Cass. Civ., 21 gennaio 2005, n. 1273, sul sale and lease
back e patto commissorio
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 14 dicembre 1995, la s.a.s. "Il Glicine", in persona del socio
accomandatario Ernesto Felicissimo, propose opposizione avverso un
decreto del Presidente del tribunale di Napoli con il quale veniva
ingiunto il pagamento di oltre 500 milioni di lire in favore della
s.p.a. Fime Leasing.
Espose la società opponente:
- che il 4 agosto 1992 era stato stipulato un contratto di locazione
finanziaria in forza del quale la locatrice Fime leasing aveva ceduto
alla Glicine s.a.s. un immobile ubicato in Sorrento (NA) - da destinare
all'attività ricreativa di esercizio di bowling - per la
complessiva somma di oltre 2 miliardi ed ottocento milioni di lire;
- che, contestualmente alla stipula del negozio di leasing, la
società finanziaria (e non la società il Glicine, come
erroneamente indicato nella narrativa della sentenza di appello, per un
evidente lapsus calami) aveva acquistato l'immobile dalla proprietaria,
Mariangela Russo (madre del socio accomandatario della Glicine s.a.s.),
la quale risultava altresì fideiussore, insieme agli altri suoi
figli (soci, a loro volta, della Glicine), del contratto di leasing,
per l'importo di 750 milioni di lire;
- che il corrispettivo della locazione finanziaria sarebbe dovuto
essere pagato in 96 canoni, il primo pari a 175 milioni di lire,
già versato al momento della consegna, i successivi, con cadenza
mensile, dell'importo di circa 28 milioni cadauno;
- che era stato pattuito l'obbligo per l'utilizzatore (e non per il
concedente, come, invece, normalmente prassi contrattuale in analoghe
vicende negoziali) di garantire la consegna del bene entro la data del
31.10.1992;
- che Mariangela Russo aveva dovuto altresì iscrivere ipoteca su
di un altro immobile di sua proprietà, sempre al fine di
garantire il pagamento dell'importo della locazione finanziaria,
nonostante la contestuale esistenza di garanzie personali di tipo
fideiussorio che vedeva obbligato l'intero nucleo familiare Russo
Felicissimo;
- che la Fime leasing aveva ulteriormente preteso che Mariangela Russo
corrispondesse una parte del prezzo ricevuto per la vendita
dell'immobile (circa 200 milioni) alla s.a.s. Glicine nella
qualità di mandataria irrevocabile all'incasso affinché,
a sua volta, quest'ultima versasse tale somma alla stessa Fime a titolo
di pagamento delle spese di prelocazione e del primo maxicanone del
contratto di leasing;
- che, in sintesi, a fronte di un esborso di circa 550 milioni (750 -
200), cui andava aggiunta l'ulteriore somma di circa 900 milioni
impiegati dalla Fime per la ristrutturazione dell'immobile, il gruppo
familiare Russo - Felicissimo si era trovato a dover restituire la
somma di oltre 2 miliardi ed ottocento milioni di lire, di
talché l'intera operazione finanziaria, benché
esplicantesi in atti separati, non poteva che configurare, nel suo
complesso e nella sua interdipendenza, un unico contratto di sale &
lease back, avente la funzione, per l'imprenditore - utilizzatore, di
procurarsi liquidità (ovvero, in subordine, un contratto di
mutuo assistito da garanzia atipica), nullo perché viziato,
comunque, dalla finalità illecita di aggirare il divieto del
patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c.;
Il tribunale di Napoli rigetterà l'opposizione, osservando che
la configurabilità di un contratto di leasing elusivo del
divieto di cui all'art. 2744 c.c., tutte le volte in cui l'interprete
si trovava al cospetto di una struttura negoziali trilaterali,
postulava indefettibilmente che detto schema trilatero avesse carattere
solo formale e apparente (come nel caso di alienazione di immobili ad
una società di leasing da parte dei membri di una società
di persone e di conseguente concessione in locazione ad una
società di capitali di cui gli alienanti fossero gli unici
soci), mentre, nella specie, la Russo era terza rispetto alla
società il Glicine, né il bene venduto era stato
utilizzato da quest'ultima anteriormente alla concessione del leasing
(sicché andava esclusa tanto la possibilità che essa ne
vantasse una disponibilità anche meramente attuale in epoca
anteriore alla stipula del contratto, quanto la configurabilità
dell'alienazione in termini di preordinazione alla costituzione di
liquidità in favore dell'impresa), mentre la circostanza per cui
parte del corrispettivo della vendita risultava vincolato a garanzia
del pagamento del primo maxicanone da parte della Glicine trovava
giustificazione nella qualità di fideiussore assunta dalla Russo
(che aveva pur sempre incassato l'importo residuo). Difettava, inoltre,
secondo il tribunale partenopeo, l'identità tra il bene alienato
e quello concesso in leasing, oggetto del quale non era, difatti,
l'immobile stesso in sé considerato, bensì "un mix di
beni e di immobili da realizzare secondo le esigenze e le indicazioni
prospettate dall'utilizzatore", sicché l'intera vicenda era, nel
suo complesso, giuridicamente inquadrabile nell'ambito del "sottotipo"
contrattuale del leasing di impianto completo (avente ad oggetto un
impianto personalizzato ancora da costruire). "Pur essendo
astrattamente configurabile una violazione del divieto del patto
commissorio in relazione a beni di proprietà di terzi (che
alienino beni propri a garanzia di un debito altrui)", proseguiva il
tribunale, "nel caso di specie non è possibile individuare il
debito garantito, essendo il bene definitivamente uscito dal patrimonio
della Russo senza possibilità di farvi ritorno neppure in
ipotesi di puntuale adempimento del contratto di leasing, essendo il
relativo diritto di opzione riservato non all'alienante ma alla s.a.s.
il Glicine".
