Cass., sez. Lavoro, sent. n.15068 del 28 novembre 2001, sull’infortunio
in itinere
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Prato, confermando la sentenza del Pretore di quella città,
ha respinto la
domanda di N.G.M.volta a far dichiarare che l'incidente stradale occorsole
il giorno 23
settembre 1994, mentre con auto propria faceva ritorno dal posto di lavoro
presso il
Maglificio (omissis) in Prato alla propria abitazione in Seano, era da
qualificarsi infortunio in
itinere.
I1 Tribunale rilevava preliminarmente che non era contestato l'accertamento
in fatto del
Pretore, secondo cui la N., la quale terminava il proprio turno di lavoro
alle ore 19, poteva
prendere un autobus della linea CAP alle ore 19,15 a poche decine di metri
dal Maglificio,
che la portava in circa 10 minuti in località Casa Rossa, da dove
una strada asfaltata,
normalmente illuminata, la conduceva in meno di un chilometro a casa sua.
Ciò posto,
riteneva che in tale fattispecie l'uso del mezzo proprio fosse dettato
da mera comodità, e
non da necessità.
I1 Tribunale aggiungeva che la N.non aveva provato né specifiche
necessità domestiche
che le imponessero rientri immediati a casa, né l'impossibilità
di consumare il pasto serale a
casa ritornandovi comunque prima delle 20; che il percorso a piedi, attesa
la lunghezza di
circa un chilometro della strada, asfaltata ed illuminata, l'età
giovane della lavoratrice e le
normali condizioni di salute della stessa, non poteva ritenersi per lei
causa di fatica o di
rischi eccessivi, considerato altresì che il sinistro avvenne nel
mese di settembre, e quindi in
un momento di luce naturale e di clima mite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la N., con unico
motivo, illustrato
da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
L'intimato Istituto, ritualmente costituito con controricorso, ha resistito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di ricorso la ricorrente, deducendo violazione e falsa
applicazione dell' art.
2 d. P. R. 30 giugno 1965 n. 1124; omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa
un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.), censura
la sentenza
impugnata per non avere considerato che l'uso del mezzo proprio costituiva
una
ragionevole scelta, ai sensi dell'art. 2 citato (che il Tribunale avrebbe
quindi malamente
interpretato), considerati altresì gli elementi di fatto trascurati
dal Tribunale (nel che
risiederebbe il vizio di motivazione): il tempo di attesa dell'autobus,
che poteva arrivare
anche a 30 minuti, che era la frequenza del suo passaggio; che la strada
era asfaltata ma
non illuminata; che la ricorrente aveva dichiarato di avere urgenza di
tornare a casa,
dovendo accudire due genitori anziani, il marito ed il figlio.
IL MOTIVO NON E' FONDATO
Com'è ben noto, e con riferimento alla, normativa vigente all'epoca
dei fatti, l'infortunio in
itinere era disciplinato dall'art. 6 t.u. 1124/1965 esclusivamente per
quanto riguarda il
personale di cui all'art. 4 ultimo comma, e cioè i componenti dell'equipaggio
delle navi e
galleggianti anche se eserciti a scopo di diporto (riassuntivamente marittimi).
L'art. 31 Legge 19 gennaio 1963, n. 15 aveva concesso delega al Governo
ad emanare
norme per la disciplina dell' infortunio in itinere in maniera che fossero
compresi nella tutela
assicurativa gli eventi occorsi al lavoratore durante il percorso di andata
e ritorno dal luogo
di residenza a quello di lavoro, salvo il caso di interruzione o deviazione
per motivi di
interesse personale o, comunque, indipendenti dal lavoro.
Non avendo l'Esecutivo esercitato la delega, pur rinnovata con le Leggi
11 marzo 1965, n-.
158, e 1 dicembre 1966, n. 1206; non avendo le prescrizioni della legge
delega, dirette al
legislatore delegato, unico destinatario di esse (Cass. 10.3.1992 n. 2883,
9.3.1982 n.
