Cassazione civile,
sez. un., 02 ottobre 2012, n. 16725 il pegno su
titoli di Stato si costituisce con la sola annotazione del vincolo sul
registro del gestore
SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO
Con ricorso del 2 marzo 1994 la Cassa di Risparmio di
Trento e Rovereto ha proposto opposizione allo stato passivo del fallimento
della SIMER s.p.a. lamentando che il giudice
delegato aveva ammesso in chirografo un suo credito per L. 1.692.942.753,
escludendo il privilegio ex art. 2787 c.c., per il credito al
controvalore di c.c.t. per nominali L. 620.000.000, oggetto di pegno,
compreso in quello di maggior importo, ritenendo che l'atto di costituzione
del pegno stesso, avente ad oggetto il credito della società fallita alla
consegna o all'attribuzione dei titoli, non avrebbe indicato con
sufficiente precisione nè il credito garantito nè i titoli di Stato
costituiti in garanzia, nonchè perchè l'atto di costituzione sarebbe stato
privo di data certa. Il giudice delegato aveva anche esclusa
la compensazione della somma di L. 43.819.633, corrispondente all'importo
delle cedole maturate sui c.c.t., erroneamente incassate dalla banca,
avendo le parti pattuito che, in deroga agli artt. 2791 e 2801 c.c., gli interessi restassero di
pertinenza del costituente il pegno.
L'opponente ha affermato che l'atto di costituzione del
pegno, in data 8 novembre 1991, per nominali L. 590.000.000 (escluso il
credito per L. 30.000.000
in
relazione al quale la banca ha rinunciato a far valere la prelazione
in quanto il pegno era stato costituito con atto del 10 giugno 1992,
nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del 28 maggio 1993)
aveva ad oggetto (non i titoli, ma) il credito della società fallita alla
consegna o all'attribuzione dei titoli indicati in calce all'atto (CCT
emessi il 1 novembre 1990 con scadenza nel 1995) o del loro controvalore in
danaro, in relazione al mandato ad acquistarli conferito alla banca, e che
tanto l'atto di costituzione quanto l'atto di accettazione della Cassa di
Risparmio recavano l'affrancatura postale dell'8 novembre 1991, anteriore
alla dichiarazione di fallimento sopravvenuta il 28 maggio 1993. In ordine al mancato riconoscimento della compensazione
per L. 43.671.250, per cedole maturate e riscosse dalla banca fino al 1
maggio 1993 sui c.c.t. costituiti in pegno, essendo il fallimento
intervenuto il 28 maggio 1993, all'opponente spettava il diritto di
avvalersi della compensazione L. Fall., ex art. 56.
Con sentenza del 23 settembre 1999 il tribunale di
Bassano del Grappa ha rigettato l'opposizione affermando che l'atto di
costituzione di pegno dell'8 novembre 1991 non aveva data
certa e che in relazione all'esclusione della compensazione la banca non
aveva interesse a farla valere perchè il suo credito era stato ammesso al
passivo nella misura dalla stessa richiesta e il fallimento non aveva
ancora fatto valere il proprio credito alla somma di L. 43.671.250.
Con sentenza del 12 agosto 2004 la corte d'appello di
Venezia ha integralmente confermato la sentenza di primo grado, salvo che
per l'esclusione della data certa dell'atto atto
di costituzione del pegno perchè il timbro postale in data 8 novembre 1991
era stato apposto sullo stesso documento contenente il negozio costitutivo
della garanzia.
Tuttavia doveva escludersi il privilegio, per le ragioni
esposte nella sentenza di questa Corte n. 4208 del 1999 secondo cui: a) non è
possibile ravvisare un valore economico intrinseco nel facere consistente
nella prevista futura consegna dei titoli, ma solo nei titoli stessi; b) il
diritto del mandante alla consegna è eliso e vanificato proprio nel momento
e per effetto dell'atto dispositivo perchè in tale momento nasce il diritto
della banca a conservarne la detenzione in funzione di garanzia del proprio
credito; c) ove oggetto del pegno sia il diritto alla consegna dei titoli,
non si spiega poi come sussista la garanzia ove i
titoli non vengano mai materialmente formati o la loro durata sia inferiore
al periodo della garanzia; d) non è consentito ai privati porre in essere
strumenti negoziali diretti a realizzare una garanzia reale specifica su
valori mobiliari diversi da quelli previsti dal legislatore con gli artt. 2786 e 2787 c.c.; e) non è configurabile il pegno
di cosa futura, in tal caso prospettandosi un accordo produttivo, prima
della consegna, di meri effetti obbligatori, inidoneo a costituire la
garanzia reale, così che il credito è chirografario per tutto il tempo
intercorrente tra la concessione del finanziamento, accompagnato dal
mandato ad acquistare titoli e l'individuazione dei titoli stessi.