La Corte d'appello partenopea, adita dai soccombenti soci
dell'accomandita e dalla Russo, ribalterà in toto il giudizio
del tribunale, dichiarando la nullità del contratto di
compravendita stipulato tra Mariangela Russo e la Fime leasing, la
nullità del contratto di locazione finanziaria intercorso tra
quest'ultima e la s.a.s. il Glicine, la nullità delle
fideiussioni prestate dal gruppo familiare Russo - Felicissimo, la
nullità, infine, dell'atto di costituzione di ipoteca prestata
dalla Russo.
Queste le motivazioni della Corte napoletana, per quanto ancora di
rilievo in seno al presente giudizio di legittimità:
- la natura trilatera del contratto di leasing (natura che, secondo il
giudice di prime cure, ne impediva la configurabilità in termini
di sale & lease back) era "soltanto formale", atteso che, all'atto
della vendita alla società finanziaria, l'immobile era
già nella disponibilità di fatto non più della
alienante Russo, ma della società il Glicine (che, per aver
ottenuto dal Comune l'autorizzazione all'esercizio dell'attività
di bowling, doveva necessariamente essere in possesso di un titolo
idoneo alla presentazione della relativa richiesta),
disponibilità di cui la stessa locatrice finanziaria era a
conoscenza, come risultante dalla premessa del contratto di leasing;
- l'interesse economico sotteso alla complessa operazione attuata
attraverso i due contratti, di compravendita e di successivo leasing,
era evidentemente comune alla Russo ed alla società dei figli,
atteso che la prima, nell'alienare l'immobile già nella
disponibilità dei medesimi, era a conoscenza del debito nei
confronti della Fime, tanto da rinunciare a poco meno di un terzo del
prezzo di vendita (oltre 200 milioni) per pagare le spese di
prelocazione ed il primo canone;
- la prestazione della fideiussione da parte della Russo non
giustificava tale circostanza, avendo quest'ultima effettuato il
pagamento prima della scadenza del debito della società senza
che la Fime ne effettuasse richiesta scritta (come pure stabilito dalla
clausola n. 2 del contratto di fideiussione), mentre la costituzione di
ipoteca a garanzia del pagamento dei canoni di leasing su altro
immobile di sua proprietà avveniva contestualmente alla
sottoscrizione del contratto di fideiussione e sempre presso la sede
della società finanziaria;
- complessivamente considerati, tutti tali elementi indicevano a
ritenere che i due contratti, di vendita e di sale & lease back,
apparivano manifestamente concepiti e posti in essere in stretta
connessione tra loro, in funzione dell'unico scopo di garanzia (di
restituzione) della somma mutuata. Il collegamento negoziale, difatti,
era ben ipotizzabile anche in caso di stipula dei contratti collegati
tra soggetti diversi, purché funzionalmente connessi e
interdipendenti;
- la realizzazione di un scopo pratico unitario di garanzia era
legittimamente predicabile, in relazione all'intera operazione
negoziale, avuto riguardo alle conseguenze connesse alla mancata
restituzione della somma da parte del debitore - mutuatario,
dacché l'acquisto del bene e la sua successiva concessione in
leasing consentivano, difatti, il recupero della somma mutuata
attraverso il pagamento dei canoni della locazione finanziaria, mentre,
in caso di inadempimento, il mancato ritrasferimento del bene in capo
al debitore e la sua conseguente, definitiva permanenza nel patrimonio
del creditore consentivano di garantire il debito;
- irrilevante era a dirsi la circostanza della fuoriuscita del bene dal
patrimonio della Russo, per essere il patto di opzione previsto solo in
favore della società il Glicine, in quanto lo stretto rapporto
di parentela tra l'alienante (madre) gli unici soci della
società (i suoi figli) e la disponibilità di fatto
dell'immobile - con destinazione all'attività ricreativa
convenuta - in capo alla società medesima prima che esso fosse
concesso in leasing in funzione della detta attività apparivano
inequivoci indici della compartecipazione di fatto dell'alienante
all'attività economica della società utilizzatrice
già prima dell'operazione conclusa con la società
finanziaria;
- erano, pertanto, presenti nella fattispecie tutti gli elementi
comunemente individuati dalla stessa giurisprudenza di
legittimità come indici di riconoscibilità di un lease
back vietato: la presenza di una situazione credito - debitoria
contestuale alla vendita, la sproporzione tra entità del prezzo
e valore del bene alienato e, più in generale, tra le reciproche
obbligazioni nascenti dal rapporto, significative della circostanza che
la predetta vendita, nel quadro del rapporto diretto ad assicurare
liquidità all'impresa alienante, era stata piegata al
rafforzamento della posizione del creditore - finanziatore, il quale,
in tal modo, tentava di acquisire l'eccedenza del valore abusando della
debolezza del debitore;
- era conseguentemente predicabile, nella specie, l'esistenza di una
vendita con funzione di garanzia, illecita ex art. 2744 c.c., e non di
una vendita a scopo di leasing, attese, ancora, le circostanze della
detrazione parziale di prezzo dovuto alla venditrice da parte della
società di leasing; della considerevole inferiorità del
prezzo versato a quello corrente; dell’assoluta simbolicità del
prezzo di opzione (previsto nella misura dell'1% rispetto al valore
dell'immobile alienato); della complessiva e grave sproporzione tra le
reciproche obbligazioni.
