Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 17 novembre
2000 n. 14899 sulla nullità delle clausole di contratti di mutuo
che prevedono interessi usurari, anche anteriori alla legge sull’usura
L. n. 108/1996
S E N T E N Z A
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Glauco Malmesi
conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Forlì, la s.p.a.
UCB -Credicasa,
esponendo di
aver stipulato con la convenuta, in data 29 maggio 1993, un contratto di
mutuo ipotecario
di lire 55.000.000, da destinare all' acquisto di un immobile, obbligandosi
al
rimborso mediante
rate mensili al tasso annuo del 15/55% costante per i primi cinque anni
e
con un prospetto
di ammortamento che prevedeva rate crescenti: poiché alla fine del
1994,
a fronte di
versamenti per lire 10.324.709, il debito capitale si era ridotto a sole
lire
52.020.997,
era evidente che non esisteva un equilibrio sinallagmatico. L'attore chiedeva,
quindi, che
fosse dichiarata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità
sopravvenuta
e che la banca fosse condannata al risarcimento dei danni.
Costituitasi,
la convenuta resisteva alla domanda, eccependo pregiudizialmente
l'incompetenza
per territorio del giudice adito. Con sentenza non definitiva del 14 maggio.
1996, il Tribunale
dichiarava la propria competenza e, con ordinanza in pari data, fissava
per
la prosecuzione
del giudizio l'udienza del 27 giugno 1996 (poi rinviata d'ufficio al 6
novembre
'96): con sentenza
definitiva del 19 marzo 1997, rigettava la domanda. L'impugnazione
proposta dal
Melmesi veniva respinta dalla Corte d'Appello di Bologna con sentenza 25
giugno 1998.
Osservava la
Corte, per quanto in questa sede rileva, che i primi giudici avevano
correttamente
dichiarato inammissibile la domanda subordinata di nullità della
clausola
contrattuale
relativa agli interessi, formulata per la prima volta in sede di precisazione
delle
conclusioni,
con riferimento all'entrata in vigore della legge n.108 del 1996: la tesi
dell’appellante,
secondo cui la domanda sarebbe stata tempestiva, perché proposta
nel
primo atto difensivo
successivo a detta legge e perché controparte non ne aveva
comunque eccepito
la preclusione, non poteva essere condivisa, atteso che, sotto il primo
profilo, già
anteriormente alla riforma del 1996 il secondo comma dell'art. 1815 c.c.
prevedeva la
nullità della clausola con la quale fossero stati convenuti interessi
usurari, con
la conseguenza
che il Malmesi avrebbe potuto dedurne la nullità sin dall'atto di
citazione, a
nulla rilevando
lo "ius superveniens", tanto più che la legge n.108 è entrata
in vigore il 9
marzo 1996 e
nessuna domanda era stata avanzata all'udienza del 6 novembre successivo;
sotto il secondo
profilo, la novità della domanda è rilevabile d'ufficio e,
in ogni caso, non è
sufficiente
il mero silenzio della controparte per ritenere che abbia accettato il
contraddittorio.
Quanto alla
doglianza del Malmesi circa la rilevabilità d'ufficio della nullità
della clausola con
la quale erano
stati pattuiti gli interessi, la Corte falsinea osservava che il Tribunale
aveva
esattamente
applicato il principio secondo cui la rilevabilità d'ufficio ex
art. 1421 c.c. va
coordinata con
i principi della domanda e della disponibilità delle prove, il giudice
non
potendo prospettarsi
questioni che implichino indagini per le quali manchino gli elementi
necessari, come
nel caso di specie, in cui il carattere usurario degli interessi non risultava
dal contratto
di mutuo, dal quale emergeva soltanto il saggio convenuto. Secondo la Corte
territoriale,
infatti, il riferimento normativo non era l'art. 1 della legge n.108/96,
trattandosi
di contratto
stipulato nel 1993, sibbene l'art. 644 c.p. nel testo anteriormente vigente:
ne
derivava la
necessità di accertare la sussistenza dello stato di bisogno dell'obbligato
e
dell'approfittamento
da parte dell'altro contraente, elementi che non risultavano
direttamente
dagli atti: né valeva richiamare l'art. 185 disp.att. cod.civ.,
dal cui tenore
emerge 'che
si riferisce all'art. 1815 c.c. nell'a formulazione anteriore alla novella
del 1996.
Per la cassazione
di tale sentenza il Malmesi ha proposto ricorso, affidato a tre motivi,
illustrati anche
con memoria. Resiste la Banca UCB s.p.a. (già UCB Credicasa s.p.a.)
con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo
motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 189 cpc,
in
relazione all'art.
360 n.3 dello stesso codice, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale
abbia confermato
la statuizione dei primi giudici circa l'inammissibilità della domanda
subordinata
di nullità della clausola relativa agli interessi del contratto
di mutuo, perché
formulata per
la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.