Quanto all'esclusione della compensazione del debito
della banca per le cedole erroneamente riscosse e i maggiori crediti
vantati, la corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la censura non tanto per difetto
d'interesse della banca quanto per essere stato integralmente ammesso al
passivo il credito vantato.
Ricorre per cassazione, sulla base di
tre motivi, illustrati con memoria, Unicredit Banca d'Impresa s.p.a.,
succeduta alla Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Il Fallimento della
SIMER resiste con controricorso, e ha proposto anche ricorso incidentale
affidato a un motivo, al quale resiste la banca con controricorso.
Con ordinanza del 28 febbraio 2011, la prima sezione,
alla quale il ricorso era stato assegnato, ha disposto la trasmissione
degli atti al Primo Presidente per valutare l'eventuale rimessione della
questione alle Sezioni Unite, rilevando un contrasto di giurisprudenza tra
l'orientamento che esclude la possibilità della costituzione di un pegno
del tipo di quello dedotto dalla banca ricorrente, rappresentato dalla
sentenza n. 4208 del 1999, e l'orientamento che, invece, ha ammesso la
possibilità della costituzione in pegno del credito in favore del
mandatario incaricato di acquistare i titoli e successivamente
di consegnarli al mandante, espresso dalla sentenza n. 8050 del 2009.
In occasione dell'udienza odierna il Fallimento ha
presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente, deducendo
violazione e falsa applicazione degli art. 99 e 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non essersi la corte territoriale limitata
a prendere in considerazione l'unica eccezione ritualmente proposta dal
Fallimento, costituita dalla invalidità del pegno di beni, avendo invece
valutato e accolto la diversa eccezione di inammissibilità del pegno del
credito del mandante ad acquistare e a consegnare una quantità di cose di
genere (titoli di credito), tardivamente dedotta per la prima volta nella
comparsa conclusione in grado d'appello.
Tale questione non avrebbe ad
oggetto una nullità rilevabile d'ufficio sia perchè non si tratterebbe di
un'ipotesi di nullità, sia perchè, dovendosi il principio della
rilevabilità d'ufficio delle nullità coordinarsi con il principio
dispositivo, il giudice non può rilevare una causa di nullità diversa da
quella inizialmente dedotta dalla parte.
Il motivo non è fondato.
In relazione alla questione
relativa alla qualità privilegiata o non del credito fatto valere, oggetto
di cognizione sommaria in sede di accertamento del passivo da parte del
giudice delegato e di cognizione piena in sede di giudizio di opposizione,
la valutazione della sussistenza dei presupposti della prelazione deve
essere compiuta dal giudice d'ufficio, attenendo all'esistenza delle
condizioni dell'azione esperita dal creditore, che è oggetto di mere difese
e non di eccezioni in senso stretto della controparte, non potendo quindi
invocarsi il diverso principio del vincolo del giudice alla specifica
eccezione di nullità, tempestivamente proposta, applicabile solo nei
giudizi in cui la domanda abbia ad oggetto direttamente l'accertamento
dell'invalidità o dell'inefficacia dell'atto (cfr.: Cass. 27 aprile 2011,
n. 9395; 6 ottobre 2006, n. 21632; 5 novembre 2001, n. 13628; 7 dicembre
2000, n. 15530; 23 settembre 2000, n. 12644; 9 gennaio 1999, n. 117; 14
marzo 1998, n. 2772; 2 aprile 1997, n. 2858).