Impugna la sentenza della Corte partenopea la Fime leasing, con ricorso
affidato a due complessi motivi di doglianza.
Resistono con controricorso la società il Glicine,
nonché, singolarmente, Ernesto, Amalia, Carla e Massimiliano
Felicissimo, nonché Mariangela Russo.
La Fime leasing ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato, anche se la
motivazione della sentenza d'appello deve essere per un verso corretta,
per l'altro integrata.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione dei principi e delle norme che caratterizzano il contratto
atipico di sale & lease back, che non é ravvisabile in
presenza di rapporto trilatero; violazione e falsa applicazione
dell'art. 2744 c.c. e dei principi che disciplinano il divieto del
patto commissorio; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.
e dei principi che disciplinano l'onere della prova, in particolare
dell'art. 2729 c.c. e dei principi che disciplinano le presunzioni;
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia e, in particolare, sull'esclusione, nella fattispecie, del
requisito della trilateralità, che esclude l'operazione di sale
& lease back.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole di un'ulteriore
violazione e falsa applicazione dei principi che richiedono
l'identificazione di due autonomi patrimoni e di due persone in ipotesi
di persona giuridica e persona fisica; violazione del principio che
esclude la società di fatto tra persona giuridica e persona
fisica; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dei
principi che disciplinano la prova, in particolare l'istituto delle
presunzioni di cui all'art. 2729 c.c.; insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione all'interpretazione
di contratti dichiarati nulli; violazione e falsa applicazione dei
principi che caratterizzano il contratto atipico di sale & lease
back; violazione e falsa applicazione dell'art. 2744 c.c..
Alla soluzione del caso di specie vanno premesse alcune considerazioni,
di carattere più generale, funzionali al compimento di una
ineludibile actio finium regundorum tra gli istituti del leasing puro,
del sale & lease back, della vendita a scopo di garanzia, del
collegamento negoziale, del patto commissorio.
1. - E' noto come la giurisprudenza di questa Corte abbia avuto a
più riprese modo di occuparsi delle fattispecie negoziali del
leasing e del lease & sale back con riferimento alla fattispecie
chi cui all'art. 2744 c.c. (il cd. patto commissorio). In particolare,
con la sentenza 16 ottobre 1995, n. 10805 di questa stessa sezione,
sono stati affermati i principi di diritto secondo i quali nel
contratto di sale and lease back, con il quale una impresa commerciale
o industriale vende un bene immobile di sua proprietà ad un
imprenditore finanziario che ne paga il corrispettivo, diventandone
proprietario, e contestualmente lo cede in locazione finanziaria alla
stessa venditrice, che versa periodicamente dei canoni di leasing per
una certa durata, con facoltà di riacquistare la
proprietà del bene venduto, corrispondendo al termine di durata
del contratto il prezzo stabilito per il riscatto, la vendita ha scopo
di leasing e non di garanzia perché, nella configurazione
socialmente tipica del rapporto, (essa) costituisce solo il presupposto
necessario della locazione finanziaria, inserendosi nella operazione
economica secondo la funzione specifica di questa, che é quella
di procurare all'imprenditore, nel quadro di un determinato disegno
economico di potenziamento dei fattori produttivi, liquidità
immediata mediante l'alienazione di un suo bene strumentale,
conservandone l'uso con facoltà di riacquistarne la
proprietà al termine del rapporto.
Tale vendita - recita, ancora, la massima estratta dalla sentenza -, ed
il complesso rapporto atipico nel quale si inserisce, non è,
quindi, di per sé, in frode al divieto di patto commissorio che
- essendo diretto ad impedire al creditore l'esercizio di una coazione
morale sul debitore spinto alla ricerca di un mutuo (o alla richiesta
di una dilazione, nel caso di patto commissorio ab intervallo) da
ristrettezze finanziarie, ed a precludere, quindi, al predetto
creditore la possibilità di fare proprio il bene attraverso un
meccanismo che lo sottrarrebbe alla regola della par condicio
creditorium -, deve, invece, ritenersi violato ogni qualvolta lo scopo
di garanzia non costituisca solo motivo, ma assurga a causa del
contratto di vendita con patto di riscatto o di retrovendita, a meno
che non risulti in concreto, da dati sintomatici ed obiettivi, quali la
presenza di una situazione credito - debitoria preesistente o
contestuale alla vendita, o la sproporzione tra entità del
prezzo e valore del bene alienato (e, in altri termini, delle
reciproche obbligazioni nascenti dal rapporto), che la predetta
vendita, nel quadro del rapporto diretto ad assicurare una
liquidità all'impresa alienante, é stato piegato al
rafforzamento della posizione del creditore - finanziatore, che in tal
modo tenta di acquisire l'eccedenza del valore, abusando della
debolezza del debitore (nella specie, la Corte ha peraltro ritenuto la
nullità di un contratto di sale and lease back nel quale il
finanziatore acquirente del bene aveva versato solo la metà del
prezzo concordato, depositando la rimanente somma presso un notaio a
garanzia del corrispettivo del leasing dovuto dall'imprenditore
venditore).
