attività del mediatore è dallo
stesso legislatore individuata come fonte del rapporto obbligatorio nel cui
ambito sorge il diritto di credito alla provvigione di cui all'art. 1756
c.c.).
Appare preferibile ritenere l'attività in oggetto (per quanto "di
regola" previsto nel codice civile) quale giuridica in senso stretto e
non negoziale, non solo perchè, riconducendosi
all'antica distinzione tra atto e negozio, gli effetti della stessa sono
specificamente predeterminati dallo stesso legislatore (con particolare
riferimento a detta provvigione) ma soprattutto perchè
non vi è alla base della stessa un contratto (rectius:
regolamento di interessi "preventivamente"
concordalo dal mediatore con una o più parti); ciò comporta che il mediatore,
sempre per quanto configurato nell'art. 1754 c.c., acquista il diritto alla
provvigione (a condizione della conclusione dell'affare) non in virtù di un
negozio posto in essere ai sensi dell'art. 1322 c.c., (in tema di autonomia
contrattuale) ed i cui effetti si producono ex art. 1372 c.c. ("il
contratto ha forza di legge tra le parti", nel senso che l'efficacia
contrattuale è giuridicamente vincolante) bensì sulla base di un mero
comportamento (la messa in relazione di due o più parti) che il legislatore
riconosce per ciò solo fonte di un rapporto obbligatorio e dei connessi
effetti giuridici.
Ciò non toglie, per come già esposto, che l'attività del c.d. mediatore possa
essere svolta anche sulla base di un contratto di
mandato.
Per definizione, l'affidamento di un incarico "col quale una parte si
obbliga a compiere uno più atti giuridici per conto dell'altra" da luogo
al contratto di mandato ex art. 1703 c.c., (oltre che ad alcune particolari
figure di contratto, quali la commissione, la spedizione e l'agenzia di cui
rispettivamente agli artt. 1731, 1737 e 1742 c.c., in cui il nucleo
essenziale degli interessi dei soggetti contraenti, caratterizzato da
un'attività giuridica posta in essere da una parte
per conto dell'altra, con presunzione di onerosità, e individuante la causa,
è analogo a quello tipizzante il mandato stesso ed è altresì specificato;
nella commissione: acquisto o vendita di beni per conto del committente e in
nome del commissionario; nella spedizione: conclusione di un contratto di
trasporto in nome proprio e per conto del mandante; nell'agenzia: promozione,
in modo stabile, per la conclusione di contratti in una zona determinata).
Ne deriva, come spesso avviene nella prassi (e come è
facile rinvenire nei contratti standard di mediazione immobiliare, ove
appunto si indica, nella maggior parte dei casi, un mandato o un incarico a
vendere o ad acquistare beni immobili), che il mediatore in molti casi agisca
non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più
soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto
che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perchè "incaricato" da una o più parti ai fini
della conclusione dell'affare (generalmente in ordine all'acquisto o alla
vendita di un immobile); in tal caso risulta evidente che l'attività del
mediatore - mandatario è conseguenziale
all'adempimento di un obbligo di tipo contrattuale (e dunque, ex art. 1173
c.c., questa volta riconducibile al contratto come fonte di obbligazioni).
Tale diversa, duplice qualificazione giuridica dell'attività del mediatore si
rinviene, al di là di detta prassi e da un punto di
vista formale, non solo, nell'ambito della disciplina codicistica
della mediazione, all'art. 1754 c.c. (diritto al rimborso delle spese nei
confronti della persona per "incarico" della quale sono state
eseguite, anche se l'affare non è concluso) e all'art. 1756 c.c., (incarico
al mediatore da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi
all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento), ma anche nella
L. n. 39 del 1989, (recante "modifiche ed integrazioni alla L. 21 marzo
1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di
mediatore"), istitutiva del ruolo professionale degli agenti di affari
in mediazione; in quest'ultima, in particolare, rilevano l'art. 2, punto 2
("il ruolo è distinto in tre sezioni: una per gli agenti immobiliari,
una per gli agenti merceologici ed una per gli agenti muniti di mandato a
titolo onerose, salvo ulteriori distinzioni in relazione a specifiche
attività di mediazione da stabilire con il regolamento di cui all'art.
11"), l'art. 2, punto 4 ("l'iscrizione al ruolo deve essere
richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo,
da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la
conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende"), l'art. 5,
punto 4 ("il mediatore che per l'esercizio della propria attività si
avvalga di moduli o formulari, nei quali sono indicate le condizioni del
contratto, deve preventivamente depositare copia presso la Commissione di cui
all'art. 7"). Del resto, come già detto, è la stessa giurisprudenza
della Corte a prospettare la possibilità che tra mediatore ed
una delle parti intercorra un rapporto di tipo contrattuale (da ultimo, Cass.
n. 8374/2009), salvo poi a verificare la compatibilità di questo con la
mediazione con senso tipico.