2. Esaminando immediatamente, per comodità espositiva,
il terzo motivo del ricorso principale e il ricorso
incidentale, deve esserne dichiarata parimenti l'infondatezza.
Il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si lamenta
la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 112 c.p.c., ed il
vizio di motivazione, civ., per avere la corte d'appello omesso di decidere
sulla domanda della banca di accertamento della compensazione per L.
43.000.000 non è fondato perchè la corte territoriale ha puntualmente
spiegato la ragione per la quale, essendo stato ammesso al passivo, senza
osservazioni da parte del fallimento, un credito pari alla differenza tra
l'intero credito vantato e il debito di L. 43.000.000, corrispondente
all'importo delle cedole indebitamente riscosse, non sussisteva alcun
interesse attuale all'accoglimento della domanda.
Il ricorso incidentale del Fallimento, con il quale si
lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la
corte territoriale affermato che la scrittura costituiva del pegno aveva data certa anteriore al fallimento non ostante che il
timbro postale fosse stato apposto soltanto sulla busta contenente il
documento, contrariamente a quanto eccepito dalla ricorrente, è tempestivo,
perchè, come è stato già affermato (Cass. n.14 aprile 2011, n. 8542; 12
gennaio 2001, n. 396) la riduzione alla metà del termine per proporre
ricorso per cassazione espressamente prevista dalla L. Fall., art. 99, ha natura di norma
eccezionale, in quanto derogatrice della disciplina generale, e pertanto
non può essere analogicamente applicata anche al diverso termine previsto
dall'art. 370 c.p.c., per proporre controricorso.
Tuttavia il ricorso è inammissibile per la diversa ragione che, con lo
stesso, si deduce un vizio dell'accertamento di fatto compiuto dalla corte
territoriale - secondo la quale il timbro postale è stato apposto, non
sulla busta, ma direttamente sul documento contenente la convenzione -,
deducibile eventualmente con la revocazione ma non ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5. Del pari
inammissibile è, infine, la censura con la quale, senza formulare
specifiche critiche alla motivazione della sentenza impugnata e in modo
contradditorio rispetto alla critica appena esaminata, viene
adesivamente riportata l'argomentazione del giudice di primo grado secondo
la quale la presenza del timbro postale sul foglio contenente la
convenzione non attesterebbe che il contenuto del documento al momento
dell'apposizione del timbro stesso coincidesse con quello del documento prodotto
in giudizio.
3. La questione centrale è posta con il secondo motivo
del ricorso principale con il quale la banca ha dedotto la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2786 ss. e 2800 ss. c.c., ed il vizio di motivazione,
perchè nessuna norma inderogabile o principio di ordine pubblico, ai sensi
dell'art. 1322 c.c., vieterebbe di costituire in
pegno il credito nascente dal mandato ad acquistare e a consegnare una
certa quantità di CCT non individuati, essendo accolto dalla dottrina e
dalla giurisprudenza proprio l'opposto principio, mentre in senso contrario
non potrebbe essere invocata la sentenza n. 4208/1999, che solo obiter
avrebbe affermato la tesi contraria all'ammissibilità. Comunque, in ordine agli argomenti esposti dalla indicata sentenza
di questa Corte, osserva il ricorrente, che: a) il credito all'acquisto e
quindi alla consegna di CCT ha valore economico, come sarebbe confermato
dal fatto che, in ipotesi di mancata emissione, come avvenuto nella specie,
il diritto verso il Tesoro, risultante dal piano di emissione, pur non
potendo circolare secondo le regole della legittimazione cartolare, sarebbe
comunque quotato in borsa e potrebbe essere venduto; b) sarebbe irrilevante
l'affermazione secondo cui il credito si vanifica al momento stesso della
consegna dei titoli, perchè, come in tutte le ipotesi di pegno di credito,
la garanzia, estinto il credito, si trasferisce sui titoli; c) l'argomento
relativo all'inammissibilità di strumenti negoziali diversi da quelli ex
artt. 2786 e 2787 c.c., non sarebbe pertinente perchè
oggetto del credito dato in pegno non era il diritto alla consegna di cose
determinate, ma di cose indicate solo nel genere e, pertanto, non sarebbe
configurabile un'elusione della disciplina del pegno di cose mobili; e)
inconferente sarebbe anche il rilievo relativo all'inammissibilità del
pegno di cose future, perchè nella specie ricorre la diversa fattispecie di
pegno di credito all'acquisto e alla consegna di un bene, che ha natura
reale, al pari del pegno sul credito alla consegna di denaro.