2. - La sentenza contiene, in limine, un'ampia ricognizione dei
principi regolatori dell'istituto di cui all'art. 2744 c. c. (cd. patto
commissorio), norma che, come noto, dispone la nullità
dell'accordo "con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento
del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa
ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo
anche se posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno". Si
legge, in seno all'ampia motivazione della pronuncia predetta, che,
avendo l'espressa comminatoria di nullità espunto dalla pratica
degli affari la fattispecie legale illecita concernente il patto
commissorio aggiunto ad ipoteca, pegno o anticresi, "è sorta
questione se la nullità riguardasse, o meno, anche il patto
commissorio autonomo, e cioè l'operazione contrattuale, di
regola integrata da una alienazione in funzione di garanzia, che di per
sé preveda che la proprietà della cosa alienata in
garanzia passi al creditore in mancanza del pagamento del credito nel
termine fissato. E la risposta della giurisprudenza della S.C. (sent.
n. 282/74) e della dottrina è stata concordemente positiva, sul
rilievo, tra l'altro, che il risultato giuridico - economico
dell'operazione è equivalente a quello espressamente sanzionato,
mentre meno omogenea è apparsa l'individuazione della ragione
giustificatrice della ritenuta nullità del patto commissorio
(sia accessorio che autonomo): le tesi tradizionali hanno individuato
il fondamento del divieto nell'esigenza di tutela dei debitori -
esposti, a causa del bisogno, a subire il rischio di un approfittamento
da parte dei creditori -, ovvero di tutela dei creditori - risultando
leso il principio della par condicio -, o di entrambe le categorie,
mentre, su un piano diverso, é stato sottolineato il contrasto
del potere di autosoddisfacimento del creditore con l'esclusiva statale
della funzione esecutiva, ed ancora, secondo altra tesi, il divieto si
giustificherebbe con l'esigenza di evitare che il patto, quale clausola
di stile, determini l'instaurarsi di un sistema di garanzia inidoneo ad
esprimere un assoggettamento del patrimonio del debitore esattamente
adeguato alla funzione di garanzia. A sua volta, la giurisprudenza di
questa S.C., dopo avere per lungo tempo affrontato la questione della
liceità o illiceità del patto commissorio autonomo con
riferimento alla decorrenza degli effetti del trasferimento della cosa
alienata in garanzia (si predicava, difatti, costantemente la
liceità della vendita fiduciaria a scopo di garanzia,
accompagnata dal patto di riscatto o di ritrasferimento, se
caratterizzata da un trasferimento effettivo ed immediato della
proprietà al creditore, ritenendo viceversa nulla, ai sensi
dell'art. 2744 c.c., la vendita dissimulante un mutuo con patto
commissorio ricorrente nell'ipotesi in cui le parti, pur dichiarando
formalmente di voler vendere ed acquistare, concordano in sostanza che
il creditore acquirente diventerà proprietario soltanto se il
debitore ed alienante non estinguerà il debito nel termine
pattuito, attuando così una vendita sottoposta a condizione
sospensiva; ex multis, Cass. nn. 1004/62 e 642/80), abbandonò
tale, discutibile criterio distintivo, rilevando come anche nella
vendita con patto di riscatto o di retrovendita, se conclusa a scopo di
garanzia, l'effetto traslativo diviene definitivo ed irrevocabile
soltanto a seguito dell'inadempimento del mutuatario, così che,
ove risulti l'intento primario delle parti di vincolare il bene a
garanzia ed in funzione del rapporto di mutuo, la complessa convenzione
- in quanto produttiva degli stessi effetti di una alienazione
sottoposta a condizione sospensiva e caratterizzata da un nesso
teleologico e strumentale tra i due negozi di mutuo e di compravendita
- presenta una causa effettiva divergente da quella tipica della
compravendita, di natura sicuramente illecita, in quanto volta a
frodare il divieto del patto commissorio attraverso il ricorso ad un
procedimento simulatorio: tale, nuovo orientamento venne fatto proprio,
come noto, dalle Sezioni unite, con due sentenze (1611 e 1907 del 1989)
le quali, premesso, in adesione alla tesi tradizionale, che il divieto
di patto commissorio è diretto ad impedire al creditore
l'esercizio di una coazione morale sul debitore, spesso spinto alla
ricerca di un mutuo (o alla richiesta di una dilazione, nel caso di
patto commissario ex intervallo) da ristrettezze finanziarie, con
facoltà di far proprio il bene, attraverso un meccanismo che gli
consenta di sottrarsi alla regola della par condicio creditorum,
affermeranno poi, con radicale revirement rispetto alla giurisprudenza
precedente, che, nella vendita con patto di riscatto o di retrovendita
a scopo di garanzia, questa non costituisce soltanto motivo, ma assurge
a dignità di vera e propria causa del negozio, in quanto il
trasferimento della proprietà trova obiettiva giustificazione
nel fine di garanzia, e tale causa è inconciliabile con quella
della vendita, posto che il versamento del denaro non costituisce
pagamento del prezzo, ma esecuzione di un mutuo, mentre il
