Aggiornamento - Civile

 

 

Cassazione, ordinanza del 12 ottobre 2011, n. 20956, sulla nullità del negozio in frode al divieto del patto commissorio


Il relatore della sezione ha depositato in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con atto di citazione notificato il 17-4-1993 C.S. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma I.M., per sentir dichiarare la nullità dell’atto di compravendita per notaio Perrotta del 5-8-2007, perchè simulato e illecito, in quanto volto ad eludere il divieto del patto commissorio. L’attore chiedeva altresì che venisse riconosciuto il suo diritto di proprietà sull’appartamento oggetto del predetto contratto, invocando in via subordina il riconoscimento in suo favore del relativo acquisto per usucapione, in virtù del possesso continuato e indisturbato per oltre venti anni.

Nel costituirsi, la convenuta contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto.

Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 16-1-2003, rigettava la domanda.

Con sentenza depositata il 3-3-2010 la Corte di Appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da C.D., C. T., C.M. e B.I., quali eredi di C. S., nei confronti di I.C., erede di I. M., dichiarava la nullità dell’atto di compravendita per notaio Perrotta del 5-8-2007 e, conseguentemente, dichiarava gli appellanti, nella qualità, proprietari dell’immobile oggetto di tale contratto.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre I.C., sulla base di un unico motivo.

C.D., C.T., C.M. e B. I. resistono con controricorso.

Rileva in diritto.

Con l’unico motivo il ricorrente, denunciando la violazione degli artt. 2744 e 1963 c.c., l’erronea valutazione della prova ex art. 116 c.p.c. e l’insufficienza, contraddittorietà ed erroneità della motivazione su fatti decisivi della controversia, sostiene che nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, non si è in presenza di un contratto simulato, ma di una vera compravendita con patto di riscatto, nella quale il venditore si è riservato il diritto di riavere la proprietà del bene alienato mediante la restituzione del prezzo, delle spese e degli interessi.

Fa altresì presente che, contestualmente alla vendita, tra le parti è stato stipulato un contratto di locazione che ha consentito al C. di continuare ad abitare nello stesso immobile alienato all’ I., dietro pagamento di un canone.

Il ricorso è inammissibile.

La Corte di Appello, sulla base degli elementi acquisiti, ha accertato, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, che il contratto di compravendita dell’appartamento per cui è causa, pur se ad effetti apparentemente immediati, è stato stipulato a scopo di garanzia, con il fine specifico di attribuire l’immobile al creditore acquirente soltanto nel caso d’inadempimento, da parte del debitore venditore, dell’obbligazione di restituire la somma prestatagli. Essa ha dato un’adeguata e logica motivazione di tale convincimento, ponendo in evidenza una serie di indizi (quali la mancata prova del versamento del prezzo da parte dell’acquirente; la sostanziale ammissione resa in sede d’interrogatorio formale da I.M. circa il prestito elargito al C., per la cui concessione quest’ultimo era stato costretto a stipulare con immediatezza il contratto di compravendita della sua casa di abitazione; la mancata richiesta di verificazione, da parte della convenuta, della sottoscrizione apposta sul contratto di locazione prodotto in giudizio, disconosciuta dall’attore, e la conseguente inutilizzabilità di tale atto; la mancata dimostrazione, da parte dell’attore, del pagamento di canoni di locazione da parte del C., rimasto nella disponibilità dell’appartamento) sintomatici della esclusiva finalità di garanzia dell’adempimento dell’obbligazione contratta dal C. nei confronti dell’ I., perseguita dalle parti attraverso la stipulazione dell’atto pubblico di vendita e della contestuale sottoscrizione di una convenzione avente ad oggetto il patto di retrocessione.

Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto la nullità del contratto in questione, in quanto posto in essere in violazione del divieto del patto commissario sancito dall’art. 2744 c.c., e, conseguentemente, affetto da causa illecita.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, il divieto del patto commissario, sancito dall’art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio, ancorchè di per se astrattamente lecito, che venga impiegato per conseguire il concreto risultato, vietato dall’ordinamento, di assoggettare il debitore all’illecita coercizione da parte del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di conseguire il trasferimento della proprietà di un suo bene, quale conseguenza della mancata estinzione di un debito (v., tra le tante, Cass. 12-1-2009 n. 437; Cass. 11-6-2007 n. 13621; Cass. 19-5-2004 n. 9466; Cass. 2, 20-7-1999 n. 7740).

In particolare, è stato puntualizzato che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio), nell’ambito della quale il versamento del danaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o meno l’obbligo di restituire le somme ricevute. La predetta vendita, infatti, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissario, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime, perciò, una causa illecita che rende applicabile, all’intero contratto, la sanzione dell’art. 1344 c.c. (Cass. 4-3-1996 n. 1657; Cass. 20-7-2001 n. 9900; Cass. 8-2-2007 n. 2725).

Nel caso in esame la Corte territoriale ha accertato la sussistenza di una fattispecie rispondente allo schema negoziale indiretto sopra descritto, avendo dato atto che il versamento del denaro da parte dell’acquirente non aveva costituito il pagamento del prezzo, ma l’adempimento di un mutuo, e il trasferimento del bene era stato previsto in funzione di garanzia, per il caso di mancata restituzione della somma mutuata. Sussistendo, pertanto, l’illiceità dell’operazione negoziale, che si è risolta nella sovrapposizione e sostituzione, alla funzione di scambio tipica del contratto di compravendita, di quella di garanzia dell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, legittimamente è stata ritenuta la nullità del contratto.

La validità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di appello non può essere inficiata dalle deduzioni svolte dal ricorrente, con le quali, in buona sostanza, vengono proposte mere censure di merito, basate su una ricostruzione della vicenda alternativa rispetto a quella posta a base della decisione impugnata. In tal modo, si sollecita a questa Corte una diversa valutazione in fatto delle emergenze processuali, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità. L’accertamento della effettiva volontà delle parti e della concreta portata dell’atto dalle stesse posto in essere, infatti, è compito esclusivo del giudice di merito, che nella specie ha fondato il proprio giudizio su argomentazioni esaustive ed immuni da vizi logici.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c.”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite. Il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Il Collegio, all’esito della discussione, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, ai quali non sono stati opposti validi argomenti nella memoria difensiva depositata dal ricorrente.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.