3. La prima sezione, esaminando il secondo motivo del
ricorso principale, ha rilevato che sulla questione della possibilità, ai
fini del riconoscimento del privilegio da far valere nella
ambito di una procedura fallimentare, di istituire in favore della
banca mandataria un pegno avente ad oggetto il credito del mandante
sorgente dal mandato ad acquistare e consegnare una determinata quantità di
CCT è insorto contrasto nell'ambito della giurisprudenza della corte.
La sentenza n. 4208 del 1999 ha escluso la
possibilità della costituzione del pegno sulla base delle
seguenti argomentazioni:
1) "nei diritti reali di garanzia il bene che forma
oggetto del diritto viene in considerazione essenzialmente in quella che
significativamente è stata denominata la sua "componente"
o "riserva" di "valore", cioè nel suo identificarsi in
un valore economico ad essa intrinseco, in rispondenza all'interesse del
creditore garantito che non ha quale punto di riferimento una entità
materiale in se stessa ma la idoneità del bene a rafforzare, mediante la
possibilità della sua conversione in danaro, la garanzia del
soddisfacimento delle sue ragioni di credito: tale immediata valenza non si
riscontra nel diritto ad un "facere" consistente nella prevista
futura consegna dei titoli di credito, ma solo in questi ultimi,
considerati in funzione della loro caratteristica fondamentale che è quella
della incorporazione in essi del credito verso l'emittente";
2) "non sembra possibile concepire la costituzione
in pegno (e più in generale, un atto di disposizione) di un diritto il cui
contenuto - la consegna dei titoli al mandante in adempimento del mandato -
subisca elisione e vanificazione proprio nel momento e per effetto dell'atto
dispositivo che comporta che non debba aver luogo la dazione dei titoli dei
quali la banca mandataria è designata a conservare la detenzione quale
strumento di realizzazione della garanzia";
3) "siffatta costruzione non appare nemmeno
risolutiva rispetto alla problematica inerente alla mancata individuazione
originaria dei titoli - in relazione all'esigenza
della determinatezza dell'oggetto del pegno - dappoichè la incertezza
dell'oggetto del diritto non può non risolversi in incertezza del contenuto
del diritto stesso";
4) "la tesi della identificazione
dell'oggetto del pegno nel diritto alla consegna dei titoli, sottoposta
alla prova di resistenza di tutte le articolazioni problematiche
prospettabili nel contesto della attuale diffusione del fenomeno della
dematerializzazione dei titoli di massa, non offre adeguata risposta circa
la sorte della garanzia nel caso in cui i titoli in questione abbiano a non
ricevere mai materiale formazione o nel caso in cui il ciclo di durata
degli stessi abbia ad esaurirsi in termine più breve del periodo nel quale
debba trovare esplicazione la funzione della garanzia stessa";
5)" la stessa tesi non offre nemmeno coerente
fondamento alla evoluzione della fattispecie nel
senso del successivo venire ad esistenza dei titoli, perchè non consente di
individuare - almeno in assenza di specifica previsione convenzionale di
sostituzione dell'oggetto della garanzia - la fonte del diritto del
creditore a procedere alla realizzazione dei titoli dei quali sia poi
entrato in possesso".
6) deve dubitarsi della legittimità della costituzione
in pegno di un diritto alla consegna di cose determinate o di titoli in relazione al fatto che tale convenzione può tradursi
in una surrettizia costituzione in pegno di cose mobili in forme diverse da
quelle normativamente stabilite.