Ciò posto, è ovvio che per il
mediatore, a seconda se agisca senza mandato sulla base della generale
previsione di cui all'art. 1754 c.c., oppure quale incaricato-mandatario,
muti il regime della sua responsabilità.
Nel primo caso il mediatore pur compiendo, come detto, un'attività giuridica
in senso stretto, è comunque tenuto all'obbligo di comportarsi in buona fede,
in virtù della clausola generale di correttezza di cui all'art. 1175 c.c.,
(sull'estensione della regola della buona fede in senso oggettivo a tutte la fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., ivi
compreso l'atto giuridico non negoziale, Cass. n. 5140/2005), estrinsecantesi, in specie, nell'obbligo di una corretta
informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o
conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all'art. 1176 c.c.,
comma 2, vertendosi senz'altro in tema di attività
professionale per come ulteriormente ribadito dalla citata L. n. 39 del 1989.
Tale obbligo di correttezza sussiste a favore di entrambe le parti, messe in
contatto ai fini della conclusione dell'affare, quale comprensivo di
qualunque operazione di tipo economico - giuridico (sulla posizione di
"neutralità" ed "imparzialità"
nei confronti delle parti che concludono l'affare, tra le altre, Cass. n.
12106/2003, Cass. n. 13184/2007, la quale sottolinea la posizione di "terzietà" del mediatore rispetto ai contraenti posti
in contratto in ciò differenziandolo dall'agente di commercio, nonchè Cass. n. 6959/2000, che sottolinea come carattere
essenziale della figura giuridica del mediatore, ai sensi dell'art. 1754
c.c., è appunto la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di
mandato, di prestazione d'opera, di preposizione institoria e di qualsiasi
altro rapporto che renda riferibile al dominus l'attività dell'intermediario,
per cui nel caso di specie la
S.C. ha escluso il requisito dell'imparzialità ritenendo
sussistente un mandato costituito dall'affidamento dell'incarico di trattare
la vendita dell'immobile in norme e per conto del preponente).
In particolare, egli è tenuto a comunicare: l'eventuale stato di insolvenza di una delle parti, l'esistenza di
iscrizioni o pignoramenti sul bene, oggetto della conclusione dell'affare, la
sussistenza di circostanze in base alle quali le parti avrebbero concluso il
contratto con un diverso contenuto, l'esistenza di prelazioni ed opzioni (su
tali punti, tra le altre, Cass. n. 5938/1993).
Inoltre, se, prima facie, la responsabilità del
mediatore non mandatario appare agevolmente di natura extracontrattuale, risulta preferibile, riguardando la stessa una figura
professionale, applicare la più recente previsione giurisprudenziale di
legittimità della responsabilità "da contatto sociale" (su cui, tra
le altre, Cass. S.U. n. 577/2008; Cass. n. 12362/2006 e Cass. n. 9085/2006,
con specifico riferimento al medico ed alle sue prestazioni prescindenti da
un rapporto contrattuale); infatti, tale situazione è riscontrabile nei
confronti dell'operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti
formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista
l'iscrizione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti-consumatori,
fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si
pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari
connotazioni professionali ed imprenditoriali).
Da tale configurazione di responsabilità a carico del mediatore, che opera ai
sensi dell'art. 1754 c.c., in caso di contenzioso tra il mediatore stesso e
le parti, deriva sia che e il primo che deve
dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base alla richiamata diligenza
ex art. 1176 c.c., comma 2, nell'adempimento degli obblighi di correttezza ed
informazione a suo carico (mentre spetta alle seconde fornire prova
esclusivamente dell'avvenuto contatto ai fini della conclusione dell'affare),
sia che il termine di prescrizione per far valere in giudizio detta
responsabilità del mediatore è quello ordinario decennale (e non quello
quinquennale della responsabilità ex art. 2043 c.c.).
Ancora, per quanto già esposto, è evidente che l'attore che agisce per ottenere la provvigione di una mediazione da
lui effettuata ha l'onere di dimostrare di non aver agito in posizione di
mandatario di una delle parti.