trasferimento del bene non integra l'attribuzione al compratore,
bensì l'atto costitutivo di una posizione di garanzia
innegabilmente provvisoria, in quanto suscettibile di evolversi a
seconda che il debitore adempia o meno. E', dunque, proprio la
provvisorietà che costituisce l'indice rivelatore della causa di
garanzia, e quindi della divergenza tra causa tipica del negozio
prescelto e determinazione causale concreta, funzionale alla elusione
di una norma imperativa, quale l'art. 2744 c.c.: le parti, invero,
adottando uno schema negoziale astrattamente lecito per conseguire un
risultato vietato dalla legge, realizzano un'ipotesi di contratto in
frode alla legge (art. 1344 c.c.) va quindi ribadito la
sanzionabilità in termini di nullità della vendita con
patto di riscatto (o di retrovendita, o, più in generale, di
tutte quelle alienazioni che, funga l'adempimento del sottostante
debito da condizione sospensiva ovvero risolutiva) che, risultando
inserite in un più complesso tessuto negoziale, caratterizzato
dalla preesistenza/sussistenza di un rapporto credito-debito tra
venditore ed acquirente, siano "piegate" al perseguimento non
già di un trasferimento di proprietà, bensì di un
rafforzamento, in funzione di subordinazione e di accessorietà
rispetto al mutuo, della posizione del creditore, suscettibile di
determinare la (definitiva) acquisizione della proprietà stessa
sul bene in caso di inadempimento del debito garantito (così
realizzando il risultato giuridico ed economico vietato dall'art. 2744
c.c.). Quanto agli elementi sintomatici idonei a disvelare la
consumazione di una siffatta operazione fraudolenta, più che
l'indagine sull'atteggiamento soggettivo delle parti (valorizzata dalla
sentenza di questa Corte n. 3800/83, non seguita, peraltro, sul punto,
dalle Sezioni Unite), va piuttosto predicata la necessità di
accertamento di dati obiettivi (riportati puntualmente dalla sentenza
d'appello oggi impugnata), quali la presenza di un rapporto
credito-debito preesistente o contestuale alla vendita e, soprattutto,
la sproporzione tra entità del debito e valore del bene allenato
in garanzia (significativo indice della presenza di un illegittimo
vulnus alla libera determinazione volontaristica del debitore. Ogni
profilo di illiceità é invece escluso, pur in presenza di
costituzioni di garanzie che presuppongano un trasferimento di
proprietà, qualora queste risultino integrate entro schemi
negoziali che tale abuso escludono in radice, come nel caso del pegno
irregolare, del riporto finanziario e del c.d. patto marciano - in
virtù del quale, come è noto, al termine del rapporto si
procede alla stima, ed il creditore, per acquisire il bene, è
tenuto al pagamento dell'importo eccedente l'entità del
credito-)”.
3. - Quanto alla fattispecie negoziale dal sale & lease back, essa,
secondo un'opinione largamente diffusa in dottrina, si struttura
secondo uno schema negoziale, socialmente tipico (in quanto
frequentemente applicato, sia in Italia che all'estero, nella pratica
degli affari), contrassegnato da specificità di struttura e di
funzione (e quindi da originalità ed autonomia rispetto ai
"tipi" negoziali codificati dal legislatore del '42), ascrivibile, in
definitiva, ai c.d. "contratti di impresa". Con il sale & leale
back (in definitiva, una vendita con leasing di ritorno), un'impresa (o
un lavoratore autonomo) vende un proprio bene (mobile o immobile), di
natura strumentale per l'esercizio dell'impresa o dell'attività,
ad una società di finanziamento la quale, a sua volta, lo
concede contestualmente in leasinq all'alienante, che corrisponde, per
la relativa utilizzazione, un canone, con facoltà, alla scadenza
del contratto, di riacquistarne la proprietà esercitando un
diritto di opzione per un predeterminato prezzo.
Sotto l'aspetto strutturale, dunque, la fattispecie si colloca nella
più vasta orbita del leasing - istituto che, come noto, a
seguito delle agevolazioni fiscali per esso previste, ha avuto un
notevole sviluppo nella prassi, e del quale è prevalentemente
predicata, in dottrina, la atipicità contrattuale (anche se non
ne sono mancano ricostruzioni in termini di negozio misto, ovvero
assimilazioni funzionali a contratti tipici quali locazione, affitto,
vendita con riserva di proprietà). Manca, peraltro, nel sale and
lease back, quella trilateralità propria del leasing,
(sicché in tal senso va interpretato e corretto l'incipit della
massima estratta dalla sentenza 6663/1997 di questa stessa sezione,
secondo la quale "poiché il contratto di sale & lease back
é trilaterale.... per l'ipotizzabilità del patto
commissorio é necessario dedurre l'interposizione fittizia
dell'utilizzatrice: la motivazione della sentenza stessa chiarisce,
difatti, la natura evidentemente bilaterale della fattispecie, e
l'erroneità della proposizione inizialmente predicata in terna
di trilateralità del sale & lease back) perché due
soltanto sono, e possono essere, i soggetti dell'operazione, ovvero
della "relazione bilaterale", non ricorrendo, nella peculiare
fattispecie, la figura del terzo da cui il lessor si procuri la
disponibilità del bene da concedere all'utilizzatore.