A tali argomentazioni l'ordinanza della prima sezione aggiunge anche che:
7) i crediti che possono essere oggetto di pegno sono
quelli che il debitore ha verso terzi e non quelli verso il creditore
pignoratizio che finirebbe per essere garantito dal proprio adempimento, e
cioè, sostanzialmente, da se stesso;
8) nel caso in cui il credito
costituito in pegno abbia ad oggetto il diritto ad acquistare e
ottenere la consegna di CCT, il pegno sussiste finchè il mandato non viene
adempiuto con la consegna dei beni acquistati, mentre, se nessun termine è
stabilito per la consegna al mandante dei titoli acquistati, il pegno sul
credito verrebbe in sostanza a trasformarsi in un pegno sui titoli poichè
questi resterebbero presso il mandatario a tempo indeterminato a garanzia
del proprio credito e, in caso d'inadempimento del mandante costituirebbero
in sostanza i beni tramite i quali il mandatario garantito realizzerebbe la
propria garanzia.
A fronte dell'orientamento espresso dalla sentenza 4208 del 1999, questa corte ne ha
di recente espresso uno del tutto diverso con la sentenza n. 8050 del 2009. In una
fattispecie sostanzialmente analoga a quella oggetto
della presente controversia, anche se prevalentemente incentrata sulla
questione se, acquistati i titoli da parte del mandatario, si fosse o meno
realizzato l'immediato trasferimento degli stessi al mandante, la citata
sentenza ha riconosciuto, sia pure senza specifica motivazione sul punto,
la possibilità di costituzione di un pegno di crediti in favore dei
mandatario incaricato di acquistare titoli e di consegnarli al mandante. In
particolare nella sentenza si osserva che il mandatario non è tenuto
solamente ad un tacere, "dai momento che per
assicurare ai mandante l'acquisto della proprietà nei rispetto della norma
richiamata, egli era tenuto a dare i titoli, prestazione che si sarebbe
realizzata attraverso il "tacere" della specificazione. E
trattandosi di una prestazione dovuta, il credito ad
essa corrispondente si appalesava suscettibile di essere costituito in
pegno, a norma dell'art. 2800,
a differenza del pegno di titoli rappresentativi, i
quali vanno considerati pegno di cose e non di crediti".
4. Giova premettere che la questione che si pone nella
specie riguarda una convenzione di
pegno dell'8 novembre 1991 avente ad oggetto il
credito nascente dal mandato conferito da società fallita il 28 maggio 1993
ad acquistare CCT emessi il 1 novembre 1990, con scadenza nel 1995,
pacificamente non individuati al momento della dichiarazione di fallimento.
Si tratta, quindi, di una fattispecie che pone una
problematica destinata a non avere significativa
rilevanza temporale perchè, come risulta dalla ricostruzione delle vicende
relative al regime giuridico della circolazione dei titoli di Stato operata
dalla sentenza di questa Corte 27 agosto 1996, n. 7859, a partire dal
1980 e fino al D.M. 23 maggio 1993 (emesso in attuazione della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 22, comma 4,
recante la disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e
disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari, e in conformità col
sistema di amministrazione centralizzata dei valori mobiliari affidata alla
Monte titoli s.p.a.) la
Banca d'Italia, sulla base di convenzioni con gli
intermediari finanziari, aveva istituito un sistema di gestione
centralizzata nell'ambito del quale anche i titoli di Stato potevano essere
trasferiti tra i soggetti partecipanti a tale gestione mediante iscrizioni contabili senza materiale tradizione.
In questo periodo mentre per i BOT, a partire dal
D.M. 25 luglio 1985, e dalla circolare del Ministero del tesoro del 19
marzo 1986, non veniva più formato il documento cartaceo, per i CCT il
documento cartaceo veniva formato non al momento dell'asta, in cui erano
consegnati ricevute provvisorie, ma successivamente.
Il regime di gestione accentrata su base convenzionale è
stato sostituito da quello legale a partire dall'entrata
in vigore del D.M. 23 maggio 1993 e da questa stessa data il pegno su
titoli di Stato si costituisce con la sola annotazione del vincolo sul
registro del gestore, come è stato poi espressamente previsto dal D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213, art. 34,
recante disposizioni per l'introduzione dell'Euro, attualmente trasfuso
nell'art. 83 octies, del testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria (t.u.f.) di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e successive
modificazioni.