Nel secondo caso, vale a dure dell'attribuzione al professionista - mediatore
di un incarico, e quindi, per quanto esposto, della sussistenza di un
mandato, anche eventualmente con poteri rappresentativi mediante procura in ordine alla spendita del nome
(mediante sottoscrizione dei relativi moduli di contratto standard in uso
presso i mediatori o le c.d. agenzie immobiliari a veste societaria,
erroneamente qualificati come "contratto di mediazione" o
"conferimento incarico di mediazione per la vendita di un
immobile"), le conseguenze sul piano giuridico sono ben diverse rispetto
alla figura, tipica, ordinaria o tradizionale che dir si voglia, della
mediazione ex art. 1754 c.c..
Ed infatti: il mediatore è in realtà un mandatario poichè assume "essenzialmente", sulla base
della causa in concreto del contratto posto in essere, quale derivante dalla
sintesi degli interessi regolamentati, l'incarico, di solito, di reperire un
acquirente (oppure un venditore) o un locatario (oppure un locatore) di un
immobile, con "ulteriori compiti" (di consulenza anche fiscale, di
assistenza nelle trattative e sino al p momento del rogito, di pubblicizzare
la relativa offerta, di far visitare l'immobile etc.), in molti casi con la
fissazione di un termine, con la previsione del c.d. diritto di esclusiva
all'incaricato nonchè del diritto di recesso per
entrambi i contraenti; a fronte di dette prestazioni riceve un corrispettivo,
nella percentuale convenuta sul prezzo di compravendita, con pagamento
sospensivamente condizionato (in modo esplicito o implicito) alla conclusione
dell'affare (generalmente all'accettazione della proposta).
E' di tutta evidenza che siamo ben al di fuori della previsione
codicistica della mediazione per svariati motivi:
la posizione del mandatario in esame è inconciliabile ed ostativa rispetto
alla mediazione tradizionale (in cui come detto il mediatore, senza
preliminare assunzione di obblighi, compie l'attività di messa in contatto
tra due soggetti che concludono quindi contrattualmente, e non solo, mediante
comunque l'assunzione di vincoli giudici, un'operazione di natura economica -
sul punto, tra le altre, Cass. n. 2200/2007); il diritto al relativo compenso
(o provvigione), sempre condizionato all'iscrizione nel ruolo professionale
ai sensi della L. n. 39 del 1989, sorge non più, ex art. 1755 c.c., nei
confronti "di ciascuna delle parti" e solo "per effetto del
suo intervento", quale appunto conseguenziale
alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione, bensè è a carico del solo mandante, per quanto previsto
agli artt. 1709 e 1720 c.c., (così come avviene, ad esempio, nel contratto di
agenzia, ove sussiste l'obbligo di corrispondere le provvigioni a carico del
solo preponente) rispetto al quale è, a sua volta, contrattualmente
vincolato, nell'espletamento dell'incarico (di fiducia o intuitus
personae) e delle connesse prestazioni, pur sempre
con la diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, stante la sua natura
professionale, in deroga a quanto stabilito all'art. 1710 c.c.; ancora, il
mandatario in esame, oltre ad essere obbligato ai sensi dell'art. 1711 c.c. e
ss., è tenuto all'osservanza della normativa in tema di contratti di consumo
(ove ne ricorrano i presupposti soggettivi, vale a dire il rapporto
professionista - imprenditore, da un lato, e consumatore - persona fisica) di
cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, con particolare
riferimento al generale dovere di informazione ex art. 5, alla disciplina
delle clausole vessatorie ex art. 33 e ss. ed, in specie, alla connessa
azione inibitoria ex art. 37; ferma restando, ovviamente, l'applicazione
della disciplina generale dei contratti in tema di onere della prova e
prescrizione.
Tra l'altro, sul carattere "essenziale" della figura giuridica del
mediatore, ai sensi dell'art. 1754 c.c., quale collegato all'assenza di ogni
vincolo di mandato, di prestazione d'opera, di preposizione institoria e di
qualsiasi altro rapporto, carattere non configurabile in caso di soggetto
munito di mandato (con rappresentanza o meno) per la stipulazione di un
contratto con un terzo, si è da tempo pronunciata
questa Corte (si veda, in particolare, Cass. nn.
4340/1980 e 1995/1987).
Riguardo, pertanto, a detto primo motivo di
ricorso, pur non risultando condivisibile la configurazione della mediazione
quale avente sempre a base un mandato, con "coinvolgimento" in esso
di entrambe le parti che concludono l'affare in un sorta di rapporto trilaterale
con il mediatore, priva di pregio è però la tesi sostenuta dal ricorrente di
esclusione della sua responsabilità.