Trilateralità esclusa, dunque, in quanto l'utilizzatore assume
il duplice ruolo (divenendo parte di due distinti anche se connessi
contratti), del fornitore-venditore e dell'utilizzatore vero e proprio.
Entrambe le convenzioni negoziali divisate dalle parti (di vendita e di
leasing) si realizzano, dunque, tra gli stessi soggetti, secondo un
procedimento non diverso da quello dell'antico costituto possessorio, e
la vicenda contrattuale, al pari di qualunque altra fattispecie di
collegamento negoziale, viola la suddetta ratio del patto commissorio
sol che (e tutte le volte che) il debitore, allo scopo di garantire al
creditore l'adempimento dell'obbligazione, trasferisca a garanzia del
creditore un proprio bene, riservandosi la possibilità di
riottenerne la proprietà all'esito dell'adempimento
dell'obbligazione, senza, però riservarsi alcuna facoltà,
in caso di inadempimento, di recuperare l'eventuale eccedenza di valore
del bene rispetto all'ammontare del credito, con un adattamento
funzionale dello scopo di garanzia incompatibile con la struttura e con
la ratio del contratto di compravendita, mentre l'esistenza di una
concreta causa negoziale di scambio (che può riguardare o meno
tanto il lease & sale back quanto lo stesso lo stesso leasing
finanziario) esclude in radice la configurabilità del patto
vietato.
Sotto l'aspetto funzionale, come tutti i contratti atipici, anche il
lease & sale back presenta non poche analogie con figure negoziali
tipiche, tanto da poterne astrattamente ascrivere i caratteri salienti
a "tipi" coritrattuali predeterminati ex lege (vendita; mutuo;
locazione; opzione), secondo un'operazione ermeneutica, peraltro,
affatto riduttiva e non rispettosa della funzione integratrice
dell'ordinamento svolta dall'autonomia contrattuale nel settore dei
traffici commerciali. Autonomamente considerato, difatti, il lease back
si configura come operazione economica complessa, funzionale ad una
esigenza tipicamente ricorrente nell'attività imprenditoriale, e
cioè quella del venditore-utilizzatore, nel quadro di un
determinato disegno economico di potenziamento dei fattori produttivi
di natura finanziaria, di ottenere con immediatezza liquidità
mediante l'alienazione di un suo bene strumentale - di norma inserito
entro un determinato assetto produttivo, non sempre agevolmente
collocabile sul mercato -, conservandone l'uso senza soluzione di
continuità, e con facoltà di riacquistarne la
proprietà al termine del rapporto. E' innegabile che, nella vita
di un'impresa, siffatta esigenza possa fisiologicamente manifestarsi
ove ricorra l'opportunità di smobilizzare precedenti
investimenti sfruttando il valore di scambio degli strumenti di impresa
onde avvalersi della liquidità così ottenuta per
finanziare riconversioni o acquisizioni di nuovi impianti tecnologici,
continuando ad utilizzare, in leasing, il bene strumentale alienato,
con i relativi benefici fiscali, e riservando alla cessazione del
rapporto la scelta tra il riacquisto del bene o la sua restituzione.
Nell'ambito di tale schema, caratterizzantesi come momento di normale
svolgimento dell'attività di impresa, la vendita alla
società di leasing non risulta quindi "normalmente" o
"necessariamente" piegata allo scopo di garanzia, quale accessorio di
un preesistente o concomitante mutuo, ma costituisce il necessario
presupposto per la concessione del bene in leasing; non, dunque, come
si è avuto modo di rilevare, vendita a scopo (necessariamente)
di garanzia, bensì vendita a scopo di leasing. In conclusione,
lo schema negoziale socialmente tipico del lease back presenta
autonomia strutturale e funzionale, quale contratto d'impresa, e
caratteri peculiari, di natura soggettiva ed oggettiva, che non
consentono di ritenere che esso integri, per sua natura, e nel suo
fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile
ai sensi degli artt. 1344 e 2744 c.c. (ovvero, quale negozio atipico,
affetto da illiceità della causa concreta, ex art. 1343 c.c.,
per violazione di norma imperativa, e cioè dell'art. 2744 c.c.).