Le tematiche poste nella
fattispecie non riguardano dunque convenzioni di pegno formate nel periodo
successivo al 1993. Ciò non esclude tuttavia che, pur nel limitato rilievo
temporale, il problema posto all'attenzione di queste sezioni unite sia
delicato e di rilevanza pratica significativa.
5. La tesi dell'inesistenza della prelazione in relazione a una convenzione di pegno che, come è
ormai pacifico tra le parti, ha avuto ad oggetto non titoli di stato ma il
credito del cliente nei confronti della banca all'acquisto e alla consegna
di una determinata quantità di titoli per un controvalore altrettanto
determinato, senza che tali titoli risultino ancora materialmente formati
al momento della convenzione nè successivamente, seguita dalla sentenza n. 4208 del 1999, merita di essere
condivisa per le argomentazioni che in tale decisione sono state ampiamente
esposte alle quali possono aggiungersi le seguenti osservazioni.
5.1. Il pegno
costituisce per il creditore una garanzia reale, cioè opponibile erga
omnes, che si concreta nella creazione di una riserva di utilità
economicamente apprezzabile e che si traduce nel diritto di conseguire il
ricavato dell'aggiudicazione del bene o del
diritto sottoposto a pegno, quale valore (non solo e non tanto, come d'uso,
quanto) di scambio del bene o del diritto stesso. Se è vero che l'idoneità
ad assumere valore di scambio non è esclusiva delle cose, ma anche dei
crediti e di altri diritti, è anche vero che è pur sempre necessario che
crediti e diritti siano idonei ad assumere natura di res, a subire una oggettivazione. Ma, come è
stato osservato da autorevole dottrina, non tutti i diritti sono idonei ad
acquistare questa qualità. Ciò deve dirsi del credito all'acquisizione e
alla consegna di titoli di Stato non emessi che il cliente mandante vanta
nei confronti della banca mandatala, perchè il valore di scambio, in questo
caso, è del titolo e non del facere o del dare, quali prestazioni preliminari
all'effettivo acquisto e alla consegna del titolo stesso.
Nè coglie nel segno l'argomento contrario che si
vorrebbe trarre dalla circostanza che, in caso di mancata emissione di
titoli di Stato (nel periodo in cui era ancora
prevista la formazione del documento cartaceo e per quei titoli per i quali
la previsione era vigente) il credito alla consegna dei titoli nei
confronti del Tesoro, risultante dal piano di emissione, poteva essere
posto in vendita, perchè si tratta del credito verso lo Stato, ben diverso
da quello verso la banca mandataria che si vorrebbe assoggettare a pegno.
5.2. D'altra parte, molteplici sono i dubbi che sorgono
ad ammettere la possibilità di sottoporre a pegno, con effetti reali e con
attribuzione della prelazione, il credito del cliente all'acquisto e alla
consegna dei titoli di Stato non ancora emessi o comunque non individuati
al momento della costituzione della garanzia.
In primo luogo è difficile ammettere che abbia una
qualche autonomia un credito al compimento di una
prestazione che al momento in cui viene adempiuta non soddisfa tanto
l'interesse del mandante - creditore, quanto quello del mandatario -
debitore di detta prestazione, in quanto in quel momento la banca consegue
il possesso dei titoli e realizza effettivamente la garanzia del suo
credito nascente dall'operazione di finanziamento.
Più in generale, poi, e prescindendo dalla convenzione
di pegno, rispetto all'effettivo risultato che le parti intendono
conseguire con il contratto di investimento,
consistente nel conseguimento da parte del cliente dei diritti patrimoniali
conseguenti all'acquisto dei titoli di Stato, in regime di
materializzazione, la consegna del documento è oggetto di un diritto
eventuale ed accessorio privo di autonomia perchè, come avviene in ogni
fattispecie negoziale acquisitiva, o la fattispecie si perfeziona e
l'acquirente diviene titolare del diritto, che può circolare e quindi anche
essere sottoposto a pegno, senza che il diritto alla consegna del documento
rappresentativo abbia alcuna effettiva utilità suscettibile di commercio
giuridico, o la fattispecie non si perfeziona (ancora) e quindi il bene è
di altri, con la conseguenza che, se anche fosse configurabile un diritto
relativo alla consegna, si tratterebbe di un credito che al massimo, in
quanto pegno sul credito alla consegna di cosa altrui, potrebbe essere
oggetto di un pegno con effetti obbligatori ma non reali.