1487, Cass. 17 maggio 2000 n. 6431) vigore normativo diretto; non avendo
il mancato
esercizio della delega altro effetto che la responsabilità politica
del Governo (Corte cost. 12
gennaio 1977 n. 8), questa Corte, chiamata a dichiarare il diritto in fattispecie
di infortunio
in itinere, le ha dovute vagliare alla luce delle norme generali sugli
infortuni sul lavoro, ed in
particolare dell'art. 2 che fornisce la nozione base di occasione di lavoro,
provvedendo cosi
ad una ampia opera ricostruttiva dell'istituto.
A tale riguardo, partendo dalla considerazione, da una parte che il percorso
casa-lavoro
può essere considerato un'attività preparatoria alla prestazione
vera e propria, come tale
potenzialmente iscrivibile nel rischio specifico improprio, dall'altra
che il rischio della strada è
un rischio generico gravante su tutti gli utenti, ha richiesto un quid
pluris, connesso alle
esigenze lavorative, che rendesse il rischio generico della strada aggravato
per il
lavoratore.
Attraverso una pluridecennale elaborazione giurisprudenziale, questa Corte
ha fissato i
criteri generali per valutare quando l'infortunio nel percorso casa-lavoro
possa ritenersi
avvenuto in occasione di lavoro e sia perciò indennizzabile, nonché
una casistica degli
aggravamenti tipici, per causa di lavoro, del rischio generico.
La prima ipotesi è stata, ovviamente, quella della strada che presenti
rischi diversi da quelli
delle ordinarie vie di comunicazione, come sarebbe ad. es. una strada di
montagna (Cass.
20.3.1985, n. 2050), o che conduca esclusivamente al posto di lavoro.
Perso l'interesse, per ragioni storiche, alle antiche ipotesi delle strade
infestate dal
banditismo, l'elaborazione si è concentrata su quelle, attualmente
dominanti, di uso del
mezzo meccanico proprio.
L'attenzione si è così spostata dalle obiettive caratteristiche
di pericolosità del percorso
(potremmo dire di hardware) alle condizioni soggettive dello spostamento
del singolo
lavoratore, derivanti dalla organizzazione dei mezzi pubblici di trasporto,
assunti come
parametro di parità di rischio con i comuni utenti della strada;
sicché da una parte l'uso del
mezzo pubblico non consentiva la qualificazione di infortunio in itinere
(Cass. 11.4.1998 n.
3742), dall'altra l'aggravamento di rischio derivante dal mezzo meccanico
proprio è stato
ritenuto giustificante il nesso eziologico con il lavoro quando il lavoratore
sia costretto ad
usarlo per l'assenza di mezzi pubblici tra la dimora ed il luogo di lavoro
(Cass. 12.6.1982 n.
3583), o perché imposto o autorizzato, per interesse aziendale,
dal datore di lavoro.
Nella considerazione delle esigenze personali del lavoratore, la giurisprudenza
si è
ulteriormente affinata dando rilievo ai particolari obblighi di orario
e alle altre caratteristiche
della prestazione del lavoratore, ed a quelle attinenti alla salute, alla
funzione familiare,
alle condizioni economiche.
Ricapitolando la propria giurisprudenza, la Corte ha richiesto che il giudice
del merito accerti
se le esigenze e le modalità della prestazione della specifica attività
lavorativa siano tali da
determinare la necessità di detti mezzi; ed ha precisato che siffatto
accertamento va
operato valutando, alla stregua dei fondamentali principi espressi negli
artt. 3, 31 (e con
questo riferimento si dà ingresso e rilievo giuridico alle particolari
funzioni familiari della
donna lavoratrice, ed alla sua esigenza di abbreviare al massimo il tempo
di trasferimento
casa-lavoro), 32, 35 e 36 della Costituzione:
a) se i mezzi pubblici di trasporto coprano l'intero percorso tra il luogo
di abitazione e quello
di lavoro;
b) se gli orari dei servizi pubblici siano compatibili con l'orario di
lavoro;
c) se, comunque, le condizioni del servizio pubblico siano tali da creare
rilevante disagio per
il lavoratore, prolungandone oltre misura l'assenza dalla famiglia;
d) se siano approntati, da parte del datore di lavoro, mense ed alloggi
idonei (anche in
relazione alla loro ubicazione rispetto all'azienda) a consentire la sosta
o il pernottamento
dei lavoratori, qualora la distanza dal luogo di abitazione sia tale da
rendere indispensabile
detto pernottamento;
e) se rimanga salvaguardata per il cittadino la libertà di scelta
del luogo di abitazione, in
relazione sia alle esigenze umane e familiari sia alla situazione economico-sociale
del
medesimo (Cass. 27.5.1982 n. 3273).