Per quanto esposto, nel caso in cui, come quello in esame, il c.d. mediatore
ha in realtà agito in virtù di un incarico consistente in un mandato (tale
circostanza, oltre ad essere dedotta nella decisione impugnata, è ammessa
dalla stessa ricorrente ove afferma che "con scrittura in data (OMISSIS)
la signora M.R. incaricò la Italiana Immobiliare
s.r.l., poi divenuta s.p.a., di promuovere la vendita di un appartamento su
due piani posto in Scandicci"), esso mandatario, e quindi, nella
fattispecie in oggetto, detta Italiana Immobiliare, risponde, ove si comporti
in modo illecito, a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043
c.c., nei confronti del soggetto "destinatario" della sua attività
che assume quindi, in quanto estraneo a detto rapporto contrattuale, la
qualifica di terzo.
Ne deriva che la Italiana Immobiliare, incaricata
dalla M.R. di vendere l'immobile in questione, nel non rendere edotta la O.B., quale sottoscrittrice di due proposte di acquisto in
ordine all'effettiva contitolarità del bene in capo
a più soggetti (di cui uno deceduto e con eredi non reperibili) ed in ordine
alle reali condizioni dell'immobile (assoggettato a pratica di condono
edilizio), nel non assolvere con la diligenza professionale richiesta i
propri obblighi di mandataria, ha ingenerato nell'odierna resistente un
affidamento non colpevole sulla corrispondenza alla realtà della situazione
apparente, con il conseguente sorgere di responsabilità a suo carico ex art.
2043 c.c., (sul punto, specificamente Cass. n. 4000/l 977 e Cass. n.
16740/2002, la quale ultima non esclude una conresponsabilità
in proposito del mandante, ai sensi dell'art. 2055 c.c., nel caso di specie
esulante dal thema decidendum,
non chiesta e non provata).
Ne deriva ancora, con conferma sul punto di quanto statuito dalla Corte
territoriale ("tale inadempimento .... comporta
la restituzione della prestazione ricevuta, cioè del compenso per la mediazione,
e del risarcimento del danno, il quale, a prescindere da forme di ulteriore
perdita, è già insito nel deprezzamento del danaro medio tempore trattenuto
dalla parte inadempiente: il che vuoi dire che trattasi comunque di credito
di valore e non di valuta"), la sussistenza dell'obbligo risarcitorio a
carico della Italiana Immobiliare, parametrato
sulla restituzione della ricevuta caparra, in favore dell'odierne resistente,
che, quale obbligazione di valore, è soggetta sia alla rivalutazione che al pagamento
degli ulteriori interessi legali (in proposito, tra le altre, Cass. n.
4791/2007), con ciò dimostrandosi infondato anche il secondo motivo di
ricorso.
Privo del requisito dell'autosufficienza è poi lo specifico profilo di
censura di cui a detto secondo motivo in ordine alle
modalità di liquidazione degli interessi, essendosi la Corte territoriale
limitata a confermare sul punto la decisione di primo grado; in particolare
la società ricorrente non riporta quello che a suo dire è stato
"specifico motivo di appello inerente il calcolo degli interessi sulla
somma rivalutata non di anno in anno".
In conclusione: a) la mediazione "tipica" di cui all'art. 1754
c.c., comporta che il mediatore, senza vincoli e quindi in posizione di imparzialità, ponga in essere un'attività giuridica in
senso stretto di messa in relazione tra due o più parti, idonea a favorire la
conclusione di un affare; b) la stessa è incompatibile con un sottostante
rapporto di mandato tra il c.d. mediatore ed una delle parti che ha interesse
alla conclusione dell'affare stesso, nel qual caso il c.d., mediatore -
mandatario non ha più diritto alla provvigione da ciascuna delle parti ma
solo dal mandante; c) nella mediazione tipica la responsabilità del
mediatore, con specifico riferimento agli obblighi di correttezza e di
informazione, si configura come responsabilità da "contatto
sociale"; d) nel caso in cui il mediatore agisca invece come mandatario,
assume su di sè i relativi obblighi e, qualora si
comporti illecitamente recando danni a terzi, è tenuto a favore di
quest'ultimi al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., (non escludendosi
in proposito un'eventuale corresponsabilità del mandante); e) nella vicenda
in esame, risultando pacifica la circostanza dell'affidamento di un mandato a
vendere alla Italiana Immobiliare da parte di M.R., quest'ultima nel dar
luogo da parte della O.B. alla sottoscrizione di
proposte di acquisto, sulla base di errati presupposti di fatto prospettati
dalla società, risulta obbligata, oltre alla restituzione di quanto
indebitamente percepito, al risarcimento dei danni (restituzione e
risarcimento chiesti sin dall'atto introduttivo del giudizio).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese
della presente fase che liquida in complessivi Euro 3.100,00 (di cui Euro
100,00 per esborsi), oltre spese generali ed
accessorie come per legge.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2009
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