Secondo il ricorrente,
si sarebbe dovuto considerare che la questione, derivante da "ius
superveniens",
era stata proposta nel primo atto difensivo successivo all'entrata in vigore
della legge
7 marzo 1996 n.108 ("Disposizioni in materia di usura") e dei decreti di
attuazione:
inoltre, v'era stata implicita accettazione del contraddittorio, atteso
che la
banca non ne
aveva eccepito la preclusione.
Occorre rilevare,
anzitutto, che il ricorrente non censura l’ affermazione della Corte falsinea
secondo cui
la questione avrebbe potuto essere dedotta già con l'atto di citazione,
dal
momento che11'art.
1815 c.c. prevedeva comunque - prima della modifica apportata con
l'art. 4 della
legge 7 marzo 1996 n.108 - la nullità della clausola con la quale
fossero stati
pattuiti interessi
usurari (un breve cenno al riguardo è contenuto solo nella memoria
presentata ai
sensi dell'art. 378 c.p.c., peraltro in replica ad argomentazione della
controparte):
trattandosi di ragione concorrente idonea a sorreggere anche da sola la
decisione, sotto
tale profilo il motivo è inammissibile per difetto di interesse
(cfr. Cass.
11902/98, 9866/98,
13117/97), con conseguente irrilevanza della questione relativa allo "ius
superveniens"
ed alla proposizione della domanda nel primo atto difensivo immediatamente
successivo all'entrata
in vigore della 1. 108/96 e dei relativi decreti di attuazione.
Sotto altro
profilo, la censura è infondata: nel ritenere, infatti, che il mero
silenzio della
banca non costituisse
accettazione dal contraddittorio sulla domanda intempestivamente
proposta, il
giudice di merito si è attenuto al principio riferibile alla normativa
previdente alla
novella del
1990 - secondo cui il divieto di introdurre nuove domande nel corso del
giudizio
di primo grado
non è sanzionabile esclusivamente in presenza di un atteggiamento
della
parte interessata
consistente nell'accettazione esplicita del contraddittorio, avvero in
un
comportamento
concludente che ne implichi l'accettazione, tenendo presente che, ai fini
dell'apprezzamento
di tale concludenza, non assume rilievo il semplice protrarsi del difetto
di
reazione e non
può essere attribuito valore indicativo al mero silenzio della controparte
in
sede di precisazione
delle conclusioni, ove la domanda nuova sia proposta in tale sede
(SS.UU. 4712/96
e, più di recente, Cass.11508/98).
Con il secondo
motivo, denunciando violazione dell'art. 1421 c.c., il ricorrente censura
la
sentenza impugnata
per non aver considerato che dagli atti emergevano gli elementi da cui
poter rilevare
d'ufficio la nullità della clausola relativa agli interessi.
Con il terzo
mezzo, infine, denuncia violazione degli artt. 1 L.108/96 e 185 disp.att.
cod.civ:, rilevando,
per un verso, che sull'applicabilità della normativa in tema di
usura non
incide la circostanza
che il contratto di mutuo sia stato stipulato nel 1993, e per altro
verso, che il
ragionamento svolto dalla Corte territoriale circa l'art. 185 disp.att.
cod.civ.
porta alla sua
abrogazione.
Le censure,
che possono essere esaminate congiuntamente per l'evidente connessione,
sono fondate
nei limiti di seguito precisati.
E' fuor di dubbio
che il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di
un contratto o di
una clausola
di esso, ai sensi dell'art. 1421 C.C., vada coordinato con il principio
della
domanda ex artt.
99 e 112 c.p.c. (tra le ultime, Cass. 123/2000 e 1811/99): nel caso di
specie, tuttavia,
la Corte falsinea non ha fatto buone governo di tale principio, essendo
evidente che,
per il tramite della domanda principale di risoluzione del contratto per
eccessiva onerosità
sopravvenuta, era stata contestata l'esecuzione del contratto,
soprattutto
con riferimento alla pattuizione degli interessi, tant'è che la
stessa Corte
territoriale
non ha posto in discussione tale aspetto, limitandosi a rilevare che occorrevano
indagini sul
carattere usuraio degli interessi (in particolare, sullo stato di bisogno
dell’obbligato
e sul consapevole approfittamento di detto stato da parte della banca,
perché
non poteva trovare
applicazione la novella del 1996 in tema di usura, il contratto essendo
del 1993.
Si tratta, allora,
di verificare la conformità a diritto di quest'ultima affermazione,
costituente
la vera "ratio
decidendi" della sentenza impugnata per quanto attiene alla rilevabilità
d'ufficio
della nullità.
Va subito precisato
che, contrariamene all'assunto del ricorrente, a tali fini non rileva l'art.