5.3. Dai rilievi svolti emerge allora che il risultato
che discenderebbe dall'esatto adempimento della convenzione consisterebbe
nella trasformazione, al momento appunto dell'adempimento, del pegno di
credito in pegno di cosa (il documento che
incorpora il titolo di debito pubblico). Tale
effetto automatico, che sembrerebbe trovare nell'art. 2803 c.c., una base legale, in realtà
incontra il doppio limite dell'insufficiente indicazione della cosa nella
convenzione di pegno di credito e del fatto che il cliente diviene
proprietario dei titoli già al momento dell'individuazione e quindi non può
operare la trasformazione del diritto di credito alla consegna in diritto
di proprietà dei titoli previsto dall'art. 2803 c.c., perchè, appunto, l'acquisto
della proprietà precede e non segue la consegna stessa.
Peraltro se l'automatica trasformazione del pegno di
credito alla consegna in pegno di titoli fosse l'effetto di apposita convenzione tra le parti, si avrebbe innanzi
tutto una sostituzione dell'oggetto dei pegno equivalente a un nuovo pegno.
Si porrebbe inoltre in essere una convenzione elusiva del divieto di patto
commissorio perchè l'appropriazione dei titoli da parte della banca, successivamente alla consegna realizza un effetto
sostanzialmente analogo al patto commissorio, in quanto la banca verrebbe
ad appropriarsi dell'oggetto del credito del cliente.
Del pari elusiva della disciplina legale imperativa (in quanto derogatrice del principio della par condicio
creditoris) appare la convenzione oggetto del contendere. Infatti, se le
parti intendono conseguire gli effetti propri del pegno, quale garanzia
reale disciplinata dal codice e in particolare se intendono attribuire al
creditore pignoratizio la prelazione, debbono
rispettare le condizioni previste dalla disciplina positiva, libere
certamente di conseguire effetti meritevoli di tutela in altro modo, come
autorizza l'art. 1322 c.c., ma senza che in tal caso sia
possibile ipotizzare che dalla convenzione possano discendere gli effetti
reali e la prelazione che nascono dal pegno valido secondo la normativa
codicistica.
In particolare il
pegno di credito all'acquisto e alla consegna di titoli non ancora emessi
ha natura di pegno di credito futuro, che fino a quando non si verifica la consegna ha effetti obbligatori e non
attribuisce prelazione, che sorge solo dopo la specificazione o la
consegna. A differenza del pegno di credito alla consegna di denaro o di
altra cosa fungibile (art. 2803 c.c.) già esistenti al momento
della convenzione, i titoli di Stato, in regime di materializzazione, non
sono ancora esistenti fino a quando non viene
formato il documento che li incorpora e pertanto, fino a che non viene
effettuata l'individuazione non può sussistere la prelazione.
5.4 Nè può tralasciarsi che la disciplina delle condizioni in
presenza delle quali può sorgere la prelazione anche in caso di
pegno non avente ad oggetto una cosa, suscettibile di traditio, (art. 2800 c.c.) prevede che la scrittura
contenente la convenzione di pegno su crediti o su altri diritti debba
essere notificata o accettata dal debitore del credito sottoposto a pegno, facendo
intendere che, al di là della possibilità in generale di sottoporre a
vincolo in favore di un soggetto la prestazione della quale lo stesso sia
debitore (come avviene nel caso di pignoramento o di sequestro conservativo
di un proprio debito verso l'esecutato o il debitore sequestrato fatta dal
creditore pignoratizio o sequestrante presso se stesso) la coincidenza tra
il soggetto debitore della prestazione oggetto del credito sottoposto a
pegno e di creditore della prestazione garantita non è compatibile con la
disciplina del pegno.
In conclusione il ricorso principale deve essere
rigettato.
Per le ragioni già indicate il ricorso incidentale è
inammissibile.
Attesa la reciproca soccombenza le
spese possono essere compensate.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale
e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa le spese di
questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di
Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 25 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2012
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