Ciò non esclude, ovviamente, che anche il lease back, come
qualsiasi altro contratto, possa essere impiegato per scopi illeciti o
fraudolenti, ed in particolare, in ragione della già ricordata
indubbia assonanza tra schemi negoziali, a fini di violazione o di
elusione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c.: a tal
fine, dovrà procedersi a riscontrare l'eventuale sussistenza di
alterazioni dello schema negoziale socialmente tipico, idonee a
denunciare che l'operazione non tende al perseguimento dell'assetto di
interessi proprio del lease back come contratto di impresa,
bensì al perseguimento di uno scopo di garanzia con
caratteristiche integranti la realizzazione del risultato materiale
vietato dall'art. 2744. Oltre all'assenza di uno o più degli
elementi caratterizzanti di tipo soggettivo ed oggettivo sopra
menzionati, il perseguimento di uno scopo di garanzia in violazione
dell'art. 2744 c.c. potrà, quindi, essere denunciato dalle
difficoltà economiche dell'impresa venditrice, legittimante il
sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza,
nonché della concreta valutazione economica dell'affare, in
termini di adeguata proporzionalità delle prestazioni
corrispettive. Valutazione, questa, da condursi avuto riguardo ai
criteri adottati per la stima del prezzo di vendita del bene
strumentale (onde accertarne la corrispondenza a correnti valori di
mercato, correlati, peraltro, alle peculiarità del bene
strumentale ed alla sua eventuale ridotta commerciabilità), per
la determinazione dei canoni del leasing (se in conformità alle
tecniche proprie di siffatta figura contrattuale), e per la
quantificazione del prezzo di opzione (se coerenti con il complessivo
disegno economico perseguito).
4. - Quanto alla fattispecie "madre" del leasing finanziario, è
noto come la legittimità della nuova figura contrattuale sia
stata riconosciuta dalla prima sezione civile di questa Corte con sei
sentenze (del 13 dicembre 1989, dalla n. 5569 alla n. 5574). Tale,
importante arret giurisprudenziale ebbe a individuare, nell'ambito del
leasing finanziario, due distinte figure contrattuali, una delle quali,
in particolare, si connota di un profilo traslativo, perché le
parti, al momento della formazione del contratto, hanno previsto che il
trasferimento del bene all'utilizzatore non costituisce, come nel
leasing tradizionale, un'eventualità del tutto marginale ed
accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al leasing
(sicché proprio la riconosciuta funzione di scambio ha
consentito l'applicazione a questa individuata figura di leasing della
disposizione dell'art. 1526 c.c.).
5. - La fattispecie del collegamento negoziale (di elaborazione
prevalentemente teorica, frutto di costante riflessione e rimeditazione
da parte della dottrina e della giurisprudenza) ha ricevuto, di
recente, anche un espresso riconoscimento normativo (si pensi all'art.
7 del DLGS 358/97, secondo il quale sono inopponibili
all'Amministrazione finanzaria gli atti ed i negozi, anche collegati,
privi di valide ragioni economiche diretti ad aggirare obblighi
previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni d'imposta
o rimborsi altrimenti indebiti, ovvero all'art. 1469 ter, I comma c.c.,
introdotto con legge 52/96, secondo cui la vessatorietà di una
clausola è valutata facendo riferimento alle altre clausole del
contratto medesimo o di un altre collegato o da cui dipende). Altri
ordinamenti continentali avevano, invero, già da tempo
disciplinato giuridicamente la fattispecie (in Germania, in tema di
tutela di credito al consumo, con la Verbraucherkre-ditsgesetz del
17.12. 1990 - la cui rubrica è inequivocabilmente intitolata
Verbundene Geschaefte - lett. negozi collegati -, e fa esplicito
riferimento alla Wirtschaftliche Einheit, e cioè
all'unitarietà economica della vicenda negoziale -, che non
è altro, in tema di opponibilità delle eccezioni relative
al contratto di compravendita direttamente al finanziatore, che la
riproduzione del risalente Abzhalungsgesetz, disciplinante la vendita
rateale, del 1894: secondo tradizione, l'opponibilità delle
eccezioni relative al contratto di vendita viene spiegato con il
ricorso al principio di buona fede nell'esecuzione del contratto. Del
pari, l'ordinamento francese, individuata la stretta relazione causale
tra contratti - contrat principal, contrat de pret -, parla di nuovo
tipo contrattuale, il "contratto di credito", operando, altresì,
un ricorso allo schema della delegazione).
I canoni ermeneutici enucleati da dottrina e giurisprudenza (non sempre
consonanti) in subiecta materna hanno da sempre affrontato la peculiare
problematica dell'armonizzazione di un dato socio-economico unitario e
di un dato giuridico plurimo. Anche in tema di negozi collegati, si
è riproposto l'antico schema dualistico tra criterio soggettivo
d'interpretazione (i negozi collegati in base alla ricostruzione della
volontà delle parti) e criterio oggettivo (il collegamento
negoziale ricostruito in funzione del legame tra le varie funzioni
economico-sociali dei diversi negozi), senza che sia mancata la
proposta, secondo altra parte della dottrina, di sorta di criterio
sintetico tra i due orientamenti, che tenga conto sia dell'elemento
soggettivo che di quello oggettivo (orientamento accolto, peraltro, da
parte della giurisprudenza più recente della S.C.: Cass.
12401/92). La giurisprudenza di legittimità si mostra per lo
più concorde nel tener distinti i piani economico e giuridico
del fenomeno del collegamento: pur essendo sostanzialmente unitario
l'aspetto e l'interesse economico sotteso all'intera operazione, i
singoli negozi restano, dunque, pur sempre autonomi, ed autonomamente
forniti della propria rispettiva causa, il che induce una dottrina
più recente a sostenere che, nei contratti collegati, vada
necessariamente identificata tanto la causa parziale dei singoli
contratti, quanto la causa complessiva dell'operazione, ciò che
sposta il problema del collegamento dal piano strutturale a quello
effettuale, sotto il profilo dell'applicabilità delle regole
della nullità parziale e dell'eccezione di inadempimento.