185 disp.att.
e trans. del codice civile, dal cui tenore si evince chiaramente che si
riferisce
alla formulazione
dell'art. 1815 c.c. anteriore alla modifica apportata dall'art. 4.della
1.
108/96: in altri
termini, la norma in questione è, ora, sostanzialmente inefficace,
dovendosi
ritenere che
la sua vigenza formale sia frutto di insostenibile la tesi che subordina
l'applicabilità
dell'art. 1419, 2° comma, c.c. all'anteriorità della legge rispetto
al contratto,
perché
l'inserimento ex art. 1339 cc. del nuovo tasso incontra l'unico limite
che si tratti di
prestazioni
non ancora eseguite, in tutto od in parte.
Va ora precisato,
con riferimento allo specifico tema del contratto di mutuo, che merita
di
essere condiviso
l'orientamento dottrinario secondo cui l'ampia dizione degli artt. 1339
e
1419, 2°
comma; cod.civ. consente non solo la sostituzione automatica di clausole
con
altre valute
dall'ordinamento, ma anche la semplice eliminazione di clausole nulle senza
alcuna sostituzione,
dovendosi tener conto del maggior spessore della
eteroregolamentazione
nell'ambito della contrapposizione tra autonomia contrattuale ed
imperatività
della norma.
La citata sentenza
n.5286/2000 ha precisato, altresì, che: a) la tesi ha trovato 1’autorevole
avallo della
Corte Costituzionale nella sentenza n.204 del 1997, che ha dichiarato non
fondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 1938 c.c. proprio sulla
base della
considerazione
che, pur avendo carattere innovativo la legge n.154/92 e non applicandosi
retroattivamente,
tuttavia ciò non implica che la disciplina precedente acquisiti
caratteri
ultrattivo;
b) l'obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione,
concretandosi
in una serie di prestazioni successive; c) ai fini ,della qualificazione
usuraria
degli interessi,
il momento rilevante è la dazione e non la stipula del contratto,
come si
evince anche
dall'art. 644 - ter cod.pen. (introdotto dall'art. 11 l. 108/96); d) in
tal senso è
la giurisprudenza
penale di questa Corte, secondo cui la decisione degli interessi non
costituisce
"post factum" non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo
penalmente
rilevante; e)
anche a non voler aderire alla configurabilità della nullità
parziale sopravvenuta,
comunque non
si può continuare a dare effetto alla pattuizione di interessi eventualmente
divenuti usurari,
a fronte di un principio introdotto nell'ordinamento con valore generale
ed
assoluto e di
un rapporto non ancora esaurito.
Quest'ultimo
profilo, in particolare, è stato oggetto di esame da parte della
sentenza
n.1126/2000,
secondo cui "si può ben ritenere che la sopravvenuta legge 108/96,
di per sé
evidentemente
non retroattiva e dunque insuscettibile d'operare rispetto agli anteriori
contratti di
mutuo, sia di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente
alla
regolamentazione
di effetti ancora in corso", quindi, per l’appunto, la corresponsione degli
interessi.
Ne deriva che,
sulla base del contratto di mutuo acquisito agli atti ed in presenza di
un
rapporto non
ancora esaurito all'entrata 'in vigore della legge n.108/96, per il perdurare
dell'obbligazione
di corrispondere, oltre ai ratei di somma capitale, anche gli interessi
(quantomeno,
per il periodo di vigenza del rapporto, fino alla sua eventuale risoluzione),
la
Corte di merito
non poteva escludere radicalmente la rilevabilità d'ufficio della
dedotta nullità
della clausola
relativa agli interessi, sol perché la pattuizione era intervenuta
in epoca
antecedente
all'entrata in vigore della legge n.108 del 1996: al contrario, avrebbe
dovuto
verificare se
detta nullità sussistesse o meno, correlando il convenuto tasso
degli interessi
alla nuova normativa
in tema di mora. Ciò non ha fatto, di talché, in accoglimento
del
ricorso nei
limiti precisati, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro
giudice,
designato in
diversa sezione della Corte d'Appello di Bologna, che si atterrà
a quanto
enunciato in
tema di rilevabilità d'ufficio della nullità (eventuale)
della clausola relativa agli
interessi del
contratto di mutuo.
E' appena il
caso di osservare che le considerazioni svolte dalla banca controricorrente
circa
i tassi massimi
consentiti all'epoca della stipulazione del contratto ed alla stregua dei
decreti
attuativi della
legge n.108/96, ai fini della qualificabilità o meno come usurari
degli interessi
medesimi, attengono
al merito della controversia e non possono trovare ingresso nella
presente sede
di legittimità.
Allo stesso
giudice di invio è demandato di provvedere anche sulle spese del
giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie
il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le
spese, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna.
DEPOSITATA IN
CANCELLERIA Il 17 NOVEMBRE 2000
|