In questo quadro giurisprudenziale, affinatosi ma rimasto sostanzialmente
stabile per
decenni nel suo unitario schema logico giuridico, dunque, l'elemento finalistico
del viaggio,
non avente con il lavoro alcun criterio di collegamento né topografico
né temporale, non era
sufficiente ad integrare l' occasione di lavoro, ma occorreva un ulteriore
elemento di
aggravamento del rischio generico.
Focalizzando l'attenzione sul rapporto di necessaria connessione dell'iter
con gli specifici
obblighi lavorativi, già presente nella giurisprudenza citata, questa
Corte (sent. 19.1.1998
n. 455) è infine pervenuta alla meditata conclusione che tale rapporto
finalistico (o
strumentale) dell' iter con il lavoro è sufficiente ad integrare
il quid pluris richiesto perché
l'infortunio in itinere possa considerarsi avvenuto in occasione di lavoro;
con la
conseguenza che vi è indennizzabilità dell' infortunio in
itinere tutte le volte che il
lavoratore abbia coperto la distanza casa-lavoro a piedi (Cass. 5.5.1998
n. 4535) o facendo
uso del mezzo pubblico.
Su tale conclusivo approdo si è attestata la giurisprudenza di legittimità
successiva (Cass.
19.2.1998 n. 1751, 27.2.1998 n. 2210, 16.10.1998 n. 10272, 24.10.1998 n.
10582,
3.11.1998 n. 11008, 17.5.2000 n. 6431), e tale quadro normativo e stato
recepito dal
legislatore, il quale con la Legge 17 maggio 1999, n. 144, ha delegato
il Governo (art. 55
lett. U) a dettare una specifica normativa per la tutela dell'infortunio
in itinere, ponendogli
come criterio direttivo il recepimento dei princìpi giurisprudenziali
consolidati in materia; ed il
legislatore delegato, nell'attuare la delega con l'art . 12 del D. Lgs
23 febbraio 2000, n. 38,
si è ispirato al conclusivo approdo della giurisprudenza di legittimità
da ultimo ricordato,
disponendo che, limitatamente alle persone assicurate (con ciò
superando alcune
perplessità di carattere costituzionale che avevano ostacolato l'esercizio
della delega negli
anni sessanta), l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi durante
il normale percorso
di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; ed aggiungendo,con
perfetta
coerenza con i criteri della legge delega, che l'assicurazione opera anche
nel caso di utilizzo
del mezzo di trasporto privato, purchè necessitato.
A tale quadro normativo si è ispirata la sentenza impugnata, come
si deduce dell'analisi
degli elementi fattuali implicanti la necessità del mezzo proprio,
dalla medesima compiuti,
sicché non sussiste il dedotto vizio di violazione di legge.
Non sussiste neppure il vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., perché il
Tribunale, con motivazione
completa ed incisiva, ha esaminato tutti gli aspetti rilevanti della vicenda,
con ciò
espressamente o implicitamente escludendo la rilevanza delle odierne censure:
quanto al
tempo di attesa dell'autobus, esso può essere evitato con una oculata
gestione dei tempi
in rapporto a quelli noti della frequenza delle corse; quanto alle esigenze
domestiche, non
è specificata l'età e le condizioni di salute dei genitori
e del figlio, né l'occupazione e gli
orari del marito, il quale ha l'onere di concorrere con la moglie all'allevamento
del figlio e
alla gestione familiare.
Il ricorso va pertanto respinto.
Nulla per le spese, a norma dell'art. 152 d.a.c.p.c
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese
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