Criterio guida della giurisprudenza di questa Corte può, ad ogni
buon conto, dirsi quello del simul stabunt, simul cadent, ed oggi, con
ogni probabilità, proprio l'art. 1469 ter fornisce la base
normativa sinora mancante per il definitivo riconoscimento del fenomeno
del collegamento negoziale come istituto giuridico e non soltanto
fenomeno economico, poiché, con riferimento alla clausola
vessatoria, il "significativo squilibrio di una clausola" va valutato
avuto riguardo "all'operazione complessiva" il che consente
l'estensione della regola ermeneutica di cui all'art. 1363 a tutte le
fattispecie di collegamento ritenute tali dall'interprete.
Sulla scorta di tali premesse metodologiche, deve concludersi, quanto
alla specifica vicenda processuale oggi sottoposta all'esame di questa
Corte:
1) per la certa predicabilità di una fattispecie di collegamento
negoziale tra gli atti di compravendita, di fideiussione, di accensione
di ipoteca e di locazione finanziaria di immobile ristrutturato
intercorsi tra la società di finanziamento ed il gruppo
familiare Russo-Felicissimo, secondo la corretta ed analitica
ricostruzione in fatto operata dal giudice di merito, affatto
incensurabile in questa sede;
2) per l'assoluta impredicabilità dell'esistenza di un contratto
di sale&lease back (come condivisibilmente evidenziato dal
ricorrente nel primo dei suoi motivi di doglianza), atteso che, nella
realtà, l'operazione economica-giuridica ideata e realizzata
dalle parti aveva, sotto il profilo soggettivo, indubbio carattere
trilaterale, senza che, peraltro, in seno alla più complessa
vicenda negoziale, fossero in alcun modo riscontrabili gli estremi
dell'interposizione fittizia di persona. La indiscussa "distinzione
soggettiva tra fornitore ed utilizzatore del bene", correttamente
sottolineata dal ricorrente (folio 7 del ricorso) non comporta,
peraltro, come pure auspicato dal ricorrente stesso, la conseguente
"impossibilità, sul piano onto-logico, di ravvisare,
nell'operazione, la sussistenza di un contratto di leasing elusivo del
divieto di cui all'art. 2744 c.c.", e ciò per il motivo, dianzi
illustrato in sede di premesse metodologiche, secondo cui qualsiasi
struttura contrattuale (e, dunque, anche un leasing finanziario "puro")
è astrattamente idonea, in sede di adattamento funzionale
(specie se tale adattamento sia frutto di un più articolato
procedimento di collegamento negoziale), a violare il divieto di patto
commissorio;
3) per la conseguente, indiscutibile esclusione di qualsiasi ipotesi di
interposizione fittizia dell'alienante (essendo la Russo
indiscutibilmente "terza" rispetto alla società utilizzatrice,
atteso che il suo vincolo parentale con i soci di quest'ultima non
consente, in mancanza di qualsivoglia prova di un'intestazione di tipo
soltanto fittizia del bene venduto, di predicare l'esistenza di un atto
di alienazione relativamente simulato sotto il profilo soggettivo,
attesa l'autonomia patrimoniale dei soggetti protagonisti della
vicenda, e la non identificabilità dell'alienante con
l'utilizzatore);
4) per l'altrettanto certa predicabilità, con riguardo
all'intera operazione negoziale funzionalmente collegata (si come
correttamente ritenuto dal giudice del merito), della violazione del
patto commissorio, avendo le parti stipulato, da un canto, un leasing
finanziario puro (e non, dunque, un sale & lease back), dall'altro,
atti negoziali ad esso collegati (compravendita, fideiussioni, patto di
opzione, accensione di ipoteca) che, al di là delle disarmonie
soggettive, conducano inevitabilmente a concludere per la realizzazione
di una fattispecie rientrante tra quelle vietate dall'art. 2744 c.c..
Tale, dunque, la soluzione (corretta, quanto al dispositivo adottato,
ma inesatta quanto alla ricostruzione degli istituti giuridici
analizzati dalla Corte partenopea) cui le vicende processuali oggi
sottoposte all'esame di questa Corte regolatrice impongono di
pervenire, atteso, in particolare, che i due contratti, di leasing
finanziario e di compravendita, appaiono, proprio in virtù di
quegli indici rivelatori che il giudice di merito ha, con insindacabile
apprezzamento (trattandosi di argomentazioni pienamente legittime sotto
il profilo logico-giuridico) ritenuto di dovere evidenziare (in
particolare, nelle pagine da 12 a 16 della motivazione della sua
sentenza), indiscutibilmente concepiti e stipulati in stretta
connessione ed in funzione dell'unico scopo di garantire la
restituzione della somma mutuata. E va ancora ricordato, difatti, che
il collegamento negoziale (come più volte affermato da questa
stessa Corte regolatrice, da ultimo con la sentenza 21.6.2004, n. sez.
861 della seconda sezione) è fattispecie configurabile anche
quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi,
purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente
connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento
dello scopo divisato dalle parti.
Il ricorso é, pertanto, rigettato.
La complessità dei temi trattati consente l'integrale
compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della III Sezione
Civile della Corte di Cassazione, addì 22 settembre 2004.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 21 GENNAIO 2005
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